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Michele
Santangelo è pittore per vocazione. Egli sa che il suo lavoro sulla
tavolozza è duro come quello sui carri e sui campi di suo padre e sua
madre. [...] I maestri Santangelo se li è trovati da solo: sono i
pittori della grandezza e della miseria contadina, da Levi a Guttuso,
dai Messicani a Guerricchio. [...] Intanto il filo della pittura di
Santangelo si dipana. A poco a poco, gli oggetti si chiariscono, assieme
alle intenzioni, ed il linguaggio si fonde più docilmente al calore
dell’applicazione. Ad un certo punto la realtà diviene quasi
emblematica. [...] Il colore, questa forza suggestiva e suggestionante
dell’artista meridionale, viene smorzato: la linea di forzatura della
formula realistica passa – una volta ancora – attraverso la grafica.
Gli ultimi quadri di Santangelo rivelano una familiarità con il mondo
circostante che non ha più nulla di prestabilito”. |
“Caro
Michele, [...] Quelle tue prime pitture infantili stavano anch’esse
dentro a quel mondo adolescente contadino, ne derivavano o ne
partecipavano naturalmente. Ora è passato qualche anno, hai lavorato
molto rubando il tempo agli studi, trovando miracolosamente tele e
colori, e anche una piccola parte del tuo lavoro più recente basta a
fare un’esposizione, come questa di Matera. Qui, più che figure dei
contadini, ci sono gli oggetti, isolati in metafore poetiche, presi
insieme nella loro realtà attuale in un tempo in movimento e nel
ricordo presente di una immobilità secolare, nel modesto orgoglio di un
loro valore in sé, di simboli, di espressioni di un mondo contadino che
si rivela a se stesso. Sono ancora le cose reali del paese, le stesse
che fornivano i nomi al mondo poetico di Rocco Scotellaro: le foglie
delle piantine nei vasi di latta sui davanzali, le finestre come occhi,
i recipienti per la conserva lasciata ad asciugare al sole, i camini, le
grondaie, le cucine economiche: il paesaggio della vita quotidiana di un
paesetto lucano “nell’ombra delle nubi sperduto”. Oggetti, forme
pure, isolate, con la fiducia che esse abbiano per sé un valore
espressivo”. (dalla
Presentazione di Carlo Levi, Personale a “La Scaletta”, Matera 1968) |
“La
serie delle Avventure di Bartolomeo Colleoni in Basilicata è composta di cinque
quadri dipinti nelle estati del 1971 e del 1972. L’idea da cui è
partito Michele Santangelo è molto semplice. Proprio nel momento in cui
l’agricoltura della Basilicata interna andava letteralmente
scomparendo e con essa veniva progressivamente decadendo la figura, per
così dire storica, del mulo, [...] era
necessario fissare il mulo in tutta la sua evidenza figurativa, elevare
– appunto - un monumento alla sua forza ed al suo contributo alla
storia delle classi contadine. Ma proprio nel concepire quest’opera
nasceva una difficoltà di fondo: che cosa avrebbe potuto essere un
monumento al mulo in Basilicata? [...] Immaginare
un monumento occorreva rifarsi ad altre civiltà ed allora tanto valeva
risalire direttamente al Rinascimento, alla statua del Verrocchio,
collocata a Venezia. [...] Se queste erano le motivazioni che
spingevano Michele Santangelo ad affrontare il tema eroicomico di
Bartolomeo Colleoni in Basilicata: ovverosia di un nobile cavaliere che
in Basilicata avrebbe dovuto prendere la testa delle sue truppe montando
un mulo, i cui zoccoli sarebbero sprofondati in morbide argille; se tale
era il tema figurativo, occorreva metterlo in rapporto con il contenuto
e l’obiettivo veri dell’operazione: una statua equestre,
protagonista il mulo di Basilicata. Ecco
allora questa serie di quadri. Il monumento del Verrocchio viene
collocato dentro lo spazio lucano: uno spazio che è tutta la storia
della regione, così ampio com’è e così resistente alla mano
dell’uomo, così sonnolento e remoto ancora nei suoi dati fisici e
naturali, così disgregato e spietato. Affacciandosi da Tricarico da una
parte sul Bradano e dall’altra sul Basento, Santangelo poteva
cogliere, l’arido bruciato paesaggio cerealicolo dei demani comunali
delle Matine per un verso e, per l’altro, oltre le nebbie mattutine -
a volte più fitte di quelle stesse veneziane, di quelle padane - le
ciminiere delle industrie di base di Val Basento. Qui si manifestano gli
estremi opposti del sottosviluppo di Basilicata: l’arretratezza delle
strutture agricole ed il neocolonialismo delle cattedrali nel deserto. [...]
Una volta di più, con un pittore meridionale, siamo alle prese
con l’allegoria”. (dalla
Presentazione di Aldo Musacchio, "Le avventure di Bartolomeo
Colleoni in Basilicata ed altre storie, personale a “La Scaletta” di
Matera 1973). |
“I
dipinti di Michele Santangelo hanno incontrato il favore di artisti e
critici di fama. Amico di vecchia data, ho avuto la ventura di seguirne
il cammino e condividere i contenuti delle sue ricerche, a passo con i
tempi, pur senza indulgere a facili mode, in forme e colori aderenti e
comprensibili. Le sue tele rappresentano paesaggi lucani, alcuni ancora
incontaminati, altri ai margini di terre aggredite da vecchi e recenti
interventi dissennati”. (dalla
Presentazione di Rocco Mazzarone, Personale “Il paesaggio lucano nella
pittura di Michele Santangelo”, Palazzo ducale, Tricarico 1989). |
“L’essere
Michele Santangelo nativo di Tricarico ha significato la sua forza e
disperazione d’artista. tutto il peso schiacciante di una tradizione
che si racchiude emblematicamente nella figura del sindaco-poeta Rocco
Scotellaro. Un invito all’arte come impegno civile, alla militanza
meridionalistica cui volentieri Santangelo s’è piegato allacciando i
dovuti rapporti con riconosciuti maestri [...]. Il ciclo di opere che va
sotto il titolo “Omaggio al pittore di Policoro (V sec. a. C.)”,
ispirato al mito dell’epos
greco, racchiude i risultati ultimi della sua ricerca pittorica. Per
Santangelo, chimico di professione, aumenterebbe a dismisura il
contrasto interiore e costitutivo in senso artistico tra fabula
mitologica e processi ionizzanti, fantasia e ragione, mutos
e logos . [...] Quello degli artisti è sempre un viaggio alle
origini e Santangelo ci ha inserito di suo l’originario nascente muto
mondo contadino che nell’arcaico riconosce la primitiva identità”. (Franco Vitelli, ”Mito e
scienza nella pittura di Santangelo”, in Oggi e domani, XX, 5, 1992,
pp. 35-36) |
“[Negli
anni ’80 Santangelo] torna a dipingere la natura nelle sue componenti
cromatiche, dà espressione a superfici molto vaste con pochi elementi
compositivi, contando poco nell’aiuto della prospettiva. Le
composizioni diventano capolavori di musicalità coloristica, poiché
l’artista sa rompere la superficie, alternare varie tonalità di
colore ad una grafia ora tattile ora violenta, in un gioco di linee,
dando l’effetto di spazio, di profondità, di movimento continuo.
Nelle opere evidenzia quei caratteri che diventano processi di
conoscenza storica per comprendere tanto la natura e l’universo,
quanto l’uomo”. (Salvatore
Sebaste, “Michele Santangelo: il filo perduto della memoria
storica”, Basilicata Regione Notizie, 4, 1996, pp. 99-102) |