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Alcuni commenti giornalistici, tra cui la risposta
ad un lettore nella rubrica di Indro Montanelli sul Corriere della
Sera del 30/9, hanno descritto Luigi Gedda come un "cattolico integralista".
Ecco la risposta di Ernesto Preziosi, vice presidente dell'A zione
Cattolica Italiana.
La morte di Luigi Gedda, che con i suoi 98 anni
ha attraversato il secolo, ha dato occasione ai giornali di tornare
su pagine cli storia recente, in cui la presenza dei cattolici ha
avuto un ruolo decisivo. In particolare in tanti hanno puntato il
riflettore su quel 18 aprile 1948, su quella consultazione elettorale
che consentì, con l'affermazione democristiana, la premessa per
la ricostruzione e per lo sviluppo economico del nostro Paese. E
soprattutto assicurò che ciò avvenisse in un quadro di libertà.
A quella vittoria, come è noto, contribuì in maniera determinante
l'orientamento espresso dalla Chiesa e la mobilitazione del mondo
cattolico organizzato; mobilitazione che avvenne in gran parte attraverso
i Comitati Civici, inventati da Gedda. Uno strumento che rischierà
in seguito più di una ambiguità, specie nel rapporto con la Dc che
intanto andava radicandosi sul territorio, ma che in quel momento
fu senz'altro una originale intuizione che consentiva un impegno
"mediato" dei cattolici nell'agone politico senza coinvolgere in
presa diretta l'associazionismo a carattere religioso.
Perché allora in questi giorni tanti commenti
giornalistici hanno riproposto il Gedda "integralista" dei Comitati
Civici? E perché molti giovani sanno poco o nulla di quella pagina
di storia? Perché nel nostro Paese e sempre più evidente la necessità
di una nuova stagione storiografica. Non si tratta tanto di seguire
i revisionismi dell'ultim'ora, quanto di promuovere una ricerca
libera dalle cortine ideologiche che ne hanno velato pesantemente
l'ottica.
Il caso di Gedda è emblematico. Di una vita lunga
spesa con singolare creatività nella costruzione di un movimento
cattolico organizzato che si confrontava - nel secolo delle masse
- con i grandi movimenti ideologici, sembra rimanere solo una lettura,
tutta politica, affidata ad un integralismo cli segno conservatore.
In realtà il percorso di Luigi Gedda è quanto
mai ricco e interessante, soprattutto se lo sappiamo guardare dal
punto di vista della storia religiosa, la sua esperienza principale,
la cifra che rivela l'uomo e che coincide con la graduale presa
di coscienza del laicato cattolico. Un laicato che, aggregatosi
nella seconda meta del 1800, saprà costruire un percorso di consapevolezza
fatto di formazione, di studio, di preghiera, un percorso capace
di favorire la partecipazione di vaste schiere di uomini e donne
di ogni età, alla vita della Chiesa. E questo anche attraverso un
legame stretto, diretto, con il Papa.
Verso il Papa Gedda ebbe - come ha notato don
Arturo Paoli, antico assistente della Giac - una "ostinata fedeltà"
che, a ben vedere, esprime l'ecclesiologia del Vaticano I, la nota
di una ecclesialità senza riserve che favorisce una adesione spirituale,
ma anche dell'intera vita alla Chiesa. Attraverso l'Ac, e anche
attraverso l'azione di Luigi Gedda, questa fedeltà divenne patrimonio
comune di migliaia di laici cristiani con frutti impensabili e "moderni"
di dedizione e di consacrazione nel mondo. Tutto ciò fu possibile
anche grazie a una formidabile capacità organizzativa: una dote
da lui spesa con grande fantasia nell'inventare e nel realizzare
occasioni, strumenti metodologici e strutture con cui irradiare
di una presenza cristiana la società. L'organizzazione era più che
mai necessaria a una associazione che, come l'Ac, voleva essere
popolare. Nel caso di Gedda si è voluto spesso leggere questa caratteristica
in chiave negativa, come trionfalismo, come massificazione. Anche
qui non ponendo attenzione a come dietro quei raduni ci fosse in
realtà non solo apparato, ma capacità di formare capi]larmente le
persone.
L'Ac degli anni '50, quella che nel 1957 raggiunse
i tre milioni e mezzo di aderenti, è stata di fatto, con le sue
campagne formative, la preparazione remota che consentirà un'accoglienza
diffusa della grande stagione conciliare nella Chiesa italiana.
Una storia religiosa allora, una storia capace di aprire il cuore
di milioni di credenti anche verso una attenzione medita alle sorti
del Paese. L'Azione Cattolica, di cui Gedda fu a lungo militante
e fervoroso dirigente è stata anche, proprio in virtù della sua
formazione religiosa, scuola di virtù civiche, avviando masse, che
probabilmente ne sarebbero rimaste estranee, verso una più cosciente
cittadinanza. Certo poi ci sono le scelte diverse, le differenti
sensibilità personali, il peso del carattere dei singoli che favorisce
o rende difficile il comunicare. Ma questa è storia di ieri e storia
di oggi in qualunque movimento. Vicende, fatti, atteggiamenti personali
che chiedono di essere studiati e maggiormente conosciuti.
Oggi più di un politico si è affrettato a rivendicare
il testimone da Gedda. Quel testimone esiste, ma esiste già chi
può prendere quel testimone: è il laicato cattolico, specie quello
organizzato (l'Ac in particolare). Un laicato che dalla biografia
di Gedda, come dalla storia del '900, si trova ad ereditare una
sfida, ma anche una grande responsabilità, per una presenza consapevole
nella Chiesa e nella società.
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