1975-1977  "A/traverso" 
 maggio 1975 piccolo gruppo in moltiplicazione   

I

Il soggetto di movimento sta altrove: si disloca in uno spazio oggi difficilmente definibile, impossibile da ridurre dentro le categorie muffite dell'istituzione, ma anche dell'extraparlamentarismo gradualista e perbenista. Sta altrove, sfrangiato e dissoluto. La dissolutezza è la forma innovativa dell'azione sociale. Ma come trovare unità, come mettere in moto un processo di ricomposizione, come fare politica? Perché affrettare una risposta? Probabilmente, occorre dirlo, il movimento reale è andato molto più avanti delle nostre capacità di comprenderlo. La crisi e il riformismo, in una loro alleanza che funziona da molto tempo, hanno sconfitto il quadro politico emerso dall'ondata montante del '68-69. In parte lo hanno inglobato dentro una prospettiva neoriformista, in parte lo hanno disgregato, lasciandolo dove si trova adesso, a porsi il problema dell'autoriconoscimento, della definizione di un terreno su cui muoversi. Ma il movimento è andato molto più avanti della politica; è andato molto più avanti dei vecchi problemi della lotta e dell'unità; si colloca in una dimensione che è quella dell'estraneità radicale e del rifiuto. Contro questo Stato non mette conto lottare; è troppo misera la sfera della politica istituzionale, e anche l'azione antagonista è povera cosa, a fronte della ricchezza che il soggetto in movimento può sviluppare. La politica istituzionale rimargina le sue ferite, e (sempre spaventata dal '68, dall'emergere imprevisto dell'altro, dell'autonomia) tenta continuamente di rimuovere ciò che non si subordina. Le categorie vecchio-socialiste dei gruppi e le categorie democratico-partecipative della borghesia cercano di dare un volto a questo soggetto indefinibile; i giovani, gli operai, gli studenti, le donne, soggetto di trasformazione, inafferrabili ieri per la loro ostilità e lotta aperta, oggi per la loro estraneità, debbono essere catalogati, debbono avere un nome, star dentro a qualche ordine. Perché solo nell'ordine si può costringere la gente a lavorare. Dissolutezza sfrenatezza festa. Questo il livello a cui si sta assestando il comportamento dei giovani, degli operai, degli studenti, delle donne. E se per i burocrati questa non è politica, ebbene, è la nostra politica; e magari la chiameremo in un altro modo. Appropriazione e liberazione del corpo, trasformazione collettiva dei rapporti interpersonali sono il modo in cui oggi ricostruiamo un progetto contro il lavoro di fabbrica, contro qualsiasi ordine fondato sulla prestazione e sullo sfruttamento. La pratica del piccolo gruppo è il terreno sul quale si riconosce l'autonomia, il livello di minimo al quale si è fermato il processo di disgregazione. Non serve a niente oggi progettare una terroristica e meccanica riunificazione che ponga in astratto il problema dell'unità. La pratica di piccolo gruppo non è pratica di scontro. Si pone piuttosto nel luogo dell'ignorazione, della collocazione altra, dell'estraneità. Il problema della ricomposizione è nel passaggio dall'estraneità diffusa e dissoluta alla ricostruzione di nuovi strumenti di aggregazione e di collettivizzazione del desiderio. Ma questo problema non si risolve nel luogo separato dell'organizzazione, e neppure con i discorsi astratti sull'unità: la ricomposizione si dà sul piano delle pratiche trasformative che ripercorrono trasversalmente lo spaccato della vita quotidiana. Ci occorre una scrittura che ripercorra trasversalmente tutto lo spaccato dell'esistenza, tutte le figure in cui il soggetto-classe si specifica. Progettiamo dunque un piccolo gruppo in moltiplicazione e in ricomposizione trasversale. Costituendosi come unità desiderante un collettivo deve cominciare a saper interpretare il desiderio di ricomposizione: i flussi che percorrono la classe, che muovono il vissuto quotidiano delle masse. La ricomposizione non è un imperativo morale, un dogma politico; è un desiderio del movimento. Occorre trovare una macchina. comportamento che interpreti questo desiderio. Proviamo sul terreno della scrittura. Non una sintesi esterna, non uno specchio, ma una disponibilità a sopportare la curva del processo, facendosi soggetto pratico della tendenza. Una scrittura capace di dare in corpo alla tendenza, di incarnare la tendenza come desiderio, di scrivere nella vita collettiva la possibilità di liberazione.

 

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