22 settembre 1697

Quando Diego Martinez venne alla luce, attorno alle tre del mattino, la costellazione di Orione, la più bella dei nostri cieli invernali, era da poco sorta sullíorizzonte, mentre Perseo splendeva sopra la cupola di San Francesco. Papà Andres e Hugo de Ribeira stavano invece appoggiati sui bastioni di S. Anna, in attesa che finisse il loro turno di guardia. Il mare di tramontana era tranquillo e gremito di stelle grandi come nocciole da sgranocchiare.

Fu il caporale De Ribeira a cominciare:

-Hai già deciso che mestiere farà tuo figlio?

-Sei sicuro che sarà maschio?

-Certo, non hai notato la forma della pancia di tua moglie?- chiese líimprevedibile Hugo.

-Se è vero che sarà maschio, non potrà che essere pescatore di pesci, o di coralli, oppure marinaio. Di sicuro non sarà soldato. Qualcosa mi dice che saremo gli ultimi spagnoli a fare la guardia a queste mura.

-Allora meglio che si occupi di coralli; a terra, però. Per lo meno dormirà vicino alla moglie, anziché stare col culo a mollo come i marinai, - sentenziò Hugo.

Poco dopo le quattro del mattino i due commilitoni erano accanto al letto di Contesta. La puerpera stava bene e sorrideva al marito, mentre la levatrice terminava di fasciare il neonato, già lavato con acqua di rosmarino, inserendo nelle bende di cotone il sortilegio di Suor Clara, ritenuto in quartiere vero e proprio scudo celeste contro disgrazie e influenze nefaste.

A qualche centinaio di metri dalla via dei Corallari, nel palazzo dei nobili Osorio, poco distante dalla chiesa di San Lorenzo, si stava intanto completando la fasciatura di un altro bambino venuto alla luce alla stessa ora di Diego Martinez.

Don Giuseppe Osorio Alcaron, futuro perno della politica estera di Casa Savoia, studente di Diritto delle Genti a Leiden, addetto alla Legazione di Olanda, Plenipotenziario a Londra, Ambasciatore Straordinario in Madrid e Primo Segretario di Stato a Torino, fece uno sbadiglio e cominciò beatamente a ronfare.

Tra le fasce che lo tenevano rigido come uno stoccafisso appena un poí più umido del solito, stava un rettangolo di carta pergamena con su scritte le solite parole:
 
 

ircu,

arcu,

orcu,

e ëppi na fogghia

di zuccu tortu

ecc...


 


Di come si sarebbe svolta la vita di Giuseppe Osorio si è appena detto, delle vicissitudini di Diego Martinez si parlerà diffusamente nel resto di questa storia. Sta di fatto che mai persone nate nello stesso luogo, alla stessa ora, sotto i medesimi allineamenti di astri, ebbero destini più diversi.

Poche settimane dopo i parti di Contesta e della nobile Osorio, durante la notte tra Tutti i Santi e il due Novembre, i defunti come sempre vennero a visitare tutti i bambini della città. La festa dei morti a Trapani, come in gran parte dellíisola, era allora un rituale un poí serio e un poí scanzonato, a metà strada tra una incursione carnevalesca dei morti nel mondo dei vivi e il modo povero di fare doni antecedente líinsensata frègola regaleccia dei Natali odierni.

Accanto alla culla di don Giuseppe Osorio le anime di nonni e zii defunti, cariche di armature rugginose e scricchiolanti, vennero a deporre, con incedere altezzoso, castagne cotte nel vino, noci di Benevento, fichi secchi ed un prezioso spadino díargento cesellato.

Vicino la culla di Diego Martinez, invece, accanto alle noci, alle castagne e ai fichi secchi, i morti di famiglia, meno seriosi, lasciarono una manciata di corallo grezzo ed una trottolina che somigliava curiosamente a quella confiscata da Suor Clara al monello del sorbetto qualche mese prima.
 

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