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Abbiamo - amici e municipalità - invitato
a Forlì Turi Vasile perché ricordasse il suo grande
e lungo sodalizio con Diego Fabbri, di cui ricorre il ventesimo
della morte e al cui nome la sua città sta per dedicare il
Teatro Comunale. Nella Sala San Luigi, cuore dellantico oratorio
in cui negli anni trenta Fabbri mosse i primi passi dautore,
attore e promotore di concorsi filodrammatici regionali, oggi rilanciata
come pulsante centro culturale e multimediale, Vasile è riandato
innanzitutto al nucleo fondativo di un impegno che ha ispirato e
nutrito la vita sua e dellamico Diego.
Per un cinema,e un
teatro cristiani
1940: la conoscenza tra i due in piazza San Pietro, uno, Vasile,
animatore del Teatro Guf (da cui uscirono tra i tanti Anna Proclemer
e Giulietta Masina), laltro, Fabbri, vicedirettore delleditrice
Ave e segretario del Centro Cattolico Cinematografico. Fabbri fa
conoscere a Vasile il suo ambiente: Luigi Gedda, presidente della
Gioventù italiana di Azione cattolica (Giac), Ferdinando
Storchi, presidente Ave, Giulio Pastore, delegato tecnico organizzativo
centrale Giac; tutti silenziosamente antifascisti, Fabbri anche
esteriormente con la cravatta a fiocco che in Romagna portavano
i repubblicani e gli anarchici. Vasile capisce che la fronda gufista
coperta nel suo ambiente da Anton Giulio Bragaglia, non basta, e
si lega anche alla Giac e alle sue attività teatrali e cinematografiche.
Nel 42 mette in scena Orbite del suo amico Diego (noie con
la censura fascista per largomento: fatti di pubblica corruzione).
Poi segue e partecipa alle varie tappe di un progetto per i giovani
voluto da Gedda e di cui Fabbri è elemento centrale: la Rivista
del Cinematografo, rilanciata una prima volta nel 40,
poi sospesa e ripresa nel 45, la pubblicazione del libro-manuale
Ave Il volto del cinema (41: in cui Fabbri si
cimenta sullestetica cinematografica), il film Pastor Angelicus
(42) sulla figura di Pio XII, su soggetto di Gedda, regia
di Marcellini e supervisione di Trenker, cosceneggiato tra gli altri
da Fabbri e Flaiano, il film La porta del cielo di Vittorio De Sica,
realizzato tra 43, Roma ancora occupata, e 45, ideato
da Fabbri e cosceneggiato con Zavattini, la fondazione nel 45
della società Orbis: che produrrà film
di Germi, Blasetti, Soldati, seguita nel 52 dalla società
Film Costellazione (presidente Mario Melloni, il futuro
Fortebraccio, Fabbri e Vasile amministratori) che produrrà
Processo alla città di Zampa, I vinti di Antonioni, la coproduzione
italofrancese I sette peccati capitali (registi Rossellini, Eduardo
De Filippo, Yves Allegret, Autant-Lara, tra gli attori Gérard
Philippe e Michele Morgan), nel mezzo il tentativo di un catechismo
cinematografico affidato a Mario Soldati con testi di Fabbri, Fellini,
Tullio Pinelli, Suso Cecchi dAmico.
In breve una battaglia per un cinema cristiano
e costruttivo, non clericale, non piagnone e solo censurante, generosamente
tentata e intrapresa ma, afferma oggi Vasile, alla fine perduta
nei confronti di quel blocco articolato laico-marxista che andò
via via egemonizzando la repubblica italiana delle lettere (e quindi
del teatro e del cinema).
I fermenti creativi della Giac, coltivati negli
anni dattesa nel crepuscolo del fascismo, erano esplosi in
Fabbri allindomani del 25 luglio in quel manifesto Per
un teatro del popolo (democratico, morale e sociale) scritto
con Orazio Costa, Gerardo Guerrieri, Vito Pandolfi, Tullio Pinelli,
si erano espressi a contatto con la giovanissima Sinistra
cristiana romana, avevano preso forma nel saggio Cristo
tradito, censuratogli per radicale estremismo dai laureati
cattolici di Studium e fatto poi uscire come libretto
nel 49. ove è lincubazione del suo capolavoro
Processo a Gesù(55), e nei saggi su Ambiguità
cristiana (Cappelli 54, rist. Studium 94).
E non era certo contraddittorio con questa temperie
limpegno extrateatrale di Turi Vasile, che Gedda chiamerà
a dirigere lUfficio psicologico dei neocostituiti Comitati
civici con il compito dimpostare una penetrante campagna
pubblicitaria pro-voto in soli tre mesi in vista delle
elezioni del 18 aprile 1948: Vasile diventerà così
il creativo autore di manifesti esortanti gli elettori svogliati
e incerti al voto, contro un pericolo di sovietizzazione mostrato
come esito finale del voto pro Fronte popolare. Nessun invito a
un voto partitico ma lappello a vincere lapatia per
scongiurare il peggio. Due manifesti tra gli altri resteranno nella
memoria iconico-politica del paese: il primo con Garibaldi a capo
dei Mille, a cavallo e a sciabola sguainata, sulle note del suo
inno (Va fuori dItalia, va fuori o stranier! ),
il secondo che evidenzia due conigli e le scritte Essi non votano
(grande in alto a destra) e perché sono due conigli (piccolo
in basso a sinistra); così come la carta da gioco con limmagine
di Garibaldi, emblema del Fronte, che rivoltata rivela quella di
Stalin.
Lo spirito della
Giac
Sul valore del richiamo al paese reale nellora della scelta
decisiva, il 18 aprile 1948, tutti oggi han tributato omaggio a
Luigi Gedda, morto il 26 settembre scorso, ma questo tardivo riconoscimento
non rende da solo ancora completa giustizia alla sua forte e profonda
personalità, votata a servire la chiesa italiana nella dimensione
del popolo fedele, anche nella dimensione di scienziato e testimone
di un originale spiritualità: quella getsemanica,
di compassione agonica di Cristo, che nutriva la sua Società
operaia, esprimentesi dal 47 nella rivista Tabor,
e che conquistò il suo figlio spirituale e successore a capo
della Giac Carlo Carretto. Quando nellottobre 88 Carretto
morì, Gedda scrisse su LOsservatore Romano
un ricordo di quellamicizia mai interrotta tra i due, nonostante
la crisi politica del 52 nei giorni delloperazione
Sturzo, e bene ha fatto il quotidiano vaticano in morte di Gedda
a ripubblicare viceversa di Carretto la bellissima pagina di diario
in cui si narra del primo incontro tra i due nel 33, uno,
Gedda, giovane medico, lui, Carretto, giovanissimo maestro; un innamoramento
di Dio che Gedda gli comunicava: Carlo, solo Dio riempie totalmente
la vita. Solo Lui ci basta. Neanche del bene dobbiamo innamorarci,
ma solo di Dio
Questo primato dello spirituale, o della sovrannatura
come allora si diceva con un linguaggio ora dimenticato o rimosso,
è al tempo stesso realismo e non sopravvalutazione della
dimensione politica e principio di resistenza al mondo e alle sue
spinte totalitarie. I baschi verdi e azzurri spesso polemicamente
ricordati, ma solo per il 48 e il 50, come segnacolo
di un possibile salazarismo italiano, erano in realtà
la prosecuzione di quelli, mai invece ricordati, già apparsi
in pubblico nel 35 e 36, con molta irritazione di Mussolini
e di gerarchi e ras. In campo sia laico che cattolico a un certo
partito intellettuale, per usare la terminologia dun
autore caro alla Giac, Charles Peguy, parve utile enfatizzare il
ruolo politico dei baschi o dei civici per accreditare se stessi
come veri democratici (o cattolici democratici). Da
tali ambienti Gedda è stato fatto apparire come lo spauracchio
da cui separarsi, spesso per legittimare le proprie politiques dabord.
Gedda fu certo luomo dellobbedienza
ferma, taciturna, corrispondente ad un periodo di storia della chiesa
in cui, specie nellultima fase del pontificato pacelliano,
si trovarono commisti certo tradizionalismo conservatore con un
acuta, iperrealistica percezione del secolo nelle sue dimensioni
totalitarie e violente: nomi come Ottaviani, Tardini, De Luca restano
a indicare unultima fase,, quasi postremo sviluppo, di un
modello di cultura tridentina che cercò risposte
ferme alle sfide della modernità. Forse sopravvalutando le
proprie forze e la funzionalità Organizzativa posta in campo.
Per quello che fu definito il geddismo il vero miracolo fu la Giac,
preservata negli anni della sfida totalitaria, che condusse poi
ai tre milioni e mezzo discritti allAzione cattolica
nel dopoguerra e al successo del 18 aprile. Altri successi invece
mancarono: la trategidia del gran ritorno dei comunisti, dopo la
scomunica del 49 - a seguito dellAnno Santo del 50,
il Piano S (sindacale) teso ad aumentare gliscritti al neosindacato
Lcgil oltre il numero della Cgil, la riconquista dei lontani
mediante i piani di base missionaria. Lapostolato
valeva nei rapporti densi di scambio interpersonale, ma soccombeva
ormai - negli anni cinquanta - alla prova di strategie di riconquista
sociologica, di massa. E proprio in quegli anni cominciava
a vivere di vita autonoma la macchina partitica fanfaniana, emblema
duna trasformazione e dun nuovo primato del politico
in campo cattolico.
Libertà come
responsabilità
Cè una dimensione di libertà che è giusto
scorgere e saper riconoscere in Gedda per riuscire a inquadrarlo
col suo vero valore nel Novecento italiano, permanendo su di lui
un clichè deformante e riduttivo:anticomunismo più
clericalismo.
Diego Fabbri, di Gedda amico e pur così
diverso da lui per esperienza umana e professionale, ci può
aiutare a capire cosa significa quel senso di libertà cristiana.
Afferma Vasile che Fabbri con le sue opere ha esaltato il peccato
come virtù drammatica, ha cioè insegnato ad affrontare
il senso vero del peccato personale anziché rifugiarsi in
pretesi, impersonali, oggettivi complessi di colpa:
Il cristiano è solo col suo peccato, ne riconosce il
peso e se lo assume interamente, con la volontà continua
di espiazione e di salvezza. Luomo in altre parole è
responsabile della propria libertà. E le opere di Fabbri
testimoniano proprio questa dimensione: copartecipano di quel flusso
di estraneità, proprio di autori da Camus a Bellow, ma con
una speranza e la fedeltà nella parola, che è verità
e rende liberi.
Nella primavera del 70 mio padre, da sempre
in Azione cattolica (aveva partecipato, ragazzo, a Roma nel 21
alle celebrazioni del cinquantenario, subendo anche lui, come Frassati,
la carica delle Guardie regie), ricevette, firmata e
personalizzata da Gedda su busta dellIstituto Gregorio Mendel,
la lettera a tre - qui
pubblicata - dinvito ad una nuova iniziativa nel nome
dei comuni ideali Giac. Rispose entusiasta a Gedda, nel desiderio
anche di rivedere il carissimo Diego Fabbri col quale abbiamo
vissuto tanti anni belli di vita cattolica forlivese. Qualche
mese più tardi non poté però recarsi a Viterbo
dove fu fondato il Circolo Mario Fani, che fu poi moltiplicato in
varie città, ma a Forlì entrò nella triade
responsabile del Circolo. A Viterbo Diego Fabbri, chiamato dopo
tanti anni da Gedda a collaborare ad unattività apostolica,
riproporrà ai suoi non più giovani coetanei, ma con
lo spirito di sempre - vedi lo schema di relazione qui pubblicata
- i temi forti già presenti in Cristo tradito,
aggiornati ai nuovi tempi della secolarizzazione e della morte
dì Dio, rispetto ai quali aveva fatto tesoro delle
considerazioni del Maritain ottuagenario paysan de la Garonne a
proposito dei montoni di Panurgo. Io ero allora un ventenne,
partecipe della protesta giovanile, anche se non da essa travolto:,
vidi allora la costituzione del Mario Fani come un tentativo
reducistico, fuori tempo. Forse in parte lo era poiché poi
convogliò in direzione di battaglie, e sconfitte, brucianti,
- forse evitabili. Mio padre stesso trovò terreno più
favorevole dimpegno, per i suoi anni postlavorativi, nella
Federazione pensionati Cisl, di cui divenne segretario provinciale.
Oggi, a trent anni di distanza, rileggendo quei documenti,
essi mi appaiono in una luce diversa:
espressione di intenti sempre giovani in uomini maturi, con un senso
vivo di responsabilità, più che di preoccupazione,
realmente paterna. E mi pare che al fondo di essi si
possa riuscire a cogliere quello spirito di verità e libertà
che animò la vita di Luigi Gedda, di Diego Fabbri e di mio
padre Antonio.
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