Capitolo 3
Prese in moglie una giovane ornata di lodevoli costumi e n'ebbe due figli.


Che nonno Tore Dalfina fosse tornato libero dalla cattività in Barberìa non stupì più di tanto. La cosa ogni tanto capitava, specialmente se si facevano i voti giusti a santi venerati dalla gente e rispettati dalla gerarchia celeste, come la Madonna di Trapani e San Francesco di Paola. Stupì piuttosto lo stato in cui il corallaro era riapprodato a Trapani: vestito di tutto punto di bei panni blu di fattura genovese e ben nutrito e curato; addirittura sfoggiando un accenno di panzìcolo, lui che era sempre stato magro come un chiodo messo a digiuno.

In quartiere qualcuno cominciò a credere che Mastro Tore avesse venduto líanima al diavolo o, peggio, si fosse messo a commerciare lui stesso cristiani in Barberìa. Il pescatore, bravissima persona anche se di tanto in tanto soggetto ad imprevedibili scoppi díira, ignorò le voci che si stavano infittendo su di lui, trovando persino un certo gusto a celare i segreti della sua cattività.

Col genero spagnolo parlava poco, di sicuro geloso del privilegio che aveva avuto di sposare la bella Contesta. Per il nipote Diego, invece, provò subito un affetto prossimo alla complicità. Fu il ragazzo, infatti, ad assistere il nonno in quei primi, frenetici mesi successivi al ritorno in città. Mesi impiegati in cantiere ad impostare non una, ma addirittura uníintera flottiglia di quattro nuove coralline, da impiegare nei banchi al largo dellíisola di Marèttimo. Perchè una cosa era certa: nonno Tore dalla Barberìa era tornato pieno non solo di soldi, ma anche di progetti.

Voleva cercare altri banchi di corallo; voleva far aprire a Diego una bottega per la lavorazione e scultura dei migliori rami pescati; voleva commerciare direttamente il prodotto lavorato con gli alessandrini e i siriani senza la onerosa intermediazione dei catalani. Voleva rifarsi, insomma, di venti anni di vita sospesa tra la schiavitù e la voglia di ricominciare a vivere.

Affidò la costruzione delle barche a mastro ëGenio che, pur essendo un mastro díascia abile e preparato, doveva il suo nome solo al fatto di essere nato il giorno dedicato a Santo Eugenio.

Per mesi il vecchio Tore ed il nipote passarono in cantiere tutti i giorni dallíalba al tramonto, a seguire passo passo la costruzione della flottiglia. Nella tarda mattinata facevano la loro colazione di pane e olive schiacciate assieme a mastri díascia, lavoranti e calafati, per poi riprendere il lavoro sino a che il sole non passava oltre il profilo delle isole Egadi per andarsi a coricare, sfinito dalla fatica, dalle parti di Gibilterra.

Ogni tanto, specialmente le sere precedenti le festività, nonno e nipote tornavano a casa più tardi , dopo aver cenato allíosteria della ëza Barbara. Di solito zuppe di ceci accompagnate da uova sode e un vino asprigno di poco prezzo; talvolta astice o cernia portati a cuocere dai pescatori che venivano nel locale a dividersi equamente i guadagni della settimana.

Fu una di quelle sere in osteria, seduti ad un tavolo appartato, che Diego ebbe il coraggio di chiedere al nonno come si era liberato dai turchi. Il corallaro mise da parte i fogli con gli schizzi delle barche in costruzione e stette in silenzio per un po', il viso di tanto in tanto alterato da spasimi leggeri attraverso i quali ricordi ancora mal rimossi facevano incursioni nel presente. Poi Mastro Tore iniziò :

- A me e ai mei compagni i turchi ci pigliarono mentre che dormivamo in spiaggia in Galita, uníisola a ponenti di Biserta. Eramo alla fine della stagione e da un paio di giorni stavamo riparando scafi e vele prima di tornarcene in Trapani. Avìamo le barche cariche di coralli di una grandezza mai vista, e per giorni e giorni li turchi ci avevano spiato. Una matina uno di loro vinni a chiederci se volevamo vendere il pescato. Mi parìa un cristiano e avìa la parlata di Mazzàra. Il prezzo nun ci piacìa, era troppo basso. Facenno finta di mercanteggiare, il mazzarisi ci faceva la visita medica con gli occhi. Ci guardava i denti e vedeva che noiatri eramo sani e pieni di salute. Una simana dopo éramo tutti 'ncatinati e stipati in una mazmorra, un magazzino fituso senza aria e né luci, scavato sutta il mercato di Algeri, figé.

- Io non capisco una cosa: com'è che eravate andati, voialtri, a pigliare coralli in Barberìa sperando di farla liscia? Come si fa a pescare corallo tra Algeri e Tunisi senza pensare di finire in mano ai turchi? ? chiese Diego.

- Si fa. Prima di tuttu lu guadagnu è forti, e vale la pena di arrisicare. Secunnu poi, li turchi noi li pagavamo e loro ci lassavano in pace. Era comu ëna tassa. Solo che la tassa nun la davamo al Re, comu si fa ëcca, ma a lu vecchiu saggio dellíisola di Galita. Un jornu lu vecchiu si ammalao e murìo e noiatri ristammu futtuti e mazziati.

Pur facendo fatica a capire tutte le parole del nonno, strascicate in un dialetto ristretto e po' sconnesso dalla lunga assenza dalla città, Diego alla fine si rese conto che nonno Tore e i suoi compagni si erano trovati schiavi dei corsari non per caso, ma per la morte dellí anziano notabile dellíisola di Galita a cui sino a quel momento avevano pagato il salvacondotto per pescare i coralli.

- Siete stati per tanto tempo ad Algeri?

- A fari cosa? Algeri ha ëcchiù cristiani 'ncatinati che algerini. Mi accattarono li genovisi di Tabarqah e mi misero a pescari e lavorari coralli.

- Tu, cristiano, schiavo dei cristiani?

-E che ti pari, che i cristiani cu li danari sono megghiu di li turchi? Li genovisi riscattano gratis et amore dei solamente li picciriddi cristiani; per aviri la mia libertà mi fìciru piscari e travagghiare i coralli per quinnici anni. Fui yò a truvari li banchi novi di coralli che stanno facenno ricca Tabarqah e li soi abitanti. Accussì mi arriscattai, figè, - disse accompagnando líultima parola con un fragoroso pugno sul tavolo, quasi a scaricare con quel gesto inaspettato la tensione che era cresciuta man mano che aveva raccontato le sue faccende a Diego che, da parte sua, osservava attonito il viso ormai paonazzo del vecchio.

Aspettarono un bel po' prima di riprendere il filo del discorso. Poi, fattosi coraggio, il nipote chiese:

- E ora che volete fare, con le vostre quattro coralline nuove?

- Vajo a truvari banchi di coralli novi vicino Trapani, figé.

- E se vi pigliano di nuovo i turchi?

- Usanza de mar, cose che capitano. Ma oramai li turchi nun mi pigghianu cchiù; a Tabarqah, da una vecchia di Santu Vito riscattata dai genovisi, accattai chistu, figé- disse Tore Dalfina al nipote, togliendosi nel frattempo uno scapolare da sotto gli abiti. Assieme a una professione di fede cristiana il sacchetto di tela conteneva un sottile fazzoletto di seta azzurra con ricamata in filo díoro una preghiera in una lingua sconosciuta. Cominciava così :

"Padri di noi, ki star in syelo, noi volir ki nemi di ti star saluti..."

A Diego quelle parole ricamate sul fazzoletto di seta non fecero alcuna impressione particolare, ma non espresse alcun commento per non deludere il nonno. Una domenica, dopo la messa nella chiesa di S. Lucia, Mastro Tore condusse il nipote a casa sua, appena rimessa a posto dopo il lungo periodo di abbandono. Aprì il lucchetto del suo sacco da marinaio e cominciò ad estrarre cose mai viste.

- Vedi queste pietre rosa che sono comu tagliati a mano? Si chiamano rose del diserto, e i mori dicinu chi sunnu fatti di sabbia e pisciazza di camello; chisti inveci sono rami di corallo da travagghiari. Li pigliai yò stesso, a levante dellíisola di Tabarqah.

- Con quale ingegno li avete presi ? - chiese Diego riferendosi al pesante strumento zavorrato calato dai pescatori per strappare i rami di corallo dai fondali marini.

- Che ingegno e ingegno, chisti rami li pigliai yò personalmenti, con li mei mani. Yò posso calarmi sino a venti braccia sutta lu mari cu li mei occhiali, - spiegò nonno Tore porgendo a Diego due vetri tondi molati con cura, delle dimensioni di fondi di bicchieri, inseriti in un pezzo di cuoio morbido ben sagomato ed ingrassato, il cui profilo si poteva adattare in maniera pressoché perfetta a quello di una faccia. Non era esattamente una moderna maschera subacquea, ma come funzionalità poco ci mancava, a giudicare dalla grandezza e qualità dei rami di corallo trovati dal nonno nelle sue immersioni.

Il pescatore guardò soddisfatto lo stupore dipinto sul volto del nipote, prima di proseguire a tirare fuori oggetti, a volte utili a volte solo curiosi, dal suo sacco di pesante tela grigia.

Uscirono raschietti, tronchesine e bulini per lavorare il corallo; un portolano arabo con le coste della Berberìa ben delineate; pezzi di corallo lavorati con cura maniacale. Statuine da presepe e profili di donna finemente scolpiti si alternavano a oggetti variamente scaramantici come corni, piccoli falli, mani di Fatima e il fico, rappresentazione di un pollice inserito tra l'indice e il medio, antico gesto per scacciare via la malasorte usato nel Mediterraneo sin dalla notte dei tempi.

- Certo, sanno lavorare bene il corallo quelli di Tabarqah,- commentò ammirato Diego.

- Ma chi dici, ma chi fantasia hai, fetente diavolone di un niputi scimunitu! Chistu è tuttu travagghio meo! - imprecò indispettito il pescatore, buttando in aria il pesante sacco, ancora in gran parte pieno. Abiti turcheschi, berretti di panno rosso e babucce si sparsero per terra, assieme a schizzi di barche e strumenti nautici, come un compasso da carteggio e un cronometro inglese, il cui coperchio di mogano si spaccò nellíimpatto sul pavimento, mentre lo strumento oscillava scomposto sulle sue rudimentali sospensioni cardaniche.

Il nonno rimise in fretta tutta la sua roba dentro il sacco, lasciando per Diego un volume rilegato in cuoio marrone, dal titolo curioso.

- Sabir castellano?- chiese il pescatore con la voce tornata calma come per miracolo.

- Si, porqué?

- Allora tieni - disse il nonno passando il libro al ragazzo.

Sul frontespizio Diego lesse:

-"El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha" de Miguel de Cervantes Saavedra.

Nonno Tore, sentendo pronunciato il nome di Cervantes, annuì gravemente:

- Era un omo valente. In Algeri tutti i cristiani in catene lo invocavano come un santu. Ora sentimi, -disse il vecchio cambiando discorso- li ferri per lavorari i coralli sono per te. Non ti scordari di fari pratica ogni jornu. Prima o poi ti potìa essere utili.

- E il corallo da lavorare?

- Quanto ne voi, figè, ti lo pisco yò con le mie barche. E rami beddi grossi.
 

Primavera 1713

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