Quando Carlo Carretto incontrò il giovane medico che gli parlava di Dio
Un vivacissimo ritratto del medico, dell'uomo e del cristiano, emerge dalle toccanti parole con le quali Carlo Carretto descriveva il suo primo incontro con Luigi Gedda. Le riportiamo traendole dal volume "Incontro al domani" (Editrice AVE, Roma, 1943).
 
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da "Osservatore Romano " del 28 settembre 2000

 
 

"...E mi capitò una grande avventura, la più grande della mia vita. Conobbi un medico di 28 anni: forte, bello, leale, dominatore. Stare con lui era per me un paradiso. Quando guardava i miei occhi sentivo il bisogno di essere buono. Un giorno m'invitò in clinica dove era assistente. Lo trovai in un reparto. Mi fece indossare un camice bianco come se fossi anch'io un medico e capii che faceva così per essere più tranquillo a parlarmi lungo le corsie senza turbare i malati e le suore.

Mi condusse nella chiesetta dell'ospedale e la nostra intimità incominciò facendo assieme la Via Crucis. Poi mi parlò della Gioventù di Azione Cattolica lungo i letti degli ammalati.

Io bevevo le sue parole come il morente aspira l'ossigeno.

Diventati amici, m'invitò a colloquio a sera quando usciva dall'ospedale. Andavo a lui col cuore che mi batteva come un innamorato. Difatti s'accendeva in me un grande amore.

Il giovane medico mi parlava di Dio come nessuno mi aveva mai parlato, mi parlava di Gesù come del suo primo amico al quale mi avrebbe presentato. Ricordo tutte le parole che mi disse in quell'inverno lungo la spalletta del Po in quei colloqui.

Con lui il soprannaturale prendeva consistenza nel mio animo. Dio mi pareva di toccarlo; soprattutto Gesù diventava reale; a tratti mi sembrava di vederlo passeggiare con noi.

- Hai mai pensato - mi diceva - che anche noi professionisti, medici, ingegneri, avvocati possiamo desiderare la santità? Hai mai pensato che anche noi laici dobbiamo essere assetati di anime e buttarci all'apostolato con l'ardore dei primi cristiani? Trasformare la nostra casa in cella dove dobbiamo santificarci e le vie della nostra città in corridoi del nostro convento?

Che colpi mi dava al cuore all'aprirsi di sì vasti orizzonti! Così mi parlava e io m'innamorai dell'apostolato.

Avrei voluto balzare su un tavolo in mezzo alla piazza e parlare ai miei fratelli di Dio.

Per anni conobbi la gioia della propaganda giovanile di Azione Cattolica. Dopo il lavoro, in bicicletta, in treno, in calesse, in auto andai a cercare giovani. Non passai più un sol giorno festivo a casa: bisognava andare andare andare.

Conobbi migliaia e migliaia di giovani, contadini, operai, studenti, professionisti: il nostro ideale era di far cristiano il mondo.

Oh incantevoli ritorni dai raduni lontani cogli occhi che si chiudevano per la stanchezza mentre si recitava il rosario sull'auto federale coi fratelli di fede!

Oh notti di passione trascorse ad organizzare, a scrivere, a discutere!

Oh incontri con anime assetate di azione! Come m'avevate fatto dimenticare i giochi, la musica, la pittura, la donna!

Il giovane medico che vegliava su me come un forte fratello, una sera tornò a invitarmi lungo la spalletta del Po. Andai.

Avevo anch'io ora qualcosa da dire, da raccontare. Parlai di apostolato come di una cosa oramai fatta mia, come di una cosa che mi avrebbe riempito totalmente la vita.

Il giovane medico teneva sulla mia spalla la sua buona mano e quel contatto mi elettrizzava: sarei andato in capo al mondo con lui. Sotto, l'acqua correva cheta cheta.

- Carlo, - mi disse - solo Dio riempie totalmente la vita. Solo Lui ci basta. Neanche del bene dobbiamo innamorarci, ma solo di Dio. - Innamorarci solo di Dio! Questa frase detta laggiù lungo il viale del Po, sotto i fanali che di notte conoscevano solo le coppie degli innamorati, mi si piantò in testa e non volle più uscirne.

Innamorarmi di Dio? Quale avventura prodigiosa per un povero cuore di uomo! Cercai il volto di Dio servendomi di due lampade che m'aveva indicato l'amico: la comunione quotidiana e la meditazione.

Mangiare Dio e pensare a Dio...".