Maurizio Fagiolo Dell’arco

Le Favolose Trasformazioni di Rotella


E’ questa una lettura che vorrebbe proporsi come discorso all’interno del metodo di Rotella. Non è quindi la proposta di un giapponese a Roma, ma l’indicazione che un artista può andare (anche graficamente) analizzato secondo come lavora. Tutto il lavoro del décollage e del reportage fino alle ultime splendide tele art-typo (le immagini si accumulano come fresche prove di stampa da rotativa) è, in effetti, un discorso sull’accumulo delle immagini ma anche sulla loro inevitabile trasparenza: si stacca, si stacca e si scopre qualcosa; si accumula, si accumula e qualcosa appare. così proponiamo che, sfogliando tutti i documenti del lavoro di Rotella (rintracciati a fatica negli archivi, dato che questo nomade non conserva niente del suo passato, che non sia la memoria) da oggi fino al suo esordio sulla scena della vita, si possa, in effetti, capire il metodo lucidissimo di questo materialista ladro d’immagini.

La città entra in casa era il titolo di un capolavoro di Boccioni: con i manifesti strappati e ricostruiti in quadri (appartengono ormai alla storia degli ultimi vent’anni), Rotella porta la strada e i suoi spessori vitali in casa, in galleria, nel museo. Nei primi (1954) c’era il manifesto prelevato come materia colorata (alcuni non sfigurano accanto ai pezzi più belli di Burri), mentre in quelli più maturi (i décollages ottenuti per strappi successivi) l’immagine cominciava a galleggiare. Nessun combine-painting di Rauschenberg tiene tanto bene il tempo.

Immagine del tempo e tempo dell’immagine, in un viavai chiarito appunto nel tempo (non sembri un immaginifico gioco di parole), perché le opere più recenti non sono altro che l’auto-analisi di quelle antiche e patinate di riconoscimenti. Ecco come s’invecchia: non aggiornandosi, ma contribuendo a chiarire il senso del proprio lavoro. Criticamente.

     Mimmo Rotella. "Marilyn"

Professione reporter: Mimmo Rotella è anche l’involontario cronista degli ultimi vent’anni, l’occhio-verità, il flash nella camera oscura del cervello. I suoi quadri composti di manifesti strappati in funzione d’una certa forma o d’un certo colore li guardiamo oggi anche come accumulazioni (l’inconscio conta pure qualcosa) delle nostre recenti mitologie: Marilyn e la birra bionda, la religione e il porno-cinema, il video e la lotta politica... Il tutto però è come filtrato dal gesto, violento e goloso allo stesso tempo, di un artista che vuole soltanto quello che sa. Professione reporter: ma c’è in più un notevole spessore di sadomasochismo nel gesto di strappare e di appropriarsi dei relitti dell’informazione, oltre alla certezza di salvare qualche cosa, sia pure con disinvolta ironia, da tramandare per il futuro cronista-storico del nostro cinico global village. E’ la capacità dell’immaginazione che Rotella torna a proporre: la grande virtù (o vizio?) che André Breton aveva appreso sulle pagine di Sade... Cara immaginazione, ciò che amo soprattutto in te, è che tu non perdoni. Questa volontà di ricostruire in un nuovo ordine il già fatto della scena urbana, Rotella l’ha dichiarata anni fa con clinica esattezza: Strappare i manifesti dai muri è l’unica rivalsa, l’unica protesta contro una società che ha perduto il gusto dei mutamenti e delle trasformazioni strabilianti.

A questo punto si avverte perfino un sottile richiamo a De Chirico, a misteri come l’enigma della strada, all’Inquietante che nasce nel vedere le cose non in armonia, al gusto di dimostrare che basta un piccolo spostamento perchè le cose più banali diventino inedite, perchè l’immagine sprigioni magia.

Ma c’è qualcosa di più in questo lavoro: una sottile esigenza estetica. Rotella lo nega, ma tutti finiamo per trovare nei suoi décollages un’indefinibile qualità, il risultato d’una rabdomante capacità estetica. Rotella non si atteggia a giudice di questa società, che ormai si basa sull’Inciviltà dell’Immagine: è un testimone o meglio un giudice istruttore. Accumula le prove e non pretende di dare verdetto. È proprio questa sottile bellezza (e diciamo la parola tabù) a differenziare la sua opera dall’impatto violento dei pop americani. L’immagine di Rotella è prima mentale che manuale: c’è prima un’idea pittorica e poi un’azione realmente eseguita, che aspira tuttavia a far esercitare una virtù (o vizio?) che pratichiamo troppo poco. La dialettica tra azione e contemplazione.

Tutto il lavoro di Rotella è in realtà destinato a durare: ed è il massimo per un’operazione che si basa tutta sull’effimero dei mass-media. Personaggi come Yves Klein, Burri, Rotella, Fontana, Dorazio... dimostrano che il vecchio continente è saldamente sulla scena dell’arte che conta: anche nel sound and fury del dopoguerra, anche alla soglia della nuova arte concettuale e radicale. La lezione di Rotella è che non bisogna adeguarsi ai tempi forzosi del consumo. Proprio perchè si tratta di lavori stratificati e complessi che impongono un lungo tempo di lettura, si collocano contro il facile spreco dell’immagine. La sua inesauribile operazione di riciclaggio (mai parola fu più brutta del termine denotato) vuole prima di tutto essere la proposta di un tipo di visione analitico e critico.

Nelle recenti operazioni grafiche (per dire così) Rotella parte sempre dalla pubblicità e dalle pagine di riviste (primo la comunicazione, secondo la scelta di messaggi sessuali). Una prima operazione è simile al frottage: ripassa una pagina stampata con un solvente, e sul foglio resta catturata la trascolorante farfalla immaginaria. Una seconda operazione Rotella la definisce effaçage (abrasione): cancella da una pagina tipografica l’immagine che ritorna allo stadio d’impronta. Un procedimento in negativo e uno in positivo. Nelle recenti tele artypo (accumuli di prove tipografiche accavallate), il muro tappezzato d’immagini si costruisce sotto i nostri occhi proponendo un immagine nuova. Fredda ma anche significante (noto l’insistenza accanita sul tema della mano e dell’occhio: ovvero vedere e impadronirsi).

Come il suo comportamento è tutto in sintonia con Picabia (il cinismo, la libertà dell’evaso, il faut à tre nomade), queste ultime tele ricordano il metodo picabiano delle Trasparenze, l’accavallarsi onirico che genera non confusione ma la nouvelle-image. Così che il reportage inclemente trasforma il metodo del riporto in struggente museificazione del reperto. E infine ogni certezza si brucia in queste favolose trasformazioni, con il metodo dinamico della Metamorfosi.

Pubblicato in: ROTELLA - maestri contemporanei, ed. Vanessa 1977.


Mimmo ROTELLA

Mimmo RotellaDeviazioni & comportamenti di Rotella

Mimmo RotellaDétournements & comportements de Rotella

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