Charles Baudelaire

Poeta francese, Parigi 1821 - 1867, orfano di padre a 6 anni, concentrò tutto il suo affetto nella madre, sperimentando le gioie del < verde paradiso degli amori infantili >, dal quale fu traumaticamente strappato dopo le seconde nozze, 1828, della vedova Baudelaire con l'ufficiale J. Aupick. Baudelaire vide subito nel patrigno il prototipo del filisteismo borghese, benpensante e ottuso, e assunse quell'atteggiamento di ribellione anticonformista e di profonda malinconia che caratterizzò tutta la sua vita e la sua opera. Conseguito il baccalaureato a Parigi, al liceo Louis-le-Grand, nel 1839, mosso da un irresistibile impulso alla trasgressione si immerse nell'ambiente della bohéme letteraria parigina e condusse una vita disordinata, allarmando il patrigno, che lo costrinse a imbarcarsi su una nave diretta a Calcutta; ma Baudelaire interruppe il viaggio tornando a Parigi. Venuto in possesso dell'eredità paterna, riprese la sua esistenza libera e sregolata, vivendo i suoi anni migliori: il suo atteggiamento bohémien era una forma di protesta contro ogni professione borghese, la sua elegante vita di dandy era un modo per sfogare l'odio verso le convenzioni e le regole di una società ipocrita; ciò spiega l'abuso di alcool e di stupefacenti, nonché la piccante relazione con l'attrice mulatta Jeanne Duval, che in seguito, degradata dall'alcolismo e malata, sarà per il poeta oggetto di compassione, lasciando una traccia profonda nella sua opera. L'inguaribile prodigalità di Baudelaire provocò, nel 1844, un intervento della famiglia, che lo fece interdire: costretto a interrompere la sua vita dorata, Baudelaire dovette da allora lottare con le difficoltà economiche e con i debiti e giunse perfino a meditare il suicidio. Per vivere, si dedicò alla critica d'arte, giovandosi della sua amicizia con E. Delacroix, E. Manet, G. Coubert, oltre che con i maggiori scrittori del tempo: V. Hugo, H. de Balzac, T. Gautier; nacquero così i Salons del 1845 e del 1846, che rivelano la genialità di Baudelaire come critico d'arte. Vide anche la luce Fanfarlo, 1847, l'unico racconto da lui composto, un ironico autoritratto, scintillante e bizzarro. Il 1847 è l'anno dell'incontro con la produzione di E.A. Poe, che Baudelaire considerò come lo scrittore a lui  più congeniale, e del quale, nell'arco diciassette anni, tradusse l'opera. Nello stesso periodo, si innamorò di Marie Daubrun, che ispirò alcuni tra i versi più belli del capolavoro, come il Chant d'automne, Canto d'autunno. Le giornate del 1848 videro Baudelaire, seguace dei blanquisti, sulle barricate: ma fu un entusiasmo effimero, cui subentrò la delusione. Si consumò cos' fino in fondo il rifiuto della realtà borghese, che era anche il suo rifiuto del realismo nell'arte. Ora Baudelaire si proclamava conservatore e cattolico, schernendo ogni idea di progresso; ma il tema della rivolta fermentava segretamente nella sua poesia, traducendosi nella rappresentazione di una follia alienata, ridotta a merce, sullo sfondo di una città tentacolare come Parigi. E' il momento della pubblicazione di Les fleurs du mal, 1857, I fiori del male, il più importante libro di poesia del secolo, testimonianza struggente e suggestiva della lotta tra l'infinito e il finito. Il contrasto fra il desiderio delle altezze più sublimi e le cadute negli abissi di una cupa melanconia, tra un amore inteso come devozione spirituale e una sfrenata passione sensuale; la rappresentazione di una Parigi squallida, con le sue albe livide e i suoi poveri vecchi; l'ebbrezza fugace dei < paradisi artificiali > e l'amaro piacere della ribellione; il fascino della morte e l'estasi della contemplazione: sono questi i motivi dominanti del capolavoro baudelairiano che dischiude nuovi orizzonti alla poesia moderna. Un violento articolo del  Figaro, attirò sul libro i fulmini della legge: giudicato osceno, fu sequestrato e, poco più tardi, autore ed editore furono condannati ad una multa per oltraggio alla morale, dopo una requisitoria pronunciata dallo stesso magistrato che aveva già chiesto, quell'anno stesso, la condanna di Madame Bovary di G. Flaubert. Venne vietata la stampa di sei liriche, che infatti non comparvero più nella seconda edizione del 1861, arricchita però di altre trentacinque poesie e completamente ristrutturata. Nel 1860 erano usciti Les paradis artificiels, I paradisi artificiali, un saggio filosofico scientifico sugli effetti degli stupefacenti nella psiche dell'uomo e dell'artista, con estratti delle Memorie di un mangiatore di oppio di T. De Quincey. Dal 1861 al 1863, Baudelaire si dedicò ai Petits poèmes en prose, Poemetti in prosa, che appariranno in volume con il titolo Spleen de Paris: ricavati dal modello di un'opera di A. Bertrand, Gaspard de la nuit, essi inaugurano un nuovo genere poetico di prosa evocativa, che eserciterà un influsso decisivo su A. Rimbaud e sul < verso libero >. Soffusi da una penetrante malinconia, i Poemetti in prosa hanno, rispetto alle Fleurs, un rapporto analogo a quello delle Operette morali di G. Leopardi rispetto ai suoi Canti: riflessione acuta sul mondo, essi costituiscono uno studio acutissimo sull'anima segreta di Parigi, la cui vita raffinata e perversa è colta con penetrante intuizione e trasposta nella magica e allucinata evidenza delle pagine del prediletto Poe. Come Poe, Baudelaire considera la poesia un mezzo più valido della ragione, in quanto ci mette in contatto con un mondo più misterioso e più vero: di qui la difesa accanita, che egli conduce, dell'autonomia dell'arte nei saggi raccolti in Curiosités estétiques, post. 1868, Curiosità estetiche e in L'art romantique, post. 1868, L'arte romantica, che fanno del loro autore uno dei massimi critici della letteratura moderna. Convinto che in ogni poeta vi sia anche un critico, Baudelaire teorizza la specificità dell'opera d'arte, la cui essenza segreta può essere colta con una esclusiva concentrazione sui valori formali: è questa la prima formulazione della < poesia pura >, che influirà in modo decisivo non solo sull'estetica parnassiana, ma anche sul simbolismo e sul surrealismo. Nel 1864 Baudelaire partì per una serie di conferenze da tenere in varie città del Belgio, e l'anno dopo, minato ormai nella salute dalla sifilide e dalla paralisi progressiva, tornò a Parigi presso la madre tra le cui braccia morì nel 1867. Lasciò una miniera di riflessioni di bruciante intensità nei suoi diari intimi, Fusées, Razzi e Mon coeur mis à nu, Il mio cuore a nudo: modellate sulle Confessioni di J.J. Rousseau, queste pagine colpiscono per la "straordinaria mescolanza di stile raciniano e stile giornalistico", P. Claudel. Poeta complesso e difficile, Baudelaire non si presta a formule schematiche, che possano definire esaustivamente il suo universo poetico. E' possibile soltanto isolare alcuni temi, a cominciare dalla religiosità: una religiosità "travestita", che è stata volta a volta definita nei termini di un rigoroso giansenismo, oppresso dal senso del peccato, o di una ambiguità oscillante tra cielo e terra, tra paradiso e inferno. Si è molto insistito sulla presenza, nella poesia di Baudelaire, di un elemento satanico, che, per la verità, appartiene più in generale alla sensibilità romantica, come anche il fascino morboso della morte, che Baudelaire ha mutuato in parte nell'amato Poe. Forse, insieme con l'amore, bastano le circa cinquanta liriche erotiche delle Fleurs per fare di Baudelaire il più grande poeta d'amore della letteratura francese, l'elemento più caratterizzante, in Baudelaire, è l'angoscia: un'angoscia ora metafisica e religiosa, ora masochista e sadica che Baudelaire ama esibire, compiacendosi quasi della sua condizione di poeta maledetto: di qui l'immensa fortuna di un poeta, come Baudelaire, che ha compiuto uno scandaglio degli abissi più segreti dell'anima, conservando una struggente nostalgia di cieli infiniti: tra vertigini sublimi e rovinose cadute, la poesia di Baudelaire tende all'estremo approdo di una pace da conquistare nel "pomeriggio senza fine" della Morte e del Nulla.