La pantera dell'attico di Templar

 

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Gran pezzo di donna, la signora Gloria, imperiosa e piacente, ai suoi primi cinquant’anni, faceva avanti e indietro nell’ ampia anticamera, in mia fremente attesa. Alta, prosperosa e piacevolmente divorziata, viveva da colta donna benestante all’ultimo piano del mio condominio, nell’attico degli attici. Da qualche settimana le ero diventato indispensabile, tanto da continuare a telefonare a mia madre, due piani sotto di lei, per chiedermi se avevo tempo di farle dei piccoli piaceri, cambiare una lampadina, o sintonizzarle il televisore. Balle! Quello che voleva era me, il mio giovane corpo implume (o quasi), e il mio "visino d’angelo" come lo chiamava lei. Per lei ero una recente scoperta, il suo ultimo boyfrend, un ballerino spagnolo di Madrid, era stato gentilmente messo alla porta per eccessivo parassitismo ed io ero diventato la sua nuova intrigante preda. Cosi, quasi tutti i giorni, dopo la scuola, per un motivo o per l’altro, mi facevo due rampe di scale, col fiatone e tanto per fare un po’ di scena con mia madre, una borsa ricolma di attrezzi. Quando apriva la porta, per me era un knock out ormonale, unica regnante del pianerottolo, si faceva ben poche remore del vicinato presentandosi con vestaglie semi aperte e biancheria intima da gara. Oggi lamenta due lampadine bruciate, e uno scarico intasato, presto detto mi lancio fuori di casa con una rapiditą tale da sconcertare mia mamma, sono subito di fronte al campanello, non faccio a tempo a suonare, lei ha sentito i miei passi sulle scale apre la pesante porta mostrandosi in accappatoio e ciabatte col tacco alto. –Buongiorno, signora, dove sono le lampadine da cambiare?- lei soffoca un risolino con la mano, che belle le sue dita, sempre smaltate, con quelle unghie cosi lunghe, ha notato il mio tono beffardo e sta’ al gioco, mi mostra il lampadario del salotto con due luci spente – Eh si, bisognerą proprio cambiarle- dico io con tono professionale, lei intanto si siede sorniona sulla poltrona vicino alla finestra, con una gamba sul bracciolo, ma ancora completamente coperta dalla spugna –dove sono lampadine nuove?- con un gesto secco scopre il sesso nudo e peloso, dal quale fa capolino qualcosa di brillante, le pensa proprio tutte! Si mordicchia maliziosamente un dito senza fiatare. Io capisco l’antifona e mi avvicino, in ginocchio appoggio il viso sul soffice pube odoroso e inalo, poi prendo la lampadina tra i denti e inizio a muoverla delicatamente dentro e fuori. Affondo, ed esce, liquido, il suo piacere, ogni tanto mollo la presa per dedicarmi al suo prodigioso clitoride, che esce di quasi un centimetro dall’apice delle labbra, leccarlo, mi piace da impazzire, non me ne stacco fin quando non la sento godere, e gli spasmi della sua fica vorace, espellono la lampadina olivare dal su ventre. La prendo in mano, la lecco guardandola negli occhi, le piacciono questi piccoli gesti da porco. Spalanca le meravigliose gambe e con voce roca e gutturale mi dice –fottimi piccino!- le entro dentro in un attimo, pompandola li, su quella poltroncina luigi sedici di legno dorato, tutta rifoderata di stoffe psichedeliche alla Andy Warhol. Le prendo le caviglie tra le mani, lei con gesti repentini si libera delle pantofole da trampoliera di lusso e mi caccia in bocca le sue dita da succhiare. Sono in estasi! Adoro sentire i suoi alluci odorosi di pelle e di smalto fresco, forzare le mie labbra, quasi violentandole, glieli succhio con amore e devozione, i suoi occhi dentro i miei, trasudano vizio e lussuria, un mix esplosivo che solo lo sguardo di una donna matura puņ regalarti. Le scarico dentro violentemente, e dentro rimango ancora un po’ fino a quando non me lo sento scivolare fuori da solo, aiutato dalle sue contrazioni, ridotto ad un piccolo cencio viscido di piacere. Non le č bastato! Lo so che non le č bastato ma continuo la recita interrotta prima, e con gesto teatrale mi tiro su i pantaloni e raccolgo la lampadina dal folto tappeto persiano. Salgo sulla scala. Lei langue ancora semi sdraiata, guardandomi con fame da lupa. Non si č nemmeno ricoperta č rimasta li, in posa oscena, esposta a favore dei miei occhi. Manco un gradino, ma mi riprendo, faccio il freddo elettricista e sulla scala inizio a svitare lentamente il bulbo, con le tempie che ancora mi pulsano. Gloria si rialza, di nuovo inerpicata sui suoi tacchi, raggiunge il metallico trabattello sul quale equilibristicamente mi esibisco. Faccio finta di essere concentrato sul mio semplice lavoro, come se questo richiedesse abilitą particolari o una cura maniacale ma la sento, č davanti ai miei jeans un po’ strappati, percepisco il respiro affannoso attraverso la stoffa. Slaccia la pesante fibbia della cinta, e uno ad uno tutti i bottoni di metallo, con la maestria dell’esperienza. I piccoli colpetti di lingua fanno rialzare il mio sesso, ritorna di marmo, duro, venoso. Lo inghiotte. Scompare tutto nella sua gola rigonfia, se la fa penetrare come se fosse una seconda vagina, le mie mani sono ancorate alla scala, cerco di non perdere l’equilibrio. –scendi di li piccino!- Mi dice. Con le braghe semi calate, e una voglia pazzesca, cerco di non ammazzarmi sugli stretti gradini, lei invece, felina, si accovaccia sul divano, spremendo le sue tette giunoniche contro le finiture di legno intagliato dello schienale. Le sue mani perfette e nervose, divaricano le due semisfere del culo, tanto da farmi vedere dove era finita la seconda lampadina da cambiare. Non faccio tempo ad inginocchiarmi vicino al suo fondoschiena, che, con un grugnito, la spinge fuori, tutta unta di chissą quale afrodisiaco lubrificante. L’indice destro non ammette repliche, il suo polpastrello, sormontato da unghia lunga e rossa, come un neon intermittente, picchietta incessante sopra la grinzosa e perversa entrata. Un esplicito invito ad occuparmene, prima con la mia lingua, che lo infilza maliziosa, poi con l’artiglieria pesante, pronta a riaprire le ostilitą. Si incunea trovando la stessa strenua, resistenza delle strade battute precedentemente, purtroppo per lei, non duro molto nemmeno li ed un fiume di seme tiepido le erutta fuori appena il mio orgasmo si calma. Finisco il lavoro, e questa volta lei rimane buona buona ad osservarmi, mollemente adagiata sulle lussuose stoffe, languida come sempre, ma con una mano tra le gambe, a regalarsi un silenzioso sublime orgasmo. Tutto questo non sarą eterno. Vivo l’attimo che fugge e fuggo insieme a lui.

 

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By Simon Templar

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