La gatta dei saloni di Templar

 

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Appena scesa dall’aereo, Sandy respirò a pieni polmoni l’aria mite e tiepida d’aprile. Si infilò gli occhiali da sole, neri e lucidi come ossidiana e le fasciavano perfettamente gli occhi. Con passo felino e aggraziato si diresse al terminal dei taxy. L’autista, il primo della fila, dopo averla radiografata silenziosamente, lanciò uno sguardo soddisfatto ai colleghi pieni d’invidia, e la aiutò a caricare i pochi bagagli, gustandosi la figura perfetta e le movenze sensuali della donna. "all’Hilton grazie" disse in perfetto italiano. Il tassista fece il solito giochino dello specchietto regolandolo per osservare meglio la sua temporanea preda invece del traffico, Sandy fece finta come al solito di non accorgersene, ma involontariamente fece trapelare il bordo di pizzo nero della sua calza, poi fingendo di assopirsi allargò ben bene le gambe, era un divertimento che non la stancava mai e che aveva il culmine quando incontrava il viso sempre paonazzo e congestionato della sua vittima di turno, mentre con fare disincantato gli allungava la banconota per pagare la corsa.

In albergo ci rimase giusto il tempo di fare il check-in e di far sistemare le valige in camera, a Milano c’era venuta per motivi seri, di lavoro, quindi altro taxi, altro tentato omicidio per infarto alle coronarie, in men che non si dicesse appoggiò i suoi acuminati tacchi a spillo davanti all’ingresso della fiera, in quei giorni il salone internazionale dell’arredamento attirava come mosche, gente da tutto il mondo e lei era una di quelle. Sandy era una disegnatrice d’interni con studio al quarantasettesimo piano di uno dei tanti grattacieli della grande mela, buona parte del suo tempo però la passava in giro per il mondo tenendosi aggiornata, a modo suo, sulle tendenze dell’arredamento moderno.

Il bauletto di Luis Vuitton beccheggiava al suo fianco in perfetta sincronia, lo stewart all’ingresso deglutì rumorosamente, mentre le sue unghie perfette e laccate di rosa shocking aprivano la lampo per estrarre la tessera da operatrice del settore che le consentiva ingresso illimitato ai padiglioni, la rimasero a guardare in molti dopo che, oltrepassata l’accettazione si avviò sinuosamente lungo il primo dei corridoi degli espositori.

La sua figura alta, slanciata ancora di più dalle vertiginose decoltè rosse e nere, fendeva la folla come una lama calda nel burro, la pelle bronzea e gli occhi neri, li doveva alla mamma tailandese, mentre il fisico da miss universo lo doveva agli ipervitaminizzati geni americani di papà. Osservava gli stands distrattamente, raccogliendo qualche biglietto da visita e niente più, aveva un appuntamento abbastanza importante, ma in un posto abbastanza insolito.

Giù da una rampa bianca di scale c’erano i servizi igienici. Appena entrata lo vide, vestito come sempre nella sua, divisa verde e nera, con la pancia da bevitore accanito di birra che debordava dal cinturone da cow boy, la barba pur se rasata a regola d’arte gli lasciava sempre un’ombra grigia sulla pelle olivastra, la stava aspettando, veniva tutti gli anni.

Nessuno li notò mentre lei gli faceva scivolare una discreta busta nel tascone che aveva sulla coscia dei pantaloni, appena un’increspatura nel suo placido sorriso, e la mano che le allungava un biglietto, anche sta volta era fatta. Si chiuse in uno dei box dei bagni per leggere con la dovuta cautela. Nel biglietto c’era anche una chiave, le indicazioni erano molto precise, l’avrebbero condotta in un ripostiglio abbandonato in un angolo del padiglione venti.

Ammazzò il tempo restante come aveva ammazzato quello precedente, vagando senza meta tranne che nell’ultima mezz’ora, per raggiungere con tempestività il luogo indicato.

Dentro lo spazio era poco, spazzoloni e bottiglie di detersivo rendevano la poca aria ancor meno respirabile, una fioca luce scivolava dentro da un minuscolo lucernario. Doveva aspettare solo un po’, il tempo che i visitatori defluissero e lei potesse diventare la regina incontrastata del salone.

Le gambe a quel punto le iniziavano a tremare, e lo stomaco iniziava a contorcersi piacevolmente, tutto il sangue le andava alla testa, tutto da li in poi si svolgeva come un rito, si spogliava, lentamente, prima le scarpe, poi una ad una le calze, velatissime, percorsero le sue lunghe gambe per abbandonarle, la gonna scivolò per terra in un "fluff" delicato, raggiunta rapidamente dalla giacca e dalla camicetta di seta nera, rimase qualche istante nei suoi indumenti intimi. Le dita della mano indugiarono sulla sottile stoffa degli slip, trovandola già inzuppata d’umori. A quel tatto i capezzoli si tesero, non perse altro tempo, si liberò anche di quegli ultimi baluardi alla sua decenza e con fare furtivo aprì uno spiraglio nella porta. Le lampade di servizio diffondevano una fioca ma sufficiente luce rossastra dappertutto. Nessuno l’avrebbe disturbata per almeno due ore.

I suoi piedi curati e nudi assaggiarono prima il gelo del marmo poi il tepore delle passerelle, veloce come una gazzella, lanciava il suo corpo in piroette e avvitamenti come ad una finale di ginnastica artistica, alternando le evoluzioni a rapidi balzi e corsette. Era così che amava visitare gli stands degli espositori, in maniera privata, più intima. S’infilo nel primo, affondando le sue piante in morbidissima e spessa moquette lanosa, senza soluzione di continuità fece scivolare il suo fondoschiena sul largo divano, assaporandone centimetro per centimetro la comodità, lo trovò un po’ rigido, e la stoffa ruvida, peccato, aveva un design così innovativo, pollice verso, ci si accovacciò sopra e separando delicatamente le labbra della sua morbida vulva, lasciò partire qualche goccia di urina in mezzo alla seduta, era il suo modo per dire che non gli era piaciuto, poi via, a provare altre ditte, altri allestimenti. Questo gioco le dava alla testa, era come entrare in centinaia di mini appartamenti, tutti arredati e accoglienti, tutto ciò la caricava di eccitazione, che colava inesorabile tra le sue soavi cosce.

Il cuoio poi la faceva impazzire, cosa esiste di più profumato e selvaggio di un enorme sofà di cuoio conciato a regola d’arte? In quel salotto, tra l’altro avevano spendo da poco una candela all’aroma di cocco, due odori esotici che la mandarono in estasi. Approvato a pieni voti, strusciando le sue parti più tenere e bagnate sul bracciolo fino a raggiungere un tumultuoso e gratificante orgasmo. Osservò la sua opera, una macchia con la quale contrassegnava il territorio e che sarebbe scomparsa di li a poche ore. Andò avanti così ancora per parecchio, assegnando la sua personalissima pagella di gradimento a designer e artigiani, fino a quando non sentì i passi regolari della ronda notturna, ed un baluginare di torcia elettrica non cominciò a fare capolino tra le viuzze di quella cittadella in miniatura. Adesso cominciava il gioco vero e proprio, si fece inquadrare volutamente dal guardiano, che da lontano avrebbe magari pensato ad un fantasma, i passi che aumentavano velocità nella sua direzione e il gracchiare della radio, le fecero capire subito che doveva muoversi, iniziò a volteggiare di nuovo, nuda della semioscurità, con quel divertimento irrefrenabile che la prendeva da bambina, quando giocava a rimpiattino con suo padre, trattenendo a stento risatine e cercando di concentrarsi sulla strategia da attuare. Iniziò tagliare in diagonale per gli stands, fermandosi di tanto in tanto, accovacciata a sentire in che direzione si muoveva il cacciatore. Ora erano due forse tre, quasi in punta di piedi e di mani, salì a zampe la scala mobile spenta, al secondo piano avrebbe avuto qualche istante per riprendere fiato.

Era madida di sudore, e l’eccitazione tra le sue gambe era diventata un fuoco, intinse le dita nel suo ventre rovente estraendole ingelatinate di piacere, lo spalmò sulle ringhiere della scala, per lasciare una traccia del suo passaggio, chissà che loro non sentissero il suo odore, l’odore della loro preda. Fatto questo, altri volteggi fino ad un gigantesco letto rotondo, si infilò sotto le coperte con l’orecchio teso, al suo piano non c’era ancora nessuno, il ritmo del suo battito accelerava, impazziva, ancora un istante, un istante solo, poi si spostò, avevano capito il suo gioco, sarebbero arrivati di li a poco. I suoi passi si fecero felpati, fece loro intravedere la sua silhouette attraverso le tele tese a protezione degli arredi, illuminata dai loro fari portatili per poi dileguarsi, adorava tirarli scemi, ormai dovevano essere almeno in cinque, e tutti al suo piano. Era ora di tornare di sotto, recuperare i vestiti e tornare in albergo, fece loro un ultimo regalo, strappò una tendina e la usò per asciugarsi l’incipiente eccitazione che aveva tra le gambe, abbandonò la stoffa li sul pavimento, immaginandosi uno di loro che la raccoglieva e la annusava, come facevano i veri cacciatori seguendo le orme della loro cacciagione.

Lì, gattonò di sotto il più silenziosamente possibile, riprendendo fiato ritornò verso lo stand da cui era partita, nessuno all’orizzonte, eppure il cuore non cessava di martellarle il petto, in fondo era sicura, erano tutti di sopra, altrimenti li avrebbe sentiti, s’infilò sotto il telo e andò ad aprire l’armadio dove aveva nascosto i suoi effetti personali, vuoto, sentì una stretta in gola, come poteva essere vuoto, forse aveva sbagliato armadio, ma non c’erano altri armadi, e la ditta era quella giusta.

D’improvviso tutte le luci in quella stanza si accesero, lei si voltò lentamente, e vide la guardia, con il suo sorriso vittorioso e la sigaretta pendente dal labbro, stringeva in mano il sacco con le sue cose, era scalzo così come i suoi quattro colleghi.

Furbi, non c’è che dire. Sandy li guardava imbronciata come una bambina che ha perso a nascondino, le mani conserte sul seno, il corto triangolo del suo pube era esposto con impudicizia, e il piede tamburellava eloquentemente come a dire "e bravi! Mi avete preso e ora?"

Faceva tutto parte di un copione non scritto, la guardia incontrata al mattino prese la busta che lei gli aveva consegnato e la buttò sul letto, era nei taciti accordi, gli altri avevano cominciato a levarsi i pesanti cinturoni, a cinque non era mai arrivata. Ancheggiando s’inginocchiò di fronte al primo abbassandogli gli slip, era già duro come il marmo, però caldo, bollente con del sangue lavico che pulsava nelle voluminose vene, le sue labbra morbide cominciarono a succhiarlo, una mano grossa e virile le s’infilò tra i capelli premendo sulla nuca. Gli altri non li vedeva, ma immaginava dai sommessi rumori che si stessero masturbando, tenendo in caldo altra carne per lei.

A turno li assaggiò tutti, erano d’età variabile e anche i loro fisici non erano tutti atletici, ma a quel punto il sapore di sesso la drogava talmente che non le importava altro che godere come una forsennata. La presero di peso, e la mollarono pesantemente sul letto, in due le dilatarono le gambe a spaccata, mentre il solito prendeva posto in mezzo, affondando ferocemente i suoi venti centimetri nella fica urlante di Sandy. Gli altri due non stavano certo a guardare, e per paura che potesse urlare, le tappavano la bocca con i loro membri, tutt’altro che trascurabili Le vennero in bocca, e sulla faccia, Sandy leccò via ogni goccia, sia dalle loro cappelle che dalla mano che aveva usato per spalmarsi sul viso tutta quella crema. Succhiava quelle dita dalle unghie rosa, con una voluttà tale, che ai due ridivenne subito duro.

Intanto i due che le tenevano le gambe si erano alternati insieme al capo sfondandole per bene l’utero, i tre si davano il cambio come in una treccia, farcendole alla fine il suo ventre con una quantità tale di sperma, che non faceva altro che colare fuori da quel buco oscenamente violato.

Non ne avevano abbastanza, la girarono, a quattro zampe, per terra, col busto appoggiato al letto, uno di loro ebbe il lampo di genio di ammanettarle i polsi dietro la schiena. Abusata in quel modo, Sandy senti le porte del piacere schiudersi in orgasmi multipli racchiusi come scatole cinesi, inutile dire che in quella posizione, il suo secondo canale offriva un’attrattiva troppo ghiotta per i suoi amici guardiani, glielo scoparono in sequenza, alternandosi almeno quattro volte dietro di lei prima di venirle dentro e inondarle anche quell’ultimo angolo d’intimità. Il clistere di seme caldo la portò inevitabilmente al nirvana degli orgasmi, facendola scuotere come in una crisi epilettica.

Si riposarono tutti per qualche istante, poi ancora nuda e ammanettata, la portarono giù nei bagni, dove c’erano le docce, la slegarono, si misero tutti e sei sotto i getti caldi e dolcemente la insaponarono, sciacquandola con insolita tenerezza, poi uno di loro estrasse da una borsa un accappatoio, glielo lanciò gli altri si asciugarono alla bell’e meglio con degli asciugamani, Sandy li osservò, erano sempre gli stessi degli anni scorsi, li aveva già incontrati, ma mai tutti insieme. La salutarono, restituendole la borsa con i vestiti e con profusione d’inchini e strizzate d’occhio. Con la stessa lentezza con la quale si era spogliata, si rivestì, si avviò su per le scale, si erano dileguati, seguendo le istruzioni sul foglietto arrivò fino ad una porticina di servizio, la chiave l’apriva, uscì in strada, con un cenno chiamò un taxi, si sedette comodamente in mezzo al sedile posteriore e allargando le gambe, in italiano disse " All’Hilton grazie"

 

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By Simon Templar

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