Capitolo 9
L'Isola di Lampedusa era anche allora meta di curiose frequentazioni
 
 

15 agosto 1746

Finita che fu la prima messa del mattino, i cristiani uscirono cheti cheti dalla chiesa di S.Antonio, pronti ad affrontare la pena di un altro giorno di lavoro in cattività. Fu allora che Samuele si decise ad entrare in chiesa ed andare a parlare col cappellano.

-Bona jurnata, dutturi Sala, stati bene? Posso fari quaccosa per vossìa? ? lo salutò padre Spezzacore con una stretta di mano forzuta più di un tenaglione da fabbro ferraio.

-Eí morto un captivo cristiano in servizio a mia cugina Rachele. Si chiamava Diego Martinez.

-Ma non era alla tonnara, a Sidi Daoud? ? chiese il cappellano, un padre mercedariano basso e tarchiato, con occhi lucidi e mobili di furetto senza pace.

-No, era appena tornato.

-E Peppe Masso, anche lui è turnato?

-No, Peppe è rimasto alla tonnara. Sapete, adesso lui è raisi.

-'Sta cosa mi stranizza un pocu. Mi ricordo che erano sempre uno accianco allíaltro durante le misse dominicali, assieme ai due irlandesÖ. E pecciò mi dicìte che Diego è mortu? E di chi cosa è mortu? ? incalzò padre Spezzacore.

-Deperimento organico.

-Travagghiava assai?

-Ultimamente si. Così mi disse mia cugina, che gli stette vicino sino al momento del trapasso.

-E pecciò Peppe Masso non cíè? Non ci posso parrari? ? insistette il mercedariano.

-No, padre Spezzacore, non cíè. E' rimasto alla tonnara.

-E l'altro Diego, il pacecoto, manco lui cíè? Era passato ccà ddui simane fa, e mi aveva lassato pure una bella offerta per li captivi vecchiarelli, abbandunati da tutti. Eí 'nu bravu picciottu, Diego il pacecoto. Speriamu ca rresta cristianu.

-Il pacecoto partì due giorni fa con la sua orchestra per un altro concerto, -si affrettò a dire Samuele. Poi aggiunse: - Padre Spezzacore, capisco che vossìa è rimasto scosso dalla notizia della morte di Martinez. Anchíio lo sono; ma come medico ho un poí di prescia di risolvere questa faccenda. Oggi fa più caldo che mai, ed è meglio che il povero captivo venga seppellito al più presto. Ve lo faccio portare prima della messa del pomeriggio? So che era molto devoto a Maria, che voi oggi celebrate.

-A Maria Regina delle Vergini, - precisò puntiglioso padre Spezzacore. Poi aggiunse: -Portatemelo ëcca al più presto, ma lassate il tabbùto aperto, che lo voglio vedere in faccia, il morto. Sapìte, io sono un pocu comu San Tummasu. Se non tocco, non ci credo.

-E questo San Tommaso cosíera, un medico chirurgo?- chiese ironico Samuele.

-No, un figghio di bottana come me,- lo rimbeccò il missionario.

Alcune ore dopo il feretro stava sotto il povero altare di tufo della chiesa di S. Antonio.

Padre Spezzacore, rimasto solo in chiesa con Samuele, cominciò ad osservare con attenzione il viso del defunto, camminando nervosamente attorno alla cassa scoperchiata con la concentrazione con cui un cane da caccia disegna cerchi sempre più stretti attorno alla traccia che ha fiutato. Poi guardò il medico con aria scettica e disse, papale papale:

-Chistu nun è Diego Martinez. Comu corpuratura ci siamo. Per il colore dei capelli, invece, non ci siamo per nenti, anche se li avete imbiancati, spolverandoli di talco. Per il resto, assomigghia più a Diego il pacecoto che a Diego Martinez.

-Padre Spaccacore, - tagliò corto il dottor Sala - confermo che il defunto si chiamava Diego Martinez, nato a Trapani il 6 settembre 1697 e morto qui a Tunisi, in cattività, ieri notte. E questa è uníofferta di quattrocento zecchini. Se vorrete, con una somma così forte sarete in grado di riscattare una dozzina e passa di piccirilli cristiani. Uníoccasione come questa capita una volta sola nella vita. Per il resto, raccontate ai vostri fedeli quello che volete, - disse líanziano cugino di Rachele, guardando fisso il viso affilato del defunto per dare líaddio al più estroso sonatore di Tunisi di quel periodo.

-Passate da me nei prossimi jorni? Sapìte, ho dei captivi vecchiarelli da curare, e non riescio a trovare medici.

-Avete bisogno di medici gratis et amore Dei, intendete dire?

-Si dutturi, chi Ddiu vi binidìca.

-Per stavolta niente da fare, padre Spaccacore. Domani parto e non so quando ritorno. Per i vostri vecchiarelli malati, invece, vi manderò un giovane medico di mia fiducia.

-Sempre gratis?

-Si, sperando che ogni tanto parliate bene anche degli ebrei nei vostri sermoni. C'è da fidarsi?

-In chissu di stasìra non tanto. Per i prossimi, ci potemo sempri mettiri d'accordo, - rispose il padre mercedariano.

Seduto nel bugigattolo che gli faceva da sacrestia, padre Spaccacore non sapeva se rallegrarsi più degli zecchini appena avuti da Samuele, o della possibilità di dar briglia sciolta alle sue fantasie misògine nel corso dellíomelìa che avrebbe pronunciato durante la messa funebre di quel pomeriggio. Uníomelia lunga, appassionata e per gran parte inventata, riportata in seguito per sommi capi da alcuni pescatori trapanesi riscattati, e fatta stampare a loro spese qualche anno dopo.

Che padre Spaccacore fosse un disinvolto ballista lo sapevano tutti; a differenza di alcuni confratelli più pavidi o corruttibili, però, non aveva mai tradito i suoi fedeli, magari svelando o vendendo segreti che ne avrebbero posto a rischio la vita. Piccolo perno in un meccanismo che lo avrebbe potuto facilmente stritolare, aveva sempre tentato di trovare un equilibrio tra i buoni rapporti con i funzionari del Bey che gli concedevano la possibilità di svolgere il suo ministero, e la lealtà ai suoi fedeli tenuti in catene. A questi ultimi tentava in tutti i modi di alleviare le pene della schiavitù, anche propinando loro sermoni degni di uno scrittore picaresco dotato della fantasia più sfrenata.

Davanti ad una chiesa affollata di captivi di tutte le nazioni cristiane, padre Spaccacore si terse il sudore con un fazzoletto passatogli dal suo chierichetto, un toscano di Porto Santo Stefano orbo di un occhio e secco e peluto come un granchio di scoglio, per poi rivolgersi con voce vibrante allíassemblea:

- Picciriddi mei, dominus vobiscum.

-Et cummu spiritu tuo ? risposero i captivi.

-Il tabbùto che troneggia in questa nostra umile chiesa di S.Antonio in Tunisi, contiene i resti mortali di un nostro fratello, Diego Martinez, morto di deperimento organico al secondo anno di cattività. Di lui vi leggerò vita, morti e, se possibbili, miracoli. E ora zittìtivi e lassàtimi lèggiri la mia ërazzione funebre:

"Rapito la notte dei diecinove giugno 1744, il nostro Diego venne condotto tra le catene di Tunisi, dove venne comprato da un dovizioso musulmano di nome Sitbarbalì. Questo turco aveva acquistato anco a prezzo del suo onore il tristo piacere di divenire lo sposo di una femmina assai bella. Questa donna, nata nellíebraismo, vi era rimasta lungamente. Consapevole di non potere aspirare in questa credenza alle nozze di un maomettano, finse di abbracciare la religione di Cristo, e si fece battezzare. Poscia, questa femmina dileggiatrice del Pentateuco, del Vangelo e dellíAlcorano, volle innalzarsi dalla bassa sua condizione per mezzo di una seconda apostasìa, e divenne maomettana. La malizia di questa oziosa schiava dei sensi le conciliò per il nostro fratello Diego una criminosa passione. Si spogliò per lo schiavo di quellíalterigia che ispira la padronanza, si levò la gelosa maschera del pudore ed ebbe la sfrontatezza di dichiarargli le sue brame. I continui rifiuti di Diego irritarono vieppiù la sua passione. Lo privò delle vesti necessarie, davagli il vitto più vile, lo faceva travagliare giorno e notte senza farlo riposare, e perdippiù gli tramava le insidie le più seducenti. Un giorno gli prescrisse perfino di recarle líacqua tiepida mentre ella immergevasi nel bagno. Questa scena così licenziosa fu per Diego uno spettacolo non meno terribile, che pericoloso. Provò egli allora le convulsioni tutte della natura, e dovè riunire le eroiche potenze dellíanima sua, per comandare aí suoi sensi". - Mi sentite bene in fondo alla chiesa? ?chiese padre Spaccacore allíassemblea, distogliendo lo sguardo dai suoi fogli per prendere un poí di fiato.

-Si, si, continuasse. Bedda Matri, chi fìmmina ! ? rispose dal fondo della sala una voce dallíinequivocabile accento marsalese. Vincenzo Tumbarello, rapito molti anni prima dai corsari mentre tirava le nasse appena al largo dello Stagnone, non aveva mai perduto un sermone di padre Spaccacore, ma quello che stava sentendo quel pomeriggio di mezzagosto si presentava ancora più avvincente degli altri.

Soffocato dal caldo e da quella folla compatta di fedeli che pendevano dalle sue labbra, il padre mercederiano bevve acqua da una brocca posta accanto allíaltare, sputò con un certo fastidio la renella contenuta nell'ultima sorsata, e proseguì la lettura del suo sermone:

"Il molteplice numero delle virtuose azioni di Diego míimbarazza. Io non posso tutte trascriverle: ma non ne vorrei trascurare alcuna. Fiduciando egli nel Signore, e nella madre di Dio e regina delle Vergini di cui era singolarmente divoto, e di cui oggi celebriamo la ricorrenza, spesso apriva il suo core, come un sollievo a quegli strazi così inusitati, a me medesimo, suo umilissimo padre spirituale. Così come quando mi confidò: "Credetemi, padre Spaccacore, io non cerco tanto la libertà per togliermi dai patimenti della schiavitù, quanto per involarmi daglíocchi della mia patruna, che mi comanda alcune cose illecite". Conoscendo infine quella donna scorretta, che la sua resistenza non fosse affettata, recedè furibonda dallíimpresa di vincerlo, portando nel suo core líocculto veleno della vendetta."
A quel punto padre Spaccacore affidò al sacrestano i suoi fogli e continuò a braccio, volgendo il suo sguardo ispirato ai fedeli:

-Adesso che i resti mortali di Diego Martinez sono al cospetto di questa assemblea, così composita quanto dolente, guardando il viso affilato dai patimenti del nostro virtuoso fratello, livido in faccia e con le pampinelle del naso che già cuminciano a corrompersi, io vi dico che sono sicuro e strasicuro che Diego fu avvelenato dalla sua patruna snaturata per non essersi arreso fino allíultimo alle sue brame. Requiescat in pace!

-Amen! ?rispose allíunisono líassemblea, che affogò la pena quotidiana della cattività in terra díAfrica in un sordo rancore contro il sesso femminile tutto e quello di religione ebraica in particolare.

Conclusa che fu líorazione funebre, padre Spaccacore proseguì la messa, come di sua abitudine, con il Padre Nostro in lingua franca:

-E ora, picciriddi mei, anco di paise francis, espagniol, portuguès, toskan, nabolitan, priamo syemi syemi: Padri di noi, ki star in syelo, noi volir ki nomi de ti star salutiÖ.
-Ö. Noi volir ki il paisi de ti star con noi,- continuarono i presenti - i ki ti lashar ki tuto il populo fazer volo de ti na tera, syemi syemi ki nel syelo. Dar noi sempri pani de noi de kada jorno, I skuzar per noi il kulpa di noi, syemi syemi ki no skuzar kwesto populo ki fazer kulpa a noi. Non lashar noi tenir katibo pensyeri, ma tradir per noi di malu, perke ti tenir sempri il paisi e il fortsa e il gloria. Amen.
Dopo la messa il feretro fu trasportato in processione nel contiguo cimitero da un gran numero di schiavi cattolici, che assistettero alla sua sepoltura.

Finito direttamente nel paradiso un poí sbracato e trasgressivo dei musicisti, ad organizzare concerti angelici ricchi di affascinanti suggestioni mediterranee, il pacecoto fece così a Diego Martinez il dono postumo di una nuova identità.

Quando allíalba del nuovo giorno i suonatori dellíorchestra del giovane Diego bussarono alla porta di Sitbar Alì a chiedere notizie del loro maestro, furono ricevuti da una donna disfatta dal dolore ma non priva di un barlume di lucidità.

-Bona jurnata, - rispose Rachele ai musicisti, - Diego è partito, è in viaggio per raggiungere una comunità di Sufi ai margini del deserto.

-Di quale deserto ? ? chiese Noel il brettone, suonatore di ghironda alto e solido come una quercia e fidato collaboratore del pacecoto.

-Non me líha detto. Voleva suonare musiche nuove, mai ascoltate prima.

-E noi che facciamo? Già ci aspettavano a Medenine stasera e di sicuro perderemo pure la faccia, visto che Diego líabbiamo già perduto.

-Voi continuate a suonare le sue musiche, così come mi aveva chiesto lui stesso prima di partire. Adesso andate; ogni volta che tornerete a Tunisi la mia casa sarà la vostra casa, ve lo prometto, - disse Rachele sforzandosi in un sorriso triste che le stava costando qualche anno di vita.

Poi tornò in silenzio nelle sue stanze, a piangere la morte dell'uomo con cui aveva sognato di passare assieme il resto della propria esistenza liberi e contenti come angeli joculani. Perché al vecchio Sitbar, ne era certa, di vita da vivere ne rimaneva poca.

Due giorni dopo Samuele Sala raggiunse Diego Martinez, Peppe e i due compagni irlandesi a Sidi Daoud. Nel più grande dei due depositi di reti della tonnara, appena nascosto nell'ombra, i quattro gli fecero vedere una leggera imbarcazione di legno e tela incatramata, completa di scalmi e remi. Era il carrach, costruito in poche ore seguendo le istruzioni di Pad e Mickil.

-Che bisogno avete di andare per mare su questa scorza di noce, se vi potete imbarcare con comodo su un bastimento e tornarvene in Siquilliyyah sani e salvi? -chiese Samuele Sala.

-Peppe ed io, ora che siamo liberi, possiamo partire. Ma di Pad e Mickil che ne facciamo? Ormai non li possiamo lasciare qui, in cattività. Glielo abbiamo promesso, - rispose Martinez.

-Non sono più in cattività. Li ho riscattati io stesso per cinquanta sequins di Algeri pagati a mia cugina prima di andar via da Tunisi. E questi, - disse il vecchio medico porgendo ad ognuno dei cristiani un foglio di carta dozzinale scritto per metà in arabo coranico e per metà in italiano notarile, - sono gli atti che attestano il vostro ritorno alla condizione di uomini liberi. Come vedete, in un modo o in un altro, ho mantenuto la mia parola.

-Allora dite che ce ne possiamo tornare tutti in Siquilliyyah tranquilli tranquilli, alla luce del sole? - chiese Diego.

-E perché no? I riscatti sono stati pagati.

-Un momentuÖun momentuÖ- intervenne nella discussione Peppe Masso - e chidda picciuttedda mulatta che sta a Capo Bon? Che facémo, la lassamo 'ccà? Yò la vogghio maritàre.

-La liberàmoÖ - suggerì Pad.

-Öe poi scapàmo - concluse Mickil.

-A proposito, dottore Sala, lei che intenzione ha? -chiese Diego. Poi aggiunse:- Pensa ancora di venire in Siquilliyyah? Nel posto dove andremo a vivere un medico valente come lei sarebbe il benvenuto.

-E' lontano dal mare questo posto? Perché, come già saprete, vorrei sperimentare cosa si può fare usando l'acqua salata per fini curativi.

-L'acqua di mari? - chiese Peppe, stupito,- ma chidda fa bbeni Öai pisci, no ai cristiani.

-No, sono convinto che può portare dei benefici, specialmente per certe pustole e malattie della pelle. Purché sia acqua pulita e ben mossa dalle correnti.

-Dalle parti di Monte Còfano, dove pensiamo di andare, mi hanno detto che l'acqua di mare è limpida come il cristallo. Allora, dottore Sala, quando partiamo? Ci aspettano a Lampedusa tra una settimana.

-Domani ci mettiamo d'accordo con Yusuf e i suoi amici di Sidi Daoud. Dimenticavo di dirvi una cosa importante. Io non sono più Samuele Sala. Da questo momento mi chiamo Onorio Venza, e sto tornando in Siquilliyyah dopo trent'anni di cattività. L'ho deciso per non farmi denunciare un'altra volta come ebreo all'Inquisizione. La tentazione può sempre venire al primo minchione che capita.

-Dove l'avete preso quel nome? - chiese Diego, interessato.

-Da una lapide del cimitero cristiano di Tunisi. Mi è costato solo un paio di zecchini, dati in offerta a padre Spaccacore, disse il medico sorridendo.

-Ed io, anch'io potrei comprarne uno? - chiese il trapanese. Poi aggiunse: - Sapete, vorrei che nella mia città mi dimenticassero. Vorrei, in altre parole, rifarmi un'altra vita.

-Il nuovo nome l'avete già, - disse l'anziano medico.

-E qual è ?

-C'è scritto nell'atto di riscatto che vi ho portato. Voi da oggi vi chiamate Diego da Paceco.
 
 

L'imbarcazione, una robusta tartana dall'ampia vela latina, accostò alla banchina della tonnara di Sidi Daoud nel primo pomeriggio. Assieme al capobarca Yusuf, che era stato vice raisi di Peppe Masso durante le mattanze di quella primavera, il resto dell'equipaggio era formato dallo stesso proprietario della barca e dai suoi quattro figli. Dopo che Samuele, Diego, Peppe, Mickil e Pad vi presero posto, Yusuf diede ordine di mollare gli ormeggi: spirava una buona brezza di terra che il tunisino voleva sfruttare subito.

Poco dopo, al largo, Peppe e Mickil aiutarono quelli di bordo ad alzare una sorta di gran pavese di bandiere bianche su cui erano abbozzate in verde le effigi della Madonna di Trapani, San Nicola, San Francesco di Paola, Santo Liberante, San Brendano, San Colombano e, per fare contenti anche i tunisini, il mausoleo del veneratissimo Sidi Salem. A poppa, a giocare con la scia, stava al rimorchio la barchetta di tela catramata di Mickil e Pad: leggera come era, non avrebbe rallentato in alcun modo la navigazione.

Giunti poco prima del tramonto a Ras at Tib, diedero fondo in una caletta ben riparata. Mentre il padrone della barca si dava da fare per preparare il pasto serale, Peppe, Yusuf e gli irlandesi, armati di coltelli, si allontanarono veloci a bordo del carrach.

Era già buio quando approdarono sul fazzoletto di sabbia dove nella bella stagione Kahina usava portare le donne gravide a godere un poí di brezza.

Mentre Mickil e Pad stavano di guardia alla loro imbarcazione, Peppe e Yusuf si avventurarono verso la fattoria di Mustafà Ayd.

Passarono tre lunghe ore prima che il raisi e il suo vice tornassero dalla loro incursione, accompagnati da una giovane donna con gli abiti strappati in quella che sembrava essere stata una colluttazione assai violenta. Nemmeno Peppe Masso era messo bene: zoppicava per qualche mala pedata presa ad un ginocchio e perdeva sangue dal braccio destro.

In un attimo il carrach fu di nuovo in mare, allontanandosi velocemente dalla riva. Riva che di lì a poco si sarebbe affollata di guardie, fellah dipendenti di Mustafà Ayd, sorveglianti ed una mezza dozzina di giovani mulatti usciti dalla fattoria a cercare di liberare Kahina e catturare i due cristiani che, si diceva, erano venuti a rapirla mentre stava attingendo acqua dal pozzo.

Nel frattempo, mentre Peppe cercava di tamponare con un pezzo di camicia una perdita di sangue che con il passare dei minuti si stava facendo sempre più preoccupante, Kahina lo aveva sostituito al remo del carrach e stava dando il suo contributo di fiato e muscoli per accellerare il più possibile la fuga del piccolo scafo, siluro scuro in un mare color dell'inchiostro.

Quando il carrach raggiunse la caletta, a levante strisce di grigio stavano insinuandosi nel velo nero di quella notte movimentata. Ancora pochi colpi di remo, e la tartana fu raggiunta mentre a bordo stavano alzando la grande vela latina per approfittare di una buona brezza di ponente e maestro che di lì a poco avrebbe riportato i fuggitivi in mare aperto.

La ferita di Peppe venne suturata in fretta e furia da Samuele, piuttosto inpensierito dalla quantità di sangue perso dal tonnaroto.

-Chi è stato, il vecchio Mustafà? - chiese il medico mentre sistemava la fasciatura.

-No, un vardianu... Sempri lu stessu chi mi detti la nirbata ddui anni fa, -rispose Peppe.

-Sembra un tipo che non ama lasciare le cose a metà. Non è che ce lo troviamo da un momento all'altro di poppa, all'inseguimento, per guastarci la festa?- chiese Diego con aria quasi divertita.

-Nenti, Mastru Diego. Lu lassai mortu a Ras at Tib. E pinsari chi non ebbi mai l'occasioni di taliarlo in faccia. La prima volta mi colpì da dietro, a tradimento, con una nerbataÖ e mi staccò un dito di carni. La notti passata, inveciÖ mi retti una sciabbolata, sempre a tradimento, senza manco vedere chi ero. Comunque, 'na cosa era certa: o l'ammazzavo yò, o prima o poi mi ammazzava iddu, - disse Peppe sollevando gli occhi verso il vessillo con l'effigie della Madonna di Trapani, come a scusarsi per l'episodio. Poi, volgendo lo sguardo a Kahina, addormentata su una ruota di cordame umido, chiese al medico a bassa voce:

-Però, è o nun è bedda 'sta fìmmina, dutturi Samueli?

-E' una bella mulatta. Robusta e ben proporzionata, come solo loro a volte sanno essere,- commentò il medico.

-E vidissi l'occhiÖ Comu li stiddi!- concluse il tonnaroto volgendosi a Diego. Poi chinò il capo e si addormentò di botto, vinto dalle emozioni della notte appena passata e dal mezzo bugliolo di sangue lasciato come pegno in terra d' Ifriquiyia.

Spinta da un buon vento, la tartana costeggiò alla larga il Golfo di Hammamet, fece sosta all'isolotto di Curiat, per poi far rotta verso levante. Arrivarono in vista di Lampione dopo una dozzina di ore di navigazione con un maestrale al traverso che non prometteva nulla di buono. Fecero appena in tempo a buttarsi a ridosso dell'isola di Lampedusa, che una violenta buriana estiva investì la grossa imbarcazione da pesca, costretta a rifugiarsi a Cala Greca. Quella stessa sera, non soffiando più nemmeno una bava di vento, Peppe, Yusuf, Pad e Mickil misero in acqua il carrach e costeggiarono le rive brulle e scoscese dell'isola, per poi andare a sbarcare alla Cala Grande. Vi trovarono all'ancora due galere maltesi, e prudentemente decisero di tornare indietro, a decidere il da farsi: non avevano alcuna intenzione di far finire i loro amici di Sidi Daoud incatenati ad un remo, cristiano o musulmano che fosse.

Furono a bordo della tartana che era l'alba. Fecero colazione con caffè, datteri e gallette, poi decisero il da farsi. Diego spiegò la sua paura che i tunisini venissero catturati.

-No, a Lopadusa qouesto no fasìr paoura. Myriam y marabout star syemi syemi. Genti de Sidi Daoud tenir datoli y aceite por la Madona de Trabinis, - fu la tranquilla risposta del padrone della barca, che mostrò pure ai cristiani alcuni orci di olio e tre coffe piene di datteri della miglior qualità: erano le loro offerte alla Madonna che si venerava in una grotta dell'isola, come ringraziamento per la ricca mattanza di qualche mese prima.

-Genti de Sidi Auod tenir couragio akì, venir sempri akì. Maltes akì bouna genti, confermò Yusuf.

Dopo aver prudentemente ammainato il vessillo con il mausoleo di Sidi Salem, e messa in posizione ancora più preminente la bandiera con la Madonna di Trapani, nella prima mattinata la tartana fece il suo ingresso a Cala Grande, dando fondo a pochi piedi dalla riva. Questione di un attimo, e dalla più grossa delle due galere maltesi si staccò una lancia con a bordo una dozzina di marinai armati di moschetto. Indossavano divise ben in ordine ed avevano l'aria soddisfatta di gente ben nutrita e curata. Un uomo minuto e segaligno, peloso come una scimmia, si aggrappò alla falchetta della tartana e guardò con curiosità la gente di bordo. Portava davanti agli occhi lenti spesse come fondi di bottiglia, assicurate al viso da una curiosa fascia nera annodata alla nuca. Lo strano personaggio fece una smorfia di stupore guardando la santerìa di bandiere bianche e verdi che fileggiavano ad ogni accenno di brezza e bofonchiò qualcosa in una lingua incomprensibile ai più.

-Potete ripetere un poí più lentamente?- chiese il dottor Sala in maltese.

-Non bisogna. Capitano Xerri, maltés, ire a Trabinis in tre jorno, - rispose pronto il marinaio.

-Domandate se Annamaria Buatier è qui, a Lampedusa- chiese Diego a Samuele, con una certa ansia.

-Gharrusa Buatier in terra, in grotto de la Madona. Por Comandante Xerri gharrusa Buatier bona y tenir coragio, - disse il maltese senza aspettare che gli fosse tradotta la domanda. Poi, in un battibaleno, mollò la presa dal fianco della tartana e si lasciò scivolare sulla lancia con cui era venuto. Mentre l'imbarcazione a remi si allontanava, il maltese si rivolse all' ebreo e gridò, allegro:

-Se vedèmo!

-Dutturi SalaÖ yò mi sentu pigghiatu dai turchi. Chiddu manco sapìa comu parlari. Era forsi 'mbriacu? - chiese Peppe.

-Parlava il dialetto di Gozo, ma anche in lingua franca. Di sicuro qualcosa l'avrete capito pure voi: tra tre giorni la galera del capitano Xerri salpa per Trapani, e noi con loro. Ora cerchiamo di non fare passi falsi e ripassiamo la lezione: io sono Onorio Venza. Il signore che mi sta a fianco, invece, - disse il medico indicando Martinez, - si chiama Diego da Paceco. Sta scritto pure nei documenti che vi ho dato. Non cerchiamo di sbagliare, se no è meglio che ce ne torniamo tutti a Tunisi. Va bene?

-Vabbeni, dutturi Venza,- rispose Peppe Masso per tutti. E gli irlandès comuÖsi chiamano?

-Loro sono Michele e Patrizio Brendano. Anche questo sta scritto nelle carte che vi ho dato. Per fare le cose facili, risultano tutti e due fratelli. E ora andiamo a visitare questa famosa grotta della Madonna.

-Pure i tunisini? - chiese Diego.

-Certo, questa è la Madonna di tutti, cristiani e turchi. Mi stupisce che voi, amante della lettura, non ne conosciate la storia, - osservò il medico.

Il gruppo si avviò quindi sul viottolo che da Cala Grande saliva per contrada Guitgìa. Facevano strada i tunisini con gli orci di olio e le coffe con i datteri, mentre Peppe e Kahina chiudevano la fila tenendosi per mano.

A metà strada il trapanese si fermò di botto e disse, rivolto all'amico ebreo:

-L'unica storia che conosco di questo posto è quella del grande Ariosto, che a Lampedusa fece combattere Orlando ed Agramante. Ma di Madonne il grande poeta non parla. Parla di lampi e tuoni e di solitudine:" d'abitazioni è l'isoletta vota piena d'umili mortelle e di ginepri", disse citando a memoria i versi dell'Orlando Furioso.

-La storia che so io è ancora più antica, disse il medico asciugandosi il sudore. Durante la sesta crociata qui sbarcarono i francesi a cercare acqua. Dentro una grotta vi trovarono un oratorio con gli scheletri di due persone rivolti ad Oriente.

-Musulmani, quindi.

-Si, marabutti, a loro volta custoditi da eremiti mussulmani. Poi, tanto tempo dopo, un frate domenicano ( che il diavolo se li porti via assieme alla loro schifiatìssima Inquisizione ) scrisse di una cappella consacrata a Maria, posta nella stessa grotta. Possibile che non l'avete mai letto? E pensare che Lampedusa è feudo dei Tommasi, vostri concittadini.

-A Trapani non avevo soldi per comprare libri, e poi c'era solo un libraio, per di più malfornito. Nei souk di Tunisi, invece, libri ne ho visti tanti, razziati ai cristiani e venduti per un piatto di lenticchie. Ma in cattività, come sapete, non mi diedero né tempo e né gana di leggere. Però, visto che stiamo discutendo di madonne e marabutti, una curiosità l'avrei anch'io: voi ebrei, i santi li avete o no? - chiese il trapanese, mentre il gruppo riprendeva la strada sotto un cielo che stava diventando piombo gialligno di scirocco.

-No, santi veri e propri non ne abbiamo, e qualche volta ne sentiamo perfino la mancanza,- disse l'anziano medico fermandosi di nuovo a riprendere fiato. Poi proseguì: - Ci sono però certe tombe di rabbini molto venerati. Quando uno ha una invocazione da fare o magari un semplice desiderio da esprimere, lo scrive su di un pezzetto di carta e lo appoggia su una di queste tombe. Poi ci mette una piccola pietra sopra per non farlo volare e fa una preghiera. C'è una tomba a Praga, città lontana ricca di ori e di botteghe, dove riposa un rabbino chiamato Löw: ogni pizzìno di carta appoggiato alla sua lapide, diventa un miracolo. Un giorno vorrei andarla a visitare, quella bellissima cittàÖ

- Ora, inveci, bisogna visitari la Maronna di Lampirusa, che il tempo passa e la processione non camìna,- fu il bruscorichiamodi Peppe Masso.

Il tonnaroto sembrava avesse fretta di appartarsi con Kahina.

Quando giunsero nei paraggi del santuario, il cielo brontolò e cominciarono a piovere poche gocce d'acqua frammiste a sabbia rossastra. Una figura femminile uscì di corsa dal buio della grotta e andò incontro al gruppo di tunisini e siciliani. Era Annamaria Buatier, che si precipitò verso Diego e lo abbracciò stretto stretto, appoggiando con forza le labbra su quelle del trapanese senza dire alcuna parola. Líenergia straordinaria di quel corpo femminile così minuto e sottile fece una certa impressione sui pescatori tunisini, che si scambiarono a bassa voce commenti di ammirazione. Poi, accorgendosi dell'anziano che stava accanto a Diego, la donna lo salutò con un cordiale :

- Benvenuto a Lampedusa, dottor Venza. Ero curioso di conoscerla.

Anch'io, - disse il vecchio medico sorridendo divertito. Poi aggiunse: - Le notizie volano rapide da Tunisi a LampedusaÖ

--Come sulle ali di colombe,- commentò Annamaria, ridendo di gusto.

-Chi facémoÖla virémo 'sta Maronna? - chiese Peppe, avviandosi senza dire altro verso il santuario rupestre, seguito da Kahina e dai tunisini con le loro offerte.

Nel santuario, davanti ad una statua di alabastro che aveva una certa rassomiglianza con la Madonna di Trapani, trovarono inginocchiati due uomini che indossavano tuniche nere con le croci bianche dei Cavalieri di Malta. Erano i capitani Borg e Xerri. Quest'ultimo, vista Annamaria tornare nella grotta con i suoi amici, la salutò con un cenno del capo.

Davanti al simulacro ardevano numerose lanterne ad olio, mentre ai lati erano deposti discreti quantitativi di gallette di frumento, semola per cuscusu, barilotti di tonnina salata, orci di olio e monete d'oro, d'argento e rame coniate da tutte le nazioni d'Europa e del Levante.

I tunisini lasciarono le loro offerte e recitarono delle orazioni davanti alla statua della Madonna. Poi si volsero nell'altra parte della grotta, e recitarono le loro preghiere su un tappeto sdrucito, steso da tempo immemorabile in direzione della Mecca.

I Cavalieri videro i tunisini e li lasciarono fare. Li avessero incontrati solo ad un paio di miglia da Lampedusa, li avrebbero fatto a pezzi o, peggio, li avrebbero incatenati ai loro remi, a morire giorno dopo giorno.

Cristiani e musulmani stettero a lungo dentro la grotta, come ammaliati da quell'atmosfera pregna di mistero che persone di qualsiasi religione e anche non credenti percepiscono nei luoghi di vera devozione. Uscirono dal santuario che era quasi il tramonto. Fu il momento in cui i pescatori di Sidi Daoud si accommiatarono dai loro amici cristiani e si avviarono di fretta verso Cala Grande, seguiti a distanza da due uomini magri come spettri, vestiti di poveri cenci sporchi e laceri.

Dopo aver approntato un rudimentale rifugio per la notte poco distante dalla grotta della Madonna, Annamaria, Peppe e gli altri cenarono attorno ad un fuoco di sterpi, raccontandosi le emozioni di quegli ultimi, concitati giorni di agosto.

- Li avete visti quei due uomini laceri seguire i vostri amici tunisini? chiese ad un certo punto Annamaria.

-Chi erano ? - chiese Diego tenendola per mano.

-Tunisini fuggiti da una galera cristiana e rifugiati qui da qualche settimana. Adesso saranno a bordo della tartana dei vostri amici. E il bello è che i maltesi non muoveranno un dito per riprenderli. Per una particolare, antica regola di tolleranza che si osserva qui a Lampedusa, chiunque sia fuggito da una galera ha diritto di tornare in patria imbarcandosi sul primo vascello di correligionari di passaggio nell'isola. Il cibo che avete visto in grande quantità nel santuario serve a garantire la sopravvivenza a naufraghi e fuggitivi.

-E l'ogghio e i soldi d'oru e d'argentu? - chiese Peppe.

-Quelle sono offerte per il santuario della Madonna di Trapani. Ogni tanto, un paio di volte l'anno, passa una galera dei Cavalieri di Malta e li porta lì.

-Ma non c'è nessuno che li ruba ? - chiese Diego.

-Vi hanno tentato in diversi, ma porta sfortuna. Domani, quando saliremo a bordo della galera del capitano Xerri, vedrete cosa vi racconterà lui stesso.

Quando il fuoco si spense, Peppe e Kahina si appartarono un poí distanti dal gruppo, stringendosi in un abbraccio atteso mesi e mesi. Anche Annamaria condusse il suo uomo via dal bivacco, tenendolo per mano. Poco dopo stavano a dormire tranquilli, abbracciati seminudi, sotto una colombaia vicina al santuario. I due irlandesi e il vecchio medico rimasero invece vicini ai resti del fuoco, ognuno immerso nei propri pensieri.

Nella tarda mattinata del giorno dopo i sette tornarono a Cala Grande. Salirono a bordo del "San Paulo", la galera destinata a portare le offerte per il santuario della Madonna di Trapani, e presentarono le loro carte al comandante Xerri.

Rimasero sorpresi dalla pulizia sia della galera che dei rematori, tutti in discrete condizioni di salute. Nessuno di loro era incatenato ai banchi: erano "bonavoglia", gente che, non avendo trovato un albero adatto per impiccarsi, come lavoro avevano scelto di vogare nelle galere come volontari.

A bordo rividero lo strano personaggio con gli occhiali spessi come fondi di bottiglia armeggiare, assieme ad un giovane aiutante, ad uno dei quattro cannoni imbarcati a bordo

-Sicuramente conoscete già Frangisk Camilleri, visto che l'ho mandato ieri a darvi il benvenuto, - disse il capitano Xerri.

-E' facile notarlo, - osservò il dottor Venza - . Poi aggiunse:- Deve avere grossi problemi alla vista il vostro marinaio, suppongo.

-Non del tutto. Gli occhiali li usa in navigazione, come dei binoccoli. Frangisk è il migliore artigliere al servizio dei Cavalieri di Malta. Ogni tiro è un bersaglio affondato.

-Comu maiÖquattru cannuni, e no ..ddui? - chiese Peppe

-Prima di tutto perché il "San Paulo" trasporta tanto di quell'olio e oro in ogni viaggio da far venire la tentazione di appropriarsene a troppi corsari, cristiani compresi. Secondo poi, perché il nostro artigliere spara sempre due colpi in sequenza: il primo a palle incatenate per abbattere gli alberi delle navi al nostro inseguimento, il secondo per affondarle. E non sbaglia mai.

-Frangisk sottolineò con una sorta di grugnito la lode del suo comandante.

Mangiarono cuscusu con zuppa di pesce assieme a Dominik Buttigieg, comandante dell'altra galera ancorata a Cala Grande, parlando del più e del meno.

-E' vero che tra di voi c'è un medico? - chiese ad un certo punto il capitano Buttigieg.

-Si, ed è bravissimu u dutturi Venza, - rispose Peppe Masso, che da quando era stato raisi a Sidi Daoud si sentiva giustamente in diritto di interloquire anche con i capitani di mare, mentre Diego taceva imbarazzato.

-C'è bisogno di qualcosa, comandante?- chiese l'anziano medico.

-Le spiego. Siamo in partenza per l'Inglaterra per andare a consegnare all'Ammiragliato un corsaro, il capitano Ropes, da noi catturato qualche mese fa al largo di Algeri e richiesto con urgenza dalla giustizia di quel paese per essere processato ed impiccato. Il viaggio sarà lungo e la mia ciurma è già in condizioni pietose. La vostra presenza a bordo sarebbe preziosa.

-Cosa ha fatto l'inglés, per essere processato come pirata? -chiese il medico

-Ha attaccato non solo navi di paesi cristiani con cui l'Inglaterra ha dei conti in sospeso, ma anche navi di connazionali. E' anche sbarcato a Lampedusa per tentare di rubare le offerte e le vettovaglie custoditi nella grotta della Madonna. A suo tempo nemmeno un delinquente come Alonso Contreras si era spinto a tanto. Il console di Inglaterra a Malta ci ha promesso una fregata armata di sedici cannoni, in cambio del pirata.

-Arrivato in Inglaterra, sarebbe possibile avere un documento per viaggiare in Alemagna e poi tornare in Italia via terra? Se tutto va bene, vorrei andare a pregare sulla tomba di un certo rabbino a Praga,- chiese l'anziano medico.

-In Inglaterra i Cavalieri di Malta sono tenuti in gran rispetto, e potranno darle tutte le carte di cui ha bisogno, assieme a un bel po' di sterline d'oro. Parola di Buttigieg.

-Pensate che resisterò al fetore di un mese di navigazione sulla sua galera? - chiese l'israelita.

-La puzza non è un problema. Un paio di giorni e ci si abitua. All' orrore delle condizioni dei rematori, invece, non tutti si abituano. I miei, ad esempio, per ora sono molto indeboliti da piaghe sparse dappertutto per il corpo ed hanno le gengive sanguinanti.

-Allora vengo in Inglaterra, disse l'anziano medico. Prima però ci fermiamo a Mazzàra a fare scorta di cibo fresco.

-Cosa le serve?

--Trecento libbre di limoni verdelli e poco altro. Vedrà che le gengive non sanguineranno più.
 
 

Inverno 1754

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