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CAPITOLO II



L'epoca romana


L'origine


L’origine del paese di S. Anatolia è oscuro. Dell’epoca romana sopravvive qualche ricordo nelle due muraglie ciclopiche, probabili templi pagani, e nelle poche epigrafi che sono giunte sino a noi, poi, il buio completo del medioevo. La prima notizia ufficiale sul Castrum di S. Anatolia risale all’anno 1418 quando, in un documento contenente l’elenco dei castelli sottostanti alla contea di Alba & di Tagliacozzo, viene nominato assieme ai castelli di Torano, Spedino, Corvaro, Collefegato, ecc... Il villaggio era comunque più antico. La città più importante della zona era da secoli la colonia romana di Alba Fucense che, nonostante la caduta dell’impero romano, mantenne una grande importanza per la sua posizione strategica nel punto di confluenza fra la via Tiburtina - Valeria, che collegava Roma all’Adriatico, e la via Cicolana che univa Rieti al lago Fucino ed al sud Italia. Alba, da città militare romana, divenne nel medioevo sede del ducato e della contea dei Marsi, vi fu costruito un efficiente castello difensivo e continuò ad esercitare il suo potere in gran parte della Marsica e del Cicolano.

La strada consolare Cicolana, fin dall’epoca romana, collegava per vie interne il nord al sud d’Italia ed in particolare, seguendo il corso del fiume Salto chiamato Imele dai romani, collegava la città provincia di Reate alla città fortezza di Alba Fucense ed all’allora più grande lago d’Italia, il Fucino. C’era un punto in cui la strada, lasciando sulla destra il fiume Salto, si addentrava per una valle molto stretta e, camminando al fianco delle montagne della catena del Velino, raggiungeva la Bocca di Teve per poi proseguire velocemente e direttamente per Alba Fucense.



CARTA DEL 1881


In quel punto così strategico già in epoca romana era nato spontaneamente un piccolo villaggio che serviva da sosta e da ristoro per i viandanti e da difesa al brigantaggio e che comunque viveva di pastorizia e di agricoltura avendo a disposizione molti pascoli, molta acqua e legna, e delle terre fertili e pianeggianti. La valle, oggi denominata della Ruara, si cosparse di case, di abitanti e di chiese e il villaggio chiamato Cartore divenne nel suo piccolo un centro importante di passaggio e di scambio. Nel punto più strategico, dove la via Cicolana incontrava la Bocca della Val di Teve, in epoche imprecisate venne eretta una rocca difensiva, “il Castiglione” (1), con una chiesa adiacente, il Santo Sepolcro (2), e nel medioevo, all’inizio della Val di Teve, una grotta molto capiente venne abitata da un eremita, forse San Costanzo. Sempre nel medioevo, ma forse anche in età romana, era sorto il monastero di San Leonardo a Val di Fua e sotto la valle, sempre sottoposto ai monaci di S. Paolo fuori le mura a Roma, venne costruita un’altra chiesa dedicata a San Nicola. La parrocchia di San Lorenzo, al centro di Cartore, lo dominava con la sua alta torre campanaria ed altre chiesette rurali, come quella di San Sebastiano, di Santa Maria di Brecciasecca e di Santa Maria del Colle, contornavano il villaggio.


CARTORE


Circa nel 300-400 d.C., in una zona chiamata Vilano nelle vicinanze di Cartore, venne costruita una chiesetta dedicata a Sant’Anatolia e nei suoi dintorni si trasferirono alcuni abitanti di Cartore. Il territorio di Vilano faceva parte del tenimento di Cartore anche se già in epoca romana era probabilmente abitato. Nella stessa valle in epoche antiche scorreva un ruscello, da cui il termine “Cantu Riu”, che venne incanalato e convogliato in un grande fontanile. Ancor oggi scavando a circa 6 o 8 mt. sotto terra vicino alla casupola della sorgente vi è una cisterna romana fatta in mura poligonali ed un cunicolo a volta che seguendo la valle chiamata “le vicenne”, sotto l’odierno campo sportivo, sbocca dietro la fontana moderna a circa 4 m. nel sottosuolo (3).

L’acqua in quella valle era molto fresca ed abbondante tutto l’anno e fu accanto a quel rio, che sorse il primo nucleo di Vilano; intorno ad essa vi erano boschi e foreste e, a circa due km. dietro un paio di colline, sorgevano le montagne alte 2.000 metri ed anche di più; quelle che oggi vengono chiamate “Duchessa”, “Murolungo”, “Torricella”, e più lontano il “Velino”. In quella valle, molto riparata dai venti, e nei boschi vicini vivevano orsi, cinghiali, cervi, lupi, volpi, lepri ed altre bestie, ed il cielo era pieno di uccelli. In lontananza si vedeva il “Murolungo” una parete rocciosa, in quel tempo forse divinizzata, che aveva la cima raggiungibile solo per una strada stretta ed angusta che passava fra alti burroni e dietro ad essa, a 1.777 metri d’altezza, c’era un lago limpido e pulito dove si dissetavano tutte le bestie di quei luoghi. Nel mezzo di quella valle furono costruiti due edifici, forse templi o grandi ville, con mura costruite con pietre enormi tagliate irregolarmente ed appoggiate l’una sopra l’altra senza calce; un edificio fu costruito nel mezzo della valle e, dopo il 313 d.C., anno dell’Editto di tolleranza di Costantino che mise fine alle persecuzioni contro i cristiani, venne utilizzato come base per la prima chiesa di S.Anatolia e in seguito come sostegno per il terreno sotto i Santuari costruiti posteriormente; l’altro, a circa duecento metri di distanza, all’Ara della Turchetta, serviva probabilmente da tempio o punto di scambio per i viandanti che venivano da Cartore.


MURAGLIA ROMANA
ALL'ARA DELLA TURCHETTA
MURAGLIA ROMANA
A VALLE CANTU RIU



Epigrafi romane



A confermare che in epoca romana il luogo era abitato, oltre alle muraglie e alla cisterna di Cantu Riu, prima del 1900 esistevano anche delle epigrafi commemorative e sepolcrali che oggi sono quasi del tutto scomparse.

Nel pavimento della chiesa di Santa Maria del Colle vi era, fino al 1907, una lapide scolpita con lettere molto grandi che segnalavano uno dei confini con Alba Fucense

ALBENS FINES



La lapide fu vista intatta verso il 1850 dal canonico Stephani Anzimi di Scurcola e fu pubblicata nel 1859 da Raffaele Garrucci. Nel 1883 Theodor Mommsen la trovò segata in due parti e nel 1907 la vide ancora Domenico Lugini (4). La lapide conferma l’importanza che aveva in epoca romana la città di Alba Fucense e che già in quei tempi, come poi in tutto il medioevo, i territori di Sant’Anatolia e Cartore facevano parte della sua giurisdizione.

Sempre nella chiesa di S. Maria del Colle vi era la seguente epigrafe che venne in seguito trasportata nella villa della famiglia Placidi presso il Santuario; essa recitava in questo modo:



D. M.
L.CALLIO.L.F.CLA
RESTITVTO.VE
TERANO.AVG
EX.CHO.PRI.PR
MAG.I.D.Q
HOSTILIA.C.F.
PROCVLA.CON.B.M
CVM.QVO.VIX.AN.X//
FACIVNDVM
CVRAVIT



La lapide venne pubblicata dal Garrucci e dal Mommsen. Nel 1907 Domenico Lugini la descriveva in questo modo: “E’ in pietra calcarea e con paleografia dei tempi Augustei”; Vincenzo Saletta la traduceva: “A Lucio Gallio Restituto, figlio di Lucio Claudio, veterano augustale, della Coorte prima principale, magistrato... duunviro quinquennale, la moglie Ostilia Procula al marito di buona memoria, con il quale visse 10 anni, curò che fosse fatto” (5). Il Saletta pare che non l’abbia vista con i suoi occhi ed oggi non so se la lapide esista ancora.

M. PIO . M...
CALVENO
OSSA.SITA
CALVENA.L.F.



Anche questa lapide sepolcrale si trovava nella chiesa di S. Maria del Colle. Venne pubblicata dal Garrucci e dal Lugini che disse che era “in pietra calcarea e con arcaica paleografia”; il Saletta la tradusse “A Marco Pio Calveno, figlio di Marco. Qui sono poste le sue ossa. La liberta Calvena fece” (6). Il fatto che Marco Pio Calveno venne seppellito in S. Maria del Colle rende possibile l’ipotesi che questa chiesa poteva risalire ad epoche romane.

La chiesa di S. Maria del Colle nel 1907 era già in fase avanzata di decadimento. In quel tempo, o forse dopo il terremoto del 1915, il bisogno di nuove terre, spinse la famiglia Placidi a coltivare anche sopra il suo sito e, se anche in precedenza vi resistevano le fondamenta, dopo, con l’intervento dell’aratro, della chiesa non rimase più traccia. Le epigrafi che vi si trovavano non so dove siano andate a finire, se siano andate distrutte, se siano state cementate in qualche altra costruzione o se si trovino, lo spero, in casa dei sigg. Placidi.

Anche nel Santuario antico di Sant’Anatolia vennero rinvenute iscrizioni romane fra cui una delle più importanti ci ricorda l’imperatore Marco Aurelio Antonino che probabilmente visitò il nostro villaggio:

IMP. CAES.
M.AVRELIO.ANTONI
IMP.CAES.L.SEPTIMI.SEVERI.PII
PERTINACIS.AVG.ARABICI
ADIABENICI.PARTHICI.MAXIMI
FILIO.COS.III



Fu pubblicata dal Mommsen che la trovò nel pavimento di fronte all’altare della Vergine Anatolia. Anche lui era convinto assertore che la nostra chiesa si trovava “in ruinis Torae oppidi” soprattutto per la somiglianza del nome della città a quello di Torano. Il Saletta la tradusse nel seguente modo: All’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, augusto, pontefice massimo, figlio dell’imperatore Cesare Lucio Settimio Severo, Pio, Pertinace, Augusto, Arabico, Adiabenico, Partico, Massimo, nel terzo anno del suo consolato” (7).

Sempre il Mommsen vide che l’altare della chiesa antica di S.Anatolia, prima della distruzione del 1877, era sorretto da una grande lapide o colonna in pietra (“basis magna in vico S. Anatoliae in valle Salti ex altari ecclesiae S. Anatoliae nuper extracta”) sulla quale era incisa questa iscrizione. Il Saletta la tradusse “A Calvena Veneria, figlio di Tito, Lucio (Giunio) Giusto, figlio di Lucio, pose alla moglie di buona memoria” (8).

D.M.S.
CALVENE.T.F
VENERIAE
L/////NIVS
LF  IVSTVS
CONIVGI
B.M.P.



La seguente epigrafe “in pietra calcarea” si trova tuttora nella chiesa di Sant’Anatolia incassata nel muro esterno della facciata sopra una delle porte d’ingresso.





Essa venne pubblicata dal Mommsen il quale asserì che il Petronio dell’epigrafe abitasse nel territori di Alba poiché apparteneva alla tribù Fabia nella quale erano ascritti gli Equi Albensi. Il Saletta la tradusse scrivendo fabbro anziché Fabio: “Lucio Petronio, figlio di Caio Fabio, per testamento 400 sesterzi” (9). Ancora un’altra conferma che il nostro villaggio si trovava in giurisdizione Albense:

L.PETRONIVS.C.F
FAB.EX.TES.
HS. CCCC



EVLOGI
C.N.T



Nei dintorni del Santuario fu rinvenuto un suggello di bronzo con questa piccola iscrizione; essa venne pubblicata dal Garrucci, dal Mommsen (“Signaculum ad S. Anatoliae in Aequicolis: Eulogi C.N.T.”), dal Lugini e dal Saletta (10).

Nel 1877 la chiesetta di Sant’Anatolia, che aveva bisogno di qualche piccolo restauro, venne, alla maniera santanatoliese, praticamente distrutta per essere ricostruita più grande, accogliente e moderna. Alcune pareti si salvarono e con esse, per pura fortuna, anche l’epigrafe di Lucio Petronio. Essa si trovava incastonata nella parete esterna nei pressi della porta d’ingresso principale ma, non essendo gradita la sua posizione vicina al portale, venne ricoperta da un grosso strato di intonaco. Solo alcuni anni or sono l’epigrafe è stata riscoperta durante alcuni lavori di riverniciatura esterna. Delle altre epigrafi nella chiesa di Sant’Anatolia non se ne trova alcuna traccia.

IOVI.O.M. /
L.SABIDIVS.
TAVRVS



L’epigrafe precedente prima del 1645 si trovava incisa su una colonna “basis parva” della “ecclesia” di Torano. Fu pubblicata per la prima volta dal Febonio nel 1678. Il Mommsen la ritrovò nell’orto della famiglia Cattivera. Il Lugini la vide ancora nel 1907. La traduzione del Saletta è la seguente: “A Giove, Ottimo, Massimo, Lucio Sabidio, Torense [Tauro]” (11).

A.VARIVS.L.F.CLA.VARRO
CENTHVRIO.LEG.IIII
GAVIA.Q.F.VXOR
EX.TESTAMENTO.SELEVCVS.L
FECIT



Nel 1907 Domenico Lugini la vide nella casa dei sig. Marchesi Antonini-Carradori di Torano (12).

SILVANO.SANCTO
THORANIVS
L.CLOELI
D.D.



Venne pubblicata dal Martelli che disse di averla rinvenuta in un bosco tra le Ville di Borgocollefegato ed il Villaggio delle Grotti. Lugini non la vide ma la pubblicò comunque nel 1907 (13).

T.ALBIVS.T.F.


Era un frammento di pietra calcarea e nel 1907 Lugini lo ritrovava nelle Peschie di Torano. Era stato in precedenza pubblicato dal Garucci (14).

saBIDIVS.C.F.PAP.PRIM.PIL
leG.V.ET.LEG.X.ET.LEG.VI.ITAVIT.IN
legX.PRIMVMPIL.DVCERET.EODEM
TEMPORE.PRINCEPS.ESSET.LEG.VI.PRAE.[F.Q.]Vinq
C.CAESAR.DIVI.AVG.f.ET.TI.CAESARIS
DO.M.SVA.PECVN.DONAVIT
CORNELIA.PVPILLA.M.P.V.S.K.
CRISPINI.NEPTIS



Fu pubblicata dal Febonio che la vide nel Corvaro alla porta che guardava verso Borgocollefegato. Il Lugini nel 1907 non riuscì a trovarla ma la pubblicò copiandola dal Febonio (15).

VERANA.C.F.
L.TETTAEDIVS.L.F.FILIVS
VNO.DIE.SEPVLTEI



Fu ritrovata in un terreno di Pietro Rocco di Corvaro insieme ad altre grandi pietre lavorate a scalpello che costituivano un sepolcro. Lugini la descrisse in questo modo: È in pietra calcarea ben incorniciata e sormontata da una testa di vitello a rilievo e da una rosa;  è lunga cm.59 e larga cm.26 (16).

DIANAE.NEMORESI.VESTAE
SACRVM.DICT



Venne pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata sopra Borgocollefegato nell’antichissimo tempio di S. Giovanni in Leopardis. Il Lugini non la vide ma la pubblicò comunque (17).

C.CLOELIVS.L.F.CLA
CORVINVS
VESTINAE.HLENAE
CONIVGI.BENEMERENTI



Fu pubblicata dal Martelli che disse di averla osservata in un antico sepolcro rinvenuto tra il Corvaro e S. Anatolia. Il Lugini non la vide ma la pubblicò nel 1907 (18).


Presenze archeologiche



Nei dintorni di Sant’Anatolia vi erano altri insediamenti romani e pre-romani, testimoniati da fortificazioni, edifici, necropoli e santuari che ancora oggi si possono osservare.

Nelle vicinanze di Corvaro, sopra il paese di Santo Stefano, sorgeva a quota m. 1.167, l’oppidum di Monte Frontino, imponente insediamento Equicolo del quale si conserva parte della cinta muraria che lo recingeva con una circonferenza di circa 1 Km. Nei pressi di Spedino ed esattamente al di sopra del cimitero era situato, a quota m.951, il centro fortificato di Colle Civita del quale rimangono tracce della cinta muraria che si estendeva per una circonferenza di circa 500 metri. Nei pressi di Villerose a quota m. 932 si ergeva l’altra piccola fortezza o torre di avvistamento Equicola di Castelluccio.

Lungo la strada che da Cartore porta a Bocca di Teva in località Costarelle e Dentro il Toro si trovano i resti di un vicus italico-romano testimoniato da terrazzamenti sorretti da muri in opera poligonale, numerosi frammenti di tegole e anfore, oggetti in ceramica, monete e oggetti in bronzo.

A Bocca di Teve in un boschetto a monte della strada vicinale di Teve si trovano i resti di un Santuario italico-romano del sec. III°-II° a.C. di cui rimangono terrazzamenti sorretti da muri in opera poligonale rivestiti con raffinata cortina, resti murari e una cisterna circolare scavata nella roccia. Nella località S. Erasmo vicino Corvaro si trovano i resti di un Santuario italico risalente dal IV° al  I° sec. a.C. e nei suoi pressi alcuni anni fa’ fu scoperta la grande necropoli pre-romana di Monteriolo con resti di anfore, statue, armature, scudi, lance, spade, etc. risalente circa al VII° secolo a.C. A Borgorose la chiesa ormai diroccata di S. Giovanni in Leopardis poggia le sue fondamenta sopra i resti di un santuario Italico.


RITROVAMENTI A CARTORE


Nella valle di Cartore a Campo di Mezzo o Curolo, lungo l’antica via Cicolana, sono visibili i resti di una villa romana d’età imperiale con murature di epoca incerta, materiali domestici in ceramica e frammenti di pavimentazione. Sul Colle Pezzuto, lungo la strada Pianara-Cartore, vi sono i resti di un’altra villa di tarda età repubblicana. A Borgorose, la chiesa di S. Maria delle Grazie utilizza le mura di un’antica villa romana, mentre anche a Castelmenardo, il cimitero di S. Savino, con i ruderi della sua chiesa, poggia le fondamenta su delle mura poligonali romane.

Infine, lungo la strada comunale Valle del Tordo sotto la villa romana di Colle Pezzuto sono presenti i resti di una tomba monumentale romana alta m. 2,5 e larga circa m. 6 per m. 5. (19)

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