Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

  Home Frenis Zero

        

 

 

    "RICORDARE, RIPETERE E NON ELABORARE: SULLA POSSIBILITA' DI INTERAGIRE NEL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE"

 

 di Hans-Jürgen Wirth

 

 

 

 
Hans-Jürgen Wirth è psicoanalista e terapeuta analitico familiare, membro dell'Associazione Psicoanalitica Tedesca (DPV) e dell'I.P.A.. E' Professore di Psicoanalisi, con particolare interesse per la prevezione, la psicoterapia e la psicologia sociale ad orientamento psicoanalitico, presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sanitarie dell'Università di Brema. E' maestro di conferenze di psicoanalisi, di psicoterapia basata sulla psicologia del profondo e di terapia sociale e familiare orientata in senso psicoanalitico presso l'"Istituto per la Psicoanalisi e la Psicoterapia di Giessen", un Istituto facente parte dell'Associazione tedesca di Psicoanalisi. E' anche editore e proprietario della casa editrice "Psychosozial-Verlag", curatore della collana di libri "Bibliothek der Psychoanalyse", ed è autore di numerose pubblicazioni e libri, tra cui il recente "9/11 as a Collective Trauma and other Essays on Psychoanalysis and Society" (The Analytic Press, ISBN 0-88163-434-4).

 Il presente articolo è stato presentato al Congresso Internazionale dell'I.P.A. del 2007 a Berlino. La traduzione in italiano è di Giuseppe Leo.


 

 

 

 

 

Quando Anwar Sadat, l'allora presidente dell'Egitto, fece la sua storica visita in Israele nel 1977, dichiarò che il 70 per cento dei problemi tra Arabi ed Israeliani erano psicologici. Comunque, entrambe le parti hanno continuato ad ignorare le motivazioni emozionali ed i processi inconsci che alimentano questo conflitto. Quello che Carlo Strenger1 fa e quello che noi faremmo è cercare di dare delle risposte all'indiretto invito di Sadat. Gli psicoanalisti hanno molto da dire circa le emozioni inconsce su un piano individuale, ma il nostro lavoro qui è quello di sviluppare una psicologia del grande gruppo cercando di capire le motivazioni inconsce di entrambi i "leaders" e delle loro nazioni senza condannare alcuno di essi (Volkan 2004, Falk 2004, Wirth 2007).

 

                

La sindrome del fanatismo

                    

I terroristi, in particolare quelli suicidi, sono essi stessi fanatici e sono guidati da "leaders" fanatici. Seguendo Erich Fromm voglio sottolineare la "passione" del fanatico e la sua  "sconsideratezza" sulla base delle quali egli, "senza compromessi" ed in modo "rigido", difende la sua "idea carica di sopravvalutazione" (Hole 1995, p. 37). Il fanatico ha ucciso tutti i sentimenti per gli altri e ha proiettato loro in quel partito o gruppo la cui ideologia gli sembra ragionevole. Egli idolatra la collettività e la sua ideologia condivisa, di cui è diventato schiavo. La sua completa sottomissione a questo idolo crea una passione dentro di lui la cui qualità emozionale Erich Fromm caratterizza come "fuoco freddo" e "ghiaccio che brucia", ma anche come "passione mancante di calore". <<Il fanatico agisce, pensa e sente per conto del suo idolo>> (1961, p. 61) ed è preparato a sacrificare per esso qualsiasi cosa egli abbia ancora caro nella vita.

Ad esempio, il palestinese Nizzar Iyan a confessato in un'intervista ad un giornalista tedesco che trovò la sua più grande realizzazione nel sacrificio dei suoi figli come terroristi suicidi nella lotta contro Israele. Quando suo figlio diciassettenne Ibrahim perse la vita in un attentato suicida, suo padre disse: <<Mio figlio Ibrahim è morto. Non mi sono mai sentito più felice di quel momento, quando vennero e mi dissero: "Gli ebrei hanno ucciso tuo figlio">>. E quando l'intervistatore chiese, <<Ma lei, dopo tutto, lei è suo padre, lei deve provare dolore>>, il padre rispose, in modo fermo <<Sono onesto, sto dicendo questo al di fuori delle mie convinzioni, non sento afflizione, sento gioia, vera gioia, che mio figlio ha realizzato una parte di ciò in cui credevo. La vita non ha sapore quando non si possono realizzare i propri sogni e le proprie mete>>.

E' questo padre uno di quei tipici fanatici che "piazzano idee sulla gente", uno di quelli il cui "dedicarsi alle idee è abnormemente potente, mentre il loro dedicarsi alla gente è stranamente bloccato o difettoso" (Hole 1995, p. 93)? <<Teoricamente parlando, il fanatico è una personalità notevolmente narcisistica>> (Fromm, 1961, p. 61).

Ma è questa veramente l'intera storia? Ipotizzo che questo padre palestinese in quanto individuo sentisse la stessa disperazione, lo stesso dolore e la stessa afflizione di qualsiasi altro padre quando apprese della morte del figlio. Ma oltre ad essere un individuo, i suoi sentimenti sono influenzati dal fatto che egli appartenga al gruppo nazionale dei palestinesi. Egli non ha solo un'identità individuale, ma anche una collettiva. E questa identità collettiva gli dice che è un grande onore per lui sacrificare suo figlio nella guerra santa. Specialmente in tempi di guerra, di trauma e di ansietà, il fatto di essere parte di un vasto gruppo ha un enorme impatto sui sentimenti e sul pensiero della gente.

 

 

Come diventare un terrorista?

Sappiamo poche cose sui terroristi suicidi palestinesi. In particolare, i giovani che partono volontari per gli attacchi suicidi sono stati sottoposti ad un costante trauma sin dall'infanzia. Per quanto povere, miserabili e deprimenti possano essere le loro vite, un'identificazione assoluta con gli ideali del gruppo compensa gli individui per le loro disgrazie. Il "narcisismo sociale" - come ha sottolineato Fromm (1964, pp. 62-94), fornisce un importante sostegno per l'autostima di un individuo.

Alcuni degli odierni terroristi islamici possono essere stati traumatizzati nei campi profughi, reclutati lì da parte di vari servizi segreti, ed allevati ed educati in speciali scuole coraniche e campi di addestramento. Nella solitudine di tali campi, le comunità funzionano come sostituti delle famiglie ed i loro "leaders" fanatici come figure genitoriali sostitutive in modo tale che i bambini e gli adolescenti sviluppano un'intensa dipendenza emozionale ed intellettuale.

Questa dinamica, in particolare, si applica alle persone che vivono nei campi profughi in condizioni miserevoli per svariate generazioni, che vengono traumatizzate dalla presenza giornaliera di comportamenti violenti. Comunque, i terroristi dell'attacco a New York dell'11 settembre non erano palestinesi, ma studenti ben educati.

Come ben esprime Otto Kernberg (2002), la traumatizzazione non deriva solo dalla violenza sperimentata di persona, ma anche dalle azioni violente di cui uno è stato testimone. Tali processi sono andati avanti nel Vicino Oriente per decenni. Attraverso la loro identità collettiva, gli arabi si sentono vicini alle sofferenze dei palestinesi. Essi simpatizzano (che significa originariamente: soffrire con) con i palestinesi e hanno sviluppato un odio collettivo per Israele e gli Stati Uniti, ed in parte anche per il Mondo occidentale come un tutt'uno. Alcuni individui possono sentire un particolare dovere nel sostenere i palestinesi nella loro lotta contro Israele  e contro il suo protettore potente a causa della loro posizione privilegiata.

Persino i terroristi tedeschi della RAF ("Red ArmyFraction", che lanciarono attacchi terroristici contro rappresentanti simbolici del governo e del sistema economico capitalistico durante gli anni '70, erano motivati da alti principi morali e coinvolti in vari progetti sociali prima di esserlo nelle loro attività violente. Come ho scritto altrove, questi terroristi tedeschi sono "delegati inconsci" (Stierlin 1978) dei loro genitori. In un certo senso non agivano volontariamente ma inconsciamente, per conto dei loro genitori, presi in un conflitto trans-generazionale (Wirth 2007).

I terroristi islamici che si uniscono alla guerra santa sono spesso presi in un simile contesto generazionale: le famiglie arabe privilegiate, da una parte, vivono in una prosperità quasi inimmaginabile e godono del lusso della società occidentale, eppure, dall'altro lato, sostengono l'odio contro l'Occidente. Questo doppio registro presenta un difficile conflitto nello scontro tra le generazioni che sono risolute nel fatto che i figli delle famiglie privilegiate economicamente, talora per un ordine conscio talaltra inconscio da parte dei genitori, si uniranno alla guerra santa, la sola cosa di cui i loro padri parlano e sognano. Dopo l'11 settembre si sono trovate molte informazioni sui gruppi terroristici sostenuti finanziariamente da numerosi uomini d'affari islamici che con successo conducono i loro affari in Europa e negli Stati Uniti e salvano le loro coscienze islamiche grazie a tali donazioni.

Lasciatemi concludere con una nota sui parallelismi tra israeliani e palestinesi: entrambi i gruppi sono composti da sopravvissuti e rifugiati vittime di traumi. Entrambi i gruppi soffrono di profonde ferite narcisistiche collettive. Ambo le parti hanno buone ragioni storiche per sentirsi proprietari di Israele o della Palestina. Sotto la pressione della lotta sanguinosa tra di loro per decenni, entrambi i gruppi anno sviluppato un atteggiamento paranoico. La visione paranoica del mondo tiene ciascun gruppo insieme come il muro di cinta di una fortezza. Dal mio punto di vista, ci sono due problemi psicologici principali:

1. Da una parte, la visione paranoica del  mondo è un meccanismo di difesa e, dall'altra, è ancorata alla realtà. Ciò significa che si possono trovare molte buone ragioni per avere una visione paranoica del mondo. E questo significa che è molto difficile cambiare una tale visione paranoica del mondo.

 

2. Ognuna delle parti dà all'altra buone ragioni per aderire alla propria politica. Ambo le parti interagiscono in un modo che i terapeuti della coppia di orientamento psicoanalitico descrivono come collusione; ciò significa un gioco inconscio di due 'partners' che si sono scelti e che fanno un gioco di squadra talmente buono tra di loro che - in un certo modo - si completano vicendevolmente. I sadici ed i masochisti formano una tale coppia collusiva complementare. La collusione narcisistica è anche molto comune.

<<E' molto arduo per le persone traumatizzate nel loro dolore emozionale essere consapevoli del dolore degli altri ed empatizzare con loro>> (Falk 2004, p. 90). Forse possiamo discutere in che modo gli psicoanalisti possano contribuire a trovare una via di uscita a questa interazione collusiva distruttiva.

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 
Note del curatore:

(1) E' un altro partecipante al "Panel" del 27 luglio 2007 in cui è stata presentata dal dottor Wirth questa relazione.

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Falk, A. (2004): Fratricide in the Holy Land. A Psychoanalytic View of the Arab-Israeli Conflict. Madison, Wisconsin (The University of Wisconsin Press).

 

Fromm, E. (1961): May Man Prevail? An Inquiry into the Facts and Fictions of Foreign Policy. New York (Doubleday).

Fromm, E. (1964): The Heart of Man. Its Genius for Good and Evil. New York (Harper and Row).

Hole, G. (1995): Fanatismus. Der Drang zum Extrem und seine psychologischen Wurzeln. Giessen (Psychosozial-Verlag).

Kernberg, O.F. (2002): "Sanctioned Social Violence." In: International Journal of Psychoanalysis 84 (2003): pp. 683-698, 953-968.

Stierlin, H. (1978): Delegation und Familie. Beiträge zum Heidelberger Familiendynamischen Konzept. Frankfurt a.M. (Suhrkamp).

Volkan, V. (2004). Blind Trust. (Pitchstone Publishing).

Wirth, H.-J. (2005): 9/11 as a Collective Trauma and other Essays on Psychoanalysis and Society, NJ (The Analytic Press/ Psychosozial-Verlag).

Wirth, H.-J. (2007): Narcissism and Power. On the Psychoanalysis of Mental Disorders in Politics. Giessen (Psychosozial-Verlag).

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007-2008-2009