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DIVIETO DI BALNEAZIONE
di Alessandro Biagini

La fila di scalette anonime, non conduceva in nessun luogo particolare. Decine di metri più giù buste della spazzatura, rovi e chissà cos’altro.
E lungo il letto del Tevere, all’altezza di Ponte Marconi, i soliti tronchi d’albero e qualche pezzo di plastica, spazzati via dal temporale. Sulla strada intasata d’auto e pendolari, solamente il riflesso triste dell’alba di un nuovo giorno.
Giovanni era sempre là, da troppi anni ormai. Il suo si stava trasformando lentamente in una sorta di rituale scaramantico, ma i risultati tardavano ad arrivare.
Lui capelli bianchi, profumo di dopobarba e ottantaquattro anni trascinati per forza come fossero stati un fardello da dimenticare in un angolo buio, pensava e sperava, senza stancarsi mai. Probabilmente, due settimane dopo, lui avrebbe pensato un po’ meno e sperato di più, ma di questo particolare non importava proprio niente a nessuno.
Anche i gabbiani che disegnavano strane traiettorie a pochi metri da quella sagoma immobile, sembravano comprendere la sua fragilità.
Giovanni abitava a Testaccio, vicino al vecchio Mattatoio: stesse facce, stessi odori e amori da circa quarant’anni. Per un motivo assurdo, difficile da capire anche a pensarci bene, Ponte Marconi era un luogo che gli era entrato nel cuore, fin dal primo giorno in cui lo aveva incontrato.
Tanti anni dopo, in un pallido Sabato di settembre, lui era uscito di casa come sempre, per incamminarsi incontro al vento. Le gambe e la testa erano pesanti come blocchi di marmo, ma nessuno sarebbe stato in grado di tenerlo lontano dal ponte tanto caro.
Da circa due mesi, io passavo di là un po’ per necessità ma anche per caso: era quasi impossibile non notare la figura esile. E all’ora di pranzo, spesso e volentieri, mi era capitato di pensare alle motivazioni o ai ricordi di quell’uomo, così incredibilmente somigliante a mio nonno. Poi la frenesia della giornata, giungeva puntuale a rapire le mie considerazioni.
Dei mille ricordi del quartiere, a Giovanni era rimasta solamente una foto bruciata dal tempo. Il resto del suo immenso tesoro, fatto di appunti, di informazioni e ritagli di giornale sul lento procedimento di urbanizzazione che aveva coinvolto la zona dal dopoguerra ad oggi, si erano perduti tra la polvere di qualche soffitta. Forse, erano andati perduti per sempre.
Quel tesoro, avrebbe fatto innamorare a prima vista anche il collezionista più sbadato.
Com’era diverso quel quartiere descritto frettolosamente, rispetto allo smog di oggi, alla vernice spray che violenta i muri e al cemento che sostituisce il verde, fino quasi a togliere la possibilità di respirare.
Come sono diverse le donne, le botteghe e i mestieri, gli usi e i costumi di questa città eterna. Solo il fiume resiste, lento e sonnacchioso, con le sue storie segrete e i pesci che sfuggono alle esche di uomini ostinati. A Giovanni, tutto questo non bastava.
Finalmente una mattina, come per incanto, mi feci coraggio e decisi di avvicinare quel distinto signore.
A quella distanza, l’eleganza spontanea dell’uomo, sembrava trasparire anche attraverso le pieghe del suo abito mezzo sgualcito. Il profumo del dopobarba, forse lo stesso di quando era ragazzo, creava un alone impenetrabile.
Cosa manca a questo quartiere per renderlo più vivibile?-. La mia domanda era rimasta per un attimo appesa alle labbra, poi qualcosa di inaspettato l’aveva sbalzata fuori, in attesa di essere presa in considerazione.
Il silenzio che regnava tutt’intorno a noi, faceva da giusto contrasto ad un cielo terso, nonostante le previsioni pessimistiche del servizio meteorologico. I clacson delle auto, schiamazzavano in lontananza.
Giovanni mi guardò con un’espressione mista di sorpresa e spavento: fino ad allora nessuno si era intromesso nel suo mondo. Quel piccolo angolo di Ponte Marconi, sembrava averlo costruito, con scrupolosità sempre crescente prima nella sua fantasia poi, giorno dopo giorno, in una realtà ben definita.
Io guardai un punto qualsiasi al di sotto del fiume, poi chiesi :-Qual è il segreto per vivere il quartiere?-. Lui si voltò confessando :-Gli anni passano, ma il quartiere resta… Non possiamo sperare nei cambiamenti, occorre però proporre idee nuove!-
-E la tua, quale sarebbe?-. Giovanni rise di gusto, come forse non gli capitava da molto tempo.
La sua mano fragile si alzò in un gesto meccanico, fino ad indicare il cartello bianco e blu alla sua sinistra. Le lettere, rese scure dalla ruggine, ricordavano alla popolazione, ma anche a qualche malintenzionato di passaggio, che in quella zona era proibita la balneazione.
-Vorrei tornare a prendere il sole sulle rive del fiume. Il Tevere non è più quello di una volta, ma le sue sponde potrebbero essere recuperate…-
Io tentai di riflettere sull’affermazione : le sponde potrebbero essere recuperate! Che senso aveva quella frase? In che modo poteva essere attivato il meccanismo di recupero?
Il mio lavoro, mi aveva più volte portato ad esaminare progetti riguardanti beni ambientali e architettonici. L’opportunità di collaborare agli studi, ai preventivi o alla messa a punto degli interventi, rappresentava l’aspetto più entusiasmante dell’attività. Eppure, le parole di Giovanni erano piombate su di me con la stessa naturalezza di un fenomeno naturale che si abbatte nel bel mezzo di un giorno d’estate.
Da quel giorno, percorrere il tratto di Ponte Marconi che faceva da cornice alla Basilica di San Paolo, nascondeva qualcosa di magico. Il grigiore della zona, era stato sostituito da tinte delicate mentre l’acqua del fiume colorava di verde smeraldo anche le rive più lontane.
Le persone si intrattenevano senza fretta sul ponte, a pochi metri da loro, nugoli di bambini giocosi, si rincorrevano come nei giorni di festa. A cosa era dovuto questo cambiamento immediato? Perché quella scena irreale, ma fantastica al tempo stesso, si era manifestata senza preavviso?

Divieto di balneazione.  
Le sponde potrebbero essere recuperate.

Io camminavo e riflettevo. Da un punto di vista urbanistico, la zona era sempre la stessa. Nonostante i progetti presentati, occorreva del tempo per metterli in atto. Nell’arco di due o tre anni probabilmente, sarebbero state costruite strutture in grado di fronteggiare i problemi attuali. Il verde avrebbe di nuovo sostituito qualche porzione di cemento, accanto al bar d’angolo, al posto degli uffici, ci sarebbe stato un parco giochi. A cinquecentosettantacinque giorni dal Duemila però, tutto era invariato, proprio come lo vedeva Giovanni.
Ma c’era una novità ed aveva la stessa importanza di uno scoop giornalistico tanto atteso. Io avevo scoperto il segreto nascosto nelle parole dell’uomo affacciato sul Tevere.

Divieto di balneazione.  
Le sponde potrebbero essere recuperate.

La pioggia non scoraggiava Giovanni. Anzi, piuttosto che di pioggia, si trattava di un vero e proprio diluvio fuori stagione. Io mi avvicinai per coprire le sue spalle stanche con un impermeabile e lui si mostrò più cortese rispetto al nostro primo incontro.
-Finalmente ho capito…- dissi io con la voce rotta dall’emozione – L’unica regola per cambiare il gioco è quello di prendere posizione. Per troppo tempo siamo stati a guardare inutilmente!-
Avevo trascorso quattro giorni per pulire il mio apparecchio fotografico fino a quel momento, perso in un cassetto della scrivania. La pellicola da ventiquattro pose, l’avevo acquistata un attimo prima di avvicinarmi al ponte.
-Ogni cittadino del quartiere dovrebbe scattare almeno dieci foto…- Giovanni sorrideva insieme a me. Quell’ipotesi lo rendeva felice. –Non è importante documentare quello che si ha, ma quello che si vorrebbe avere!-
Giovanni mostrò una cartellina rossa. Per tutta la sua vita, aveva creduto che il tesoro fatto di ritagli di giornale e documentazioni varie, fosse andato perso. Ventiquattr’ore prima invece, la sua personale collezione era sbucata fuori da uno scatolone ammuffito.
Io esaminai il materiale, la pioggia aveva concesso una tregua.
Il traffico non era poi tanto caotico, merito di una pattuglia di polizia municipale che regolava i semafori guasti.

Divieto di balneazione.  
Le sponde potrebbero essere recuperate.

-Vorrei che quel cartello con la scritta coperta di ruggine, sparisse per sempre…- confessò Giovanni improvvisamente serio –Mi rendo conto che nessuno potrà mai più fare il bagno nel fiume, però è importante lavorare per un progetto di recupero ambientale delle sponde del Tevere!-. –Perché insisti tanto su questo punto?- chiesi io, nascondendo un pizzico di imbarazzo – Sembra quasi che tu conosca solamente questa parte del quartiere…-
-Non c’è un motivo particolare! –rispose lui con un’espressione rilassata –Ma da qualcosa dobbiamo pur cominciare. Fino a ieri ero solo, oggi siamo in due. E’ necessario proseguire su questa strada, senza stancarsi mai.-
Il sole squarciò le nubi con i suoi raggi dorati: sembrava a tratti regalare una sensazione di benessere.

Le sponde potrebbero essere recuperate.

 

Racconto che ha conseguito il secondo posto al Concorso di narrativa “Arvalia”, patrocinato dalla XV Circoscrizione e dal Comune di Roma, nella sezione narrativa.