Giambattista Vico

Filosofo e scrittore italiano (Napoli 1668 - 1744), figlio di un modesto libraio, studiò soprattutto per conto proprio, tanto da definirsi autodidascalico nella sua Autobiografia del 1725. Intraprese studi umanistici e filosofici, sulle discipline giuridiche, particolarmente sul diritto civile e canonico; tra il 1686 e il 1695 fece il precettore in Vatolla nel Cilento, approfondendo la conoscenza delle opere di Agostino e dei neoplatonici italiani, di Tacito e del pensiero politico moderno. Tornato a Napoli ottenne la cattedra di eloquenza presso l'università. Tra il 1699 e il 1708 - Orazioni inaugurali; 1709 - Criterio degli studi del nostro tempo, prese posizione contro l'orientamento eclettico e innovatore diffusosi nella cultura napoletana, influenzata dalla filosofia francese e dal cartesianesimo, interessata soprattutto a problemi gnoseologici e scientifici. Ridimensionando le pretese della conoscenza umana, Vico prospettava un sapere incentrato sul mondo umano, la società e la storia, temi cui avrebbe dedicato la meditazione di tutta la vita. Nel 1710 - Dell'antichissima sapienza degli italici in cui afferma l'importante principio verum ipson factum, si conosce solo ciò che si fa, ponendolo a garanzia della superiorità della scienza matematica su quelle naturali. Tra il 1720-27 - Diritto universale, in cui indica nelle istituzioni giuridiche l'espressione più significativa della civiltà. Nel 1725 - Principi di scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, I edizione, del 1730 e 1744 altre due edizioni. La scienza, di cui Vico intende essere fondatore, è la storia: il criterio del verum factum lo porta ad affermare che solo di sé e del proprio passato l'uomo può acquisire un vero sapere, simile alla conoscenza che il Creatore ha del mondo naturale. Proprio della storia è sia l'accertamento dei fatti, compito della filologia, sia la spiegazione del loro corso ideale, fornita dalla filosofia. Lo sviluppo storico avviene per Vico secondo tre fasi: del puro sentire, della fantasia, della ragione a cui corrispondono le tre età: degli dei, degli eroi, degli uomini. In ciascuna di esse tutte le manifestazioni letterarie e giuridico-politiche si organizzano secondo modalità autonome e differenti: religioso-teocratiche, mitiche e aristocratiche, razionali e democratiche. Superata così l'idealizzazione dell'antichità, Vico si persuade che la storia procede da una condizione primitiva, condizionata dalla sensibilità e dalla fantasia, all'affermazione dei valori razionali. Nella seconda e terza edizione del 1730 e 1744, dedicati alla sapienza primitiva e alla discoverta del vero Omero, riafferma appunto l'autonomia del mondo antico, riconoscendo l'insuperabilità delle sue forme poetiche, associate a una sapienza non filosofica. Vico non esclude il regresso, dopo la ragione, a una barbarie rinnovata; riprendendo una concezione ciclica, egli propone una teoria dei ricorsi storici, che vede nel Medioevo il ritorno allo stadio primitivo. La considerazione dell'inevitabile trapasso delle nazioni da una fase di splendore a una di decadenza e dissolutezza induce Vico a introdurre nella spiegazione storica il criterio dell'intervento divino e a definire la storia stessa teologia civile ragionata. In questo senso, la scienza storica vichiana si concilia con una visione provvidenzialistica, che attribuisce a Dio stesso sia l'impulso dell'uomo a uscire dalla bestialità originaria verso l'affermazione degli ordinamenti civili sia la sua capacità di trarre dagli stessi vizi umani e dalle alterne vicende delle nazioni risultati positivi. Incompreso dai contemporanei nella sua portata innovativa, il pensiero di Vico, che fu confinato fino alla fine del secolo XVIII nell'ambito napoletano, suscitò vasto interesse anche all'estero durante il periodo romantico. Attenuatosi nella fase positivista, lo studio di Vico ha riacquistato centralità col neoidealismo italiano, soprattutto per opera di B. Croce.