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Pasqua in Sicilia
di Andrea Bardi

Non è la prima volta che vado in Sicilia, e non sarà l'ultima, ma fino a questa volta c'ero andato sempre in estate. Dunque avevo una immagine mentale della Sicilia dominata dal colore giallo, dalla sensazione di caldo soffocante e un abbinamento mentale con i paesi nord - africani (come paesaggi maligni !!!!).
Ora se ripenso a quella immagine fatico a ritrovarla e ad associarla alla nuova. Verde, tanto verde, macchie infinite di colori sgargianti, un cielo di un azzurro splendente, i bordi delle strade che sembrano giardini, turisti zero e grandi mangiate.
Partenza da Siena il venerdì mattina, obbiettivo arrivare da Nelìk a Scalea, ritirare alcune cose e proseguire fin dove si può, il giorno dopo raggiungere Palermo dove mi aspetta il mio amico Roberto.
La giornata è buona, contro ogni previsione, è il primo viaggetto con Dak (F650 Dakar) e sono curioso di vedere come si comporta in autostrada. La marcia procede spedita, 120 - 130 di media con consumi intorno ai 20 kml, niente turbolenze (con il vecchio ST sembrava di avere la testa in una lavatrice), sella comoda, posizione corretta e via......in pratica mi fermo ogni 200 km per fare benzina, e a Napoli ancora nessuna traccia dei tipici dolorini alla schiena.
Proseguo sulla Salerno - Reggio (chiamala autostrada se ne hai coraggio) fino a Battipaglia dove decido di fare la costiera anche perchè Nelìk mi comunica che la SA- RC è un cantiere dall'inizio alla fine. Mozzarella di bufala superba e via, la strada prosegue dritta e noiosa fino ad Agropoli, dove inizia una scorrimento veloce che si inerpica facilmente fra stupendi rilievi, con grandi e lunghi curvoni dove rimpiango di non avere minimo una sport tourer. Improvvisamente iniziano cartelli di dimensioni allarmanti che annunciano la strada sdrucciolevole, ok, ho capito, vabbene, sto attento.......120 kmh, galleria, pozza d'acqua.....la ruota posteriore perde completamente aderenza scartando verso destra, finita la pozza riprende aderenza lentamente fino a riallinearsi.......breve sosta per cambio pannolino più una decina di sigarette e riparto prendendo in maggiore considerazione i cartelli. Dopo alcuni km tre strisce per terra......ATTENZIONE.....FINE....STRADA.....SCORRIMENTO.....VELOCE....50 metri e la strada diventa da 4 ad una corsia (doppio senso di marcia) tre tornanti alla muraglione con pendenza del 14 % e incrocio......vabbè dico io, mettete un cecchino e sparatemi !!!!!!!!.
Inizia una strada stretta ma bellissima, paesaggi aspri di montagna, splendidi paesini arroccati e persi nel nulla, un simpatico signore mi saluta, mi viene in mente quando andavo in Jugoslavia e stormi di bambini correvano verso la strada con l'unico obbiettivo di salutarmi.
La vista sul golfo di Sapri è fantastica, il mare di un azzurro improbabile (tipo sardegna) con le montagne che si tuffano a picco.......non c'ero mai stato ma credo che ci tornerò. Incontro Nelìk e Manu e finalmente mangio qualcosa (LA PASTIERA !!!!!).

Ripartiamo insieme arrivando fino a Maratea, la strada si aggrappa ai fianchi delle montagne, a sinistra grandi pareti di roccia viva e a destra, una 50ina di metri abbondanti di roccia più in basso, un mare splendido......la testa gira continuamente da destra a sinistra, non so dove guardare.
Saliamo fino al Cristo di Maratea (una statua stile Rio) da cui ci godiamo uno tramonto da favola("a Torino non ne vedete di paesaggi così" vero Fabio ? ;))))).
Si è fatto buio quando arriviamo a Scalea, rifiuto l'invito di Nelìk e Manu e riparto spedito verso Sud, mi aspettano ancora diversi km e domani il tempo da pioggia. Proseguo fino a Maida Marina dove trovo un alberghetto un po' squallido ma pulito e con garage....è fatta, mangio male ma dormo bene.
Il giorno dopo proseguo sempre sulla statale che dopo Vibo Valentia ridiventa piacevole, sono molto colpito dalla trascuratezza dei paesi in questa zona, sono posti piacevoli, bei paesaggi collinari a ridosso dal mare, ma questo sembra interessare molto poco amministratori e cittadini che non fanno niente per conservarne la bellezza (scusate ma sono solo impressioni). Bellissima la vista che si apre improvvisa dietro una curva dello stretto che fra Mortelle e Scilla è veramente stretto...cerco di immaginarci il ponte e l'idea un po mi disturba, anche perché con il traghetto sono 20 minuti, è vero che io sono in vacanze ma tutta sta utilità poi.......
Sbarco alle 12, prima arancina e alle 15 sono a Cefalù, bellissimo paese sul mare dominato dalla sua montagna, veramente un chicchino (come si dice dalle mie parti) con i lavatoi e la bellissima piazza dove fa bella mostra di se il duomo. Dopo poco, abbandonato Cefalù, compare Termini Imerese, il paese sarebbe molto carino, ma la zona industriale e lo stabilimento Fiat tarpano ogni aspirazione turistica. Devo dire che lo stabilimento industriale è enorme, ed emana un fascino a cui è difficile (per me) resistere, scatto alcune foto e ne ammiro la contorta e possente struttura fatta di enormi tubi e strani edifici, cisterne e pontili che si avventurano per centinaia di metri nel mare, l'odore (o puzzo) e molto forte e penetrante.....il primo che mi rompe le scatole perchè fumo ce lo tengo per un mese. Quello che mi stupisce è il porto industriale, costruito probabilmente per far contenta la Fiat e qualche cementificatore locale, è molto grande ma perennemente vuoto, da due anni almeno (l'ultima volta che c'ero passato) vi staziona sempre la stessa ed unica nave, non ci sono container, altre navi, niente che testimoni una qualche minima attività.
Ore 16 sono nella piazza della stazione centrale di Palermo e incontro il mio amico. Piove.
Una doccia e la sera andiamo a cena in una enoteca del centro, vino siciliano corposo e sincero annaffia un ottimo carpaccio di baccalà con fettine di pera, la setteveli, sublime invenzione dolciaria accompagnata da un buon muffato di pantelleria conclude la serata.
Iniziano tre giorni di fuoco, pasqua pranzo in campagna dagli zii con ricotta calda nel siero, lasagne e agnello, carciofi al forno e caponata, sfincione e per concludere torrone fatto in casa e cannoli con la ricotta di cui sopra; pasquetta pranzo in campagna da amici a Castelbuono, paese nell'entroterra di Cefalù, una strada gustosissima, piena di curve immersa nel verde delle Madonie con un ottimo asfalto ci porta a casa dove ci accolgono con salumi locali, farfalle al pesto alla marsalese, farfalle con funghi, crasto e salsicce, dolci di tutti i tipi. Il ritorno a casa, verso le 19 di sera rende ancora più suggestivo il paesaggio, l'aria tersa e pulita insieme ad una brezza fresca mi mette di buonumore, sono le ore che preferisco per viaggiare, i contorni, i colori sono più definiti e una infinita profondità di campo ti fanno avvertire in pieno la sensazione di esserci.....il motore ronfa tranquillo e le curve si susseguono in una lenta danza, lo sguardo corre affamato (solo lo sguardo) tra piccoli paesi arroccati su cime impossibili e strette valli.
"Ora basta mangiare" mi dico prima di addormentarmi, domani prendo la moto e me ne vado a fare un giro per tutto il giorno.
La mattina mi alzo verso le 8, insieme alla moglie del mio amico prendiamo la strada per Monreale dove ci fermiamo per ammirare lo splendido duomo, decorato nello stile bizantino con un mosaico in oro stile San Marco a Venezia......ma più bello, dal giardino del duomo fra alberi enormi si gode una vista mozzafiato sulla "conca d'oro", la piana e il golfo che ospitano Palermo. Vista da qua si comprende come i Greci classici, popolo dotato di uno spiccato senso del bello, avessero adottato questa isola come loro seconda patria.
Proseguiamo lungo la S186 che si arrampica sulle montagne che sovrastano Palermo, sono montagne brulle, prive di vegetazione ad alto fusto, lungo le ripide pareti si notano ovunque tracce di antichi terrazzamenti testimoni di una atavica necessità di terra coltivabile; il manto stradale è perfetto, la strada e piacevole con curve e controcurve che permettono un buon ritmo, dietro una curva improvvisamente fa la sua comparsa il mare di un blu profondo.
Scendiamo verso Partinico dove, presa una anonima S113 , arriviamo ad Alcamo e successivamente Castellamare del Golfo e la riserva dello Zingaro - Scopello. Castellamare è una strana città sul margine ovest dell'omonimo golfo che si chiude ad est con le montagne di Terrasini e Punta Raisi; vista dall'interno non offre nulla di particolare, ma il panorama che si gode dalla strada che prosegue verso Scopello gli donano un fascino tutto particolare.....il piccolo porticciolo dominato dalla torre del castelletto con l'acqua trasparente e una buona politica del colore delle case ne fanno un piacevole quadretto.
La fame si fa strada e decidiamo di fermarci a Scopello per assaggiare il famoso "pane cunzato", pane nero, pomodori a fette, mozzarella, acciughe, olio in abbondanza, origano e capperi, che accompagniamo con una fresca e buona birretta. Scopello è un piccolo borgo molto ben curato e che riserva una atmosfera molto accogliente, la piazzetta centrale è silenziosa e tranquilla la pietra tufacea bianca riflette il sole, quasi quasi mi addormento. Ma ci aspetta la riserva dello Zingaro, con le sue coste ripide e selvagge, le piccole spiagge di ghiaia con l'acqua trasparente. Lasciata la moto al posteggio, pagato un piccolo obolo ci incamminiamo, il parco è tenuto meravigliosamente bene, non una carta o una sigaretta a terra, si cammina su di un sentiero che sale e scende raggiungendo meravigliose spiagge e poi risale offrendo scorci esaltanti: quello che mi stupisce ogni volta della Sicilia sono soprattutto i colori, sono più intensi, più vivi hanno una loro corposità tutta particolare che lascia sempre senza fiato. Raggiungiamo dopo un'oretta di camminata una piccola spiaggia dove facciamo il bagno e prendiamo un po di sole. Quasi mi dispiace abbandonare questo piccolo paradiso per proseguire, torniamo sui nostri passi e imboccata la S187 arriviamo, anche qui fra grandi montagne brulle e possenti fino a San Vito lo Capo. Il pese è anonimo, luogo di raccolta per i forzati dell'abbronzatura, ma il mare e la spiaggia sono davvero notevoli. Ormai la giornata si sta concludendo e rientriamo a Palermo dove ci attende un ristorante tunisino e una ulteriore abbuffata a base di zuppa di cozze, cuscus di pesce e kebab (non ricordo come si scrive).
Il giorno successivo parto in solitudine, la mia meta è il Belice, un territorio stravolto negli anni 60 da una grave catastrofe, un tremendo evento sismico che per due interi giorni fece tremare la terra, radendo al suolo numerosi paesi e facendo circa 300 vittime. Non so per quale tremenda malattia sono sempre stato attratto da questo evento, nella mia testa si è insinuata sin dalla prima volta che sono andato in Sicilia la voglia e la curiosità di vedere cosa ancora restasse nei luoghi e nella memoria delle persone di quei tremendi giorni. Ed eccomi qua, imbocco la S625 in direzione San Giuseppe Jato, la strada sale sul versante opposto della conca d'oro per poi infilarsi in boschi suggestivi, il fondo stradale è peggiore della S186, ma le curve ci sono, purtroppo la strada sporca non da spazio alle ambizioni piegaiole....ma infondo non sono qui certo per piegare e allora, ancora una volta, mi lascio trasportare dalla facilità di guida e dalla comodità di Dak che al minimo gesto scende in curva per poi risalire rapida e rituffarsi nella curva seguente mentre io mi gusto il panorama (che cosa è il piacere della guida ???).
La strada si apre improvvisamente su di un ampia pianura coltivata, il paesaggio è dolce e le vigne dominano incontrastate; mi accompagneranno fino a Castelvetrano. Si entra così, inaspettatamente in una specie di Chianti della Sicilia.....forse più bello, vuoi per i colori vuoi per le aspre montagne che fanno da corona e che ogni tanto compaiono all'orizzonte.
Prima di Camporeale la strada diventa a scorrimento veloce, quattro corsie che mi avvicinano ai Ruderi di Poggioreale. Sembra impossibile che queste terre, così morbide e dolci si siano potute scuotere fino a distruggere completamente 3 paesi e a lasciare una cicatrice profonda nella memoria delle persone.
Quando arrivi a Poggioreale, l'impressione è che questo evento sismico non sia stato poi così tremendo, buona parte del paese è ancora in piedi, ma è solo una impressione, lasciata la moto al cancello di ingresso si entra in una realtà di abbandono totale, lentamente, ti accorgi che la maggior parte delle case sono degli scheletri vuoti, si fa largo una sensazione di angoscia....corvi gracchianti sono gli unici abitanti insieme ad alcune pecore, il teatro, crollato per buona metà, la casa del dottore dove fra le rovine fanno ancora mostra di se le riviste mediche, le ricette per persone che non esistono più, la bottega del macellaio con i ganci per appendere la carne, la scuola con i banchi degli studenti e alcuni quaderni con i disegni dei bambini che un tempo vi studiavano, in una chiesa ancora parzialmente in piedi campeggia una targa che ringrazia due benefattori del paese che dall'america avevano finanziato la ristrutturazione del pavimento circa 4 anni prima che la terra si prendesse beffa del loro attaccamento; in una piazza defilata, quella dei lavatoi su di un trancio di muro sopravvissuto campeggia una scritta fascista "credere obbedire combattere"....
Lascio Poggioreale e mi avvio verso i ruderi di Salaparuta e Gibellina, epicentri del grande sisma, fatico a trovarla, quando al terzo giro vedo spuntare una rovina da un campo di margherite di un giallo abbagliante.....è tutto ciò che resta del paese, entro nelle strade sterrate e procedo lentamente, piccoli rilievi segnalano la presenza di ciò che resta delle case, spengo la moto ed il silenzio mi assale, davanti a me una contorta scalinata porta ai ruderi della chiesa madre, niente più che i muri perimetrali, conservati per circa un metro e mezzo e un pezzo di colonna; l'arrivo a Gibellina è ancora più scioccante, il paese principale della zona non esiste più, solo alcuni edifici in cemento armato restano ad indicare dove un tempo stava il paese,....su tutto domina una enorme colata di cemento, tagliata da incroci e strade che, moderno sarcofago, copre il centro scomparso del paese....tutto intorno a me ancora un mare di margherite.
E' giunta l'ora di andare a vedere quali tracce abbia lasciato nelle persone, e quale posto migliore per soddisfare questa curiosità di Gibellina Nuova, paese unico perché museo, città della memoria, a cui hanno contribuito artisti di fama internazionale facendone una unica grande opera, dove i palazzi e le persone fanno parte integrante della scultura e stanno li proprio per farci ricordare. Ma appena arrivo in paese, dopo una serie di curve su uno degli asfalti più lisci della storia moderna della viabilità, mi rendo conto che nessuno degli abitanti in realtà a voglia di ricordare, solo un signore mi dice che lui era piccolo quando è successo e che suo padre e sua madre sono morti a Gibellina, ma non è solo parlando con le persone che ti accorgi della volontà inconsapevole di cancella re la memoria di qui giorni, basta guardarsi intorno e vedere come le opere vivano in uno stato di totale abbandono, la chiesa è crollata, una grande vasca, parte di una scultura è invasa dalla spazzatura, la balena, edificio al quanto discutibile è prossimo a cedere all'assalto della ruggine, che comunque sembra aver contagiato molte delle sculture........in genere sono contrario alla perdita della memoria storica, ma dopo aver visto i ruderi comprendo a pieno tutta la voglia di cancellare quei momenti.
Riporto la tabella degli eventi sismici.
Ore 13,28 (It.) un evento sismico scuote la curiosità dei Palermitani, seduti a quell'ora per il pranzo domenicale, ma a circa cento km di distanza, nell'area epicentrale il movimento viene rilevato come un VI°-VII° della scala Mercalli.

Gibellina subisce i primi danni leggeri, la chiesa madre risulta immediatamente inagibile; la stessa sorte è riservata agli altri comuni adiacenti l'area epicentrale.

Ore 14,15(It.) replica, VI° grado della scala Mercalli. III° grado per Palermo e Trapani.

Ore 16,48 (It.) all'imbrunire replica del VII° grado Mcs. Aumentano le lesioni e qualche fabbricato diventa inagibile.

Per le popolazioni dei comuni interessati inizia una notte di paura, i danni ai centri abitati sono evidenti, aumenta l'ansia e l'insicurezza legata a quella forza oscura inspiegabilmente violenta che si sprigiona dalle viscere della terra; una forza primordiale, capace di annientare il duro lavoro di generazioni e di cancellare radicalmente anche le civiltà più tenaci e solide.

Le ore passano lente, il freddo della notte invita la gente a rientrare nelle abitazioni. Qualcuno, fiutando il pericolo, abbandona il paese e si rifugia con tutta la famiglia nella casa colonica in campagna, luogo del duro lavoro quotidiano.

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15 Gennaio, lunedì

Ore 02,33 (It.) VII°-VIII° Mercalli - La Paura -

Ipocentro a cinquanta chilometri dalla verticale del Monte Bruca.

A Palermo, Trapani e negli altri centri della Sicilia centro occidentale è il panico. La popolazione abbandona le case, cerca la salvezza per strada, affolla le piazze. Le aree all'aperto si gremiscono di persone che commentano il pericolo scampato. Ingorghi, traffico stradale da ore di punta e tamponamenti animano quella strana notte di Gennaio

Ore 03,01 (It.) - IX° Mercalli - Il Terrore.

A circa quaranta chilometri di profondità sotto la Valle del Belice si rimette in movimento una frattura assopita dalla notte dei tempi generando onde sismiche, stimate di magnitudo 6.0 e con effetti all'epicentro, del IX° Mercalli,

Le luci si spengono, le linee telefoniche saltano sotto il fragore assordate del terremoto e delle abitazioni dei centri storici, che si sgretolano annientate in circa dodici secondi con un forte movimento ondulatorio Est-Ovest. Poi il silenzio, rotto dalle urla disperate di chi è sopravvissuto e brancola al buio tra la polvere soffocante alzatasi durante i crolli e il passo difficoltoso fra le macerie.

Alle prime luci dell'alba la tragedia rivela la sua dimensione catastrofica.

I soccorsi tardano ad arrivare, le notizie sono confuse, alcuni centri abitati sono isolati, difficilmente raggiungibili.

Man mano che il cerchio si stringe, la catastrofe assume il suo aspetto autentico privo delle sfumature fatte dal solo panico e si evidenzia la cattiva organizzazione dei soccorsi e della carenza dei mezzi a disposizione.

Gibellina, 6.930 abitanti, 378 m.s.m, si è sbriciolata; solo alcune abitazioni costruite in cemento armato hanno offerto giusta resistenza al terremoto. Il 90 % delle opere sono distrutte.

Per raggiungere quel che rimane del paese, si devono percorrere sette chilometri a piedi, la strada è franata con profondi avvallamenti e ricoperta da uno strato spesso di ghiaccio.

Salaparuta, 3.800 abitanti, 340 m.s.m., distante circa un chilometro da Gibellina, ha subito le medesime conseguenze.

La ferrovia a scartamento ridotto è interrotta in più punti. La zona è raggiungibile solo in elicottero.

Il 90% delle abitazioni sono macerie, opere cancellate, lesionate o comunque non recuperabili.

Montevago , 2.000 abitanti, : 800 abitazioni distrutte ridotte a rovine che ostruiscono gli accessi al paese, le vie interne sono impraticabili.

S.Margherita Belice, 6.700 abitanti, l'80% delle case distrutte, numerose le opere d'arte scomparse.

Poggioreale, 3.200 abitanti, 406 m.s.m., il 50% delle abitazioni distrutte o inagibili.

Santa Ninfa, 6.500 abitanti, 466 m.s.m, distrutte il 70 % delle abitazioni, le rimanenti sono inagibili.

Salemi, risultano distrutte il 25 % delle abitazioni.

In provincia di Palermo i danni sono minori, anche se in diversi centri e nella stessa città numerose abitazioni risultano inagibili. Ne verranno dichiarate tali almeno 2.000 nella sola città vecchia.

La crisi sismica continua implacabile con piccole repliche locali.

Alle 16,42 del giorno 16 gennaio un VII° Mercalli con epicentro nella stessa zona continua l'opera demolitrice, mentre gli uomini impegnati nei soccorsi lavorano febbrilmente, senza idonee attrezzature, tra le macerie. I vigili del fuoco scavano privi di mascherine, si riparano bocca e naso con mezzi di fortuna.

Dall'Estero arrivano squadre di soccorritori volontari, unita' cinofile e specialisti nella ricerca delle persone seppellite.

L'attività macrosismica nei giorni a seguire sembra placarsi per dare una certa fiducia a coloro che operano nei soccorsi e per i "Morti Vivi " ormai rassegnati ad abbandonare la loro terra spinti a dare il via a quel fenomeno migratorio che ha fatto perdere alla Sicilia almeno il 3% dei suoi figli.

25 Gennaio, ore 10,52.

Replica, inaspettata, VIII° Mercalli,*, durata 52 secondi; una squadra dei soccorsi è travolta mentre opera tra le macerie, muore un vigile del fuoco.

Sciacca, rimasta ai margini per diversi giorni, risente della replica, subendo gravi danni.

Palermo è confusa, si svuotano le scuole, gli uffici, le abitazioni.

Si ritorna a dormire all'addiaccio durante la notte, l'emergenza continua.

Dalle zone terremotate, continua, a ritmo meno intenso, l'emigrazione verso il Piemonte, la Lombardia, la Svizzera e la Germania, alla ricerca di un luogo dove dimenticare e sopravvivere. Un esodo forzato, disperato, velato d'un pianto muto e di una nostalgia profonda per una terra amata, eppur maledetta; una terra capace di cullare i suoi figli e di annientarli al tempo stesso in pochi istanti, con la sua furia distruttrice.

Giunti alla fine di Gennaio il quadro e' ormai completo : 370 vittime, un migliaio di feriti, circa 70.000 senza tetto.

Si ricordano gli altri paesi che hanno subito danni ingenti:

Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Sclafani, Contessa Entellina, Sciacca.

Lascio Gibellina Nuova con una sensazione che tuttora non riesco a sciogliere, è un nodo nello stomaco, è solo una infinitesima parte di quelle sensazioni che hanno scosso, al pari della terra, l'anima degli abitanti del Belice. Proseguo verso Salemi, Calatafimi con le sue origini arabe e infine Segesta, antica città degli Elimi prima e poi romana, splendida si distende dalla sommità del monte su cui si è arrampicata con il castello normanno fino alla base del monte dove fa bella mostra di se il conosciutissimo e fotografatissimo tempio. Decido che non è ancora tempo di tornare a casa e ritorno sulla S113 raggiungo rapidamente, lasciando correre Dak tra una curva e l'altra come sa fare, la località Acque Segestane, un gradevole edificio che mi ricorda vagamente le terme di Saturnia indica il nuovo stabilimento; proseguo sulla strada e raggiungo un luogo che nella semi oscurità del tramonto suggestiona e impressiona i ben dsposti d'animo, sono le antiche rovine delle terme romane, dove ancora si può fare il bagno immersi in una pagina di Ghote o di uno dei tanti viaggiatori del 700....purtroppo la suggestione delle tenebre scompare di giorno quando emerge in tutto il suo squallore la destinazione a discarica del luogo.
Ora è veramente il momento di tornare, mi aspettano un piattone di spaghetti al nero di seppia e un piatto di melanzane alla parmigiana.... e allora aumento il ritmo, raggiunto il tratto Partinico Palermo della S186, inizia il divertimento, ormai la conosco, non forzo troppo per non perdermi il gusto dell'ambientazione, ma la strada scorre veloce salgo in terza e quarta con belle pieghe, il motore sempre in coppia, ancora una volta rimango impressionato dalla facilità con cui Dak si fa condurre, l'inserimento in curva è fulmineo, l'appoggio sicuro (mi chiedo come sia possibile con quella ruotina che si ritrova davanti) i cambi di carico non si avvertono minimamente e le esse filano via senza il minimo sforzo quasi mi dispiaccio di essere già dentro Palermo, dove mi impegno, ormai a mio agio, in una sfida con uno scooter....il traffico di Palermo vive di regole proprie, basta capire per muoversi con relativa velocità, richiede una attenzione maniacale ma scorre; parafrasando un vechhio spot macista " è un traffico per l'uomo che non deve chiedere mai", nel senso che non ti devi aspettare mai niente da nessuno. Sono di nuovo a casa, guardo Dak nel garage e un sorrisetto ebete si stampa, come al solito, sulla mia faccia bruciacchiata dal gia forte sole siciliano.
La mattina dopo sono di nuovo in sella con la mia amica Ariela, direzione Mazzara del Vallo, di nuovo la S624 fino a Castelvetrano, salto Selinunte che ho gia visto numerose volte e mi dirigo verso Mazzara, ci arriviamo verso l'ora di pranzo, anzi un po più tardi, molti ristoranti sono chiusi, ci dirigiamo verso l'unico aperto, la cucina è buona ma il pesce purtroppo e congelato, non me lo aspettavo, ma Ariela mi spiega che il pesce viene in gran parte congelato per essere spedito alla grande distribuzione solo una minima parte rimane a disposizione dei ristoranti, e poi bisogna considerare che essendo giorni di festa i pescherecci sono rimasti a terra.....vabbè, sarà per la prossima volta. Ci consoliamo con uan visita alla città, molto bella nel suo centro storico che progressivamente sta assumendo sempre piu connotati arabi: Mazzara è infatti un centro dove l'immigrazione dal nord-africa e molto forte, ma è anche un esempio di integrazione con scquole dove si insegna sia l'italiano che l'arabo, ci fermiamo a parlare con un signore che pazientemente ripara la sua rete su di un grosso peschereccio, ci dice che lui non potrebbe lavora se non fosse per questi "bravi ragazzi" che dal Marocco, Tunisia e Algeria arrivano a Mazzara per lavorare. Nel centro del paese sembra di essere a Fes, ristoranti arabi, bambini ovunque, si respira una costruttiva aria di collaborazione e di tolleranza che avrebbe molto da insegnare al "più evoluto" nord Italia. Improvvisamente arriva un piccolo peschereccio, dal nulla si forma un capannello di persone, cominciano ad parlare fittamente, qualche grida, un po di scena, sono le contrattazioni, si vende il pescato. La statua del protettore del paese ci saluta e noi la salutiamo come fanno i pescatori ogni volta che uscendo in mare vi passano davanti. La strada prosegue anonima fra anonimi paesi sino a Marsala, città territorio: il nucleo principale è di piccole dimenzioni ma l'area urbana è una delle più vaste di Italia, divisa in numerose contrade occorrono circa 22 km in line retta per uscire dal suo interland e arrivare a Mozia.
La zona di Mozia è molto suggestiva, le saline che circondano la laguna al centro della quale se ne sta l'isoletta su cui i Fenici costruirono una città creano una atmosfera unica, le vasche assumono colori differenti a seconda del grado di salinità dell'acqua, si passa da un azzurro acceso ad un rosso sangue, lungo i bordi delle vasche cumuli di sale sono esposti al forte sole per asciugarsi. Una visita all'isoletta di Mozia è sicuramente da cosigliare, il momento ideale è prima del tramonto, quando la luce rende il paesaggio ancora più suggestivo.
Proseguiamo per Trapani, una città particolarmente ordinata e con un traffico decisamente ordinato (abituato allo standard palermitano !), non offre nulla di particolare se si esclude un belo lungomare e qualche edificio.
Verso il tramonto saliamo a Erice, città della scienza e delle antenne, il paese è molto ben tenuto, passeggiare per i vicoli offre scorci interessanti di giardini ben curati e fioriti, le case hanno quasi sempre una piccola corte interna la cattedrale merita una visita (chi ama il barocco può entrare, gli altri è meglio se restano fuori).
Il giorno dopo, stanco di una notte a cercare un modo per restare dopo un giro per Palermo il rientro.

Ciao

Andrea B.

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