Secondo
Tranquilli (lo pseudonimo
Ignazio
Silone divenne il suo nome legale soltanto
in seguito) nacque in una famiglia contadina il 1°Maggio 1900 a Pescina,
una piccola località della Marsica circa sessanta chilometri da Aquila.
Il padre era un piccolo proprietario terriero; mentre la madre era una
tessitrice.
Dopo aver compiuto i primi studi nella scuola elementare di Pescina,
frequentò poi il liceo-ginnasio presso il seminario diocesano.
Rimasto orfano di entrambi i genitori nel 1915, in conseguenza del
tremendo terremoto della Mersica (perse sia genitori che fratelli), ebbe
la possibilità di proseguire gli studi liceali presso un'istituto
religioso di Reggio Calabria, ma non li portò a compimento per
dedicarsi all'attività politica nelle file del Partito Socialista. In
quegli anni, intanto, L'Italia partecipava alla prima guerra mondiale.
Rimasto senza famiglia, Silone va a
vivere nel quartiere più povero del comune e comincia a frequentare la
baracca, dove ha sede la Lega dei contadini.
Ribelle all'autorità e animato da un profondo sentimento evangelico, il
giovane Silone aveva deciso infatti di dedicare la sua vita alla
redenzione sociale degli umili, e tra questi i poveri e analfabeti <<cafoni>>
marsicani,
veri e propri <<dannati della terra>> costretti
a subire le violenze e i soprusi di strutture sociali arcaiche ed
immutabili. Ha inizio, così, il suo apprendistato di militante
rivoluzionario e sotto l'influsso di Lazzaro, incarnazione del cristiano
autentico, del "cafone santo"
si
pone quindi dal lato di coloro che hanno fame e sete di giustizia.
Questa scelta porta Silone a
prenderete posizione contro la vecchia società, perché è disgustato
dai soprusi della violenza dell'ipocrisia e comprende che l'unica
soluzione è quella di schierarsi a loro fianco.
Già nel 1917, a soli diciassette anni, aveva inviato alcuni articoli
all'
"Avanti"
,
in cui denunciava le indebite appropriazioni di fondi destinati al suo
paese per la ricostruzione dopo il terremoto.
Prende anche parte alle proteste
contro l'entrata in guerra dell'Italia e viene processato per aver
capeggiato una violenta manifestazione.
Finita la guerra si trasferisce a
Roma, dove entra a far parte della Gioventù Socialista, opponendosi al
fascismo. Dopo essere stato uno dei principali esponenti ditale
movimento, fu nel 1921 tra i fondatori del Partito Comunista italiano.
L'anno dopo, i fascisti effettuarono la marcia su Roma, mentre Silone
diventava il direttore del giornale romano "l'avanguardia"
e il redattore del giornale triestino "Il
Lavoratore" .
Nel 1926, dopo la promulgazione delle
leggi speciali e la soppressione di tutti i partiti ad eccezione di
quello fascista, continuò a dedicarsi clandestinamente all'attività
politica nonostante i rischi che ciò comportava.
Ricercato dalla polizia politica, fu
costretto a fuggire dall'Italia.
Compie varie missioni all'estero, ma
a causa delle persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella
clandestinità, collaborando con Gramsci.
In questi anni, per Silone, comincia
a profilarsi la crisi e nel 1930 esce dal Partito Comunista per la sua
opposizione alla politica di Stalin.
Dopo alcuni periodi trascorsi in
Francia e Spagna, si stabilì per un certo periodo in Unione Sovietica,
dove assistette alle ultime drammatiche fasi della lotta politica
all'interno del Comintern, conclusasi con la vittoria di Stalin e
l'espulsione dei suoi antagonisti Trotkij e Zinonev.
È questo il periodo in cui i
comunisti italiani si dividono e Togliatti espelle dal partito alcuni
dirigenti, nell'illusione che la rivolta operaia contro il fascismo sia
imminente e destinata alla vittoria.
Da questo momento Silone sarà un
socialista cristiano, non più marxsista.
Nello stesso periodo, si compie un
altro dramma nella tormentata vita dello scrittore: suo fratello più
giovane, l'ultimo superstite della sua famiglia, viene arrestato
ingiustamente nel 1928 con l'accusa di appartenere al Partito Comunista
illegale e di essere uno degli organizzatori di un attentato a Milano.
Quando il fratello venne arrestato,
Silone aveva già scelto la via dell'esilio in Svizzera, dove vi rimane
per molti anni per proseguire all'estero la lotta antifascista.
Silone, è deciso ormai a condurre una vita da "socialista
senza partito e cristiano senza chiesa".
Maturò intorno alo 1930, dopo il suo
rifiuto delle purghe staliniane in senso
all'organizzazione comunista internazionale, la crisi che lo condusse
fuori dal P.C.I. e insieme la sua vocazione di romanzi re che doveva
divenire preminente.
Anche lo scrittore negli anni
dell'esilio, rimase legato a gruppi antifascisti all'estero, occupandosi
altresì dell'organizzazione in Francia in Svizzera di gruppi socialisti
italiani.
Trasferitosi a Davos, in Svizzera, pubblica vari scritti degli
immigrati, scrive molti articoli e saggi di interesse sul fascismo
italiano.
Esordì come romanziere nel 1933 col
romanzo più famoso"Fontamara", in cui racconta la squallida
vita dei <<cafoni>> di un piccolo borgo della Marsica,
oppressi dalle sopraffazioni e dagli imbrogli di un potente speculatore
appoggiato dalle autorità fasciste del luogo.
L'opera scritta in tedesco ma poi
tradotta in ventotto lingue, ebbe un grande successo di pubblico in
tutta Europa, mostrando un ritratto drammatico e autentico dell'Italia
dell'epoca, al di là dell'oleografica immagine che voleva accreditarne
il regime. Sin da questo primo romanzo Silone si caratterizza come
autore "impegnato" in cui la dimensione etico-politica
prevale motivazioni di carattere squisitamente letterario. Lo
stesso autore in un suo intervento ha messo in luce questa componente
essenziale della sua opera:
"lo scrivere
non è stato, e non poteva essere per me, salvo che in qualche raro
momento di grazia, un sereno godimento estetico, ma la penosa e
solitaria continuazione di una lotta, dopo essermi separato da compagni
assai cari. Le difficoltà con cui sono talvolta alle prese nell'
esprimermi non provengono certamente dall'inosservanza delle famose
regole del bello scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare
alcune nascoste ferite, forse inguaribili."
In Fontamara incontriamo il primo
eroe anticonformista di Silone, Bernardo Viola, sconfitto nel suo
tentativo di cambiare le cose e pronto a scegliere volontariamente la
via del carcere pur di rivendicare in questa maniera paradossale la sua
libertà. E' il romanzo più noto e significativo di Silone ma verrà
pubblicato in Italia solo nel 1949, dopo avere già ottenuto all'estero
alti consensi. Le vicende narrate, che si svolgono in un villaggio
montano della Marsica , rappresentano l'eterna lotta tra i contadini
poveri (i disperati "cafoni") e il potere, detenuto adesso dai
fascisti, nuovi padroni e oppressori dai quali difendersi. Anche se non
mancano elementi di carattere simbolico come l'acqua, che i contadini
sono costretti a proteggere dalle ripetute espropriazioni, l'opera si
colloca all'interno di un filone di narrativa impegnata e
"realistica", che esprime una forte carica di indignazione
civile e morale. Dopo Bernardo Viola sarà il turno di Pietro Spina, il
carismatico protagonista dei due successivi romanzi, Vino e pane
e Il seme sotto la neve,
autentica opera "tolstojana" della
lotta per l'affermazione della giustizia e la difesa degli umili.
Allontanatosi definitivamente dal comunismo e dall'idea marxista, Silone
manifesta in questi due romanzi la "convinzione dell'identità,
alla radice, di socialismo e cristianesimo come sentimento elementare di
fraternità e istintivo attaccamento alla povera gente". Questa
volontà di privilegiare gli aspetti sociali e libertari della religione
cristiana, radicalmente antitetica alle posizioni della "Chiesa
ufficiale", rappresenta l'altro aspettto della
coraggiosa scelta anticonformista di Silone, che scontò la sua
indipendenza del pensiero sul completo isolamento nella vita politica e
culturale italiana del secondo dopoguerra. Per tale motivo egli amava
definirsi "un socialista senza partito e
un cristiano senza chiesa". Con lo
scoppio della seconda guerra mondiale, Silone ritornò all'attività
politica, rivestendo un ruolo di primo piano nell'organizzazione
clandestina antifascista all'estero.
Rientrato in Italia nel 1944, fu il
direttore del quotidiano socialista "Avanti"
e
deputato alla costituente. Nel 1948, però, si allontanò
definitivamente dalla politica per seguire con maggiore libertà la sua
vocazione di scrittore.
Nacquero così "Una
manciata di more" (1952), drammatica
testimonianza della parallela crisi spirituale di un uomo politico e di
un uomo di chiesa, "Il segreto di Luca"
(1956) nuova apologia della libertà di coscienza nei confronti del
conformismo imperante e "La volpe e le camelie"
(1960), storia di alcuni esuli italiani nel Canton Ticino insediati
dalle attività spionistiche della polizia spionistica fascista. In
quest'ultima opera, tuttavia, non assistiamo " a una meccanica spartizioni
tra buoni e cattivi, che anzi ogni filo della
vicenda converge in un epilogo inteso a ravvisare, pietosamente, una
comune umanità di perseguitati e persecutori; al riscatto, attraverso
la morte di colui che impersona lo spionaggio persecutorio. La
compassione che sostituisce all'ira: il senso profondo della storia
narrata in "La
volpe e le camelie" è in questo cristiano
sentimento di pietà che lega l'uno all'altro i personaggi, siano o no
dalla parte dell'autore". Il momento culminante della testimonianza
ideologica e cristiana di Silone è rappresentato dall'opera teatrale
"L'avventura
di un povero cristiano" (1968), in cui viene
rappresentata la tormentata e sofferta esperienza del mistico abruzzese
medievale Pietro Angelerio dal Morrone, che divenuto papa con il nome di
Celestino V si rifiuta di sacrificare la propria integrità spirituale
ai compromessi della sua funzione istituzionale:
"Per ciò che
mi riguarda, sento che, se cominciassi a prediligere il cavallo
all'asino, le belle vesti di seta al panno ruvido, la tavola riccamente
imbandita all'umile desco senza tovaglia, finirei col pensare e sentire
che quelli che vanno a cavallo, vivono nei salotti banchettano. Ora, per
conto mio non penso che un'autorità religiosa abbia assolutamente
bisogno di lusso per ispirare rispetto. Comunque, anche nella nuova
condizione, io non intendo separarmi dal modo di vivere della povera
gente, a cui appartengo".
Disgustato dagli intrighi e dalle
compromissioni tra l'istituzione ecclesiastica e il potere politico,
egli alla fine compie il "gran rifiuto", dimettendosi dal
pontificato. Tale scelta, che all'epoca venne disprezzata da Dante
Alighieri come manifestazione di colpevole ignavia, viene invece
approvata da Silone, che vede in essa una coraggiosa affermazione della
superiorità degli ideali alle istituzioni. In questo senso "L'avventura di un povero
cristiano"
è strettamente legata al saggio "L'uscita di
sicurezza"
ove Silone spiegò le motivazioni che lo indussero ad abbandonare il
comunismo ormai in preda alla degenerazione stalinista. La costante
preoccupazione di carattere morale che percorre la narrativa siloniana,
ha spinto la maggior parte dei critici a privilegiare in essa l'aspetto
contenutistico a scapito di quello formale,
ritenuto a torto meno meritevole di interesse.
In realtà lo stile di Silone, è il
frutto di un'attenta ricerca stilistica tesa a conciliare, anche a
livello linguistico, l'espressione di alte idealità politiche e
religiose con l'ambientazione prevalentemente regionalistica dei
romanzi, che hanno di solito come protagonisti degli umili contadini
abruzzesi. Negli ultimi anni della sua vita di scrittore si dedicò
ancora alla narrativa con il romanzo "Severina"
(1981) e alla saggistica con le "Memorie dal
carcere svizzero" (1979). Nel 1978, dopo una
lunga malattia,Silone muore in una clinica di Ginevra, fulminato da
un'attacco celebrale. Viene sepolto a Piscina dei Marsi, "ai piedi
del vecchio campanile di San Bernardo", senza epigrafe sulla tomba,
come lui volle.
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