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Quando due anni fa, all'età di 96 anni, rompendo
un riserbo ubbidiente durato quasi mezzo secolo, Luigi Gedda diede
alle stampe le sue memorie sul voto "storico" del 18 aprile 1948,
di cui il medico-igienista fu indiscusso protagonista con i suoi
Comitati civici, i fantasmi di quel passato tormentato ebbero l'effetto
di riaprire vecchie ferite nel mondo cattolico. E non soltanto.
Giulio Andreotti contestò tra i primi la lettura
del successo democristiano di allora offerta da Gedda. "Non è giusto
fare dell'ex dirigente di Azione cattolica l'artefice pressoché
unico della vittoria del 18 aprile. Formidabile nell'apostolato
e nell'organizzazione, Gedda non era illuminato quando si esprimeva
nei giudizi politici", rilevava pungente l'ex collaboratore di Alcide
De Gasperi.
Un giudizio non di oggi. quello del senatore
a vita, condiviso a lungo sia dai gruppi dirigenti della Democrazia
cristiana succedutisi a piazza del Gesù sia dalle gerarchie della
Chiesa post Pio XIL. Il Pontefice che, racconta Gedda nel suo libro,
gli aprì generosamente le porte del Vaticano. Concedendogli ben
novanta udienze nelle settimane che precedettero lo scontro decisivo
con il Fronte popolare. Una confidenza tale, che spinge Pio XII
a sospirare davanti al suo interlocutore privilegiato: "Se almeno
la De candidasse Bartali..."
Dunque, il nome di Luigi Gedda, come ha scritto
lo storico Giorgio Rumi, "è di quelli destinati a suscitare ancora
passioni e polemiche". Già, perché Gedda nel dopoguerra è stato
prima l'ideatore della Diga Anticomunista poi l'Uomo del Quarantotto
e, infine, il Grande Rimosso della storia di quest'ultimo mezzo
secolo.
Tant'è che su un "pericolo Gedda" si alzarono
le grida allarmate dei comunisti, dei laici e soprattutto dei democristiani.
Sono i tempi dell' "operazione Sturzo" (1952). Con l'animatore dell'Azione
cattolica fautore, alle elezioni romane, di una lista clerico-reazionaria
da schierare nella "città santa". "Operazione" questa, avversata
da Alcide De Gasperi. E per Gedda-Guerriero di Dio, che nel '48
"getta 300 mila volontari nella mischia in poco meno di tre mesi",
comincia la parabola discendente.
Di lui si tornerà a parlare soltanto all'inizio
del '65 dopo che l'allora papa Paolo VI aveva ricevuto in udienza,
guidati dal presidente Gedda, gli attivisti dei Comitati civici.
Ciò non accadeva dal lontano 1957, come sottolineò il mensile cattolico
francese "L'Actualité Catholic". Ancora una volta basta evocare
il nome di Gedda per scatenare la baruffa politica.
"E' ritornato di scena il professor Gedda, che
per lungo silenzio parea fioco. In realtà, tutte le volte che la
Chiesa deve parlare al laicato cattolico, muovendo da supremi principi
della dottrina, ricorre al prof. Gedda", osservava su "I1 Messaggero"
Mario Missiroli. "Vanno a scuola da Gedda i futuri dirigenti dc",
annunciava velenoso Lino Jannuzzi sull' "Espresso".
"Nella Dc e negli ambienti cattolici - ha ricordato
Giuseppe Chiarante - furono in molti a ritenere, ai tempi dell'
"operazione Sturzo", che il "pericolo Gedda" fosse molto concreto
e vicino". Ma come per Winston Churchill e Dwight Elisenhower, il
Grande Rimosso va bene per i tempi di guerra, non di pace.
Nato a Venezia nel 1902, Gedda ha attraversato
il "suo" secolo dividendo il suo impegno tra crociate impetuose,
silenzi forti e gli studi di genetica. "Di certo - ricorda ancora
Giorgio Rumi - avrebbe potuto limitarsi a una normale carriera di
ricercatore scientifico, ma il senso del dovere - religioso e civile
- lo ha portato a uno snodo fondamentale: quello dell'Azione cattolica
e del suo intervento di animazione spirituale nel profondo della
società".
Membro della società della Gioventù cattolica
italiana, a Torino, dove visse finoal l9l7,si trasferì a Milano,
partecipando attivamente, non senza polemiche, alla vita dei circoli
cattolici ambrosiani.
Così, è già un "pericolo" nel 1931 quando "obbliga"
Pio XI ad emanare l'enciclica "Non abbiamo bisogno" che costringe
Benito Mussolini a fare marcia indietro sullo scioglimento per effetto
dei Patti lateranensi, dell'associazionismo cattolico. E' un "pericolo"
anche per gli alleati, quando nel '43 scrive al maresciallo Badaglio,
capo provvisorio del governo, mettendogli a disposizione le sue
truppe dell'Azione cattolica per ricostruire il Paese. "L'Azione
cattolica era in Italia l'unica potente organizzazione di massa
non inquinata dal fascismo", racconta Gedda nel suo libro "18 aprile
1948" (Mondadori).
E all'appuntamento chiave della storia del primo
dopoguerra, si comprenderà meglio quanto aveva visto giusto l'uomo,
appunto, del Quarantotto. Lui, si presenta davanti a Pio XII dichiarando
umilmente: "Sono a disposizione". Il "pericolo Gedda" turba i sonni
di Togliatti, ma anche quelli di De Gasperi. "Bivio 18 aprile" annunciano
i manifesti dei Comitati civici. E gli italiani debbono scegliere
tra la via luminosa ("Chiesa, famiglia, lavoro") e il burrone (del
comunismo). Gedda rivela capacità organizzatrici e promozionali
impensabili per quei tempi.
Oggi si direbbe di lui che era un "mago della
comunicazione" politica. Un manager di anime forse irripetibile.
Ma, vinta la battaglia del Piave, di lì a pochi anni calerà il gelo
tra i Comitati civici e la Dc. Già, non sono più tempi per dirla
con le parole accorate di papa Pacelli nell'Anno santo del '52,
"di scuotere il funesto letargo" in cui era sembrato caduto il mondo
cattolico. E al momento di "serrare le file" , l'uomo del Quarantotto,
il Gedda-Salazar, non si tirerà indietro. Ma sarà De Gasperi a utilizzare
a suo favore lo scontro politico che si aprì in campo cattolico.
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