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Ciò che mi
propongo di delineare, attraverso questo intervento, sono le
molteplici caratteristiche necessarie per un sostegno psicologico al
paziente laringectomizzato e ai suoi familiari. Credo che un buon modo
per comprendere la tipologia degli interventi di sostegno, sia quello
di rispondere a quattro domande: 1) Sostegno a cosa? 2) A chi? 3)Per
quanto tempo? 4) Come?
All’interno
della prima domanda “cosa dobbiamo sostenere” è inevitabilmente
inclusa l’esigenza di definire le problematiche psichiche e sociali
conseguenti alla laringectomia totale. Lo specifico di questo
intervento, come ben sappiamo, risiede nella perdita della voce,
perdita che comporta al contempo una mutilazione e una disabilità. E’
fondamentale intendere la voce non solo come atto fonopoietico, ovvero
come veicolo comunicativo verbale, bensì come una significativa
esperienza di sé che si realizza nell’atto di parlare (esperisco me
stesso attraverso la mia voce, ‘io sono nella mia voce’) e
contemporaneamente una espressione di sé in relazione con l’altro (mi
mostro e spiego agli altri chi sono, come mi sento) (Mancia 2003,
696). A prescindere dal contenuto, quindi, la voce comunica prima di
tutto l’unicità di chi la produce, nonché l’unicità di quella
specifica relazione che si instaura tra gli interlocutori (Biferale e
Toti, 2007). La voce è insieme suono e respiro, nasce dal corpo (ibid.)
ed è influenzata da tutte le esperienze più o meno traumatiche vissute
dall’individuo lungo la sua vita. Si definisce quindi come narrazione
e memoria di ogni persona (Pigozzi, 2008) entrando pertanto a far
parte di quegli elementi che vanno a formare la nostra identità. In
questo senso quindi, un paziente laringectomizzato affronta una vera e
propria perdita di una parte della sua identità, una mutilazione
appunto. Un’identità, quella vocale, che comincia a formarsi
all’origine della vita: ciascuno di noi nel venire al mondo con il suo
primo respiro, con il suo primo grido si individua come persona unica
e separata (Di Benedetto, 2000). I vocalizzi successivamente
permettono al lattante di avere una prima misura del tempo nella
continuità delle esperienze e dei vissuti arcaici: per es. i vocalizzi
che spesso accompagnano il risveglio permettono di segnare il
passaggio dall’assenza di temporalità del sonno alla temporalità dello
stato di veglia, proponendo una successione di elementi discontinui in
contrasto con l’esperienza lineare del sonno (Di Benedetto, 1997,
2000). Ed ancora il grido e la sua qualità permettono non solo
all’adulto di comprendere il neonato, ma servono al piccolo stesso
come definizione di ciò che di confuso accade nel suo corpicino,
caratterizzando così ciò che gli accade (Freud, 1895). La voce si
delinea pertanto come elemento costitutivo della mente e
dell’identità. Inoltre anche attraverso la vocalità non verbale, priva
quindi delle parole, tutti noi instauriamo le nostre prime e
significative relazioni che diventeranno matrice e fondamenta per
tutte le nostre relazioni future. L’utilità e il valore della vocalità
non si perde crescendo, in quanto “ogni discorso è composto da due
elementi: le parole e i toni, con cui esse vengono pronunciate, cioè i
segni delle idee (pensieri verbali) e i segni dei sentimenti (segni
musicali)” (Spencer in Di Benedetto, 2000). Le informazioni che
passano attraverso la vocalità sono estremamente significative,
infatti non tutto ciò che è il sentimento e il vissuto può essere
tradotto in parola, molto può essere unicamente espresso appunto
attraverso la voce. Dopo l’intervento, tale segno ‘musicale’, dei
sentimenti, viene momentaneamente perduto e in seguito rimane
ampiamente impoverito.
Contemporaneamente anche il ‘segno delle idee’, le parole, presentano
per quanto riabilitate un importante disagio. Tale disagio deve essere
inteso non solo nel valore comunicativo nei confronti degli altri, ma
anche (come abbiamo visto) nei confronti di sé stessi. Nel paziente
laringectomizzato emerge una contraddizione: più ho bisogno di
esprimermi, meno riesco a parlare. Infatti più forte è l’emozione
provata, più ci sarà urgenza di comunicare tale vissuto, ma la
tensione a livello fisico si tradurrà in un’alterazione del ritmo
respiratorio, che produce spesso un’impossibilità transitoria di
parlare. E’ frequente sentire tra i laringectomizzati il
consiglio:“non emozionarti troppo!”, ciò porta a pensare che queste
persone debbano controllare già dentro al proprio corpo il vissuto
esperito, senza poterlo spostare sulla voce che è contemporaneamente
veicolo di scarica della tensione (quando ci arrabbiamo alzando il
tono di voce scarichiamo parte della tensione emotiva) e veicolo di
comunicazione (che permette l’intendersi e la possibilità di
richiedere e ricevere un sostegno) (Cusin e Zaccariotto, in attesa di
pubblicazione). Tale operazione produce inevitabilmente un notevole
disagio psichico che può sfociare anche in senso di impotenza,
inadeguatezza e rabbia. Situazioni di questo tipo si possono rinnovare
anche più volte in una stessa giornata (pensiamo a tutte le volte che
ci arrabbiamo nel traffico o viviamo un profondo coinvolgimento
affettivo con un nostro caro).
Inoltre la
nuova voce porta in sé un’altra contraddizione estremamente dolorosa:
essa è una voce o troppo bassa o troppo alta. Troppo bassa per es.
quando in un bar si deve ordinare qualcosa, o quando si vuole
scambiare due chiacchiere lungo una strada trafficata, troppo alta al
ristorante o al teatro. Tali vissuti producono spesso senso di
inadeguatezza, vergogna, impotenza e talvolta possono portare la
persona laringectomizzata ad un ritiro più o meno ampio dalle
situazioni sociali. Ciò può implicare un aumento della sensazione di
solitudine e un aumento della dipendenza verso i familiari più
stretti. Infine il laringectomizzato, il suo coniuge e la sua famiglia
dovranno affrontare un periodo più o meno lungo di adeguamento al
nuovo stile comunicativo. In tale situazione possono emergere vissuti
di fastidio, rabbia e sconforto in tutti gli interlocutori che sono
abituati ad un intendersi veloce e complice, da lunghi anni. Ecco
dunque emergere la disabilità, connessa alla perdita della voce,
contemporaneamente su due livelli: individuale e relazionale.
Diveniamo così,
man mano consapevoli che la disabilità comunicativo-relazionale
(facilmente osservabile) sia solo la punta dell’iceberg della perdita
della voce per tutto il valore contenuto e veicolato da essa.
Non è difficile
comprendere, a questo punto, come nel paziente laringectomizzato
possano emergere ed essere verbalizzati, con grande sofferenza ed
angoscia, vissuti di deumanizzazione/squalificazione, per la perdita
dell’articolazione della parola (‘segno delle idee’), abilità
percepita come il distinguo tra l’essere umano e l’essere un animale
(Cusin, Zaccariotto, in attesa di pubblicazione). Allora quel buco e
quello svuotamento chirurgico non rimangono più dei fatti unicamente
corporei, diventano buchi e svuotamenti dell’identità, dell’immagine
di sé e delle modalità relazionali della persona. A livello psichico
pare venir a mancare un filtro (come quello rappresentato fisicamente
dal naso e dalla bocca) e tutto tocca in maniera più diretta, intensa,
dolorosa. L’accettazione del tracheostoma, dell’essere
laringectomizzati diventa, quindi, un processo psichico di notevole
ampiezza, che viene influenzato inevitabilmente dalla soggettività di
ciascun individuo, nonché dalle caratteristiche della rete familiare
in cui è inserito.
Inoltre è
indispensabile tenere conto che il paziente laringectomizzato non è
solo mutilazione e disabilità vocale, ma è anche un paziente
oncologico. Di primo acchito può sembrare un’affermazione banale, ma
spesso vedendo la voce e lo stoma come indice e specificità del
laringectomizzato il sostegno può tendere a lasciare in secondo piano
tale aspetto. E’ invece fondamentale porre l’attenzione verso gli
intensi vissuti che caratterizzano questa situazione: incertezza,
forte impotenza e angoscia di morte.
Infine
occuparsi di questi pazienti significa, nella maggioranza dei casi,
lavorare con persone che stanno entrando o attraversando la terza età.
Tale fattore implica ulteriori specificità al nostro intervento di
sostegno, che deve conoscerne e affrontarne i principali cambiamenti
sociali. Ne cito velocemente alcuni: il pensionamento e la conseguente
perdita del ruolo lavorativo; modificazione della struttura familiare
e perdita del ruolo di genitore, tali aspetti spesso sono ritenuti
basilari per la propria identità e per l’immagine di sé; il dover
affrontare una molteplicità di eventi stessanti come la diminuzione di
alcune abilità (connesse anche alle modificazioni biologiche che si
registrano nel sistema nervoso, cardiovascolare, respiratorio,
endocrino, scheletrico, muscolare, urinario e genitale), la maggior
vulnerabilità in generale e alle malattie; i frequenti lutti di amici
coetanei, tutto ciò può produrre forme depressive più o meno
transitorie (Baroni, 2003).
Per quanto
detto fin qui, la laringectomia è un evento traumatico che colpisce
l’individuo nella sua globalità, producendo delle significative e
talvolta severe modificazioni della vita quotidiana. In maniera
complementare anche i familiari dovranno affrontare le stesse
difficoltà del laringectomizzato. Il processo di accettazione di
questa mutilazione e disabilità coinvolge pertanto tutto il gruppo
familiare che sarà impegnato direttamente in un percorso
psico-affettivo. Pensiamo per es. a quando cuciniamo una torta, tutta
la cucina inevitabilmente si impregna de suo profumo, allo stesso modo
un evento traumatico di questo rilievo impregna il nucleo familiare.
Quindi i familiari, sono sì una risorsa per il paziente
laringectomizzato (infatti grazie alla loro presenza il malato
affronta più positivamente e facilmente il drastico cambiamento di
vita), ma è necessario comprendere e tenere a mente che anch’essi
affrontano un evento traumatico presentando così propri disagi,
sofferenze e angosce.
Siamo giunti
così a rispondere alla seconda domanda, ovvero “chi dobbiamo
sostenere”? Come abbiamo visto: il malato, ma anche il suo coniuge e
la sua famiglia ed infine la società. Va da sé che per ogni
destinatario sia necessario proporre un percorso di sostegno adeguato
e specifico nelle modalità e negli obiettivi. Nel definire la nostra
identità è imprescindibile il ruolo giocato dall’ambiente in cui siamo
inseriti, ambiente che influenza questo percorso di definizione, ma
che anche riconosce o meno i termini attraverso cui ci definiamo,
dandoci un fondamentale feed-back per percepire il nostro senso di
identità (non c’è leader senza un gruppo che lo riconosce come tale).
Diventa quindi importante incentivare un sempre maggior riconoscimento
sociale dell’identità del laringectomizzato, proprio per dare un
adeguato feed-back a queste persone. Sottolineo come questo debba
rimanere un processo di riconoscimento, non di stigmatizzazione, che
come suggerisce la parola, trasformerebbe il processo fluido e di
sostegno per l’individuazione, in una statica e nociva stereotipia.
Per esempio i pazienti laringectomizzati e i loro familiari vengono
sostenuti in maniera indiretta attraverso proposte sociali di
sensibilizzazione e di informazione come conferenze e seminari che
trattano da diversi punti di vista (medico, logopedico, psicologico
ecc.) la loro malattia e le sue conseguenze.
Quanto deve
durare, quindi, l’intervento di sostegno? Per quanto detto finora, a
livello psico-affettivo e a livello sociale questo evento traumatico
dà avvio ad un lungo e complesso percorso che necessita un supporto
mirato, differenziato e costante sul lungo termine. Se questo è il
pensiero e la consapevolezza di chi opera per il sostegno del paziente
laringectomizzato e dei suoi familiari, è necessario riconoscere che
le nostre proposte si incrociano con due fattori a cui dobbiamo
rivolgere la massima attenzione (per dare efficacia al nostro
intervento): la capacità di richiesta di aiuto e la volontà personale
e familiare. La richiesta di aiuto non può essere intesa come
un’esigenza inevitabile e spontanea, bensì anch’essa è da considerare
come il risultato di una prima tappa del processo avviato dall’evento
traumatico. Di conseguenza anche la richiesta d’aiuto è influenzata e
determinata dalla soggettività del singolo individuo e dalle
caratteristiche della sua rete familiare. In linea con questo
ragionamento si pone anche il fattore ‘volontà’, volontà che non
sempre sostiene in maniera costante e congruente le scelte prese
dall’individuo e dai suoi familiari rispetto alla situazione di
difficoltà. Noi operatori con i nostri interventi dobbiamo, dunque,
essere estremamente flessibili e pronti a rispondere in maniera
adeguata alla richiesta attuale di ogni persona. E’ attraverso la
nostra presenza sempre e comunque, attraverso la continuità delle
azioni di sostegno a prescindere dalla partecipazione di una
determinata persona, che possiamo trasmettere loro la costanza di
interesse e la certezza dell’esistenza di forme di aiuto non invasive,
ma profondamente rispettose del volere di ogni persona e dei suoi
tempi.
A livello
concreto quali sono le modalità di sostegno? Innanzitutto quando ci
troviamo ad organizzare e a realizzare una forma di sostegno è
necessario saper individuare ed utilizzare le risorse presenti nel
sistema in cui e per cui lavoriamo. In questo caso specifico, mi pare
ne emergono tre:
1) La spinta
naturale alla comunicazione e il desiderio di esprimersi. Essendo tale
desiderio un’esigenza primaria, l’importanza per la persona di
riacquistare la voce produce più facilmente (quindi non sempre)
l’interesse verso attività rieducative e di sostegno.
2)
L’associazione dei laringectomizzati. Le persone iscritte a questa
associazione, infatti si attivano con molta sensibilità, attenzione,
capacità e costanza per creare un ponte con i nuovi laringectomizzati.
Il ruolo rivestito da questa associazione è estremamente rilevante,
delineandosi contemporaneamente come risorsa e come sostegno.
L’associazione offre infatti sia un aiuto di tipo tecnico
(distribuzione presidi-sostegno alla rieducazione vocale e alla
motivazione- informazioni sulla gestione dello stoma- contatto con
medici, logopediste, psicologi) sia un sostegno di tipo affettivo e
ricreativo creando una rete sociale dove è possibile il confronto
delle esperienze e dove si instaurano forti legami relazionali. Il
messaggio trasversale che viene emesso da questa associazione sembra
essere: “non sei solo, anche tu puoi parlare!”
3) Frequente e
protratto contatto con la struttura ospedaliera. La necessità di
visite di controllo, terapie riabilitative e altro, permettono agli
operatori di poter proporre in differenti momenti le diverse attività
di sostegno presenti, favorendo così il passaggio dall’una all’altra.
Per la persona invece, tale contatto permette di poter scegliere su un
arco di tempo più lungo se usufruire o meno delle attività di sostegno
presenti, in base alla volontà di quel specifico momento.
In questa
situazione gli obiettivi generali delle proposte di sostegno
potrebbero essere: far sentire l’interesse verso la persona e la sua
condizione, favorendo la costanza di un contatto umano; rendere le
persone che si rivolgono a noi man mano più attive ed autonome;
aiutare a guardare e aver cura dello stoma sia a livello fisico che
psichico, infatti se non si riesce a guardare a livello
psico-affettivo lo stoma, a pensare a questa modificazione in termini
di immagine di sé e di identità, difficilmente la persona potrà
occuparsi fisicamente in maniera adeguata dello stoma, ma anche
viceversa, imparando pian piano ad occuparsi fisicamente dello stoma
la persona impara a pensare e ad accettare lo stoma a livello
psichico; ed infine è necessario stimolare la ripresa della socialità.
A livello
psicologico credo che una proposta fondamentale sia il gruppo di
auto-aiuto ovvero uno spazio che come un contenitore, crea un luogo
relazionale e mentale dove vengono accolti vissuti ed emozioni
estremamente dolorosi e dove al contempo viene facilitato il movimento
di pensiero. Questo spazio permette così di bonificare, per quanto
possibile, le narrazioni colme di sofferenza, angoscia e dolore
portate da queste persone, narrazioni che evidenziano una
discontinuità più o meno profonda (un buco appunto) nella percezione
del senso di sé. Il gruppo di auto-aiuto ha come obiettivo anche
quello di stimolare e rafforzare la rete sociale e affettiva in cui è
inserita la persona che partecipa agli incontri, nonché favorire la
circolazione di pensieri, vissuti e soluzioni relativi alle diverse
esperienze, facendo sì che la reciproca identificazione tra i
componenti del gruppo permetta ad ogni individuo di ampliare e
migliorare le sue risposte concrete, ma anche emotive, alla situazione
che sta affrontando.
Un supporto
psicologico potrebbe essere molto utile anche nell’immediato pre e
post intervento, inserito in un lavoro di equipe. Infatti, questi sono
i momenti in cui l’evento traumatico, che segna la narrazione e la
percezione di sé dell’individuo, è presente con tutta la sua
intensità.
A livello
tecnico-relazionale è fondamentale la terapia logopedica che per
quanto detto sulla voce, acquista significati ben più profondi della
mera riabilitazione fonetica. Il ridonare la voce, l’insegnare
nuovamente a parlare, infatti, sono azioni che si caricano di profondo
affetto: la logopedista è vissuta a tutti gli effetti come una nuova
mamma.
Credo, infine,
che la funzione di sostegno sia presente e trasversale, seppur a
diversi gradi e nelle specificità delle differenti competenze, a tutte
le figure professionali sanitarie che
entrano in contatto con il paziente
laringectomizzato e con i suoi familiari.
Bibliografia
:
BARONI M.R. (2003), I processi psicologici
dell’invecchiamento., Carocci, Roma;
BIFERALE S., TOTI R. (2007), “Il corpo
della voce, la voce dell’ascolto.”, Psychomedia;
CUSIN A., ZACCARIOTTO M. (in attesa di
pubblicazione), “La parola ritrovata. Resoconto su un lavoro di
gruppo orientato alla riappropriazione della parola dopo
l’asportazione della laringe.” in Curi Novelli M. (a cura di) Il
gruppo specializzato o monotematico., Franco Angeli Editore,
Milano;
DI BENEDETTO A. (1997), “Ascolto
psicoanalitico e ascolto musicale.” in Accerboni A.M., Schön A. (a
cura di) (1997), Le frontiere della psicoanalisi. Ascolto
psicoanalitico e orecchio musicale. Psicoanalisi e cinema., Borla,
Roma;
DI BENEDETTO A. (2000), Prima della
parola. L’ascolto psicoanalitico del non detto attraverso le forme
d’arte., FrancoAngeli, Milano;
FREUD S. (1895), Progetto di una
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MANCIA M. (2003), “Il sonno della memoria
genera mostri”, in Rivista di Psicoanalisi, n. 4, Borla, Roma ;
PIGOZZI L. (2008), A nuda voce. Vocalità,
inconscio, sessualità., Antigone Edizioni, Torino;
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