14 Agosto 1747

Tornati che furono alla tonnara, i due schiavi riscattati passarono ancora un paio di settimane assieme agli irlandes, al vice raisi Yusuf ed ad altri pescatori del luogo, a rassettare le attrezzature ed a prepararle per líanno successivo.

Era già líinizio di agosto, e sia Diego che Peppe non davano segno di volersene tornare in Sicilia. Pad e Mickil, prossimi ad essere rispediti a Tunisi al servizio di Sitbar Alì, li sorpresero un pomeriggio a confabulare mentre riparavano delle reti.

-Mastro DiegoÖ. semu già a metà Austu; tra dui jorna è la festa della Maronna di Trapani. TurnàmoÖ. o no in Siquilliyyah? ? chiese Peppe.

-Si, ma non a Trapani.

-E allura, unni?

-A Monte Còfano. Annamaria ha già cominciato a costruire un villaggio a mezza montagna. Io a Trapani non ci torno, visto che non hanno mosso un dito per liberarci. Semmai ci andrò, di tanto in tanto, a comprarci il sale. Eppoi, non mi sento di lasciare qui Mickil e Pad. Non lo vedi come ci guardano da quando ci siamo riscattati? Paiono due cani bastonati. Inoltre cíè pure Samuele Sala che vuole tornare in Siquilliyyah.

-Ancora 'na vota?

-Si è fissato di usare líacqua di mare per le sue cure, e a Tunisi non glielo permettono. Dicono che non sta scritto in nessuna parte dellíAlcorano. Certo, un medico bravo come lui ci vorrebbe a Monte Còfano. Tu, invece, vuoi tornare a Paceco o pensi di darmi una mano a costruire il nuovo villaggio?

-A PacecoÖ. nun mi dispiacirìa, ma se mi volete a Còfanu fa lu stessuÖ. yò nun haiu famigghia, e líunicu amicu meo era Diego il pacecoto. Però yò vulisse turnari in Siquilliyyah con una picciuttedda nivura e beddaÖ. chi incuntrai a Capu Bon.

-Cosíè, turca o turchesca?

-Prima di tutto è bedda e giurizziusaÖ. eppoi havi li occhi comu ddu stiddi azul. A proposituÖ. mi lo po' spiegari, doppo ddu anni di cattività, ësta differenza tra turchi e turcheschi, mori e saracini?

- Te lo spiego uníaltra volta,- disse Diego al compagno mentre si avviavano nelle camerate dei tonnaroti.

ÖÖÖ.

-I Turchi sono Turchi, e da Costantinopoli dominano tutto líIslam degli Ozman, di cui a modo suo anche questa terra fa parte. E' Turco il Pascià, sono Turchi molti giannizzeri, sono Turchi tanti capitani di vascelli corsari. La gente del Maghreb, o Barberìa che dir si voglia, viene invece chiamata dai Cristiani e da noi Ebrei in vari modi: a volte Mori, a volte Beduini, a volte Saraceni, a volte Turcheschi, - spiegò con pazienza Rachele Sala accarezzando delicatamente i capelli corvini di Diegoil pacecoto. Líuomo la stava ad ascoltare beato, sorridendo ad occhi chiusi col capo appoggiato sul petto soffice ed abbondante della sposa del pio Sitbar Alì.

Da quindici giorni i due stavano nudi come angioletti jocolani sul letto di Rachele, allacciati in un continuo abbraccio solo di tanto in tanto interrotto dalle vivande lasciate senza fare rumore da una fidata donna di servizio della bella patruna ebrea

Pur essendo il suo amico cristiano appena trentenne, Rachele non mancò lo stesso di stupirsi del suo vigore fisico. Il musicista, infatti, era appena tornato da una lunga e faticosa serie di concerti nelle città attorno allo Chott el-Erid, nelle ricche oasi del sud ovest. Sia a Gafsa che Tozeur, ma ancor più a Nefta, città dei Sufi, la sua opera "I Cristiani di Chenini" aveva avuto uno straordinario successo. Adesso era pronto a ripartire; avrebbe suonato a Medenine e poi nella stessa Chenini, dove la composizione, via via arricchitasi sino a diventare un vero concerto di tredici nawba, era stata ambientata.

Il pacecoto era tornato a Tunisi con la scusa di riposarsi qualche giorno a casa dei patruni e dividere con Sitbar Alì gli ultimi guadagni della sua attività di musicista acclamato. Pur risultando formalmente schiavo di Sitbar e Rachele, con i proventi della sua arte il giovane Diego si era già affrancato da lungo tempo dallo stato servile, e alla caviglia ormai portava solo una leggera catenina di argento, più che altro come segreto segno di dedizione a Rachele Sala, sua padrona, musa ed amante. Quando il pio Sitbar era partito per un lungo viaggio in Sudan, a comprare schiavi ed organizzarvi la tappa per un futuro pellegrinaggio alla Mecca, il musicista aveva pensato bene di prolungare il suo soggiorno in quella dimora così ospitale.

Quella sera di agosto, comunque, dopo due intense settimane di carezze ed abbracci intercalati da brevi pasti speziati e quiete conversazioni, il siciliano si era riproposto di ripartire con la sua orchestra la mattina successiva.

Verso mezzanotte il giovane Diego, appena assopitosi, fu risvegliato dalla voce di Rachele che gli sussurrava allíorecchio filastrocche in una lingua sconosciuta, curioso retaggio dei giochi díinfanzia della bella ebrea. Líuomo si volse verso la patruna, le sorrise e con delicatezza cominciò a baciarla sulla nuca, mormorandole versi di Ciullo díAlcamo e Giacomino Pugliese scovati per caso da un libraio di Tunisi ed avidamente letti.

-Cosa vogliono dire queste parole che impasti assieme ad i tuoi baci? Sono forse preghiere?- chiese la donna.

-No, sono solo versi scritti in Siquilliyyah, e parlano di rose profumate e di amori agognati.

-E il nostro che amore è?

- Eí come una musica sempre diversa. Eí una musica che non mi stancherei mai di suonare, - disse il giovane Diego abbracciando la padrona con la silenziosa, disperata intensità di chi in qualche modo sente di fare líultima cosa felice della propria vita.

Era líalba quando Rachele, risvegliatasi dopo un breve dormiveglia, si ritrovò accanto il corpo immobile dell'amante. Soffocò a malapena un urlo di straziata disperazione e mandò a chiamare il cugino medico.
 


Capitolo 9

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