GEDDA IL CATTOLICO, EROE E NEMICO DELLA DC
 
articolo di Franco Cangini

da "Il Giorno" del 28 settembre 2000

 
 

Il canto dei berretti verdi di Azione Cattolica, che sfilano sotto le finestre di Palazzo Chigi diretti a San Pietro, riempie improvvisamente la stanza dove De Gasperi e Pietro Nenni sono a colloquio. Il presidente del Consiglio entra in agitazione. «De Gasperi ha come un gesto di dispetto: ‘Gedda fa questo contro di me’», annota il leader dei socialisti nel sjìo diario alla data dell’il ottobre 1952.

E’ la pura verità. La sfida lanciata al primo presidente del Consiglio cattolico dal potente capo dell’Azione Cattolica nonché fondatore dei Comitati Civici, professor Luigi Gedda, entra in quel periodo nella fase più acuta.
De Gasperi, amareggiato, si sfoga con il suo visitatore, che è anche, insieme con il comunista Togliatti, il principale oppositore del suo governo: “Credo di aver fatto verso la Chiesa tutto il mio dovere, eppure sono appena un tollerato”.

Quattro anni sono passati dal trionfo elettorale dei 18 aprile, e la coalizione “centrista” di governo (Dc, socialdemocratici, liberali, repubblicani) annaspa. De Gasperi fa assegnamento su una nuova legge elettorale, maggioritaria, per poter affrontare le elezioni del 1953 senza farsi travolgere dalla crescita delle opposizioni di sinistra e di destra. E poiché la sinistra è pronta a fare le barricate contro la cosiddetta “legge truffa”, tenta di convincere Nenni che il passaggio al maggioritario è necessario “proprio per resistere alla crescente pressione della destra clericale”. Ma il suo interlocutore non gli crede. ‘Tesi curiosa e contraddittoria”, annota nel diario. 11 vecchio anticlericale romagnolo non riesce a credere che il governo della Dc, “partito dei preti”, abbia in Papa Pacelli un avversario e in Luigi Gedda, l’artefice del 18 aprile, il braccio secolare incaricato del castigo. Non capisce la forza del “partito romano”, arroccato intorno al Cardinal Ottaviani e ai gesuiti di Civiltà Cattolica, proiettato verso la formazione di un fronte nazionale a guida cattolica, senza avversari a destra. E’ una spinta con motivazioni profonde. Papa Pacelli non ama il modello anglosassone delle liberaldemocrazie. Teme il contagio dello spirito protestante e deplora la perdita graduale d’identità nazionale della “diletta Italia”. La sua visione è quella di una “nuova cristianità” da opporre alla sfida degli opposti materialismi comunista e capitalista. Solo la persecuzione religiosa nella sfera imperiale sovietica lo aveva indotto a rimuovere le resistenze opposte dalla sinistra democristiana all’adesione al Patto Atlantico. Da ciò la contrarietà della gerarchia alla collaborazione governativa tra partito cattolico e partiti laicisti,
nonché la netta preferenza per la svolta a destra. Cioè per l’alleanza tra Dc e le forze tradizionaliste monarchiche e neofasciste, proprio nel 1952 in pieno rigoglio nel Mezzogiorno.

Non si capisce nulla di quel che Gedda ha significato, se non lo si inquadra nella remota lontananza del periodo storico che lo vide protagonista. Sulle fantastiche capacità organizzative di quel professore di genetica, poggiava la realizzazione del progetto vaticano di una rivoluzione culturale per una “terza via” nazionale italiana capace di resistere al contagio del mondo moderno, incarnato dagli opposti materialismi. Era stato in vista della successione, che la Chiesa aveva sostenuto il regime fascista come la corda sorregge l’impiccato, ottenendone in cambio la legalizzazione del suo potente presidio nella società, rappresentato dall’Azione Cattolica. Nelle mani di Gedda, quel presidio era diventato uno strumento formidabile di condizionamento della Dc. Non così formidabile, però, da riuscire ad imporre a De Gasperi l’alleanza con la destra nelle comunali di Roma (la cosiddetta “operazione Sturzo”) e dopo le politiche del 1953. La stella di Gedda impallidisce allora, per spegnersi cinque anni dopo, insieme con Pio XII. Nella seconda metà délla sua lunghissima vita, il professore con l’animo del crociato ha potuto contemplare il compimento dell’integrazione dell’Italia nella società edonistica dell’Occidente e la sua personale sconfitta. Ma non deve averla considerata una sconfitta definitiva, dopo aver visto gli atti del pontificato di Wojtyla andare nella direzione delle sue speranze di allora.