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Tra
i Dardanelli e la Sila
di
Blu
messaggio del 17 agosto 2003
Raggiungiamo Ancona un po' in ritardo, dopo
tante curve di montagna.
E' il primo di agosto e ad Ancona ci aspetta Leo. Siamo un po'
emozionati, anche se nessuno lo dice.
Ci muoviamo come se niente fosse, ma con la coda dell'occhio
studiamo
le nostre moto cariche di bagagli e i nostri cuori, carichi
di sogni.
Dentro di me sorrido al faro di Ramtha, alla mia tenda ed ai
ricordi
che ho della Troade, dell'Anatolia, della Cappadocia e soprattutto
al
resto. a quello che non ho ancora visto, che devo ancora imparare
a
conoscere. e ancora oltre. a quello che non so ancora immaginare.
La rampa per salire sulla nave è ripida. Mi piego un
po' in avanti e
mi godo lo scoppiettio del motore attraverso i polsi e fino
al cuore.
Penso ad ibaby e alla sua voglia di partire e salgo su, dietro
a mazu
e Leo, tra il fumo scuro dei camion e il cigolio degli pneumatici
delle auto sulle rampe metalliche della nave.
Corda e salsedine. La pelle si scalda, si fa umida e pesante
di sale.
La nave vola, rollando appena un po', verso la Grecia, ma il
cuore è
già avanti di mezzo secolo.
Forse è la stanchezza che mi rende confusa. però
la strada per
Metsovon è bellissima, la conosco bene, e avrei avuto
voglia di
godermela ancora. invece, per il ritmo che teniamo, riesco solo
a
badare alle automobili, ai camion ed alle buche dell'asfalto.
Poi,
verso Korydallos, un banco di nebbia e, subito dopo, la pioggia.
e il
mondo, per un po', riprende a scorrere a ritmi comprensibili.
Scivolo
lentamente tra le curve, apro la visiera, lascio che la nebbia
mi
bagni il viso, e mi godo quel poco che si riesce a vedere intorno.
finché la pioggia finisce e noi riprendiamo a correre.
Avrei voluto
proseguire per i monti e raggiungere Salonicco attraverso Kosani,
Veria e Vergina.invece mi arrendo alle piane di Larissa e
all'autostrada: non si vede niente comunque, ma almeno si corrono
meno
rischi. Due giorni di solo asfalto, con il cuore distratto e
lontano.
Più che in viaggio, mi sento alla fine di un week end.
Perplessa. Mi
ritrovo a pensare che avrei voglia di essere da sola.
Sorvoliamo le Meteore come lampi: giusto il tempo, per Leo,
di
scattare qualche fotografia. Il cuore scorre sotto agli pneumatici
e
ad Agios Nikolaos, rimango in sella e non mi sfilo neppure il
casco.
Non ci sono con la testa. Non ci sono con il cuore.
Poi sfrecciamo indifferenti davanti al mare, tra Dion e l'Olimpo,
con
la sua solita buffa nuvola sulla cima. Per fortuna quella notte
diluvia e spezza un po' il ritmo.
In due giorni atterriamo in Calcidica. Come ci siamo arrivati?
Non
sento il tempo. Non sento la distanza. Spaesata. Il tempo come
fumo.
Lo spazio compresso. Dove stiamo andando?
Ricordo solo una cicogna su un tetto: un attimo, e una nuvola
di vespe
dentro ad un ristorante polveroso. Mi ritrovo a ricucire frammenti
di
spazio e a cercare di capire quello che mi si muove intorno,
sulla
base dei ricordi di viaggi precedenti.
Kavala è un soffio che mi passa accanto. Quasi nemmeno
un'indicazione
stradale. Dentro di me stride in sordina il ricordo delle luci
del
porto e delle pietre bianche del quartiere vecchio.
Proviamo a parlarne. Hanno fretta di arrivare (ma dove?). Sentono
questi giorni come tappe di trasferimento (ma verso cosa?).
Almeno trecento chilometri al giorno. Non sono molti, ma l'idea
mi si
stringe al collo come una sciarpa di nylon. Guidare mi piace
e non mi
stanca. ma non sono le distanze chilometriche che voglio colmare.
Non
mi interessa planare su una città con il mio scafandro
stagno e
strappare quelle cinque o sei foto che possano dimostrare che
ci sono
stata.
Mi sento persa. Il cuore nel buio. Avrei voglia di andarmene
da sola
con Ramtha. Però li stimo entrambi. Penso che il mio
è solo uno dei
modi possibili di vivere un viaggio e ci provo ancora.
Verso la Turchia. Le long houses dei pastori sono ancora al
loro
posto, ma sempre più spesso alle frasche è stata
sostituita la
lamiera. Quella grande poi, tra le montagne, che tanto mi aveva
stupito l'ultima volta che ho percorso questa strada, è
ormai
abbandonata e, in parte, crollata. Penso a quanto è antico
questo modo
di gestire la vita e a quanto pesanti e rapidi siano alcuni
movimenti
che, nel quotidiano sono invece impercettibili.
Passiamo il confine a Kipi.
Il vecchio posto di frontiera è ormai un insieme di ruderi.
Non ci
sono più i venditori di çay nella piazza, con
l'odore di menta e legno
né lo strepito dei bambini tra i carri. Niente più
rondini dentro agli
uffici e neanche più il mare di girasoli che ci aveva
lasciati senza
fiato. La strada attraversa ancora la piazza e i ruderi della
vecchia
stazione, che parlano ancora solo al cuore di chi li ha visti
com'erano, mentre il tempo se li porta via.
I nuovi uffici, squadrati e lindi, si trovano più avanti.
Tutto più
grande, più aperto, più moderno, tranne le solite
buffe trafile per
timbri e firme che ci costringono, comunque, a rimbalzare tra
un
ufficio e l'altro, tra un ufficiale e l'altro, per più
di un'ora. Fa
parte del gioco e, in realtà, dentro di me sono felice
che, al di là
delle apparenze, il loro cuore sia ancora saldo.
Firma, timbro, passaporto, tassa, controllo, timbro, carta verde,
tassa, firma, controllo.
Raccolgo per l'ennesima volta i documenti di Ramtha e mi presento,
con
fogli, fogliettini e timbri, all'ennesimo ufficiale di frontiera,
sperando che sia l'ultimo. Controlla tutto. La moto.
- E' tua?
- Sì, è mia, c'è scritto.
- Bella eh?
- A me piace.
- Va molto forte?
- A me piace andare piano.
Non conosce molte parole in inglese . e io ancora non sono in
sintonia
con il turco ma, soprattutto, forse ho ancora il cuore troppo
lontano
da qui.
Ci pensa un attimo e poi mi guarda con un sorriso un po' ammiccante.
Ha letto il mio nome sui documenti: "Where are you going,
Silvia?"
Già. dove? Lo guardo negli occhi e rispondo a caso il
nome del primo
paese che mi viene in mente, tra quelli che ho letto sulla carta
geografica. Dove sto andando?
E tu dove stai andando, signor ufficiale di frontiera, con la
tua
divisa troppo larga e il tuo sorriso increspato dai baffi? Dove
stai
andando, con la tua vita in bilico tra la famiglia che ti aspetta
in
un qualche paese e questo posto di frontiera? Dove?
Ipsala, io vado ad Ipsala per ora, ma sappiamo entrambi che
non è
questo che volevi sapere.
A volte il tempo ci porta via. Il ritmo del mio viaggio, la
tua divisa
e questo spigoloso nuovo posto di frontiera.
Quello che vuoi sapere non è il nome di una località,
ma la
circostanza che ci ha messi di fronte. Non c'è tempo
né spazio di
spiegarsi, signor ufficiale di frontiera coi baffi.Tra un'attimo
io
riprenderò la mia moto e me ne andrò tra la mia
polvere nello spazio,
mentre tu te ne andrai, con i tuoi timbri e i tuoi baffi, tra
la tua
polvere nel tempo.
Mi chiedo come sarebbe stato se ci fossimo trovati a bere çay
in un
bar. Te lo stai chiedendo anche tu, mentre firmi l'ultima carta,
inclini di lato la testa e mi guardi ancora? -Sia buono il tuo
viaggio. - Sia buono anche il tuo.
Ho capito. Hai capito. Sorridi ancora. Finisco di sistemare
i
documenti, sorrido anch'io, accendo il motore e raggiungo gli
altri.
Ipsala esiste davvero e, mentre la attraversiamo, ricordo di
esserci
già passata. Cerchiamo un campeggio e un poliziotto ci
scorta fino al
campo sportivo dicendoci che ci possiamo accampare lì.
Niente male,
tutto sommato, soprattutto se il vicino distributore ci fa usare
docce
e servizi. ma forse è un inizio troppo brusco. e finiamo
invece in un
hotel.
La sera il paese è in festa.
A un lato della piazza, sopra ad un grande carro agricolo appena
addobbato, un uomo suona una tastiera e canta, accompagnato
da un
tamburo e da una base registrata. Tra lui e la statua di Ataturk,
la
gente balla: le donne sorridenti e gli uomini con la bandiera
turca
legata sulle spalle.
E' un ballo che conosco, che ho ballato ad Amman con Sami e
a Salkin
con le donne, alla festa di matrimonio della sorella di Ali.
Resto
incantata a guardarli mentre a fianco a me, tra una montagna
di
contenitori di latta, alcuni uomini seduti a terra bevono birra.
Birra
per le strade. Il tempo corre.
La polizia in borghese ci si palesa sotto le spoglie di un buffo
tipo
evidentemente un po' alticcio, con tanto di tesserino di
riconoscimento, che ci assicura la sua protezione. Finché
non ci
allontaniamo da lui, non ci succederà niente J
Passiamo i Dardanelli a Canakkale. La chiatta di legno che ricordavo
è
diventato un barcone in lamiera. Un salto. Guardo mazu e Leo,
l'acqua,
le due coste, le moto e la gente intorno.
Dove stiamo andando?
Faccio fatica a ricostruire nel cuore lo spazio che abbiamo
percorso
da casa a qui, addensando quello che ricordo da altri viaggi.
voi come
fate a capire dove siamo? Come fate a non sentirvi schiacciati
dal
mondo che ci viene incontro?
Troia, lo Scamandro. Strepito di armi. Grida. Nuvole e fumo
in una
giornata limpida, mentre attraverso il vento lasciamo correre
lo
sguardo fino al mare.
"Where are you going, Silvia?": nel casco, attraverso
la pianura e poi
fino alla cima del tell. "Where are you going?" Ancora
grida. Paura.
Le pietre bianche della rocca. L'accampamento degli Achei. Cavalli.
Le
ferite degli scavi. I bambini giù dalle mura. Tempo.
Tempi. L'acqua.
Difendere le porte. I turisti indifferenti sulle passerelle
polverose,
di fronte al cadavere di Ettore, per un tempo infinito intorno
alla
rocca. Dove stiamo andando? Mille città una sull'altra.
Mille
finestre. Polvere di mille pensieri, stridenti e persi...
Nella campagna i forni da pane sono ancora di fango e le donne
sono
ancora nei campi fino a sera, con le loro vesti variopinte.
Alexandria
Troas, difesa da percorsi secondari: non avete sentito Troia
e non
sentirete questa.
Ayvalik e Ayvacik. Mentre attraversiamo il ponte mi chiedo se
ci sarà
una terza volta. Come sarò io, allora? E come sarà
il mondo? Sulla
strada che scende dal tell i sarcofagi sono scomparsi. Qualcuno
se li
ricorda ancora? Per quanto tempo?
Poi Ramtha comincia a fare capricci. Il motore si spegne, a
caldo e a
freddo, in accelerazione e in decelerazione. me la vedo brutta
un paio
di volte e capisco che non posso proseguire.
La signorina della EA mi dice gentilmente al telefono che sono
fatti
miei: non c'è un concessionario BMW in quella parte della
Turchia, e
fino ad Istanbul loro non mi porteranno.
In qualche modo riesco ad arrivare a Cesme e, con la tristezza
nel
cuore, rinuncio per quest'anno alla Turchia. Il peggio è
che il
viaggio finisce anche per mazu e per Leo, che decidono di non
lasciarmi rientrare da sola.
La sera, in traghetto, attraversiamo l'Istmo di Corinto. Follia
di un
sogno antico che il tempo ha reso reale. Tra le luci del molo,
alcuni
ragazzi ci salutano, mentre la nave scivola lenta dentro alla
roccia
viva. In alto i ponti, il cielo stellato e la luna, il resto
è solo
ombra di pareti di roccia e mare.
Spero di riuscire a riportare Ramtha a casa ma, poco dopo Brindisi,
lei si ferma ancora una volta e non riparte più. La centralina
è
proprio andata. Carro attrezzi e deposito, in attesa che riaprano
le
officine, perché è la settimana di ferragosto,
e tutti i concessionari
BMW di Puglia e Basilicata sono in ferie. Così, mentre
Leo rientra a
Roma, abbandonati un po' di bagagli in un albergo, io proseguo
da
zavorra sulla moto di mazu.
Per qualche giorno vagabondiamo per la Puglia: rimbalziamo tra
Lecce,
Porto Cesareo, Gallipoli e Otranto. Facciamo in tempo ad incontrare
Gahan78 e Stefano che stanno per imbarcarsi e che avremmo preferito
trovare, invece, in Turchia.
Le loro moto ancora più cariche delle nostre. Nessuna
meta concreta.
Nessuna tappa. Nessuna tabella di marcia. Li invidio un po'
per i
giorni che hanno davanti e spero che abbiano più fortuna
di noi.
- Da Igoumenitza per dove dobbiamo prendere?
- Per Ioannina - rispondo - e poi, da lì, verso Metsovon
e poi
verso Kalambaka.
- Ma le Meteore dove sono?
- A Kalambaka, appunto.
Mi chiedo se abbiano almeno una carta stradale. Non hanno prenotato
neanche il traghetto di andata. Inseguono il cuore: sarà
un viaggio
bellissimo!
Noi, invece, cominciamo ad essere un po' fiaccati dal caldo
e
decidiamo di spostarci.
Un salto sul Pollino, con l'idea di proseguire subito verso
la Sila,
ma finiamo per fermarci qualche giorno.
Saliamo da Oriolo, Cersosimo, San Costantino Albanese, Francavilla
in
Sinni, scivolando lentamente attraverso curve morbide che rivelano
paesaggi mozzafiato. Boschi, montagne e vallette e poi la grande
valle
del Sinni. Di nuovo troppo caldo. Risaliamo fino a Terranova
di
Pollino e, da lì, attraverso una strada sterrata che
le nostre carte
non riportano, tra pascoli e boschi raggiungiamo Mezzana e San
Severino Lucano. Turisti. Proseguiamo, tra mille tornanti, per
Viggianello e Rotonda e poi ci decidiamo di fare davvero rotta
verso
la Sila.
Prima di Cosenza usciamo per Luzzi e ci dirigiamo verso Camigliatello
Silano. Mentre saliamo mi sento a disagio. Non riesco a distendere
lo
sguardo senza rimanere impigliata nel cemento. Decine di costruzioni
abbandonate o non finite mi fissano con le orbite vuote delle
loro
aperture senza infissi. Perché qui si continua a costruire?
Mi chiedo
com'era questo posto prima del cemento e prima della plastica
ai bordi
delle strade,
Camigliatello Silano. Burla da turisti. Non c'è una libreria.
Denti
d'osso, di ceramica, d'oro, di plastica, di cemento, di lamiera.
Penso
al cuore di chi decide di trascorrere qui la sua vita.
Da Camigliatello Silano, costeggiando il Lago Cecita, ci tuffiamo
nello splendido Parco Nazionale della Calabria. Strade finalmente
pulite, curve emozionanti, boschi e cielo.
Profumo di vitalba. Mi ricorda Armando. Il cielo dei suoi occhi,
la
sua voce cigolante, le sue mani piccole, scure e rugose che
intrecciavano canestri con movimenti rapidi, sicuri e antichissimi.
Uguali a sé stessi da secoli. Polvere.
Costeggiamo, dondolandoci all'ombra degli alberi, il Bosco di
Gallopani, poi proseguiamo un po' fino a Longobucco. La strada
è un
delirio di tornanti e curve ed il paese è appeso alla
roccia, in
bilico sulla valle del Trionto. La valle, strettissima e profonda,
sarebbe pure molto bella, se non avessero deciso di farla percorrere
tutta, nel senso della lunghezza, da un'enorme strada sopraelevata
in
cemento che conferisce al paesaggio un aspetto decisamente innaturale.
Indietro fino al Bosco di Gallopani, Fossiata, Germano, Camigliatello
Silano.
Il giorno dopo ci spostiamo più a sud, e giriamo intorno
al Lago Arvo.
Ancora boschi e rifugi. La zona sarebbe splendida, ma il bordo
della
strada è ingombro di rifiuti. Sacchi dell'immondizia,
cumuli di piatti
e bicchieri di plastica, dalla strada aggrediscono il bosco.
Mentre siamo fermi, in qualche modo dalla moto ci rubano guanti,
tute
antipioggia e biancheria. Amareggiati decidiamo di risalire
verso
casa: la Calabria e bellissima, ma non ci mancherà.
Ramtha è ancora in Puglia: spero di poter scendere a
recuperarla a
Lecce la prossima settimana, poi ci metteremo a progettare una
nuova
partenza.
Blu
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
Blu Yamaha TW200
Ramtha BMW F650GS
Siena
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
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