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Carta 1987 del Restauro degli oggetti d'Arte e di Cultura
Istruzioni per :
Allegato A: La tutela dei Centri storici
Allegato B: opere di interesse architettonico
Allegato C: conservazione e restauro delle antichità
Allegato D: conservazione e restauro su opere a carattere plastico, pittorico, grafico e arti applicate
Allegato E: conservazione e restauro del libro
Allegato F: conservazione e restauro dei beni archivistici
Argomenti Correlati Il Documento sul Restauro del Mobile Antico
Nella Sezione |
1987 Carta della conservazione e del restauro degli oggetti d'arte e di cultura
Allegato B
Istruzioni
per la condotta della conservazione, manutenzione e restauro delle opere di
interesse architettonico. Considerazioni preliminariLa
Carta del Restauro 1972, per lo specifico problema del restauro
architettonico, dipendeva in larga misura dai criteri adottati per il
restauro degli oggetti d'arte prevalentemente grafopittorici, dove gli
aspetti visibili erano privilegiati rispetto alla struttura. Si vuole
soddisfare ora la necessità di uno statuto peculiare al restauro
architettonico, che riconosca agli edifici monumentali e ai contesti
ambientali caratteristiche specifiche in quanto a comportamento rispetto
all'aggressione degli inquinanti, agli abusi degli utenti, ai rischi
sismici. Il
compito del restauro architettonico è di interpretare un manufatto storico,
individuando le aggiunte e le manomissioni subite, dandogli un adeguato e
controllabile miglioramento statico con mezzi compatibili e reversibili
(reintegrazioni murarie, speroni, tiranti non occultati ecc.). Sinora
l'esigenza di dissimulare i mezzi di rinforzo per non alterare l'aspetto e
il carattere degli edifici ha giustificato il ricorso a tecnologie
innovative che permettono di realizzare rinforzi invisibili, ma generalmente
irreversibili, adulteranti,
incompatibili e poco durabili, conservando di fatto l'aspetto e non la
struttura della fabbrica. L'uso
delle tecniche tradizionali, peraltro, non è mai stato escluso dalle
precedenti Carte del Restauro (Carta
Italiana del 1932, Carta di Venezia del 1964,
Carta del Restauro del 1972). Esse, infatti, alludevano all'uso di
tecnologie innovative solo nei casi in
cui quelle tradizionali non dessero sufficiente affidamento e si
limitavano a raccomandare l'adozione di
accorgimenti idonei a rendere percettibile l'intervento del nuovo sul
vecchio. Ma, alla luce di una più matura esperienza, l'uso delle tecniche
tradizionali si deve considerare applicabile non solo ai semplici
miglioramenti delle condizioni statiche ma anche a
molti casi di «patologie ordinarie», come si dirà meglio più
avanti. In
ogni caso, dichiararsi favorevoli al recupero delle tecniche tradizionali
non è sufficiente, perché è necessario saperle attuare. L'uso
esorbitante delle tecniche innovative nell'edilizia moderna in generale e
anche nel campo del restauro ha causato una caduta del saper fare
tradizionale, non solo considerato obsoleto, ma scorretto se non erroneo.
Una rivitalizzazione di quel saper fare è possibile solo se, studiato
attentamente, potrà venire diffuso nelle scuole e nelle Università
attraverso una specifica didattica. |
Progettazione
delle operazioni di conservazione e restauro
La
programmazione e l'esecuzione di cicli regolari di manutenzione e di
controllo dello stato di conservazione di un monumento architettonico è la
sola garanzia che la prevenzione sia tempestiva e appropriata all'opera per
quanto riguarda il carattere degli interventi e la loro frequenza.
La
procedura così indicata consentirà, ove l'entità degli interventi lo
richieda, l'istituzione di «cantieri permanenti» con l'effetto di
perfezionare le maestranze, consentire il loro ricambio fisiologico, formare
squadre di veri «conoscitori» delle più riposte caratteristiche della
fabbrica e del suo comportamento nel volgere del tempo. Tale procedura
consentirà altresì risparmi finanziari notevoli ed eviterà, per quanto
possibile, sgradevoli o devianti interventi innovativi o di ripristino.
Per
quanto concerne l'utilizzazione degli edifici monumentali, si deve
sottolineare che appropriate forme di riuso contribuiscono ad assicurare la
loro sopravvivenza. Anche a questo fine i lavori di adattamento dovranno
essere limitati al minimo rispettando, per quanto possibile, l'individualità
tipologica e costruttiva dell'opera, compresi i suoi percorsi interni.
Nessun
progetto di conservazione o restauro potrà dirsi idoneo a passare alla fase
esecutiva se prima non sia preceduto da un attento studio dell'opera e del
suo contesto ambientale, da preventivare e finanziare in modo specifico.
Parte integrante di questo studio saranno ricerche bibliografiche,
iconografiche, archivistiche ecc. per acquisire ogni possibile dato storico,
nonché ricerche sperimentali sulle proprietà materiali del manufatto.
Occorrerà in tale fase attribuire la massima importanza alla storia delle
trasformazioni materiali del monumento, ricavandone, specialmente in
relazione ai suoi diversi riusi, tutte le indicazioni per
formulare i progetti di conservazione e/o restauro.
La
documentazione di rilievo in pianta e in alzato dovrà essere controllata
attentamente sia per l'opera che per il suo contesto, tenendo conto della
necessità di correggere gli errori spesso gravi e a catena, che
inevitabilmente vengono commessi in seguito alle note procedure di
rilevamento (fotogrammetrie, rilevamenti catastali, trascrizioni di vario
tipo).
Tutto
il materiale raccolto come sopra descritto, diventerà una guida preziosa
per la progettazione degli interventi di conservazione e/o restauro,
consentendo con relativa sicurezza la scelta tra le superfetazioni da
eliminare e quelle da conservare in quanto significative.
Nei
casi in cui il monumento o il complesso archi tettonico da conservare si
trovi in una delle molte zone oggi dichiarate sismiche, occorre fare
particolare attenzione ai precedenti riutilizzi e a quello che si intende
proporre nel progetto esecutivo finale.
Comunque
nei casi di «patologie ordinarie» è sempre preferibile adottare le
tecniche e i materiali tradizionali, che sono più omogenei con le opere da
salvaguardare, così come ha anche raccomandato il Comitato Nazionale per la
prevenzione dal Rischio Sismico dei Beni Culturali (1986).
Per
quanto riguarda le canalizzazioni e le attrezzature di servizio, esse devono
essere previste sin dall'inizio della progettazione nelle loro dimensioni e
sedi definitive e in posizione idonea a non alterare ne la statica
dell'edificio ne i suoi aspetti visibili, evitando così pesanti e
incontrollabili interventi (scasso di murature, sfondamenti ecc.) in corso
d'opera.
In
ogni caso si rammenta che il progettista e direttore dei lavori è tenuto a
redarre personalmente gli elenchi dei prezzi e i capitolati speciali
d'appalto, evitando così contrasti e malintesi pericolosi per la migliore
conduzione dell'opera.
È consigliabile, nei casi di piccoli ma delicati intereventi manutentivi, il ricorso a imprese specializzate e, insieme, alla conduzione in economia. Nei casi, invece, di grandi e complessi interventi l'affidamento a misura è raccomandabile per le caratteristiche amministrative, meglio rispondenti alla complessità dei lavori. Tra l'altro l'affidamento a misura richiede un'apprezzabile precisione di contabilità e lascia una traccia preziosa del lavoro compiuto.
In ogni caso i restauri devono essere continuamente vigilati e diretti sia per assicurarne la buona esecuzione sia per poter intervenire prontamente a fronte di fatti nuovi, difficoltà o dissesti murari; per evitare infine, specie quando operano piccoli e grandi mezzi di demolizione, che compaiano elementi prima ignorati o eventualmente sfuggiti all'indagine preventiva, ma certamente utili alla conoscenza dell'edifìcio e alla condotta del restauro. In particolare il direttore dei lavori, prima di raschiare, tinteggiare o eventualmente rimuovere intonaci, deve accertare l'esistenza o meno di qualsiasi traccia di decorazioni e/o quali fossero le originali grane e coloriture delle pareti e delle volte ecc. Infatti è un'esigenza fondamentale del restauro quella di rispettare e salvaguardare finché è possibile l'autenticità degli elementi costitutivi.
1.
Interventi di consolidamento
murario. Nel caso di murature fuori piombo, anche se perentorie
necessità ne suggeriscano la demolizione e ricostruzione, va anzitutto
esaminata e tentata la possibilità di raddrizzamento senza sostituire le
murature originarie.
La
pratica del raddrizzamento peraltro è documentabile anche nel cantiere di
restauro ottocentesco, se ottenuta con tagli localizzati e tirantature; va
tenuto conto in ogni caso che il trauma del taglio, anche se sanato di malte
speciali, non appare una pratica raccomandabile in un contesto di forte
sismicità o qualora il muro non sia assai ben costruito con pietra e
laterizi e buone malte. In caso contrario si impone, nel superiore interesse
della conservazione, lo smontaggio e rimontaggio del muro, se in pietra da
taglio, o il suo disfacimento e rifacimento, se in mattoni o in muratura a
sacco, per rimetterlo a piombo.
In
molti casi zone murarie eseguite assai male e con malte degradate o con
materiali male assortiti appaio no interpolate in contesti di buona fattura
e resistenza. In tali casi è comportamento tradizionale eliminare in
breccia la zona compromessa o fessurata e rifarla con buoni materiali
(possibilmente affini a quelli circostanti) a cuci e scuci.
Tale
procedura è ancora adottata da molte imprese, specialmente nella provincia.
Essa richiede molta perizia nei puntellamenti provvisori e nel saper
prevedere il ritiro delle malte: merita pertanto di essere utilizzata e
incoraggiata. E ovvio che, nel caso di contesti murari di pregio
storico-artistico, si dovrà far di tutto per preservare la parte degradata
anche ricorrendo a foderature interne in muratura; assai meno consigliabili
sono peraltro i diffusissimi metodi del consolidamento locale o diffuso con
«cuciture armate» iniettate con malte cementizie o resinose, per vari
motivi. Prima di tutto le «cuciture armate», anche se consentono
l'assimilazione del muro a una lastra di cemento armato (sempre che siano
bene eseguite), sono adottabili solo su muri a sacco o su muri tanto porosi,
per qualità della pietra e per degrado delle malte, da garantire un
significativo assorbimento di materiale cementante e un annegamento
effettivo dell'acciaio dell'armatura. Qualora tali due condizioni non si
verificassero, l'intervento potrebbe a breve termine rivelarsi inefficace o
addirittura controproducente. Nel caso di muri a sacco abbastanza porosi da
risentire degli effetti benefici dell'impregnazione, si deve ciononostante
fare attenzione
alla
composizione delle malte: infatti in molte zone regionali (Bolognese,
Sicilia orientale ecc.) esse si presentano composte di gesso che, a contatto
con l'acciaio, lo corrode in pochi anni, annullando gli effetti positivi
dell'impregnazione. Qualora ci si imbattesse in murature di terra cruda con
"malta di fango o in pietra con malta di fango (assai più diffusa di
quanto non si creda nell'intera penisola), le iniezioni appaiono non
praticabili. Esse infatti lo sarebbero solo in condizioni tali da modificare
il contesto murario. I lavaggi preventivi rischierebbero infatti di
eliminare le malte di fango con possibili cedimenti in corso d'opera e di
disfare parzialmente i mattoni crudi. Appaiono pertanto praticabili solo il
metodo manuale del parziale rabbocco con malte di calce e sostituzione in
breccia.
Peraltro
nei casi più favorevoli il procedimento delle iniezioni armate sarebbe
valido se si potesse controllare praticamente l'uniforme copertura
dell'acciaio da parte del cemento, ma ciò è oggi impossibile.
Qualora
la pratica delle iniezioni armate debba essere necessariamente adottata,
occorre curare attentamente i procedimenti di ritenzione della malta fluida,
che il più delle volte costringono a mutare profondamente la fisionomia
delle murature coi rabbocchi dei giunti, gli intonaci, le colature ecc.
L'iniezione armata è in linea di massima accettabile in casi di murature
informi o con riempimento a sacco o tali da dover essere in un secondo
momento a rivestimento laterizio.
2. Eventuali sostituzioni o reintegrazioni di paramenti lapidei o laterizi. Le sostituzioni e le eventuali integrazioni di paramenti murari, ove necessario e sempre nei limiti più ristretti, dovranno essere sempre distinguibili dagli elementi originari, differenziando i materiali o le superfici di nuovo impiego. Tra i metodi di differenziazione si raccomanda la massima sobrietà, rammentando che molto spesso è sufficiente sostituire un travertino lavorato alla martellina, ma degradato anche staticamente, con del travertino lavorato al filo elicoidale e non arrotato ne allisciato, e così per il tufo, la calcarenite, il botticino, la pietra d'Istria ecc.
Per quel che riguarda i laterizi, basterà la sola posa dell'operatore allevato nel cantiere industriale a far individuare la tessitura rinnovata, anche se il laterizio fosse tanto ben cotto e arrotato da stare a confronto con quello del contesto. Si eviti solo di «invecchiare» la nuova toppa con mezzi meccanici, corrodendola al fine di somigliare al contesto corroso.
3.
Interventi su applicazioni decorative
in stucco, a fresco, graffite. Per questi reperti, quando si esclude
per gli esterni l'effetto combinato delle intemperie e dell'impatto più o
meno diretto con i raggi solari, la maggior parte delle cause di degrado si
può ricondurre al dilavamento e alle infiltrazioni d'acqua. Dilavamento,
percolamento, infiltrazioni e imbibizioni sono di solito di origine
pluviale, ma, specialmente laddove gli edifici sono stati riutilizzati
modernamente, i danni sono molto spesso determinati dai moderni impianti
idrici.
Pertanto
la migliore prevenzione dell'erosione, dello sfaldamento e del distacco è
nella costante manutenzione e nell'eventuale pronto risanamento delle
coperture e dei pluviali, con riferimento sia alle volte e pareti interne
che alle superfici esterne. Una volta assicurata la perfetta efficienza
delle coperture e dei sistemi idrici, di qualunque tipo essi siano, si può
passare al consolidamento di stucchi, pareti affrescate e graffite senza il
timore di vedere in breve tempo
reso
inutile il lavoro di restauro. Qualora disgregazioni e sfaldamenti dipendano
da cause diverse da quelle idriche andranno eseguiti specifici accertamenti.
Esplorando le eventuali correnti osmotiche ascendenti e le condizioni
microclimatiche esterne e inteme all'edificio che possano aver sottoposto
stucchi, affreschi e graffiti a fenomeni particolari di convezione,
condensazione ecc., le operazioni di consolidamento dovranno essere
conseguenti ad attente analisi, che dovranno condurre a identificare le
cause di ogni disgregazione o soluzione. Per le particolarità operative si
rimanda a quanto esposto nell'allegato C.
4.
Reintegrazioni e/o sostituzioni di
intonaci e/o tinteggiature. Alla base di ogni intervento dovrà
essere analizzato con cura il grado di adesione degli intonaci al supporto e
l'ampiezza degli eventuali distacchi. Il mezzo più semplice ed efficace
rimane sempre quello di «bussare» con le nocche. In adeguate condizioni di
spazio una buona mappa delle zone non o scarsamente aderenti può essere
ricavata mediante la termografia. Se le zone non aderenti dell'intonaco sono
originali occorre farle riaderire con i metodi e le tecniche ben noti, già
sperimentati dall'ICR.
Nei
casi in cui le zone non aderenti non siano originali o sia comunque
inevitabile la loro demolizione, si impone la loro sostituzione mediante
toppe che dovranno essere composte con materiale e granulometria il più
possibile simile a quelli del contesto con l'addizione di materiali
sintetici in piccole parti in modo da ottenere una stesura confrontabile con
il contesto. Si intende che tra gli intonaci originali non possono essere
compresi gli intonaci di manutenzione più volte rinnovati, a meno che l'uno
o l'altro strato aggiunto non supportino informazioni capaci di agevolare la
ricostruzione deUe vicende storiche dell'edificio.
L'identificazione
della coloritura originaria di un intonaco originale è, com'è noto,
impresa assai ardua e delicata. L'esame serigrafico può essere determinante
purché il prelievo, di circa 10x10 cm, sia effettuato in zone in cui con
certezza si sappia, o si possa inferire, che siano rimaste almeno piccole
parti dell'intonaco originario, non solo perché non coinvolte dalla caduta
o dallo smaltimento del resto di quell'intonaco, ma anche perché protette a
sufficienza dalle escursioni climatiche (sottotetti, cornicioni, marcapiani,
cornici delle finestre). Una volta accertata l'identità della coloritura
originaria, non solo per l'aspetto, ma anche per la composizione chimica,
accertata altresì la natura dell'intonaco per granulometria e materiale
impiegato, si potrà procedere, ove ciò sia ritenuto significativo, a una
reintonacatura simile a quella originaria, sempre avendo cura di segnare in
qualche modo e sobriamente il limite tra quest'ultima e la parte nuova.
S'intende che tale sobria marcatura avrà valore soprattutto quando la
trasformazione del nuovo intonaco dovuta all'invecchiamento lo renderà più
simile all'intonaco originale. Non poche difficoltà ostacolano il
raggiungimento dell'obiettivo sopra indicato: difficoltà di reperimento
della calce spenta bene e da tempo sufficiente (6 mesi); difficoltà di
supplirla talvolta anche con calce idrata; difficoltà di riprodurre le
vecchie tinte, da un lato utilizzabili bene solo con buona calce, dall'altro
soppiantate gradualmente da nuovi materiali coloranti, sintetici e di minor
costo, ma inadatti a durare negli esterni. Queste difficoltà spiegano,
almeno in parte, numerose alterazioni ed errori nell'aspetto cromatico degli
edifici monumentali. Tanto più sono perciò utili e necessario le fatiche
richieste per raccogliere informazioni esatte e complete, quanto possibile,
dalle fonti d'archivio, da quelle letterarie e spesso anche (ma con qualche
prudenza) dai vedutisti. Analisi e documentazioni esaustive, pigmenti
naturali, possibilmente arricchiti con sostanze proteiche e mescolati con
calce (ben stagionata: oltre un anno) se la coloritura debba essere
applicata sul vecchio intonaco, sono le condizioni necessarie per
avvicinarsi con buona approssimazione agli aspetti dell'intonaco originario,
anche nella durevolezza.
5.
Interventi di consolidamento della
pietra o dei laterizi a faccia vista. Non sempre le pietre o i
laterizi a faccia vista furono previsti tali in origine: spesso,
particolarmente nell'Ottocento, essi sono tornati a vista con l'aiuto di
energiche e diffuse campagne di stonacatura, che non sempre si dettero cura
di risarcire i giunti esposti, accelerandone dunque il degrado. Quando sia
stata presa la decisione di lasciare un'opera comunque a faccia vista, sarà
necessario rivedere lo stato dei giunti e provvedere all'occorrenza alla
loro sigillatura con malte compatibili e affini a quella del contesto. Il
consolidamento generale avverrà secondo le caratteristiche particolari del
tipo di pietra, utilizzando corrispondenti ai requisiti individuati dalle
raccomandazioni NORMAL e dalla sperimentazione dell'ICR.
Qualora
fosse storicamente dimostrato che pietre e/o laterizi furono rivestiti e
protetti da intonaci, stucchi, o coloriture a calce, si potrà, volta per
volta, decidere di replicare tale rivestimento (in ogni caso ottimo per la
miglior conservazione del materiale esposto) sulla base del contesto in cui
si colloca il monumento e di altre considerazioni di ordine storico critico.
In
ogni caso si dovrà provvedere previamente a una pulitura efficace dei
paramenti con mezzi e tecniche già ampiamente sperimentati dall'ICR.
Sui
metodi di protezione dei paramenti lapidei o in laterizio non vi è tuttora
un accordo soddisfacente.
L'applicazione
di resine sintetiche impermeabilizzanti è, infatti, affidabile solo in pane
modesta in quanto queste, per varie ragioni, risultano alla fine non
interamente idrorepellenti. In conseguenza sembra che possano solo
rallentare il processo di escoriazione e desquamazione delle superfici
lapidee, ma non evitare l'azione del gelo ne quella della solfatazione dei
carbonati di calcio, laddove quest'ultima sia favorita dalla combinazione
tra corpuscoli carboniosi (spinti dal percolamento neUa porosità della
pietra), ossigeno e piogge acide.
Più
che a miracolose invenzioni di liquidi protettivi la preservazione della
pietra, come quella degli organismi viventi, sembra affidata all'abolizione
delle cause che producono l'inquinamento atmosferico.
6.
Interventi di consolidamento
delle strutture lignee.
La
durabilità delle strutture lignee, incendi a parte, è nel complesso molto
superiore a quanto si pensi, ma a condizione che siano ben aerate tutte le
loro parti a cominciare da quelle incassate nelle murature. Negli ultimi
decenni la perdita di parecchi tetti secolari
si deve alla sigillatura delle fessure predisposte per l'aerazione delle
teste delle travi, messa in atto per evitare il transito degli insetti e
degli uccelli, La buona
aerazione dei sottotetti è dunque la migliore garanzia della conservazione
delle parti in legname e della non ossidazione delle eventuali staffature
e/o grappe, mentre l'umidità dei sottotetti può causare la diffusione
delle infestazioni termitiche. La raccomandazione di massima è perciò
quella di conservare e promuovere la buona aerazione dei tetti lignei con
l'apertura di spiragli, «cappuccine» e simili, contrastando il transito
degli uccelli con reticelle antipiccione. Non sono raccomandabili materiali
eccessivamente impermeabilizzanti come le guaine, mentre è accettabile il
cartonfeltro bisabbiato steso in strisce orizzontali che assicurano una
buona impermeabilizzazione, nonché la traspirazione del sottotetto. Ancor
meno raccomandabile è l'uso dellguaine in rame con sovrapposti materiali
sintetici, che possono anche produrre condensa a contatto con i tavolati,
accelerando il loro degrado". Nei casi in cui sia assolutamente
indispensabile sostituire le strutture lignee, è bene esaminare anzitutto
se non sia possibile procedere gradualmente, come spesso è stato fatto in
passato: nei casi più gravi sostituendo un'intera trave, in altri casi
staffandole per ovviare alle fenditure longitudinali ecc.
E
consigliabile che per le dette sostituzioni si costituiscano depositi di
legname di demolizione di vecchi fabbricati. Soprintendenze e Provveditorati
alle opere pubbliche dovrebbero adoperarsi attivamente per costituire tali
depositi ed evitare di avviare tutti i legnami di demolizione allo scarico.
In linea di massima operare per il consolidamento di strutture lignee
significa contemporaneamente operare per mantenerle aerate, renderle
ignifughe, disinfestarle e indurirle. Per far questo non mancano resine e
sostanze chimiche di vario genere. È tuttavia consigliabile far ricorso a
queste procedure solo m casi di reali necessità, anche in vista del fatto
che esse aumentano il rischio di infiammabilità. Non si dimentichino taluni
pregi insostituibili delle strutture lignee: nei solai esse, oltre
all'elasticità, esercitano un contatto morbido sul contesto murario.
Infatti il legno si deforma plasticamente senza fratturare la pietra o i
mattoni, in caso di leggera flessione sugli appoggi, a differenza del ferro.
Infine, oltre ad avere caratteristiche igroscopiche il legno ha anche
coibenza acustica e portanza rilevante.
A
proposito dei solai lignei è da respingere la pratica di gettarvi sopra
solette cementizie leggermente armate, procedendo direttamente sul tavolato
o sulle pianelle con semplice interposizione di un velo di plastica. Infatti
la soletta impermeabile impedisce il fisiologico passaggio dell'aria da
piano a piano favorendo la marcescenza dei legnami in caso di accumulo di
umidità, sia questa dovuta a condensa, sia a tubazioni difettose; inoltre
la soletta renderà impossibile ogni opera manutentiva ristretta alle
successive sostituzioni dei legnami ammalorati. In conclusione è
preferibile intervenire, nelle pratiche manutentive, con smontaggio e
rimontaggio per parti puntando su un'auspicabile ricostituzione di un «saper
fare» manualistico.
7.
Scultura in pietra. Le
sculture in pietra poste all'esterno degli edifìci o nelle piazze debbono
essere vigilate intervenendo con operazioni di consolidamento e di
protezione stagionale, attraverso
metodi noti e collaudati. Per la buona conservazione delle fontane di pietra
o di bronzo, occorre decalcificare l'acqua eliminando le incrostazioni
calcaree e le periodiche dannose ripuliture. Quando la buona conservazione
di una scultura nel luogo originario risulti impossibile, converrà
trasferirla in un locale interno, le cui condizioni climatiche siano
favorevolmente note.
Per
non depauperare significativamente la decorazione esterna delle fabbriche può
essere talvolta necessario collocarvi copie fedeli e puntuali al posto degli
originali trasferiti in luogo sicuro. E consigliabile dare mandato di
eseguire tali copie a esperti scultori in pietra, metalli ecc. che siano in
grado di praticare il rapportamento in scala 1:1. E bene, invece, evitare la
pratica dei calchi allo scopo di risparmiare alla «pelle d'invecchiamento
naturale» (patina) e alle eventuali coloriture degli originali i temibili
traumi provocati dall'applicazione e dal distacco delle forme. Tali traumi e
danneggiamenti sono tanto più probabili quanto più il trasferimento
dell'opera è stato motivato dalle cattive condizioni di conservazione.
S'intende che dopo il consolidamento i pericoli connessi a simili operazioni
di calco si attenuano molto, ma a due condizioni:
a)
che il consolidamento sia stato eseguito a perfetta regola d'arte e con
sostanze perfettamente non adesive rispetto a quelle utilizzate per la
forma;
b)
che venga praticata con la dovuta esperienza e destrezza sia l'immissione
del mastice siliconico tra la scultura e i gusci della forma in vetroresina,
sia, successivamente, la liberazione dell'originale dal calco. Naturalmente
dovrà essere fatta attenzione al mutamento di carico che in qualche caso
comporta la sostituzione degli originali con altro materiale, eventualmente
sintetico e in ogni caso difficilmente omogenizzabile almeno per peso
specifico, con il materiale dell'originale. E evidente che la «pelle
d'invecchiamento naturale» non deve essere intaccata sia per ragioni
storiche ed estetiche, sia perché essa disimpcgna funzioni protettive.
Perciò prima di iniziare qualsiasi operazione di pulitura è indispensabile
procedere alle normali indagini con particolare riguardo alla presenza di
cromie (vedi qui il paragrafo 4). Si possono asportare i materiali estranei
accumulatisi sopra la pietra (detriti polverosi, fuliggine, guano di colombi
ecc.) usando spazzole vegetali o getti d'aria a pressione moderata. Dovranno
perciò essere evitate le spazzole metalliche e i raschietti e sono in
generale da escludere getti a forte pressione di sabbia, d'acqua e di
vapore. Sono anche sconsigliabili lavaggi con sostanze corrosive o a forte
potere detergente.
8. Interventi sugli elementi metallici. Il ferro forgiato pre-moderno è assai più resistente all'ossidazione del ferro industriale, ma anch'esso col tempo si ossida e «gonfia», compromettendo i partiti lapidei ove impiegato sotto forma di grappe o perni o grate (cfr.le grate di ferro forgiato del ponte S. Angelo a Roma). In tali casi non resta altro espediente se non quello di sostituire i ferri in questione (quando non abbiano importanza se non statica) con elementi metallici di sicura stabilità fisico-chimica. Ad esempio l'acciaio inossidabile tipo AISI 304 o 316, ovvero, per evitare la corrosione interstiziale, l'acciaio con zincatura pesante, ovvero il titanio. In questi casi potrà essere convenientemente ripristinato l'ottimo uso premoderno di fissare perni o grappe e simili negli alloggiamenti lapidei col piombo fuso. Qualora si trattasse di grate ormai forzate negli alloggiamenti originari fino a comprometterne la stabilità, specie se esposte anche a forti escursioni termiche, si provvederà a conferire agli alloggiamenti maggiore larghezza onde consentire le dilatazioni temporanee e accogliere meglio le dilatazioni permanenti.
Ultimo Aggiornamento: 27/06/02.
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