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Quando la rivista della Fuci cambiò nome da Azione
fucina in Ricerca, Luigi Gedda si dichiarò contrario:"Cosa vuol
dire "ricerca"?". Un particolare che rivela come il professore fosse
uomo dai pochi dubbi, meglio agire.
Di lui anche gli esponenti dell'associazionismo
cattolico che non ne condividevano lavisione e la prassi mettono
ora in evidenza la personalità "granitica" e la fedeltà totale a
Papa Pio XII. Cosa ricordano di Gedda e quale posto ha avuto, secondo
loro, nella vita della Chiesa e della società nell'immediato dopoguerra,
tempo spaccato in due dalla contrapposizione tra cattolici e comunisti?
Lo abbiamo chiesto a Romolo Pietrobelli, presidente della Fuci dal
l949 al 1955 e a don Arturo Paoli, allora assistente ecclesiastico
della Giac, successivamente entrato nei Piccoli fratelli di Gesù
e a lungo missionario in America Latina.
"Era un combattente di una Chiesa concepita come
schieramento. In lui era fortissimo il temperamento di leader. Si
sentiva titolare della consegna di difendere la Chiesa, in particolare
contro il comunismo", dice Pietrobelli. Un personaggio "severo e
non facile alle confidenze, di sobrietà assoluta e integerrimo nella
difesa dell'ortodossia, come lui la concepiva, interpretando come
"braccio secolare" le intenzioni di Pio XII. Questi era ben contento
di avere un laico vigoroso che ne seguisse le linee, come Gedda
fece con i comitati civici", è il ritratto che Pietrobelli fa.
Quelli della Fuci, già attraversata dall'ecclesiologia
di comunione del Concilio con l'assistente don Guano, lo vedevano
come un "intransigente, un uomo non disponibile al dialogo". Dialogo,
parola che con democrazia e scelta religiosa "non gli apparteneva",
dice l'ex presidente degli universitari cattolici. E questo lo chiudeva,
prosegue, anche a quei laici che guardavano alla Chiesa: "Il confronto
dialettico nella società non aveva senso. Era solo una lotta schieramento
contro schieramento. Certo. bisogna guardare ai tempi, senza giudicare
con il senno di poi".
In Gedda, poi, era fortissima "l'idea del nemico,
tanto che rifiutò sempre di farsi intruppare nel mondo della politica
e diventare deputato, come gli aveva offerto De Gasperi, perché
sarebbe stato uno dei tanti e non avrebbe potuto "lottare"." Erano
quelli che il presidente della Giac Mario Rossi chiamò in un libro
I giorni del1'onnipotenza. Dopo, la parabola di Gedda declinò. Ma
in lui rimase "la devozione a Pietro e a Pio XII. Tipico era il
suo rapporto diretto con il Papa, con cui ha avuto decine e decine
di udienze private", conclude Pietrobelli.
"Non ho mai dimenticato la gioia di Luigi il
giorno in cui ricevette la nomina di cavaliere di cappa e spada
di Sua Santità Pio XII. Credo che nessuno più di lui meritasse questa
onorificenza". Questo il ricordo di don Paoli. Una "ostinata fedeltà"
che il religioso dichiara di aver sempre ammirato e che però, dice,
"gli impedì di accogliere con libertà le istanze dei giovani, che
proprio per essere tali, sono le antenne della storia". Due le "linee
costitutive" della Chiesa che Paoli delinea: "la fedeltà al suo
essere" e "la profezia". Luigi Gedda "apparteneva alla prima e -
prosegue il religioso - l'avere scoperto questa sua identità mi
ha permesso di pensare a lui senza ombra di risentimento".
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