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Per il 70 Compleanno di Fabrizio Napolitani

Di Leonardo Ancona
Tratto Congresso del 1995 su
Tolleranza ed Ideologia

Il programma parla di “ Percorsi scientifico professionali di Fabrizio Napolitani e suoi contributi ai processi di formazione in gruppoanalisi”. Dei termini del titolo, prenderò in considerazione solo il secondo per due ragioni.

La prima ragione sta nel fatto che è difficile indicare i percorsi scientifici di Fabrizio, poiché la sua produzione procede, per flashes multipli e contemporanei, improvvisi bagliori, intuizioni che emergono...per poi passare ad altro. Manca il fluire lineare di un pensiero che si snoda come fiume che nasce da un concetto, riceve affluenti, si fa più grande e profondo, verso una foce che tutto organicamente riassume. Questo non si trova nella produzione di Fabrizio.

La seconda ragione è che in questi percorsi non c’è la più autentica caratteristica della personalità di Fabrizio. Egli è intellettualmente ed emotivamente svincolato da questo modo di fare scienza. Lui è pago di quanto dà e semina a sprazzi; non si sente permanentemente costretto alla produzione, per dimostrare a sé e agli altri di essere presente e valido; non ha il “furor publicandi” proprio degli accademici. Ecco perché è difficile indicare i suoi percorsi scientifici. È invece, possibile parlare del suo contributo ai processi formativi, perché qui si trova un riflesso diretto del suo essere helper, uomo, ricercatore.

È, questo, un Essere abbastanza bizzarro, interciso, interrotto, alternante, asimmetrico. Tutto questo, a volte fino al punto di sfiorare la bizzarria, quasi sempre sorprendente nella sua inaspettazione e logorante per chi gli sta vicino e collabora con lui, per quella meticolosità e acuta ossessività con cui si sofferma sul metodo (che mi ricorda tanto quello che Gemelli avrebbe voluto da me!). “sono un gran caratteraccio”, dice di sé. Evidentemente si conosce bene.

Però, al di sotto di questa natura si sente percorrere una nerbatura d’acciaio che trascura le forme, perché sa che non sono indispensabili nei confronti di quell’opera di semina che lui è consapevole di fare. In definitiva, quello di Fabrizio è un contributo fatto di tracce, di fermenti di creatività lasciati sul terreno, senza la preoccupazione di doverlo dimostrare.

Una simile natura non nasce a caso; è predisposta da un dato endogeno che, però, resta latente in attesa di un evento capace di suscitarlo attivandolo per la realizzazione. Qualcosa di simile a quanto pensa Bion quando parla di una preconcezione che un evento trasforma in realizzazione.

Quale può essere stato questo evento nella vita di Fabrizio? Ho una conoscenza relativa della sua vita, ma il mio contatto con lui mi permette di pensare che questo evento deve collocarsi nei sui anni di formazione, tra i 20 e i 30 anni. Fu allora che le vicissitudini della vita e il compito affidatogli da un grande maestro come Mira y Lopez a Rio de Janeiro, lo costrinsero a confrontarsi col mondo della psicosi. Fu un confronto duro, brutale, quando in quell’ospedale di Rio, solo, senza aiuti specifici alla sua opera, senza alcun riferimento od appoggio, fu gettato ad assistere un gruppo di grandi psicotici. Me lo descrisse, una volta, il lavoro e io sento ancora i brividi lungo la schiena.

La nerbatura d’acciaio che lo sostiene lo ha fatto uscire vincente da questo tunnel oscuro, realizzando una configurazione nuova del gruppo umano e della mente gruppale che si è stabilita per sempre in lui.

Il “gruppo” è entrato dentro di lui con una forza sconvolgente e ricreatrice, e lui dentro il “gruppo”, con una mentalità gruppoanalitica in ante prima. Questa doppia entrata esige di lasciarsi andare fino in fondo, rinunciando a ogni appiglio, esige ardimento assoluto, fondato solo sul fatto che dal fondo si può risalire.

Se questo è vero, allora si può dire che l’esperienza di Rio de Janeiro ha preparato Fabrizio a vedere la gruppoanalisi nel senso suo proprio e a cogliere con immediatezza il modello di gruppoanalisi elaborato da S.H. Foulkes. Sono convinto che non ha avuto esitazione a orientarsi negli scenari analitici di gruppo che gli si presentavano verso “l’analisi attraverso il gruppo”. Aveva infatti acquisito una capacità di creare Gestalten, configurazioni di gruppo, non solo esterne, ma anche dentro di sé, nella sua mente. Anche altri operatori lavorano configurando sul piano esterno delle configurazioni di gruppo, ma l’operatore gruppoanalitico entra in una Gestalt di gruppo che sta anche nella sua mente: entra nel gruppo e il gruppo entra in lui.

E questo processo esige audacia e ardimento di abbandonare il comodo mondo del simbolico, per approdare al mondo del presimbolico inquietante e misterioso, dove il gruppo è trasformato in seno femminile in femmina entro cui calarsi e che si fa calore nella propria testa: rapporto arcaico che fonda i rapporti tra i generi e tutti gli altri rapporti sociali.

Se da questi presupposti estrapoliamo gli apporti formativi che Fabrizio ha inteso dare, si possono riassumere pochi punti significativi:

- la gruppoanalisi richiede una totale e continuativa separazione tra proprio vissuto inconscio e situazione di realtà; vi è uno spazio mondano, poco sopprimibile, e uno spazio gruppale, nel quale è bene che lo spazio mondano non entri. È difficile tenere fuori i propri elementi costitutivi di realtà, ma se sappiamo che il loro ingresso nello spazio gruppale è una trappola, ci si può salvare;

- il gruppo non si coglie se non avendolo in mente, concependolo, vivendolo, come un gruppo che esiste, perché solo questo esercizio consente che si configuri anche nei membri questa realtà. Se il terapeuta ha dubbi, o preoccupazioni che precludono la percezione del gruppo nella sua unità e articolazione, allora la configurazione “gruppo” non si costituisce nella mente né del terapeuta, né dei pazienti, e il gruppo non nasce. Si tratta di costruire una Gestalt che include anche se stessi; ma questo processo richiede una vera e propria conversione della mente che molti psicoanalisti non hanno e che li porta a delle pratiche analitiche con i gruppi che molto hanno dello psicoanalitico, ma poco dello specifico gruppo-analitico;

- il gruppo agisce nella forma di Dramatis personae. Esso si basa sulla presenza calda e corposa dei presenti e sulla loro azione, evocata, accolta, elaborata. Il movimento della rappresentazione diventa allora il nodo delle operazioni di gruppo, ben al di là della dinamica delle identificazioni proiettive e introiettive. Questo fatto induce due conseguenze cliniche altrimenti irraggiungibili:

a) Per i membri del gruppo, il basarsi sull’azione, perciò su quanto si sente e si vede fisicamente, corrisponde a quel fondamentale esercizio di salute mentale che è la “inabitazione della mente nel proprio corpo”. La mancanza di questa inabitazione è alla base molte patologie.

b) Per il conduttore, il fatto che la rappresentazione costituisca il nodo delle operazioni gruppali, significa essere esposto a un impegno del tutto tipico: egli deve apprendere a reggere, senza spezzarsi un gruppo che si trovi sintonicamente in resistenza fino a farlo sentire distrutto e incapace. Il gruppo, infatti reifica e rende presente il male, allo scopo di dissolverlo e renderlo una creatura nuova.

E ora, un’ultima riflessione. C’è un pensiero che mi è caro e ha a che fare col seme, il parto, la maieusi ed è condensato nel pensiero di Eduardo Cortesao: il concetto di Pattern in interazione con la matrice.

Secondo questo concetto, il conduttore semina il seme come proprio pattern educativo ed esperienziale che porta nel gruppo, lo getta nella matrice come uno spermatozoo che si adagia nell’utero. Poi è bene che il seminatore si astenga da ogni ulteriore intromissione, per non guastare il disegno. Il seme è così potente che basta darlo una volta, poi ci pensa l’utero, la matrice di gruppo a portare compimento la vita, purché a questo siano garantite asepsi e pace.

Così mi pare di poter vedere l’opera di Fabrizio: un’azione seminale potente, da non reiterare, che si permette di guardare svolgersi da sola, perché tanto quello che ha dato arriverà da solo alla creazione... Un’unica preoccupazione: difendere sempre e dovunque l’identità teorica e clinica della gruppoanalisi.


 

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