Centro Culturale Man Ray Cagliari

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Personalità e nuove presenze
Rassegna di arti visive

a cura di Mariolina Cosseddu


Primo Pantoli, Fabio Saiu



Primo Pantoli

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cm. 80 x 60
Tecnica: olio su tela
Paranoia di un borghese 1965


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cm 180 x 120
Tecnica: olio su tela
Mondo boia 1966

Quasi un azzardo, quello che in questi giorni di marzo ha preso l’avvio negli spazi del Man Ray a Cagliari. Un azzardo generazionale che propone un incontro a due voci tra personalità artistiche consegnate ormai alla storia culturale di quest’isola e nuove presenze che animano il panorama dell’arte contemporanea in Sardegna.

I primi, solidi nel ruolo di chi ha, alle spalle, un’avventura artistica strutturata in scelte coraggiose e sperimentali che li ha visti, nei decenni precedenti, alla ricerca di una cifra stilistica di forte connotazione personale; i secondi, che studiano un proprio itinerario espressivo misurandosi, inevitabilmente, con chi, in quell’ansia di ricerca, li ha solo preceduti. Il centro focale di questa rassegna sta proprio nel guardarsi dentro, dentro la storia di ieri e di oggi senza, vale la pena sottolinearlo, sfide di tempi e di storie diverse, senza mettere in campo confuse o arbitrarie eredità o, peggio, alunni di scuole inesistenti. Il binomio che compone, di volta in volta, i tre momenti di questa prima parte della rassegna destinata, almeno nelle intenzioni di chi la organizza e di chi la cura, a protrarsi nel tempo fino a poter scandagliare una buona fetta dell’arte di questi ultimi cinquant’anni, quel binomio, dicevo, suona proprio come una scommessa sulla qualità di entrambi i fronti della ricerca. Un confronto, dunque, che intende confermare, per gli uni e per gli altri, la validità di un lavoro serio ed impegnato, di una via sicura che percorre l’arte isolana costantemente aggiornata, ieri e oggi, sugli orientamenti di un linguaggio internazionale. Se questa rassegna riuscirà ad avviare una riflessione sul recente passato e sul presente più prossimo, buona parte dei suoi intenti potranno dirsi esauditi.

Escluse perciò le filiazioni e i discepolati, così poco di moda nel contesto generazionale contemporaneo, alla natura di quest’incontro sono estranee anche le più neutre definizioni di vecchi e giovani: nessuno è così vecchio e così giovane da sopportare il peso di tali aggettivi. Meglio muoversi sul filo della realtà e riconoscere, nella situazione attuale, la fermezza di personalità a tutto tondo consolidate dal bagaglio di anni di lavoro che la storia biografica e artistica ha reso complessa e sfaccettata, ricca di momenti diversi e spesso antitetici. A questi artisti è stato chiesto di scegliersi, di guardarsi nel tempo e di riconoscersi in quei lavori che, messi in mostra, restituiscono la loro immagine più certa, fors’anche la meno nota. Agli altri, alle figure in formazione ma già cariche di esiti di grande positività, si è richiesto il lavoro ultimo, quello che dichiara risultati e soluzioni sicuramente ancora in divenire.

Così i ritratti che emergono da questo primo incrocio di strade tra Primo Pantoli e Fabio Saiu, cui seguiranno, dal 6 al 24 aprile, Giuseppe Pettinau e Monica Solinas e, dal 27 aprile al 14 maggio, Paola Dessy e Alessandro Meloni. Primo Pantoli, con un atto d’audacia, ha deciso di rimettere in discussione i lavori degli anni ’60, sicuramente i più prorompenti e dissacranti che la sua produzione contenga. Tele velenose, investite di una vitalistica foga espressiva tradotta nel gesto forte, nel segno violento, nell’urlo o nella risata gridati con parole gettate sul colore. Sono gli anni dell’arte come impegno e questo si precisa nella rivolta contro il perbenismo, le convenzioni della bella pittura, contro le buone intenzioni della borghesia trionfante e la scelta non può essere che quella dell’antipittura, di una pittura cioè che, rinnegando se stessa, assume le funzioni di un manifesto, di un’ideologia per immagini. Pantoli è stato infatti tra i fondatori, nel 1961, del "Gruppo di Iniziativa" e nel 1967 del "Centro di Cultura Democratica" cui giunge dopo l’esperienza di "Studio 58", una formazione tesa, in quello stesso anno, a svecchiare la passatista tradizione locale. Collocatosi fin d’allora nell’area di un’arte ribelle e anticonformista, Pantoli, teorico del gruppo, rivendica, per se e per gli altri, "un’affermazione di libertà", quella stessa libertà che, negli anni successivi, lo condurrà ad intensificare il ruolo di agitatore culturale e a investire il proprio linguaggio di una chiara valenza esistenziale. La sua concezione della pittura (come della intera attività artistica), "aperta alla discussione di problemi umani, culturali ed estetici", gli consente di spostarsi con assoluta naturalezza e necessità dal versante più provocatoriamente espressionista ad un registro romanticamente sognante e lirico. Poeta e intellettuale, sente "l’urgenza di narrare un suo giudizio sulle cose", come scriveva Salvatore Naitza, evocare una sua visione della vita che può passare anche attraverso il filtro della quotidianità e della introspezione amara e tragica del vissuto personale. Di quegli anni di giovanile ardore Pantoli conserverà la densa problematicità di quell’impegno, senza mai disperdere il carattere interrogativo degli eventi, seppure andrà indirizzandola su un piano sempre più intimista e soggettivo. La sua pittura volgerà infatti, a metà degli anni settanta, verso un informale lirico e si concentrerà, per diverso tempo, sull’accurata riflessione dei mezzi pittorici mentre la produzione degli ultimi decenni si equilibra sul doppio binario dell’astrazione e della figuratività. Eccellente incisore, Pantoli, che ha affidato anche ad un bel manuale le sue lezioni di tecniche di stampa, è riuscito a conciliare persino l’amore per la pratica incisoria con le ragioni della pittura e i suoi "collages" ne sono l’evidente dimostrazione.


Fabio Saiu

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cm. 80 x 60
Tecnica: olio su tela
Paranoia di un borghese 1965


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cm 180 x 120
Tecnica: olio su tela
Mondo boia 1966

In questo lungo periodo di tempo, ciò che è rimasto indenne nel suo lavoro è il valore del colore, la sua pienezza e intensità, la ricchezza tonale e la sfacciata mescolanza timbrica, sia quando satura le superfici di aggrumate e sovrapposte pennellate materiche sia quando le scioglie in preziose velature liquide e brillanti, sensibilissime stralunate visioni affidate, negli ultimi tempi, ad un più morboso e sensuale simbolismo. Bene ha fatto perciò Pantoli a mettere in mostra la trasgressione dei lavori datati negli anni dell’utopia: quella pittura volutamente sgraziata e rabbiosa, stentata e spesso blasfema, appare oggi doppiamente attuale e per la deformazione linguistica del dettato figurativo, tornato di grande interesse nonostante lo svuotamento semantico dei giorni nostri, e per la rilettura in atto proprio degli anni ’60, come appare in tante mostre di giovanile tendenza. Ma l’autenticità di quei lavori, la volontà di cambiare il mondo legando l’arte alla vita, è stata, a rivederli a distanza di tempo, una sorpresa emozionante e una riconferma di una straordinaria stagione della nostra cultura figurativa. All’urto delle tele di Pantoli risponde con grande efficacia visiva il nuovo progetto iconografico di Fabio Saiu. Lasciatosi alle spalle una fase di impurità cromatica e gestuale che richiamava i linguaggi del neoespressionismo tedesco (o, come ha notato Marco Magnani, della più recente "bad painting inglese") Saiu è passato attraverso un faticoso processo di spoliazione di se stesso, di progressiva riduzione della foga espressiva che, flagellata e contraddetta, ha aperto il varco ad un orizzonte ultimo che gravita ora nelle stanze del Man Ray. Eppure quella fase, necessaria e liberatoria, è all’origine di questo nuovo universo da cui sono scomparsi polli, pesci, rane, topi, conigli, carote o maschere umane, tutti con una perversità dichiarata o latente. Quell’horror, a metà strada tra il linguaggio fumettistico e la crudele insinuazione della vacuità e banalità del tutto, si è ora cristallizzato in nuovi esseri, ambigui e mutili, straniati e fatalmente incombenti in spazi di surreale presenza. Nello sconcerto emotivo che procurano si fa strada la consapevolezza dell’impossibile presa della totalità: ciò a cui stiamo assistendo è il frammento di una situazione provocatoriamente irrilevante, che sta lì a dire una parte qualunque di una realtà priva di significato. Le immagini possono così prendere l’aspetto di un fotogramma, vicine, per inquadratura, ad una sequenza cinematografica bloccata su un particolare volutamente spiazzante o di irritante disumanità. Sgraziati e sgradevoli gli oggetti e gli esseri che popolano questa preoccupante dimensione dai lati oscuri può essere apparentata a ciò che Alison Gingeras ha chiamato "sovversione del Kitsch" ma che può anche prendere la via del fraintendimento, del non-senso o di una sospesa e distorta ironia. Se è vero poi che i bambini sbigottiti o gli inquietanti pezzi di un tutto invisibile di Fabio Saiu devono qualcosa all’immaginario da cartoon di ultima generazione, è anche vero che ciò che lo interessa e lo intriga è, oltre la nuda immagine di una sorta di patologia del quotidiano, la riaffermazione della pittura come unico, imprescindibile mezzo di comunicazione. Saiu ha rinunciato intelligentemente ai medium tecnologici, così invasivi e così noiosamente destinati a ripetersi, per porsi su una via che, proprio oggi, sta dichiarando non tanto il suo ritorno (non esistono ritorni in pittura), quanto una "ridefinizione del genere". È quanto sostiene Alessandro Riva nella discussa mostra di pochi mesi fa a Milano, "Sui Generis", che ha visto un’ondata di pittura italiana alla ricerca di una nuova identità e una nuova, quanto mai solida, ragione di esistere. Nella fredda e dissonante visione di Fabio Saiu prendono vita, infatti, momenti pittorici di un’accuratezza maniacale, levigate superfici o vaghi addensamenti cromatici dalle inusitate trasparenze o dalle sorprendenti rifrazioni luministiche. Sono brani di autentica bravura lievitati nei tempi lunghi di una ricerca tutta interna ai codici della tradizione pittorica che affida all’uso dell’olio il suo splendore materico, senza alcun intento narrativo ne, tantomeno, di saggio puramente decorativo. Si capisce così che è la pittura in quanto tale l’autentica sfida di Saiu, teso a far vivere se stesso non più nel progetto o nell’ideazione ma nel fare, consapevole che "è nell’opera ben più che nelle intenzioni, che va giocata oggi la grande partita dell’arte" (A.Riva).

Mariolina Cosseddu