inverno 1754

Quando Samuele tornò in Siquilliyyah, otto anni dopo, la costruzione del villaggio di San Nicola era stata portata a compimento. Come progettato, lo avevano edificato alle pendici dell'imponente picco calcareo di Monte Còfano, sulla sella tra la tonnara che Peppe Masso stava rimettendo in opera attorno ai resti della torre distrutta a suo tempo dalle galeotte di Biserta, e la costa di Cornino. Una torretta di avvistamento era stata piazzata appena sotto la cima del monte, e scrutava il mare giorno e notte, comunicando in continuazione con il villaggio. Poco lontano, nelle grotte Mangiapane, era stato costruito un piccolo granaio fortificato, alla maniera dei ksour tunisini.

Era diventata una piccola comunità di gente dalle origini più varie, dedita alla coltivazione del frumento, alla pastorizia e alla pesca del tonno. Dopo poco tempo quelli di San Nicola si erano fatti notare dalla gente dei villaggi vicini, oltre per il gran numero di bambini dai capelli rossi a cui si accompagnava una nidiata di vivaci mulatti, per lí ingegnosità dei loro sistemi di difesa e la pacifica armonìa con cui si svolgeva la vita quotidiana.

Dopo alcune settimane dall'arrivo del vecchio medico ebreo si sparse la voce che a San Nicola c'erano due medici che facevano miracoli con l'acqua di mare. Il più anziano, si diceva, era un sacerdote che aveva vissuto per lunghi anni in cattività a Tunisi. L'altro medico era una donna di quasi cinquanta anni, esperta di erbe e cure naturali.

La mattina di quel 6 dicembre dal villaggio partì una processione che scese verso la costa di Cornino, imboccò la mulattiera che portava alla torre di Còfano, per fermarsi sopra una caletta a metà strada tra la torre stessa e la tonnara.

Peppe Masso tolse dal basto del suo mulo una lastra di marmo finemente scolpita da Mastro Diego e la murò su una parete rocciosa che guardava il mare. Era un bassorilievo che rappresentava San Nicola con la barba lunga e ricciuta. Il santo si appoggiava su di un bastone e teneva il braccio destro alzato in aria, a placare una tempesta in cui era incappato un vascello con a bordo una manciata di persone dallo sguardo smarrito. Era stato scolpito come voto espresso durante il fortunoso approdo di Annamaria, Diego, Peppe, Kahina, Mikil e Pad alla torre di Monte Cofano, quando erano stati sorpresi da una burrascata di ponente e libeccio che aveva fatto rischiare l'affondamento della galera del capitano Xerri.

Alla fine della cerimonia, Diego tirò con delicatezza per una manica il suo amico medico, ormai novantenne. Poi gli indicò, sorridendo, alcuni caratteri incisi in fondo al bassorilievo. Stava scritto in latino: "Posto a cura del Sacerdote Onorio Venza, 1756". Di lato era inciso in minuscoli caratteri: "Diego da Paceco scolpì".

Era l'ultimo gioco di Diego Martinez e Samuele Sala con le loro identità.
 


fine
 

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