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Mensile di comunicazione ebraica per informare,
educare e divertire
Migliorare la qualità della vita:
obiettivo primario dell’ebraismo.
Adar 5763
Marzo 2003



Editore:
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Pagine oro
intervistato per voi
Il professor A.M. Rabello alle prese con il diritto ebraico in matrimonio, divorzio, inseminazione artificiale, procreazione assistita, aborto, trapianti di organi ed eutanasia nel suo Introduzione al Diritto Ebraico
uscito di recente, per conto della Casa editrice di
pubblicazioni giuridiche Giapo-pichelli, il libro di Alfredo Mordechai Rabello: Introdu-zione al DIRITTO EBRAICO: fonti, matrimonio e divorzio, bioetica (Torino, 2002).
Il libro viene a colmare una lacuna assai avvertita e conduce il lettore nell’esame delle fonti principali del diritto ebraico, dalla Bibbia, alla Mishnà, dal Talmud alle grandi codificazioni di Halachà ed alla vastissima letteratura dei Responsa.
Riportiamo a tal proposito un interessante responso di Rabbi Moshè Isserles, il famoso Remà, nelle parole di Rabello:

“Il Remà, studioso anche di Kabbalà e filosofia, ci ha lasciato un interessante libro di Responsa. Degno di nota, per la sua umanità, un Responsum1 che ha visto come attore lo stesso R. Moshé Isserles.
Egli racconta di una ragazza orfana di madre, il cui padre aveva provveduto a farla fidanzare, ma prima del matrimonio anche il padre morì e la ragazza rimase orfana di padre e di madre, abbandonata dai suoi parenti, tranne lo zio materno, che si prese cura di lei, ospitandola in casa sua.
Vi era una grande difficoltà nel reperire la dote necessaria per le nozze; le vicine di casa convinsero la ragazza a fissare le nozze, essendosi sparsa la voce che si sarebbe raccolta una certa somma per la dote. La data delle nozze venne fissata per un venerdì; la ragazza si era già purificata per le nozze nel mikvé (bagno rituale) ed il suo volto era stato coperto con il velo bianco nuziale, quando si venne a sapere che solo 2/3 della dote di cui si era parlato avrebbe potuto essere consegnata allo sposo; a questo punto lo sposo dichiara di non essere disposto a sposarsi in quelle condizioni, non prestando ascolto a chi cercava di persuaderlo a sposarsi ugualmente.
Passano le ore ed ecco entrare lo Shabbat2, che inizia appunto il Venerdì sera, con il calar del sole; soltanto una volta entrato lo Shabbat lo sposo si convince finalmente ad acconsentire alle nozze.
Orbene la regola generale stabilisce che, per divieto rabbinico, non si effettuano matrimoni di Shabbat3; il cuore di R. Moshé non gli permette però di lasciare quella povera ragazza orfana in quelle condizioni, con tutti i preparativi per le nozze già completati, rimandando però le nozze; egli ben sapeva che il dolore per la delusione sarebbe stato enorme.
Ricordando una decisione di minoranza, dovuta ad un grande Saggio, Rabbenu Tam, egli ritiene che tale opinione possa essere seguita in un momento di emergenza, mettendo in rilievo che doveva anche essere seguita la regola talmudica, secondo cui “è importante la dignità delle creature”: e cosa poteva causare più grande vergogna e dolore per questa giovane sposa, che veder rimandare le proprie nozze, per le quali tutto era già pronto?
Il Remà si assume la responsabilità della sua decisione e celebra lui stesso le nozze della ragazza durante lo Shabbat. Accanto alla regola fissata dallo Shulchan Aruch, secondo cui non si fanno matrimoni di Shabbat, il Remà aggiunge la sua glossa: “e vi è chi permette di sposare a chi non ha moglie e figli4 ed anche se non decidiamo in questo modo5 … tuttavia ci basiamo su di questo6 in caso di emergenza, perché è importante la dignità delle creature, come quando può capitare che non ci si metta d’accordo sull’ammontare della dote, e da Venerdì si arriva a Shabbat e si fa la Chuppà e i Kiddushin7 la sera di Shabbat, dato che è già stato preparato tutto per il pasto nuziale e per le nozze, ed è una grande vergogna per la sposa e lo sposo se non si sposano allora…”; contro le critiche della sua Comunità di Cracovia il grande decisore aveva voluto fissare la regola anche per le generazioni future8, affinché anche Rabbini meno esperti potessero basarsi sulla sua decisione, risparmiando dolore inutile, perché “è importante la dignità delle creature”. (pagine 81 e 82).
Le altre parti sono dedicate all'esame di problemi di grande attualità, attinenti al matrimonio ed al divorzio, alla inseminazione artificiale ed alla procreazione assistita, alla problematica dell'aborto, dei trapianti di organi, lo stabilire l'esatto momento della morte, esame del problema delle sofferenze del malato e della cd. eutanasia: il tutto secondo la visione della Halachà, come espressa dai Decisori più qualificati.
A.M. Rabello è professore ordinario alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università ebraica di Jerushalaim, ove è stato Direttore dell'Istituto di Diritto Ebraico negli anni 1982-1988, ed insegna Diritto Ebraico ed israeliano alla Statale di Milano, come professore a contratto.

NOTE

1. Resp. Haremà n. 125.
2. È il Sabato, il giorno festivo ebraico, secondo quanto stabilito nei Dieci Comandamenti.
3. Sh.A., O.Ch. 339:4.
4. Questa è appunto l’opinione di Rabbenu Tam, che ritiene che bisogna prendere in considerazione la Mizvà di aver figli.
5. Cioè normalmente non ci si sposa di Sabato neppure in quel caso.
6. Cioè l’opinione di Rabbenu Tam.
7. La cerimonia nuziale, come verrà spiegato nel capitolo sul matrimonio.
8. Non limitandosi quindi al suo Responsum, per evitare che si potesse dire che il Remà aveva visto in questo Responsum una eccezione unica, altrimenti… l’avrebbe codificata nelle sue glosse. La regola è stata appunto codificata. Sulla decisione del Remà si veda i I.BLIDSTEIN, È importante la dignità delle creature, in Shenaton haMishpat haivrì, 9-10, 1982-83, pp. 130 ss., l’a. avanza l’ipotesi che la Comunità di Cracovia abbia emesso una takanà secondo cui è proibito sposarsi di Venerdì, onde evitare la ripetizione di simili casi; v. anche N. RAKOVER, Human Dignity in Jewish Law, Jerusalem, 1998 (in ebr.), p. 129 s.


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