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Belgio
e Francia
di Davide Canepa
L'aereo si
posa sulla pista dolcemente, finalmente anche questa settimana è
finita. Prima. Giovedì sera. Questa trasferta proprio non ci voleva,
ancora tutti i
bagagli da fare, una moto ha da cambiare l'olio, le catene sono da lubrificare
e
speriamo che il Bestia sia riuscito a finire di fare le bagagliere. E
domattina alle sei
e mezza si deve partire.
La sveglia
è un incubo, sempre. Però stavolta lo spirito è diverso:
vacanza. Si
scende dal letto e ci si butta a capofitto sulle cose ancora da fare,
si riempono i
bauletti, si controlla ancora che ci sia tutto, soprattutto i documenti,
e poi via. Alle
sette e mezza, come da copione in ritardo. Appuntamento alle nove con
gli amici
bauscia (milanesi, n.d.a.) alla rotonda di Saronno, che neppure sappiamo
dove sia.
Pieno e tiratina,
l'autostrada è scorrevole, la tangenziale di Milano alle otto e
mezza un po' meno, ma arriviamo con soli dieci minuti di ritardo. Abbiamo
già
fatto 125km, in fondo è un ritardo veniale…
I ragazzi sono pronti, facciamo colazione e mentre ci si prepara a partire
Barbara diventa una specie di attrazione turistica. Possibile che nel
2000 una
ragazza che guida una moto sia ancora un Ufo, nella civilissima Brianza?
Bah.
Trasferimento
veloce, frontiera con la Svizzera, bollino autostrada e via, verso
il Gottardo, verso l'Europa. Poco traffico e il pensiero corre veloce
alla situazione.
Due Ducati Indiana, una 650 con oltre 50000km (Barbara) ed una 750 con
73000km all'attivo (Io). E gli amici hanno una Moto Guzzi Le Mans dell'81
(Pietro)
ed una Ducati Scrambler 350 del '75 (Fabio, fratello di Pietro che è
il proprietario
delle due moto). Più una Suzuki Bandit 400 (Roberto, amico d'infanzia
dei due e
cognato di Fabio), praticamente nuova. Qualche dubbietto sull'affidabilità
è
normale averlo… Abbiamo un sacco di strada da fare, e soprattutto un sacco
di
autostrada…
Il paesaggio
della Svizzera Italiana è confortante, come un'Italia più
pulita ed
ordinata. Pascoli verdi e mucche ovunque, graziosi paesini, l'autostrada
che scorre
fluida e mai monotona, le auto che passano veloci ma non troppo, i Tir
in
proporzione un po' di più. Poi il tunnel del San Gottardo. 17km
di incubo, di caldo
soffocante, di smog atroce che mozza il fiato e fa bruciare gli occhi.
Pensare alla
tragedia del Bianco è inevitabile, un senso di claustrofobia, di
disastro incombente,
divori i km uno dopo l'altro leggendo con ansia i cartelli che indicano
la distanza
dall'uscita, sperando di non frenare perché il Tir alle tue spalle
non avrebbe
neanche il tempo di capire cos'è stato quel colpo sotto la cabina.
Ma è così difficile
stare un po' più lontano?
L'uscita
è avidità d'aria fresca (anche troppo…), è ingorgo
per i lavori in corso
sull'altra corsia ma soprattutto è Svizzera Tedesca. Un altro mondo,
in cui per
prima cosa non capisci più cosa c'è scritto sui cartelli
stradali. Discesa e gallerie,
gallerie e discesa. Poi basta discesa, solo gallerie. Il sole è
rimasto aldilà del
tunnel, però non piove. Lucerna e poi Basilea, l'autostrada finisce
e ci ritroviamo in
un dedalo di cantieri, tunnel sotto e sopra il Reno, ingorghi e traffico.
Poi la
frontiera con la Francia e l'autostrada verso Strasburgo. Traffico veloce,
ma non
eccessivo, si bruciano le tappe, i km scorrono veloci sotto le ruote,
a sinistra i
Vosgi, a destra la Germania. E si pensa alla storia: quante volte la frontiera
si sarà
spostata, di qua e di là del fiume? A giudicare dai nomi delle
località direi
parecchie, visto che più che Francesi sembrano proprio nomi Tedeschi.
Mulhouse,
poi Colmar, infine Strasburgo.
Siamo arrivati
fin qua sotto un cielo color asfalto, ma ancora non è piovuto,
ci
infiliamo in città per cercare un albergo della catena Formula
1, sappiamo che ce
ne sono quattro ma non sappiamo dove sono. In centro però c'è
un Mercure,
albergo di lusso di proprietà dello stesso gruppo, dove infatti
appena entriamo ci
guardano come banditi. Poi però, molto gentilmente ci indicano
la strada. Che
ovviamente perdiamo quasi subito. Dopo un po' di giri e giravolte (ed
una bella
impennata liberatoria, grazie Attila!) troviamo l'albergo. Parcheggiamo,
scarichiamo i bagagli e andiamo a cercare una birra ed un ristorante.
Fare i
cinquanta metri tra albergo e ristorante a piedi è come fare la
doccia: un diluvio
che ci inzuppa totalmente. Roba da matti. Bella città, in ogni
caso, pieni di corsi
d'acqua e con la frontiera Tedesca ad un tiro di schioppo. Da rivedere
con più
calma.
Sabato mattina
sveglia, colazione, il ricordo delle troppe birre della sera
prima, la consapevolezza che la tappa sarà lunghetta. Strasburgo-Bruxelles
(o
quasi). Autostrada, autostrada, autostrada. Nel silenzio del casco ci
si guarda
attorno, i monti Vosgi non sono molto alti ma molto verdi. Tanti alberi
ed in ogni
radura mucche. Migliaia di mucche. Anche più belle di quelle svizzere,
tanto
decantate…
I km scorrono,
a novanta cento all'ora hai il tempo di pensare. E pensi alla
strada da fare, conti i km fatti, son già più di cinquecento,
sono quasi mille. Km e
autogrill, autogrill e km. L'autonomia delle Indiana si aggira sui 130÷150km,
quindi le soste son frequenti. Ma aiutano a riposare la muscolatura, senza
carena il
vento a cento all'ora alla lunga stanca… La domanda sorgeva spontanea:
ma in
Francia la polizia è invisibile o non esiste proprio? All'ennesimo
autogrill la
risposta: due gendarmi scendono da una banalissima Saxo. Tanto apparentemente
banale che quando ci guardi dentro scopri un'attrezzatura per rilevamento
della
velocità degna della Nasa. Altro che Autovelox. Ok, esistono e
sono invisibili.
Meglio stare attenti, ma in ogni caso la nostra velocità di crociera
è tranquillissima,
raggiungiamo i 120 soltanto quando superiamo i camion.
A Metz cambiamo
autostrada, questa va verso il Lussemburgo ed il Belgio ed
è molto più trafficata, sia di auto che di camion. Km, km,
km, lo Scrambler entra in
riserva e le due Indiana speriamo non lo facciano (L'Indiana in riserva
non
percorre più di dieci km!). Varchiamo la frontiera col Lussemburgo
a fianco di
un'enorme centrale nucleare, mancano pochi km all'autogrill, tutti guardiamo
con
ansia i contakm parziali. Booooooooooo. Lo Scrambler si ammutolisce, il
serbatoio
sembra il Sahara. Sacrificio di un'aranciata e trasferiamo mezzo litro
dal Guzzi.
Sufficiente a raggiungere l'autogrill, due soli km più avanti.
Sorpresa.
Facendo due rapidi conti la benzina costa meno di 1700 lire a litro.
Vien voglia di lasciare giù i bagagli e riempire le borse di benzina!!
Anche il panino
(-ino?) è decisamente poco costoso. Poi si scopre che il Lussemburgo
è porto
franco e tutto si spiega. Attraversare il Lussemburgo è come attraversare
la
Liguria, ma non per il lungo. In effetti passiamo più tempo a far
benzina che ad
attraversare il Lussemburgo! Lungo la strada un incontro pazzesco. Vediamo
una
moto ferma in corsia d'emergenza e fermarci è un tutt'uno. La scena
che si
presenta è quella di una moto anni cinquanta (invece è l'Enfield,
inglese degli anni
cinquanta, ma costruita attualmente in India) che sembra esplosa. Ci sono
bagagli
sparsi per cento metri di strada. Il tipo sta cercando di smontare la
gomma
posteriore, bucata. Osservando il copertone vien da pensare che sia un
miracolo
che sia arrivato fin lì. E mentre gli si da una mano egli ci racconta
di essere
Olandese, che è andato in India, ha preso la moto, ed attraverso
Pakistan,
Afganistan, Iran, Turchia, Grecia, Italia, Svizzera e Francia se ne sta
tornando a
casa. E noi ci preoccupavamo per andare in Belgio con lo Scrambler!!!
Infine il
Belgio. Che invece non è poi così corto. Certo dopo tutta
quella
strada ti senti arrivato, però mancano ancora quasi 200km alla
meta. Non proprio
dietro l'angolo.
Autostrada,
ancora traffico. E alberi. E mucche. In Belgio hanno risolto il
problema di impatto ambientale delle autostrade: le hanno racchiuse tra
due muri
impenetrabili di alberi. Non vedi una città, un paesino, una casa,
niente. Soltanto
alberi ed ogni tanto una radura, piena zeppa di mucche. Le mucche belghe
sono le
più pasciute, più di quelle francesi e molto più
delle svizzere. Classifica è fatta…
Ma i Belgi? Esistono solo nelle favole? O soltanto in miniera? Sono Elfi?
Dove
cacchio vivono? Boh.
L'arrivo
all'albergo concordato per il raduno è un po' in ritardo rispetto
alle
previsioni, anche perché il raduno è a ulteriori sedici
km di distanza. Quindi rapido
scarico dei bagagli e via verso Binch, bella cittadina a sud-est di Waterloo.
Giungiamo appena in tempo per la fine della cerimonia in comune. Giusto
per fare
le foto ricordo di gruppo davanti alla sede della municipalità.
E poi via per la cena.
Il raduno
è fondamentalmente lo scopo del viaggio. Si tratta del raduno
organizzato dalla sezione belga del Motoclub della Madonnina dei Centauri
Internazionali, con sede ad Alessandria e sezioni in Francia, Svizzera,
Germania,
Spagna e appunto Belgio. Ogni anno, circa un mese e mezzo prima del grande
motoraduno di Alessandria che si tiene tradizionalmente la seconda domenica
di
Luglio, una sezione estera a rotazione organizza un motoraduno analogo.
E ci si
ritrova con tutte le sezioni, una volta qua ed una volta là. E
poi ad Alessandria.
Cena simpaticissima
(non dal punto di vista del cibo, specialmente per noi
Italiani…), conclusa con festa e balli in costume tradizionale (molto
molto
particolari) e colossali scambi di birre. È bellissimo ritrovare
anno dopo anno gli
amici tedeschi, francesi, spagnoli, belgi e svizzeri, questi ultimi sempre
vestiti con i
propri costumi tradizionali, gli altri con le divise dei rispettivi Motoclub.
Per non
parlare degli amici di Castellazzo Bormida, sede del Santuario con la
Madonnina
dei Centauri, a dieci km da Alessandria, sempre presenti in gran numero.
A partire
dal sindaco stesso, giunto con la sua fida Moto Guzzi, anch'essa non proprio
di
primo pelo.
A rovinarci
un po' la cena è la mancanza di notizie di due amici, il Bestia
e la
Tati, che partiti venerdì pomeriggio avrebbero dovuto raggiungerci
viaggiando
nella notte. I telefonini son muti ed all'albergo neppure avevano registrato
la
prenotazione per la camera (poi scopriamo che nonostante gli abbiamo mandato
un fax hanno sbagliato i nomi. Ma i belgi sanno leggere?). Soltanto dopo
mezzanotte riusciamo a metterci in contatto: sono in albergo ma non sapendo
dove fosse la sede del raduno non hanno potuto venire. In compenso hanno
girato
mezzo Belgio per cercarci e non hanno neppure cenato. Per fortuna ci pensa
il
"Lupo", mezzo uomo e mezzo mito del nostro Motoclub, che "convince"
il maitre
dell'albergo a preparare un paio di insalate.
Finora il
tempo ci ha praticamente risparmiato, cena di Strasburgo a parte,
ma Domenica mattina ci svegliamo sotto un cielo a dir poco plumbeo, piove
e la
temperatura non è esattamente quella che in Italia si definisce
estiva. La partenza
per il raduno avviene ordinatamente alla spicciolata e ci ritroviamo tutti
alla chiesa
di Binch, per la tradizionale messa alla Madonnina. Durante la messa noi
facciamo
conoscenza diretta con Geoff, un australiano trapiantato in Belgio, conosciuto
attraverso Internet perché cercava un'Indiana. Tipo incredibile,
col quale
scambiamo quattro chiacchere e due birre, ed al quale diamo un paio di
dritte per
le sue prossime vacanze in Italia.
Ed eccoci
al momento clou del raduno: la sfilata. Circa duemila moto che
attraversano una cittadina ed i suoi dintorni son sempre uno spettacolo,
la gente
che saluta e sentirsi protagonisti per mezz'ora appaga il narcisismo di
ciascuno. Ma
qui in Belgio c'è una componente in più per sentirsi importanti.
Il Belgio ha meno di tre milioni di abitanti, ma di questi più
di un milione sono
Italiani, emigrati cinquant'anni fa per andare a lavorare in miniera.
Gente che è
partita dal meridione, perlopiù, ed è andata a vivere in
un posto dove i prati son
sempre verdi ma il cielo è sempre grigio, dove d'estate si raggiungono
a malapena
le temperature della primavera Italiana, dove la gente parla una lingua
diversa e
professa un'altra religione. Emigrante. Solo chi è stato a lungo
lontano da casa
può capire appieno il significato profondo e terribile di questa
parola.
Ecco perché
la sfilata è stata bellissima. Perché quando siamo passati
noi, col
tricolore sulle moto, è stata un'esplosione di gioia, di affetto,
di vita. Persone di
ogni età che alla vista della bandiera nazionale fanno letteralmente
i salti di gioia,
corrono in strada sotto la pioggia e ci salutano con le lacrime agli occhi.
Ci sentiamo felici, per aver fatto un bel regalo a queste persone, per
avergli
portato un po' di calore nazionale in quei posti freddi e grigi. Commovente
e
bellissimo.
Dopo la sfilata
il pranzo (molto peggio della cena!) e la premiazione. Ed i
saluti, con la promessa di ritrovarci tra due mesi, tutti assieme ad Alessandria.
Bel
raduno, peccato per la pioggia che non ha mollato un attimo.
Lunedì
ripartiamo, di nuovo noi cinque, meta la Normandia. Anche oggi la
strada sarà lunghetta, siamo di nuovo sui 400km. È la tappa
delle sfighe
meccaniche. Inizia la Guzzi, che da qualche giorno ha il motorino d'avviamento
che
talvolta non gira. Terapia: quattro calcioni al motorino, preferibilmente
con stivali
pesanti.
Dopo pochi km di autostrada Barbara accosta improvvisamente: la moto gira
male, sembra poco potente, perde colpi. Gira un po' a due ed un po' a
uno. Viene
immediato pensare alle due notti sotto la pioggia, smontiamo una vaschetta
del
carburatore ed in effetti c'è dentro un po' d'acqua. Decidiamo
di provare a fare un
pieno o due per vedere se la brucia, al massimo butteremo via un po' di
benzina. E
ripartiamo verso la frontiera, poi giù verso Amiens. Usciamo dall'autostrada
perché
da oggi in avanti cercheremo di percorrere preferibilmente le statali,
che in Francia
sono meravigliose.
La campagna
è molto bella ma dopo un po' di km c'è un fenomeno che
comincia a colpire: ogni incrocio, ogni stradina, ogni km c'è un
cartello che indica
un cimitero militare, un memorial, una battaglia. Ed ecco che dai ricordi
dei libri di
storia escono nomi studiati a scuola, Guerra dei Cent'anni, Napoleone,
Prima e
Seconda Guerra Mondiale, battaglia della Sonne, Sbarco in Normandia… Credo
che
pochi posti in Europa, forse soltanto la valle del Reno, abbiano visto
scorrere tanto
sangue come quest'angolo di Francia affacciato sulla Manica. È
davvero
inquietante pensare che tanti ragazzi attorno ai vent'anni debbano aver
trovato la
morte per i più stupidi motivi (di fronte ad un ragazzo che muore
ogni motivo è
stupido!); passare da queste parti fa venire i brividi. Che bestiaccia
che è l'uomo.
E che fortuna abbiamo a vivere un tempo di pace (almeno da noi…).
E intanto
andiamo avanti, con l'Indiana di Barbara che gira sempre meno a
due e sempre più ad uno. Infine soltanto a uno, quando arriviamo
alla periferia
della città di Amiens. Il dubbio che non si tratti solo di acqua
ce lo siamo tolti da
un po' e dopo varie indagini a bordo strada temiamo che si tratti di una
bobina,
guasto tanto raro da non credere. Troviamo un centro Bosch, smontiamo
la bobina
sospetta e la facciamo testare: kaputt! Una mazzata. Andiamo in due a
cercare
una bobina ma i concessionari di moto son chiusi il Lunedì. Depressione.
Mentre io
e Pietro girovaghiamo alla ricerca di una soluzione vediamo un negozio
di
accessori per ciclomotori. In fondo, pensa Pietro, ci serve una comune
bobina a
12V, entriamo, il tipo fa una telefonata e ci indirizza. In un posto incredibile,
da un
vecchietto elaboratore di moto che lavora in una specie di antro oscuro
pieno di
pezzi di moto che spaziano su almeno vent'anni. Appena entro ho la certezza
che
ci darà qualcosa che funziona. E così è. Per 300
Franchi ci portiamo via una bobina
che appena montata, non senza difficoltà, fa ruggire il motore.
Non è
più prestissimo ma decidiamo in ogni caso di ripartire per raggiungere
Rouen, nostra meta iniziale. Dopo un paio di calci al Guzzone siamo in
formazione,
abbandoniamo Amiens ripromettendoci di tornare a visitarla, un po' di
superstrada
e poi via in nazionale verso la meta. Abbiamo già fatto più
di 2000km e sembra
andare finalmente tutto bene ma la sfiga ha deciso che era comunque Lunedì
ed
ecco che dallo Scrambler salta via qualcosa. Abbasso lo sguardo e vedo
il
cavalletto che striscia a terra. Ho anch'io uno Scrambler, lo conosco,
quindi
inchiodo e cerco di ricordare dove ho visto saltare via la molla. Infatti
la ritrovo,
ma non s'è sganciata, s'è proprio rotta. Groar. Pensa che
ti pensa rimediamo con
un elastico da bagagli, per fortuna sembra fatto apposta e terrà
fino in fondo al
viaggio. Raggiungiamo Rouen che si fa ormai buio, ovviamente canniamo
l'uscita
dell'autostrada e ci ritroviamo a vagare per un paesino dell'hinterland
completamente deserto. Alla fine veniamo avvistati da un poliziotto con
una BMW
RT che ci accompagna a velocità sostenuta (eufemismo!) all'albergo
Formula 1.
Per chi non
lo sapesse, per inciso, questi alberghi, diffusissimi in Francia e
presenti anche in altri paesi europei tranne l'Italia, sono tutti uguali,
hanno
personale ridotto al minimo (due persone) e sono presidiati soltanto in
certe fasce
orarie, mattina e sera. Durante le altre ore si può avere una camera
con la carta di
credito e si accede con un apposito codice abbinato alla camera, assegnato
dal
computer. Le stanze hanno tutte tre letti, uno matrimoniale ed uno a castello,
un
lavandino ed un televisore; bagno e doccia in comune, autopulenti. Costano
circa
50mila lire a notte la camera, indipendentemente dal numero di persone
che ci
dormono. Ottimi per una vacanza economica.
Martedì
il cielo è ancora plumbeo, come il giorno prima del resto, ma non
piove. In compenso tira vento (contro). Un po' di autostrada anche oggi:
giusto
quei 250km tutti controvento, con la schiena che inizia a lamentarsi e
le braccia
tese: a 100 all'ora sembra di fare i 180! È davvero uno sforzo
ma arriviamo infine
alla seconda meta del viaggio. Mont St. Michel.
Rapida ricerca
del Formula 1 d'ordinanza e ci rechiamo in zona isolotto, giusto
per vedere la strada per il giorno dopo. Affannosa ricerca di carburante
per le
Indiana che ormai sono agli sgoccioli, un po' di contante al Bancomat
e due
birrozze come Dio comanda chiudono il pomeriggio, completato poi da una
cena
ben più che discreta. Il ritorno all'albergo è un po' avventuroso
perché facciamo
una stradina tra i campi suggerita dalla padrona del ristorante. Per un
po' temiamo
che dormiremo all'aperto, ma poi arriviamo alla meta. Effettivamente molto
prima
che non facendo la strada principale, il che non guasta visto che ha ricominciato
a
piovere.
Mercoledì
pausa. Ripercorriamo la scorciatoia che nella notte ci aveva
preoccupato, in mezzo a pascoli verdissimi brulicanti di pecore meriño,
mucche e
cavalli, per non parlare degli stormi di uccelli marini che svolazzano
in giro. Una
natura bucolica come in Italia non si vede più da tempo. E all'orizzonte
la sagoma
di Mont St. Michel, con la guglia principale immersa già nelle
nuvole. In effetti se
spegniamo i motori e guardiamo oltre l'asfalto il paesaggio dev'essere
estremamente simile a quello che potevano vedere i popoli di cento o trecento
anni fa, una pianura verde, una cielo grigio basso basso, tanti animali
e la
monumentale Abbazia sullo sfondo. E fa una certa impressione…
Il parcheggio
attorno alla strada rialzata è un po' inquietante, si pensa alla
marea che spazza via le moto, ma visto che ci sono centinaia di auto e
decine e
decine di pullman decidiamo di fidarci. Anche guardare la "spiaggia"
lasciata libera
dalla marea e leggere il cartello "Sabbie mobili" non rende
esattamente felici…
Entrare sull'isolotto
è traumatico, la classica stradina piena di negozietti di
souvenir, ristorantini e turisti ovunque come le formiche. Superato lo
sbando
saliamo all'Abbazia, entriamo, paghiamo il biglietto ed affittiamo un
paio di lettori
di CD che raccontano la storia dell'Abbazia. Sarà per il biglietto
(tirchi!) ma molti
turisti dentro all'Abbazia non entrano, si gira tranquilli, a momenti
quasi da soli. E
scatta una sensazione incredibile, ci si sente proiettati indietro indietro
nel tempo,
nella tipica atmosfera dei templari e dei benedettini, delle guerre di
religione e a
tratti ancora prima. Con un po' di fantasia sembra di vedere la figura
dell'Abbate,
con il volto di Sean Connery ne "Il nome della Rosa". Ecco,
l'atmosfera è quella. E
l'architettura, poi, un miracolo di edilizia se si pensa ai mezzi di allora.
Calcolare
certi pilastri e certe strutture non sarebbe semplicissimo neppure per
i computer
moderni. Pensare poi al trasporto del materiale, possibile soltanto nelle
ore di alta
marea, immaginarsi come si possa aver trasportato certe pietre scolpite
fino alle
altezze a cui si trovano. Pensare a chi sia andato a collocare sulla guglia
più alta
(ed è davvero alta…) l'enorme statua dell'Arcangelo Michele, senza
neppure uno
straccio di elicottero. Incredibile ed emozionante.
Usciamo per
mangiare: ce ne accorgiamo solo adesso di quanto tempo siamo
stati la dentro, scendiamo giù per la stradina e ci infiliamo in
un ristorantino che
promette bene: promessa mantenuta!! Un'ottimo pranzo per meno di duecento
franchi a cranio. E parliamo di ostriche, tanto per chiarire!
Il resto
della giornata passa tra souvenir e ritorno all'albergo, sempre
rigorosamente sotto l'acquazzone. Le moto hanno stazionato sulla riva
del mare e
sono così incrostate di sabbia e salsedine che una volta a casa
servirà il piccone
per lavarle. Noi siamo stanchi per via delle tante scale ma contenti di
essere saliti
fin lassù. Peccato solo per le maree: sarebbe arrivata alle undici
di sera, ma non
ce la siamo sentita di prendere ancora della pioggia. E poi è un
buon motivo per
tornare, no?
Giovedì
puntiamo la Loira. In effetti volevamo farla tutta ma il tempo stringe
un po', Sabato sera dobbiamo essere a casa, quindi decidiamo di prenderne
un
assaggio, giusto per farci venire la voglia di tornare. Quindi rotta su
Orleans, tutta
strada nazionale nella campagna francese. Puntiamo l'interno ed attraversiamo
una
serie di paesini e cittadine molto belle, tutte meritevoli di essere visitate
se solo si
potessero fare undici mesi di ferie all'anno. La strada è scorrevolissima,
a tratti un
po' trafficata ma spesso pressocché deserta. Saliscendi come in
California, in
compenso di curve manco l'ombra.
La Francia
è indubbiamente un grande paese per i motociclisti (da quelle
parti: motard), asfalti ottimi, automobilisti gentili e rispettosi, camionisti
veloci ma
generalmente umani, gendarmi che non rompono (occhio solo ai limiti di
velocità).
Però se vi piacciono le curve limitatevi alla Savoia ed alla Provenza
(peraltro
stupende!). Nel centro nord dopo mille chilometri potrete fare a meno
del
cavalletto! Rotatorie a parte, onnipresenti, fino alla paranoia, non si
trova una
curva per decine di chilometri. In compenso ogni motard che incontrerete
o
supererete si sentirà in dovere di salutarvi, alzando un braccio
all'incrocio o
sollevando il piede dalla pedana nei sorpassi. Qualche volta anche i gendarmi
motociclisti lo fanno, con comprensibili spaventi per noi che quando vediamo
un
Carabiniere con la mano alzata cominciamo a pensare al mutuo…
Orleans ci
accoglie col sole, è primo pomeriggio, scarichiamo i bagagli nel
solito Formula 1 e ci dirigiamo in centro. La Cattedrale è maestosa,
cerchiamo un
parcheggio (beh, sì, insomma… buttiamo le moto in un angolo!) e
ce la visitiamo
colmi di stupore. Tutto in questa città parla di Giovanna d'Arco,
ed anche la
Cattedrale non fa certamente eccezione. In tipico stile gotico, altissima,
impressionante. Ma soprattutto a colpire sono le enormi vetrate, tutte
lavorate ed
istoriate, con una ricchezza di particolari e di dettagli finissimi che
lasciano
letteralmente senza fiato. Osserviamo l'organo ed il pensiero corre a
Bach, a
Shubert: sentirlo suonare dev'essere una cosa da capelli dritti.
Usciamo e
ci concediamo una birra nella piazza antistante la chiesa, circondati
da scuole di musica e da giovani artisti. L'ambiente è rilassato
ed il litrone scende
in gola con grandissima soddisfazione. A questo punto decidiamo che la
cena
dev'essere all'altezza della giornata e sulla strada verso l'albergo ci
fermiamo ad
un "Courtepaille". Questa è una catena di ristoranti,
dello stesso gruppo degli
alberghi Formula 1, abbastanza diffusi in Francia. In pratica sono degli
enormi
camini, un braciere sempre acceso e circondato da tavoli dove a tutte
le ore si
serve della stupenda carne bovina. Carne grossa, spessa le classiche tre
o quattro
dita e tagliata al tavolo, con un sapore che in Italia è possibile
trovare soltanto
nelle migliori Fiorentine. Ma ad un prezzo ben inferiore. Ovviamente la
cena è
pantagruelica.
Venerdì
siamo ormai verso il ritorno, il tempo sembra reggere, ci avviamo di
mattina presto perché la tappa è lunga, dobbiamo arrivare
a ridosso della Svizzera.
Nazionale bellissima per oltre cento km, attraversando splendide foreste
demaniali
e colline sempre piene di… mucche! Poi un po' di autostrada, giusto altri
cento e
passa km e ancora altri duecento attraverso i Vosgi.
I panorami
son sempre molto belli, anche se dopo tutta questa campagna
Francese cominciamo ad avere un po' di sensazione di già visto.
Il tempo regge, i
motori canticchiano ed anzi alla sera arriviamo a Belfort con un bel sole.
Non fa
neppure freddo. Anzi, fa perfino troppo caldo… e quel tendone di nuvole
all'orizzonte sembra proprio avvicinarsi. Scontato cercare un Formula
1, scendiamo
a piedi verso il centro cittadino e scopriamo che alle otto di sera è
già una città
fantasma. Nessuno in giro tranne che sette o otto deficienti che lanciano
sassi e
sputi da sopra un cavalcavia. Per la serie: la mamma dei coglioni…
Il rientro
in albergo avviene sotto le prime gocce di pioggia, avvisaglia di ciò
che ci aspetta per l'indomani. Sabato mattina, fine della vacanza, già
non è una
cosa piacevole. Prima di aver caricato i bagagli e slegato le moto siamo
già
bagnati, partiamo ed una incomprensione ad un bivio comporta una brusca
scivolata dello Scrambler, per fortuna senza altre conseguenze se non
l'aumento
dell'adrenalina e del nervosismo. Siamo già incazzatini perché
son finite le ferie, ci
aspettano 450 km presumibilmente sotto l'acqua e così ci becchiamo
un po'. Poi
dobbiamo ancora cercare benzina ed un ufficio postale, per le immancabili
cartoline.
Finiamo per
imboccare l'autostrada alle 10. Siamo a 60 km da Basilea, a circa
350 da Milano. Quando raggiungiamo il confine Svizzero a Basilea siamo
già
bagnati ed infreddoliti, la città è tutta un cantiere: ma
la stanno rifondando tutta
proprio adesso? Imbocchiamo l'autostrada verso sud e dopo un centinaio
di km,
alle porte di Lucerna facciamo ancora una sosta. Un paio di panini spariscono
assieme a qualcosa di caldo, non facciamo neppure troppo caso al fatto
che con
quei soldi in Italia mangi al ristorante ed in Francia vai a ostriche:
siamo troppo
stanchi e dobbiamo rifocillarci un po', ci aspetta ancora un sacco di
strada, il
Gottardo ed un bel po' di pioggia.
Ripartiamo
ed un segnale indica 12km di coda al tunnel, l'autostrada a
Lucerna è una tangenziale per giunta piena di cantieri: crolla
totalmente il mito
degli svizzeri rispettosi delle leggi, sembra di essere sulla tangenziale
di Napoli
(senza offesa per gli amici partenopei), però col clima del peggior
inverno. Ci
saranno al massimo dieci gradi. Arriviamo a 40 km dal tunnel ed iniziano
le code, i
ragazzi milanesi sono un po' più avanti mentre io e Barbara siamo
rimasti attardati
di qualche km. Superiamo molto lentamente le auto ferme, passando
prevalentemente sulla corsia di emergenza quando vedo un'auto "POLIZEI".
Butta
male… Il poliziotto tedesco (svizzero…) ci intima di fermarci, butta malissimo…
Poi con fare
molto sgarbato e sprezzante mi chiede il bollino dell'autostrada.
Il cuore ricomincia a battere, gli indico lo stelo della forcella e lui
senza neppure
darmi un buongiorno ci congeda. Sarà quel che sarà, ma semmai
che non era
prevenuto nei confronti degli italiani… Veramente la peggior pubblicità
possibile,
per la serie "Non metterò mai più piede in Svizzera
in vita mia".
Dopo un sacco
di coda ci infiliamo nuovamente nel mostro, ovvero nel tunnel.
Il traffico è molto sostenuto, dopo pochi km mi bruciano gli occhi,
intanto il Tir di
Benevento alle mie spalle è così vicino che negli specchietti
non vedo neppure i
fanali, sono già fuori campo. Provo a gesti a fargli capire che
non mi sento
esattamente tranquillo e a circa metà tunnel mi concede l'onore
di allontanarsi,
giusto una ventina di metri. Forse vuole essere sicuro di centrarmi bene
in caso di
problemi…
L'uscita
dal tunnel è una liberazione, sosta al primo autogrill per fare
il pieno
allo Scrambler e decidiamo di accomiatarci lì: loro hanno famiglie
che li aspettano,
noi due invece dobbiamo soltanto arrivare a casa nostra e possiamo (vogliamo)
farlo con più calma. Saluti e baci, ha anche quasi smesso di piovere,
riprendiamo
la strada scendendo di quota e l'aria si scalda. Tutto bene, pensiamo.
Quando ad
un tratto Barbara rallenta e accosta: Fabio è fermo a bordo strada,
con lo
Scrambler. Roberto è accanto a lui, ma non c'è la Suzuki,
Pietro non esiste. È
successo che lo Scrambler ha avuto un mancamento, di natura elettrica
e mentre
Roberto se ne è accorto quasi subito e si è fermato un km
dopo, tornando a piedi,
Pietro è andato al casello successivo e sta tornando indietro.
Li aspettiamo e
perdiamo mezz'oretta. Nella quale la perturbazione ci raggiunge e ci rovescia
addosso un muro d'acqua. Alla fine ci salutiamo, ripartiamo, poi lo Scrambler
fa di
nuovo lo scherzetto ed alla fine arriviamo assieme alle porte di Milano,
dove
finalmente smette di piovere e ci salutiamo definitivamente. Ancora 100km
e
saremo a casa anche noi: le Indiana corrono veloci nel tepore del Maggio
italiano,
spunta anche il sole e quando arriviamo a casa siamo nuovamente asciutti.
I contakm
ne hanno 3053 in più, le gomme sono un po' più piatte al
centro, le
natiche… anche. Ma non importa, l'importante è essere sempre… on
the road!
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