L'unica volta che Luigi Gedda ruppe il cinquantennale
silenzio in cui s'era rinchiuso dopo la vittoria elettorale anticomunista
del 1948 fu due anni fa, quando l'ex leader dei Comitati Civici
affidò la sua testimonianza politica a un libro di memorie
dedicato a quello storico 18 aprile e, soprattutto, a quello che
successe subito dopo.
il principale protagonista del trionfo democristiano
si tolse dalla scarpa, in quell'occasione, tutti i "sassolini"
(ma sarebbe più esatto parlare di "macigni") di
cui non aveva voluto (o potuto) liberarsi per mezzo secolo.
Ricordò l'ingratitudine di De Gasperi
e della Dc: il "ringraziamento" ufficiale di Piazza del
Gesù per quello che Gedda aveva saputo fare nel 1948 venne
solo nel 1952 attraverso una cerimoniosa lettera di Gonella. Ricordò
l'apprensione di Pio XII per una possibile deriva filo-comunista
e progressista del mondo cattolico: in un'udienza privata del giugno
'52, il Pontefice constatò amaramente come l'"Azione
cattolica non fosse più nostra". Ricordò la progressiva
disattivazione dei COmitati Civici da parte di una classe dirigente,
quella democristiana, che poteva vedere come il fumo agli occhi
quella struttura di cattolici fieramente anticomunisti che si battevano
contro la tentazione per la resa morale, l'indifferenza, il disimpegno
che ogni tanto si affaccia nell'animo dell'Italia moderata.
La storia di Gedda è la storia di un grande
illustre "rimosso" della vita politica italiana. E' la
vicenda di un rimpianto. Il rimpianto per la mancata nascita, già
negli anni Cinquanta, di un grande blocco cattolico, nazionale e
moderato che avrebbe potuto guidare la modernizzazione italiana
contrastando con efficacia la Sinistra, certo forte e organizzata,
ma che è sempre rimasta minoritaria nella società
italiana.
Luigi Gedda era il leader "naturale"
di quella "Italia profonda" che ha trovato la sua casa
politica solo negli anni Novanta, con la nascita del Polo delle
Libertà. Il Paese di Gedda era liberale in economia ma conservatore
nei valori. Era l'Italia anticomunista, non per faziosità
ideologica, ma perchè avvertiva il senso di una profonda
estraneità del marxismo-leninismo, non solo all'idea della
libertà, ma anche ai valori della propria civiltà
nazionale.
Il rifiuto, da parte della Dc fanfaniana prima
e morotea poi, di interpretare fino in fondo questi valori è
ciò che spiega il progressivo smantellamento dell'opera di
Gedda e la costante democristiana di alzare muri a destra e spalancare
porte a sinistra.
Nel lungo, amaro silenzio del "grande rimosso"
si scorge il paradosso di un Paese che riuscì a vincere una
guerra politica, ma che poi ebbe paura di vincere la pace sociale.
Le "pinzòchere" e le "vecchie
zie", che si erano mobilitate nel '48, non uscirono più
di casa. E i "trinaricuti" divennero a lungo (troppo a
lungo) i padroni della piazza.
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