DA CATTOLICO SEPPE COSTRUIRE LA DEMOCRAZIA
 
articolo di Andrea Riccardi

da "Avvenire" del 28 settembre 2000

 
 

La vita di Luigi Gedda si intreccia con la storia del movimento cattolico nell'Italia del Novecento, di cui fu tra i principali protagonisti dagli anni Trenta sino alla fine degli anni Cinquanta. Per lui il movimento cattolico fu essenzialmente l'Azione Cattolica, quella di Pio XI durante il regime fascista e quella di Pio XII tra la guerra e la democrazia repubblicana. La sua storia militante e di dirigente interpreta un'intuizione fondamentale nel cattolicesimo del XX secolo: farsi movimento nella società a confronto con i regimi autoritari di massa, con il movimento socialista, con la borghesia laica. Gedda è appassionato propagatore dell'Azione Cattolica non solo nel Piemonte delle sue origini, ma anche nelle zone di minori radicamento del movimento cattolico, come nel Mezzogiorno.

Bisogna accettare i mezzi che la moderna società di massa pone a disposizione della Chiesa. Luigi Gedda se ne accorge ben presto nel confronto con il regime fascista che sta trasformando anche l'Italia provinciale e campagnola, quella rimasta più al riparo dalle grandi trasformazioni. Sua è l'idea della fondazione de "Il Vittorioso" nel 1936, quel giornale per i giovani che nel 1948 aveva raggiunto ben l5Omila copie. Quella era un'autentica sfida al controllo fascista sulla formazione delle giovani generazioni. Ma Gedda presidente dei giovani cattolici dal 1934 a1 1946 sapeva bene anche i limiti imposti all'Associazione dal regime. Era l'Azione Cattolica di Pio XI, compenetrata nell'orgoglio di quel papa per cui la "Chiesa non si doveva lasciare beffare da nessuno". Ma era anche un movimento consapevole dei limiti da non oltrepassare in un'Italia sempre più fascista. I1 suo spazio era quello religioso che - sotto la guida del papa - acquista sempre più uno spessore formativo e sociale. In questo spazio, Gedda contribuì in maniera decisiva a formare le giovani generazioni al senso dell'apostolato.

Egli era alla testa dei giovani cattolici, che sentivano forte la pressione delle organizzazioni fasciste. I1 suo lavoro era una lotta, abile, senza andare allo scontro, impegnata a ritagliare e difendere gli spazi. In alcuni appunti egli nota: "La battaglia per il regno di Dio è una curiosa battaglia che ha le apparenze, talora, delle battaglie che si combattono per i regni dell'uomo ma che, in realtà, è ben altra cosa". Il leader dei giovani cattolici sarà sempre un militante, un uomo di lotta nella formazione, nella comunicazione, nella propaganda, nell'apostolato convinto e trascinante.

Ma il suo mondo non è propriamente quello della politica, non quello dell'antifascismo o del clerico-fascismo. È un servitore della Chiesa di Pio Xl, con cui ha un rapporto diretto fin da giovane, come attestano i ricordi sulle sue udienze. Questa caratteristica impostazione di "uomo del papa" continua negli anni successivi, quando diviene presidente degli Uomini Cattolici dal l946 al 1949 e, da questa data, vicepresidente dell'Azione Cattolica per assumerne poi la guida dal 1952 al 1959. È un'impostazione che lo distingue, specie negli anni del dopoguerra, dalla classe politica di ispirazione cattolica.

La sua posizione non è quella del fondatore della Dc, Alcide De Gasperi, che, a tratti addirittura teme l'invadenza del leader dell'associazionismo cattolico nelle scelte politiche. La sua sensibilità non è nemmeno quella dei gruppi cattolici che si ispirano a mons. Montini, più preoccupati di distinguere la vita religiosa dalla politica. Ma Pio XII ha fiducia in Gedda, che è al centro della grande mobilitazione cattolica per le elezioni del 18 aprile1948, le prime dell'Italia repubblicana. In questa "battaglia" convergono tutti i gruppi cattolici e De Gasperi ha parola di lode per il contributo di Gedda, che è il grande architetto della mobilitazione per la Dc e contro le sinistre con i suoi Comitati civici. Anche gli avversari gli riconobbero un particolare genio in questo tempo di lotta. Sua è, infatti, l'idea dei Comitati civici che allargarono lo spazio elettorale della Democrazia Cristiana.

Fin dal fascismo, Gedda aveva compreso che tutta l'Italia era molto cambiata: non solo quella delle città, ma anche quella rurale che conosceva bene. Era diventata una società di massa a cui bisognava saper parlare. Questo riguardava la Chiesa, ma anche la vita politica. Il l8 aprile fu il momento dello scontro epocale per confermare o smentire la collocazione occidentale dell'Italia. Per la Chiesa di Pio XII si trattava del pericolo più temibile, quando già giungevano dall'Est europeo le notizie sulla persecuzione religiosa e sulla privazione della libertà. Gedda combatté la battaglia e la vinse.

Ma i problemi giunsero dopo. Per De Gasperi si doveva smobilitarel a macchina messa in movimento da Gedda e lasciar fare ai politici cattolici Ma questi non era d'accordo: "la responsabilità della Democrazia Cristiana - dice in un incontro con Pio XII dopo la vittoria elettorale del '48 se non riesce a governare, è gravissima. Pio XII è talmente d'accordo che suggerisce che io diriga una commissione di vigilanza utilizzando i Comitati civici come organo politico non partitico e rivitalizzando, attraverso il loro dinamismo, l'Azione Cattolica". De Gasperi invece voleva che, dopo il 18 aprile, si cominciasse il lavoro politico guidato dalla Dc.

Non era facile per lui il confronto con il grande mobilitatore dei cattolici. Ne temeva l'influenza sulla politica e le aperture a destra in funzione anticomunista. Tentò di farne un politico come gli altri offrendogli un collegio senatoriale. Ma Gedda non accettò, non divenne mai un politico per restare un leader cattolico. E la sua Azione Cattolica, nel 1952, contava più di tre milioni di soci. Lo separava da De Gasperi la lettura delle esigenze del momento. Per Gedda andava allargato e consolidato il fronte anticomunista. Per il fondatore della Dc il centrismo rafforzava la democrazia in Italia. La differenza di visione era nota a tutti nel mondo cattolico e tanti ne parla vano. Qualcuno, anni dopo, si scandalizzò quando gli storici ne scrissero. Ma sia Gedda che De Gasperi non ne hanno mai fatto mistero. Ma la differenza di visione non può far dimenticare che entrambi, da posizioni diverse, contribuirono decisamente a fondare la democrazia repubblicana, con la Dc come pilastro centrale.

Pio XI e Pio XII furono i papi di Gedda. Il primo corrispondeva alla stagione più giovanile e militante; il secondo a un tempo più romano e dell'organizzazione. Con l'elezione di Giovanni XXIII, nel 1958 l'ancor giovane Gedda conobbe una progressiva eclissi. Il suo giudizio sulle scelte e sui toni di papa Roncalli non era entusiasta. Finirono i tempi della mobilitazione e, secondo Gedda, si trattò di un errore. Negli anni successivi i temi e i problemi della "Chiesa del silenzio" lo videro in prima fila, convinto che non si dovesse abbassare la guardia verso il comunismo.

Con Paolo VI erano giunte alla testa dell'associazionismo cattolico personalità dal sentire diverso da Gedda. Negli anni postconciliari i cambiamenti nella Chiesa sembrarono ridurre l'impatto della Chiesa sulla società: trovarono l'antico leader cattolico molto preoccupato. Egli, senza scoramenti, restò convinto della sua linea, ma fedele alla Chiesa del papa. "Bisogna agire" era il titolo di un suo foglio negli anni più recenti. Era un titolo che esprimeva bene la sensibilità del militante cattolico: poco comprendeva quelle che definiva "antiche inerzie "e "nuove complicazioni" nella vita della Chiesa.

La storia dovrà tornare a riflettere su questa figura tanto espressiva del cattolicesimo del Novecento, interrogandosi sulla sua funzione e sulla sua vicenda. Credo che ci sia ancora molto da scoprire con il distacco maturato nel tempo e dalle passioni dei contemporanei.