Capitolo 2
Venne alla luce Diego nel 1697.
Le inferme finanze di sua casa obbligandolo a sottrarsi dall'indigenza, lo fecero divenire lavorante di coralli



Andres e Contesta andarono ad abitare al secondo piano di una casa allíinizio di via Corallari, la strada dei pescatori di corallo dove la ragazza era vissuta sino al rapimento del padre. Líaffitto era risultato molto vantaggioso, anche perché lo stabile aveva fama di essere infestato dagli spiriti. I due sposi vollero sfidare la sorte, tenendo conto che negli ultimi tempi il soldo di Andres era arrivato in maniera discontinua.

Allíinizio sembravano solo scricchiolii che venivano dalle scale di legno; poi per la ragazza i sonni furono sempre più agitati, specialmente quando Andres prestava servizio di notte. Fu forse per questo che Contesta perse il primo bambino. La carità di alcune vicine fece procurare alla coppia un appartamento al lato opposto della strada, dove la successiva gravidanza fu più serena.

Dal balcone del nuovo appartamento la ragazza poteva vedere la casa di famiglia, confiscata dalle autorità cittadine al momento in cui si seppe che il padre era stato fatto schiavo dai mori; a tempo debito sarebbe stata venduta da un notaio di fiducia della Mastranza dei Corallari per facilitare il riscatto del pescatore. Quei lunghi anni di disuso avevano lasciato i loro segni: gli infissi erano screpolati dal sole e dal vento, mentre brandelli di rete da pesca penzolanti dai balconi ricordavano gli ultimi meloni invernali appesi a maturare dalla mamma di Contesta prima che il mondo le crollasse addosso. Volgendo lo sguardo a destra, in fondo alla strada, la ragazza invece si rasserenava nellíammirare la cupola di maiolica verde della chiesa di San Francesco, per il senso di solidità che donava a tutto il rione. La cospicua mole color smeraldo sembrava poi che fosse stata eretta anche per dare dignità alle umili facciate color sabbia delle abitazioni dei pescatori. Così almeno sosteneva suor Clara, venuta a visitare Contesta un pomeriggio di inizio settembre per recitare assieme il rosario.

Faceva molto caldo, e la ragazza stava stesa sul letto per dare un po' di sollievo alle gambe, che reggevano a fatica il ventre degli ultimi giorni di gravidanza; le lenzuola erano zuppe di sudore. Suor Clara invece, malgrado il pesante abito monacale, sembrava fresca come una rosa.

- Lo spagnolo è stato di parola,- mormorò la religiosa tra sé e sé dopo aver appoggiato con delicatezza la mano sulla pancia di Contesta, come a propiziarne un parto sereno. Poi , chiamato uno dei monelli che la avevano seguita lungo la strada dal Collegio sino alla casa della giovane sposa, gli diede una capiente tazza di terracotta e un bel po' di tarì accompagnati dal sibilo di un ordine:

- Vai in via Neve e fatti riempire questa tazza di sorbetto di gelsi. Se te lo vogliono vendere di limone o anice digli "ígnornò". Deve essere di gelsi o niente. Non fare sciogliere il sorbetto per strada, se no ti faccio squagliare io dalle scòppole, - aggiunse.

Il bambino tornò mezzíora dopo, accaldato e trafelato; nella tazza, non del tutto piena, cíera una porzione di sorbetto ben compatto.

-Hai portato il resto?- chiese la suora notando con sospetto un gonfiore nella tasca dei pantaloni del bambino.

-No, Sorella, non è rimasto niente,- rispose il monello chinando il capo - Il sorbetto lo hanno fatto con líultima neve del magazzino e líhanno fatto pagare quello che volevano.

Un attimo, e il bambino si trovò a testa in giù, scosso da Suor Clara quel tanto da far cadere per terra il contenuto delle tasche. Ne uscirono due castagne secche ed una trottolina da un tarì, sicuramente comprata in una delle bottegucce da falegname lungo la strada .

- La trottola la lasci a me - disse la religiosa con voce suadente - mentre le castagne te le porti a casa. Senza scordarti questa,- aggiunse accompagnando le parole con una potente scoppola a mano piena.

Allontanatosi líincauto monello a precipizio lungo le scale, le due donne rimasero sole. Malgrado il sorbetto, Contesta sudava ancora, mentre Suor Clara si guardava attorno con gravità. Voci lontane di bambini e grida di uccelli marini rompevano di tanto in tanto il silenzio del pomeriggio.

Contesta guardò la suora con esitazione, poi prese coraggio e balbettò:

- Lího visto ancora, ieri notte, dopo che Andres è sceso a montare di guardia sui bastioni di S.Anna.

- Comíera? - chiese a bassa voce suor Clara

- Come il solito. Ho sentito aprirsi la porta di casa con uno scricchiolìo e lího visto seduto appena fuori dalla soglia. Era nero come un turco nero nero ed aveva i capelli bianchi e ricci. Mi ha guardato con occhi da cane bastonato e mi ha detto, "Facesti bene ad andartene dallíaltra casa. Se ci stavi ancora ti facevo perdere pure questa creatura. Qua non ci posso entrare. Stavolta vincesti tu." Poi è sparito come sciolto nellíaria, lasciando la porta aperta. Tremavo come una foglia dallo scanto, e mi misi a piangere senza fare rumore. Avevo paura che il Turco tornasse ancora.

- Qua non può entrare, - la tranquillizzò Suor Clara - dove passa Padre Costa con líacqua benedetta il Turco non può farci niente.

-E perché nellíaltra casa si? Lì ho perso il bambino, ricordate?

- Quella era stata benedetta da padre Tranchida, che pensava troppo alle femmine, e le benedizioni non gli funzionavano mai, - spiegò tranquilla la suora, insuperabile nellí improvvisare risposte convincenti a misteri inspiegabili.

Era da diverse generazioni, ormai, che le donne di via dei Corallari venivano terrorizzate dalle apparizioni del Turco, sempre lesto ad infilarsi nelle loro case non appena i mariti uscivano di notte per la pesca. Si diceva che Michele era uno dei turchi portati in catene dalla cittadina tunisina di Al-Munastir dal capitano di una della sette galere andate a saccheggiarla per tre giorni e tre notti. Era stato venduto ad una famiglia di pastai e per una ventina díanni aveva servito i suoi padroni con una lealtà che non meritavano. Alla prima carestia, i padroni fecero un paio di conti: líinvestimento di dodici onze per líacquisto dello schiavo era stato ripagato; Michele, carattere mite e sorriso timido di nero della Mauritania, oramai era diventato anziano ed un po' acciaccato. Líingordigia dei pastai ebbe il sopravvento sulla pietà cristiana predicata - in quel caso con poca efficacia - dai vicini frati francescani: lo lasciarono morire di fame pur avendo il magazzino pieno di maccheroni, tria e busiati.

A nulla valsero poi innumerevoli novene, eterni riposi, preghiere per le armicelle del Purgatorio, messe cantate e benedizioni a tappeto di tutta la via dei Corallari e dintorni: il Turco non trovava pace e in tutto il quartiere di notte si riposava male; per non dire, poi, dellíelevato numero di giovani donne che non riuscivano a portare a termine la gravidanza, spaventate dalle repentine apparizioni di Michele, che con il passare delle generazioni si era pure incattivito. I pescatori arrivarono persino a tassarsi per offrire una lampada votiva alla Chiesa di San Francesco.

La eseguì Fra Matteo Bavera, durante le pause tra una benedizione e líaltra delle case dei pescatori, mettendo assieme rame dorato, smalti bianchi e azzurri e frammenti di corallo di tutte le forme. Gocce, uncini e bastoncini, virgole e losanghe di un corallo rosso ben levigato e lustrato alleggerivano ed impreziosivano líelaborata composizione, offerta ai Francescani nella speranza che riuscissero a fermare le scorribande notturne del Turco Michele. La lampada fu donata il giorno di Tutti i Santi ed accesa con olio di Tunisi il giorno successivo, rischiarando i visi di decine di vecchine intente a pregare per il sollievo delle armicelle del Purgatorio, in cui il Turco Michele si supponeva soggiornasse di diritto.

Queste ed altre cose disse suor Clara tra un rosario e líaltro in quel pomeriggio di fine agosto. Quindi si alzò per salutare, consegnando a Contesta un frammento di carta azzurrina piegato in quattro.

- Eí da mettere tra le fasce della creaturina dopo che le faranno il primo bagno,- suggerì la religiosa, chiudendo la porta dietro di sé con delicatezza.

Contesta aprì il bigliettino e lesse:

ircu,

arcu,

orcu,

e ëppi na fogghia

di zuccu tortu

unníappi

né ircu

né urcu

né orcu


 


Nel decifrare le parole la ragazza annuì sorridendo. Si trattava dellíintraducibile scongiuro contro le intrusioni e le tentazioni del demonio che Suor Clara distribuiva con eccentrico ed alquanto eretico zelo alle donne in attesa di partorire. Cosa cíentrasse la "foglia di tralcio di vite storta" nei rapporti tra umani e forze degli inferi era oggetto di appassionate quanto inconcludenti discussioni tra le vecchine del rione. Nemmeno la ragazza dai capelli color rame aveva mai capito granché. "Oltretutto", ragionò Contesta, "più uno scongiuro è comprensibile, meno è potente"; quello di Suor Clara aveva fama di essere addirittura portentoso.

La ragazza pose il foglio con le parole vergate da suor Clara su una sedia accanto al letto, per poi scivolare dolcemente nel sonno. La calura si stava stemperando in una provvidenziale brezza di grecale.
 

22 Settembre 1697

Indice