Aleksandr Sergeevic Puskin

 

Poeta russo, Mosca 1799 - Pietroburgo, 1837(Leningrado). Di famiglia nobile ma decaduta, fu affidato dai genitori, distratti dalla vita mondana, a precettori francesi, che lo introdussero alla conoscenza dei grandi classici dell'Occidente europeo; ma un influsso determinante sulla sua formazione ebbe, oltre alla nonna materna, la njanja (balia) Arina Rodionovna (destinataria di commosse liriche del poeta), che ne sedusse la  fantasia raccontandogli le antiche fiabe russe. Dopo l'esperienza esaltante del liceo di Carskoe Selo, dove rivelò precocemente il suo eccezionale talento poetico, Puskin ottenne un posto al ministero degli Esteri, e si abbandonò alla vita dissipata nella società mondana della capitale, avvicinandosi però, nel contempo, ai circoli progressisti. Il suo poema Ruslan i Ljudmila, 1822 - Ruslan e Ludmilla, spregiudicata rielaborazione, in chiave di voltairiana ironia, di antiche leggende popolari, suscitò le ire dei critici tradizionalisti e l'entusiasmo dei rinnovatori, assumendo il valore di "manifesto" della scuola romantica russa. Caduto in disgrazia presso lo zar Alessandro I per alcuni epigrammi politici, Puskin era stato confinato, 1820, a Kisinev, nella Russia meridionale, che egli chiamò ovidianamente la "città maledetta"; in realtà, godeva di sufficiente libertà di movimento, che gli consentì, tra l'altro, una memorabile visita al Caucaso e contatti con i ribelli greci, e poté attendere alla stesura dei "poemetti meridionali" di influsso byroniano: Kavkazskij plennik, Il prigioniero del Caucaso; Bachcisarajskij fontan, La fontana di Bachcisaraj; Bratja razboiniki, I fratelli masnadieri; Cygani, Gli zingari. Nello stesso periodo, iniziò a scrivere il suo grande "romanzo in versi" Evgenij Onegin, Eugenio Onegin. Trasferitosi a Odessa, 1823-24, alle dipendenze del conte S.M. Voroncov, riprese le proprie abitudini mondane, passando da un amore all'altro, e scrisse, tra l'altro, una delle liriche più famose, Demon, Il demone, creando una delle figure paradigmatiche della letteratura russa. Accusato di ateismo per una frase di una sua lettera intercettata dalla polizia, fu confinato, in domicilio coatto, nella tenuta materna di Michajlovskoe; ancora una volta l'esilio si risolse in uno stimolo delle doti artistiche di Puskin, che scrisse stupende liriche, come K morju, Al mare, addio al proprio passato romantico; Ja pomnju cudnoe mgnovenie, Ricordo il meraviglioso momento, una delle più belle poesie d'amore della letteratura russa; e Prorok, Il profeta, dove era espressa per la prima volta la concezione del poeta-vate: queste ed altre liriche sono caratterizzate da una perfetta concisione lirica e da una sobrietà espressiva che piega le emozioni a un ideale di oggettiva e corale misura elegiaca (coppia di versi formata da un esametro e da un pentametro; da elegia, poesia di tono per lo più mesto e nostalgico, ...). Del periodo di Michajlovskoe sono anche il racconto scherzoso in versi Graf Nulin, Il conte Nulin - 1825, che prelude alle Anime morte di N.V. Gogol', e la tragedia storica Boris Godunov, 1825: di intensità shakespeariana e di clamorosa modernità per l'abolizione di ogni artificio convenzionale, dalla divisione in atti alle canoniche unità di tempo, luogo e azione, la tragedia introduceva il popolo come protagonista della storia e ammoniva lo zar a non fondare il potere sulla violenza e nel sangue. L'ammonimento cadde nel vuoto: proprio nel 1825, il nuovo zar, Nicola I, represse sanguinosamente la rivolta decabrista, e, poco tempo dopo, chiamò a Mosca Puskin, restituendogli la libertà e assumendosi direttamente la funzione di censore delle sue opere. In realtà, la censura, esercitata dal capo della polizia, divenne ancora più soffocante, mentre veniva meno al poeta, piegatosi a un umiliante compromesso, il sostegno degli intellettuali progressisti. Nella più amara solitudine, Puskin reagì scrivendo nuove importanti liriche, come Poet i tolpa, Il poeta e la folla; Ancar, L'albero del veleno e il poema storico Poltava, 1828, e passò inoltre, per la prima volta, dalla poesia alla prosa con l'incompiuto romanzo Arap Petra Velikago, Il moro di Pietro il Grande. Di straordinaria fecondità fu il cosiddetto "autunno di Boldino", un breve periodo trascorso in campagna nel 1830: in soli due mesi, Puskin scrisse, oltre a quattro "piccole tragedie", Skupoj rycar', Il cavaliere avaro; Mozart i Salieri, Mozart e Salieri; Kamenny-gost', Il convitato di pietra, incentrato sul personaggio del Don Giovanni; Pir vo vremja cumy, Il festino durante la peste; i celebri Povesti Belkina, Racconti di Belkin: caratterizzati da una perfetta struttura narrativa, che ha la precisione di un congegno meccanico, e da una limpidità linguistica di assoluta purezza, i racconti di Puskin costituiranno il modello di tutta la narrativa russa fino a Gogol'. Sempre a Boldino, Puskin concluse l'Onegin, pubblicato più tardi, nel 1833: capolavoro di realismo lirico, il celebre "romanzo in versi" di Puskin è, nel contempo,un '"enciclopedia della vita russa", osservata con l'ironico distacco di un L. Sterne e con il rigore analitico di un G. Flaubert, e la matrice della narrativa successiva, cui consegnò, nel personaggio di Eugenio Onegin, l'archetipo dell'"uomo superfluo", e, in quello di Tatjana, il prototipo della donna russa, dolce e severa, ingenua e generosa, destinata a rivivere nella Natasa Rostova di L.N. Tol'stoj. Le ultime opere di Puskin sono Pikovaja dama, 1834 - La dama di picche, una storia pietroburghese che ha il sortilegio di un racconto di E.T.A. Hoffman e un brivido di un "racconto del mistero" di E.A. Poe; la novella Egipetskie noci, 1835 - Notti egiziane incentrata sulla figura di Cleopatra, il romanzo Kapitanskaja docka, 1836 - La figlia del capitano, imperniato sulla rivolta di E.I. Pugacev, tra le migliori creazioni puskiniane per il conciso realismo e la profondità dell'analisi psicologica, sullo sfondo di un paesaggio intensamente russo; e Medneyj Vsadnik, 1833 - Il cavaliere di bronzo, ultimo poema narrativo, che sviluppa il tema del contrasto tra i diritti individuali e un'oppressiva ragion di Stato. Irretito negli intrighi di corte, umiliato dallo zar, che lo nominò beffardamente "valletto di camera", e tradito dalla moglie, Puskin morì in un duello con il rivale D'Anthés: aveva da poco concluso il suo itinerario poetico con una poesia dal motto oraziano, Exegi monumentum - 1836, con cui consegnava la sua fama ai posteri. Definito da F.M. Dostoevskij "principio di tutti i principi", Puskin è unanimemente considerato il creatore della lingua russa moderna e il poeta "nazionale" e "popolare" per eccellenza, acutissimo interprete dei valori più profondi dell'"anima" russa.