Gen. Capello
Su Giornali Gen. Capello

 

Le “idee parlate” del generale Capello

 

Caporetto, perché? Con questo libro di documenti e memorie, il generale Capello, capo della II armata, vuole giustificarsi con la Commissione d'inchiesta su Caporetto, ritenendosi un generale moderno perché psicologo, attento ai processi collettivi, alle cause dei comportamenti interiori e alle possibilità di imprimere loro una direzione piuttosto che un'altra. Nel capitolo della memoria dedicata all’esame dello spirito delle truppe della II armata, Capello accentua la nota tesi del disfattismo serpeggiante e crescente tra i soldati, lungo l’arco del ’17, sia per effetto di specifiche azioni eversive di gruppi ostili alla guerra, sia più in generale come conseguenza del carattere dell’italiano, inadatto alla vita militare, considerate le concause psico-sociali che stanno a monte del conflitto. Il conflitto, però, può offrire l’occasione storica per porvi rimedio, per modificare i comportamenti rimovendo le cause antiche e recenti. Il generale Capello combina assieme alla repressione del fronte, un altro elemento, l’educazione. Attraverso la “contropropaganda”, attuata tramite la repressione pedagogico-politica con azione collettiva, si cerca di rifondare il carattere dell’italiano. Per attuare quest’azione pedagogica Capello, fin dai primi giorni d’assunzione del comando della zona di Gorizia (marzo 1917), seleziona parecchie decine di candidati oratori, tra ufficiali e graduati, ai quali distribuisce e illustra “alcuni temi d’indole morale e tecnica particolarmente adatte alle menti degli ascoltatori”. La ricchezza di elaborazione delle équipes tecnicamente selezionate dall’apparato propagandistico del ’18 non ha evidentemente a che fare con il volontarismo accentratore di un generale pur brillante. Differenti sono la matrice, l’articolazione tecnica-didattica e il contenuto, reso più unilaterale negli spunti proposti dal generale da un esplicito programma di riconversione ideologico-emotiva del soldato in senso aggressivo e guerriero, in contrasto con l’indole non-violenta dell’italiano. In proposito, la circolare emanata dal comando di zona in data 17 marzo 1917 sui temi di conferenze per ufficiali e truppa rileva:

              “I nostri soldati appaiono ai nostri occhi quali essi veramente sono bravi figlioli dall'anima mite, alieni dalla violenza, reattivi soltanto ad un offesa diretta. Una vendetta nemica si scopre? Essi la risparmiano. Una pattuglia nemica giunge audacemente in una loro trincea? Ed esse non sentono la necessità di ghermirla od annientarla a colpi di baionetta. Una siffatta natura non può dall'avversario - tanto dissimile - essere giudicata che in modo insultante per noi e conferisce a lui il convincimento di una superiorità che, se pur basata sulla sola presunzione, si risolve in un grande fattore di forza.

              Ne è prova la sfida che vedette e uomini isolati ci lanciano, scoprendosi da i loro appostamenti, sicuri dalle impunità. Ogni soldato italiano deve considerare il nemico con occhio che si spinge al di là dell'offesa che da lui può venire alla propria persona e federe in ogni soldato austriaco il nemico secolare. Ogni nostro soldato deve, di fonte all'austriaco, esercitare funzione di vendicatore e giustiziere. Deve spegnersi in lui quel pericoloso sentimento, quasi di pietà per l'avversario, che può sorgere dalla comunanza di sofferenze e di pericolo, e deve cessare quell'amore di quiete che lo trattiene dagli atti provocatori per la speranza di reciprocità di trattamento.

              Ogni soldato chiami a raccolta tutte le sue energie e procuri di non dare mai tregua al nemico; lo ricerchi ovunque, attraverso il mirino del proprio fucile, lo provochi arditamente quando si rimpiatta nei suoi ripari, lo scovi là dove si nasconde, per inchiodarlo inesorabilmente con la propria baionetta. Ogni suo pensiero e ogni sua azione sia un atto di offesa portata contro l'avversario.

              Quando il nemico sarà convinto che il fucile del soldato italiano non falla e che la baionetta non perdona e sentirà l'insidia circondarlo da ogni parte, di giorno o di notte, allora la vittoria sarà quasi raggiunta. Occorre quindi che noi stessi trasformiamo la nostra anima. Taluni sentimenti che in tempi normali rivelano l'uomo civile, peccano di anacronismo in tempo di guerra e diventano delittuosi di fronte allo scopo da raggiungere.”