La Sardegna, con una popolazione, al
1998, di un milione e 654 mila abitanti, su un territorio di
due milioni e 408 mila ettari, presenta la più bassa densità
abitativa del Mezzogiorno, pari a circa 69 abitanti per Kmq.
L’analisi dell’andamento demografico evidenzia che:
§
il tasso medio annuo di crescita della
popolazione si è più che dimezzato tra il decennio
intercensuario 1981/91 e l’intervallo successivo 1991/97,
passando dallo 0,34 allo 0,15 per cento;
§
l’indice di vecchiaia è passato da 48 a 81
nel decennio 1981-91; nel 1997 si è superata la soglia
critica del valore 100, con oltre due anziani per ogni
bambino. La tendenza all’invecchiamento nella struttura
della popolazione assume valori significativi specialmente
nelle zone interne, periferiche e montane;
§
il numero di nuclei familiari è cresciuto
(quasi l’1% su base annua) con una conseguente diminuzione
della dimensione media (circa 3 componenti per nucleo
familiare);
§
l’immigrazione ha un contributo marginale sul
bilancio demografico;
§
l’emigrazione, dopo un periodo di stasi, è in
ripresa.
Al tempo stesso si registrano divari
nell’andamento territoriale di questi fenomeni:
§
un rafforzamento relativo dei poli urbani e
metropolitani; nell’ultimo periodo, tuttavia, si registra
una stasi dell’afflusso di popolazione e un ritmo inferiore
di crescita;
§
la persistente caduta del presidio insediativo
nelle zone interne;in tali aree, ogni anno, si rileva una
perdita di quasi 2 abitanti ogni cento residenti, con un trend
che minaccia la desertificazione di vaste porzioni del
territorio regionale, strategiche sotto il profilo ambientale
e sociale.
Tendenzialmente in Sardegna si vanno
consolidando quattro polarità urbane (Sassari,
Olbia-Siniscola, Oristano, Cagliari), distanti fra di loro e
mal collegate, che concentreranno il 70% della popolazione
regionale, con fenomeni di congestione urbana.
I livelli di istruzione della
popolazione regionale sono sensibilmente cresciuti,
particolarmente tra le nuove generazioni. L’innalzamento dei
livelli di scolarità è riscontrabile soprattutto tra le
giovani donne. Tra il 1981 e il 1991, la percentuale delle
laureate passa dal 5,5% al 6,7% nella classe d’età 25-44
anni, mentre si registra un lieve decremento maschile. Nel
caso dei diplomati, in riferimento alla stessa classe d’età,
l’incremento maschile è pari al 5,9%, mentre quello
femminile raggiunge l’8,8%. Il maggiore dinamismo della
popolazione femminile trova conferma anche nei dati relativi
ai tassi di scolarità medio-superiore. Nell’anno 1995/96,
il tasso di scolarità femminile, pari al 91,8% contro
l’87,3% maschile, si rivela tra quelli più alti riscontrati
nelle regioni italiane ed è superiore di oltre 10 punti
rispetto al valore medio nazionale, pari all’80,0% (Dati
ISTAT). Tuttavia, accanto a queste dinamiche positive
rilevabili tra le ultime generazioni e che costituiscono
sicuramente un fattore
di forza permane una situazione di profondo disagio.
Occorre evidenziare,
innanzitutto, l’incompiutezza del processo di
scolarizzazione di massa. Il 16,7% (2.190 maschi e 1.091
donne) delle forze di lavoro non dispone di alcun titolo o al
massimo della licenza elementare, un valore preoccupante e più
elevato rispetto al dato nazionale, pari al 14,2% (Dati ISTAT,
media 1998).
Sempre in riferimento alle
forze di lavoro la quota di diplomati è, in Sardegna, uguale
al 25,9% (12,4% donne e 13,5% uomini), mentre la quota
nazionale è pari al 29,5%.
Per quanto riguarda i livelli
più alti dell’istruzione (laurea breve, laurea e dottorato)
il dato regionale si attesta all’8,9%, con uguali
percentuali per le donne e gli uomini, mentre il dato
nazionale è pari all’11,7% e quello meridionale all’11,0%
(Dati ISTAT, media 1998).
Si rilevano percentuali
elevate anche relativamente anche a irregolarità e
interruzioni dei percorsi scolastici.
Un primo indicatore è dato
dai tassi di ripetenza. Nella scuola media superiore, essi
raggiungono il 10,8% (il 3,3 per le ragazze e il 7,5% per i
ragazzi), un valore assai elevato in rapporto a quelli del
Mezzogiorno, dove si rileva il 5,4% di ripetenze e
dell’Italia, col 4,76%. Anche nella scuola media superiore
le differenze rispetto al Mezzogiorno e all’Italia sono
assai marcate. Il tasso di ripetenza per questa fascia di
istruzione, in Sardegna è pari al 14,9% (6,3% per le ragazze
e 8,6% per i ragazzi), mentre nel Mezzogiorno è del 6,9% e in
Italia del 7,1% (Dati ISTAT, 1997). Il tasso di interruzione
di frequenza nella scuola media secondaria è pari al 7,9% con
una media particolarmente elevata, pari al 12,1%,
relativamente agli studenti maschi.
Per quanto riguarda la
dispersione scolastica, secondo i dati del Ministero per la
Pubblica Istruzione, le quattro province sarde si collocano
tutte agli ultimi posti in una graduatoria fra le province
italiane. Secondo un indicatore sintetico di dispersione
(100=valore minimo; 0=valore massimo), in particolare le
province di Sassari (20,44) e di Cagliari (18,99) si trovano
rispettivamente nella quintultima e quartultima posizione.
Per quanto attiene infine la
presenza di gravi carenze nel sistema delle infrastrutture
scolastiche si rileva che, in base a un indicatore sintetico
per l’edilizia scolastica (100=situazione migliore; 0=situazione
peggiore), è soprattutto la provincia di Cagliari a esibire
la situazione più disagiata, con un valore di appena 4,6,
in fondo ad una graduatoria che la vede agli ultimi posti,
seguita solo dalla provincia di Napoli, con 2,17 e di Reggio
Calabria con 0 (Dati del Ministero per la Pubblica Istruzione
1999).
Il tasso di disoccupazione
per titolo di studio per i laureati cresce dal 7,1% del 95 al
10,4% del 1997 mentre diminuisce quello di coloro che hanno al
più la licenza media dell’obbligo.
La domanda di laureati o
diplomati universitari in Sardegna rappresenta il 3,7% delle
assunzioni previste nei prossimi due anni (15 mila) quasi 3
punti percentuali in meno della media nazionale (6,6%).
Il dato per certi versi più
problematico comunque riguarda la domanda di capitale umano
qualificato nel settore dei servizi che sommando la domanda di
laureati e quella di diplomati raggiunge il 37% delle nuove
assunzioni il 5% in meno della media nazionale. La scarsa
valorizzazione del capitale umano qualificato costituisce
proprio nel settore dei servizi uno dei principali fattori di
debolezza del sistema socio economico sardo.
In generale, le ricognizioni
sulle dinamiche di reclutamento, sui valori ed i
comportamenti nei diversi ambiti professionali, entro i
versanti pubblico e privato, mostrano la dominanza di
atteggiamenti strettamente fiduciari, parentali, amicali, ed
in generale appunto ascrittivi.
Ciò determina meccanismi
distorsivi nel mercato del lavoro regionale, quali solidarietà
contrattuali statiche e non competitive nella gestione di
appalti e sub-appalti, rapporti di scambio su raccomandazione
per i reclutamenti, ridotta incentivazione nella domanda e
nell’offerta per la formazione specialistica delle risorse
umane.
La domanda di lavoro da parte
delle imprese manifatturiere e dei servizi nei prossimi due
anni mostra una bassissima capacità di assorbimento di
capitale umano qualificato in particolare nel comparto
terziaria a dimostrazione di un basso processo di innovazione.
Per quanto attiene il mercato del
lavoro regionale, l’indicatore più significativo,
rappresentato dal tasso di attività, cioè dal rapporto tra
le forze di lavoro e la popolazione totale da 15 anni in su,
si mantiene relativamente stabili nel tempo. Questo
indicatore, che può essere interpretato come una misura
sintetica dell’offerta di lavoro, relativamente alla
popolazione residente, oscilla in Sardegna intorno a valori
compresi tra il 45-46% sin dalla seconda metà degli anni
‘70. Esso ha raggiunto la punta massima del 50% nel 1992,
per poi ridiscendere ai suoi livelli abituali al di sotto del
47%. Negli ultimi anni, la punta massima è stata toccata
nell’aprile 1999, con un valore del 46,9%, ma nel gennaio di
quest’anno il suo valore è ridisceso al 45,8%. In valore
assoluto, le forze di lavoro rilevate nell’Isola a gennaio
di quest’anno sono risultate pari a 640 mila unità, con una
netta tendenza verso la diminuzione rispetto al valore medio
registrato nel 1997.
Forze di
lavoro, tassi di disoccupazione e di attività in Sardegna
Periodi
|
Occupati
(migliaia)
|
In cerca di occupazione (migliaia)
|
Forze lavoro
(migliaia)
|
Tasso di
disoccupazione
|
Tasso di attività
|
Media 1997
|
494
|
130
|
662
|
20,9
|
45,5
|
Media 1998
|
494
|
135
|
629
|
21,4
|
46,0
|
Aprile 1999
|
501
|
142
|
644
|
22,1
|
46,9
|
Gennaio 2000
|
498
|
142
|
640
|
22,1
|
45,8
|
Fonte:
ISTAT, Indagine
trimestrale sulle forze di lavoro.
Il tasso di occupazione, invece, può
essere considerato come un indicatore sintetico della domanda
di lavoro, sempre in relazione alla popolazione potenzialmente
attiva, cioè a quella compresa tra i 15-64 anni. Il tasso di
occupazione in Sardegna è diminuito dal 46,5% nel 1977 al
42,2% nel 1998, in ciò assecondando una tendenza generale
verso la diminuzione presente in questo periodo anche in
Italia. L’attuale tasso di occupazione in Sardegna implica
che su quattro persone in età compresa tra 15-64 anni,
lavorano solo 1,7 persone, mentre lo stesso dato in Italia è
pari a 2. Rispetto al totale della popolazione, includendo
quindi anche i minori di 14 anni e gli anziani, il tasso di
occupazione in Sardegna nel 1999 è risultato pari al 36,9%,
il che significa che mediamente ogni lavoratore sardo ha a
carico altre due persone.
La maggiore evidenza delle
debolissime condizioni del mercato del lavoro regionale sono
sintetizzate da questo indicatore ancora meglio di quanto non
faccia il tasso di disoccupazione, anche se le sue più
recenti evoluzioni mostrano una leggera tendenza al rialzo.
Nel 1999, infatti, il tasso di occupazione regionale si è
attestato sul 43,9%, con un recupero di 1,7 punti percentuali
sul 1998, che rispecchia un recupero analogo verificatosi
anche a livello nazionale (dal 50,8 nel 1998 al 52,5% nel
1999). Tale incremento riguarda essenzialmente le classi di età
mature, dai 25 anni in su, mentre per le classi giovanili il
tasso in questione è diminuito dal 15,8% nel 1998 al 15,4%
nel 1999.
Peraltro, la scomposizione di
questo indicatore per genere e classi di età conferma che
anche in Sardegna il problema occupazionale riguarda
essenzialmente i giovani e le donne, mentre per quanto
riguarda i maschi della fascia principale di età (30-64 anni)
il problema si presenta relativamente meno drammatico. Il
corrispondente tasso di occupazione regionale di questa classe
di età, infatti, nel 1999 si è attestato sul 73%, contro un
livello di poco superiore nella media nazionale (76,5%). Le
differenze, anche molto consistenti, sorgono invece con
riferimento all’occupazione giovanile e femminile. Per
quanto riguarda i giovani, ovvero la classe di età compresa
tra 15-24 anni, il tasso di occupazione medio in Sardegna nel
1999 è risultato del 15,4%, di molto inferiore al
corrispondente tasso nazionale (25,2%).
Per le donne, poi, anche se il tasso
di occupazione complessivo è leggermente migliorato passando
dal 26,4% nel 1998 al 28,2% nell’anno successivo, la
situazione del mercato del lavoro resta molto debole. Di
fatto, mediamente solo una donna su quattro lavora in
Sardegna, mentre in Italia il tasso di occupazione femminile
è superiore di dieci punti percentuali a quello regionale
(38,3%). Tra le giovani donne (classe di età 15-24 anni),
infine, solo il 10,6% risultano occupate in Sardegna, contro
valori medi pari al 21,3% in Italia.
Peraltro, la distribuzione
settoriale dell’occupazione in Sardegna mostra una netta
prevalenza dell’occupazione nel settore dei servizi (69%
nell’indagine del gennaio 2000), di cui il 17% riguarda il
settore del commercio. Scarso risulta il contributo degli
altri settori, suddiviso tra meno del 9% in agricoltura, il
10,6% nell’industria in senso stretto e l’11,7% nel
settore delle costruzioni. In valori assoluti, l’occupazione
regionale negli ultimi due anni si è attestata intorno alle
500 mila unità, meno, come si è già detto, di un terzo
dell’intera popolazione dell’Isola.
Alla debolezza del mercato del lavoro regionale in
termini di tasso di occupazione fa da riscontro altrettanta
debolezza in termini di tasso di disoccupazione. Il problema
della disoccupazione si è andato aggravando in Sardegna dopo
il 1978. Sino a tale anno, infatti, il tasso di disoccupazione
regionale era ancora contenuto al di sotto del 12%. A partire
dal 1979, invece, esso balza subito oltre il 14% e va continuamente
crescendo negli anni successivi, sino a raggiungere il 21,5%
nel 1985, per poi rimanere su livelli compresi tra il 18 e
il 21%.
1.1.3. - Mercato del lavoro
vedi
tabelle
Il valore del PIL per abitante in
Sardegna, in p.p.a. nel 1996, ammonta a 25.417 milioni di
lire circa, pari al 70,64% del dato nazionale e al 72,51% di
quello europeo, in calo rispetto alla media
triennale1994/1996, in cui il dato nazionale ed europeo
erano rispettivamente del 72,55% e del 74,05%.
Nel
complesso, gli indicatori disponibili evidenziano una
economia regionale sprovvista di significativi elementi di
dinamicità e caratterizzata da deboli segnali di ripresa.
INDICATORI
|
SARDEGNA
|
ITALIA
|
UE
|
A
|
C
|
A/C
(Val.%)
|
D
|
A/D
(Val.%)
|
Popolazione
x 1.000 (1996)
|
1.662
|
57.397
|
2,90
|
373.607
|
0,44
|
Popolazione
(1996) - EUR 15 = 100
|
0,44
|
15,36
|
|
100
|
|
Superficie
Kmq/1000
|
24
|
301
|
7,97
|
3.191
|
|
Densità
(1996)
|
69
|
190
|
36,84
|
117
|
|
PIL/ab
1996 (Ecu – PPA) *
|
13.127
|
18.584
|
70,64
|
18.103
|
72,51
|
PIL/ab
(media 1994/95/96) *
|
12.868
|
17.736
|
72,55
|
17.379
|
74,05
|
Occupati
(1996)
|
489
|
20.088
|
|
|
|
%
Occupati agricoltura
|
11,4
|
7,9
|
|
|
|
%
Occupati industria
|
21,8
|
28,3
|
|
|
|
%
Occupati servizi
|
66,7
|
63,8
|
|
|
|
Tasso
disocc. (1996)
|
21
|
12,1
|
|
|
|
Tasso
disocc. 15-24 anni
|
49,5
|
33,8
|
|
|
|
(*) Fonte: EUROSTAT (16.11.98)
I dati relativi al 1996
evidenziano che il settore
agricolo, pur impiegando l’11,4% degli occupati
(pari a 61,3 migliaia di unità) produce solo il 6,3% del
valore aggiunto regionale (pari a 1.439.255 milioni di lire
correnti). Le ragioni della bassa redditività
nell’agricoltura sarda sono evidenziate anche dal fatto
che quasi l’80% della superficie agraria e forestale della
Sardegna ricade in zone svantaggiate ai sensi della
Direttiva 75/268/CEE. L’agricoltura sarda si caratterizza
per l’elevata incidenza dei pascoli e dei prati pascoli
sulla superficie agricola utilizzata; la bassa diffusione
dell’irrigazione; il basso grado di meccanizzazione; la
bassa produttività della terra; la modesta dimensione
economica delle aziende. Nel 1996, il valore della PLV sarda
è di 2.109 miliardi di lire, di cui circa il 60% proviene
dal settore zootecnico e il 26,3% dalle produzioni erbacee e
arboree. Secondo il 7° Censimento generale dell’industria
del 1991, nell’industria agro-alimentare sarda si contano
2.059 imprese con 10.748 addetti. Le imprese artigiane sono
1.490 ed occupano 5.398 addetti. I settori di maggior
rilievo sono quelli dei prodotti lattiero-caseari ovini,
viticoli, olivicoli, orticoli e del grano duro. Il saldo
della bilancia agro-alimentare si presenta ancora fortemente
negativo
(-331.783 milioni di lire nel 1996) a causa dello squilibrio
strutturale del settore primario, il cui saldo normalizzato,
negli ultimi anni, è sempre inferiore a -90%. Soltanto
quella relativa all’industria alimentare evidenzia un
attivo: i prodotti per i quali esiste una prevalenza delle
esportazioni sulle importazioni sono soprattutto quelli con
forti connotazioni di tipicità.
Il settore
alieutico sardo si trova a dover affrontare problemi
analoghi a quelli della maggior parte degli operatori della
pesca in ogni altra parte del Mediterraneo. Il
sovrasfruttamento, con la conseguente contrazione degli
stock, degli sbarchi e quindi dei redditi, rappresenta la
principale minaccia che incombe sul futuro degli stock e del
settore in se. La piattaforma continentale assai stretta ha
condizionato la natura della pesca nella regione. Le attività
di pesca si svolgono prevalentemente nella fascia litoranea
e sono praticate da numerose navi di piccole dimensioni.
Alcune specie altamente migratrici come il tonno vengono
pescate anche in alto mare. Le specie maggiormente catturate
sono il nasello, il dentice, la sogliola, la triglia, i
gamberi, il tonno rosso, il tonno bianco e il pesce spada.
La flotta
da pesca della Sardegna risulta, attualmente, costituita
da 1323 battelli, pari a 1.567 Tsl di tonnellaggio
complessivo, 12.217 metri di Lft ed una potenza motoristica
totale di 104.978 kw.
Da numerosi indicatori,
quali le caratteristiche tecniche e le dimensioni delle
imbarcazioni e la polverizzazione della presenza della
flotta lungo il litorale isolano, si desume la connotazione
marcatamente artigianale del settore. Su un totale di 1.021
natanti motorizzati, l’87% non superano le 10 Tsl e
solamente 10 natanti, pari allo 0,7%, superano le 100 Tsl.
Il tonnellaggio medio è, quindi, pari circa a 9.9 Tsl,
mentre la potenza dei motori non raggiunge i 104 Kw per
battello. In sostanza il 97% di tutta la flotta da pesca è
inferiore a 51 Tsl e operano principalmente entro la fascia
delle 12 miglia. La percentuale dei natanti con età
inferiore a 10 anni è nel complesso modesta (circa il
3.7%), mentre i battelli con età maggiore di 20 anni
(praticano in genere la pesca a strascico) rappresentano il
25% del totale(età media pari a 29 anni). Le
caratteristiche delineate sono in linea con quelle nazionali
e, più generalmente, con quelle relative alle flotte
operanti nel Mediterraneo.
L’estensione della costa,
la presenza di numerose aree umide e le favorevoli
condizioni meteo-climatiche contribuiscono a definire per la
Sardegna un quadro favorevole all’espansione delle attività
di acquacoltura.
Gli stagni sono circa 59 e interessano una superficie
globale di 14.400 ettari. Attualmente risultano funzionanti
35 impianti di allevamento, tutti bisognosi di
ristrutturazione: 15 sono caratterizzati da attività di
tipo intensivo e 20 praticano l’allevamento estensivo in
circa 9.564 ettari di zone umide. La produzione complessiva
regionale, è valutabile in circa 1.250 tonnellate annue per
le specie eurialine, ed è destinata ad aumentare grazie
agli impianti che, a breve, entreranno a regime.
Per quanto riguarda le strutture portuali, in Sardegna vi sono numerosi punti di sbarco,
distribuiti, però, in modo non uniforme e scarsamente
dotati di servizi di supporto alla pesca.
Anche gli impianti di trasformazione risultano carenti: esiste, infatti, un solo impianto
per la produzione di affumicati ed un grande stabilimento (a
rilevanza nazionale) per la conservazione del tonno. Sono,
inoltre, operativi 6 stabulatori, ma la lavorazione
complessiva annua raggiunge solo i 60.000 quintali di
prodotto.
Il sistema
turistico regionale
è basato essenzialmente sul prodotto marino-balneare.
L’offerta ricettiva alberghiera ed extralberghiera è
costituita da 1.028 strutture. La ricettività alberghiera
conta 661 strutture e 67.442 posti letto; risulta
caratterizzata da una tendenza ad addensarsi sulle aree
costiere e da una insufficiente diversificazione delle
tipologie ricettive rispetto alla domanda. La ricettività
alberghiera sarda costituisce quasi il 2% di quella
nazionale, mentre il numero dei posti letto rappresenta il
3,8% dell’intero patrimonio nazionale. La quota di
strutture ricettive regionali è pari a 0,4 per 1000
residenti (valore medio nazionale: 0,6; valore medio del
mezzogiorno: 0,3). Il numero di camere per albergo è 45,1
(valore medio italiano 28,0; valore medio del mezzogiorno
37,6); il numero dei posti letto è di 40,6 x 1.000 abitanti
(30,8 Italia). I dati inerenti l’utilizzazione delle
strutture alberghiere, e in particolare il basso indice di
utilizzazione lorda (22,8) evidenzia tuttavia il
sottoutilizzo delle strutture ricettive in gran parte
dell’anno.
Le aree che fungono da
baricentro alla attività turistica sono quelle di Cagliari,
di Sassari e di Olbia. In alcune aree molto vicine a questi
principali poli di attività turistica e urbana, l’offerta
appare sempre più articolata ed in via di consolidamento,
sebbene ancora fortemente orientata al segmento
marino-balneare. Il movimento turistico regionale espresso
in giornate/presenze rappresenta quasi il 3% di quello
nazionale, con concentrazione di flussi nei mesi estivi e
punte massime in luglio-agosto. Per quanto riguarda la
composizione percentuale delle presenze, la quota maggiore
(quasi l’80%) è costituita dagli italiani; la componente
straniera rappresenta l’1,02 del dato a livello nazionale,
segno di un’ancora scarsa riconoscibilità del prodotto
“Sardegna” sui mercati esteri. Il V.A. del settore nel
1997 ha un’incidenza sul PIL regionale di circa il 3,75%,
largamente inferiore a quello nazionale che è pari a circa
il 6%.
Infine, il settore del
diportismo nautico, che comprende un numero di posti barca
potenziali pubblici e privati pari a 14.000, a fronte di una
domanda attuale di 5.000-6.000 unità, sarà adeguato quando
la potenzialità diventerà servizio effettivo una volta
realizzati i necessari completamenti funzionali,.
Nel settore
industriale e artigianale, le PMI sarde sono
caratterizzate da una assoluta prevalenza delle
micro-imprese: il 47,3% delle imprese del settore
industriale ha un solo addetto; un ulteriore 39,0% è
rappresentato dalle imprese con un numero di addetti da 2 a
5; solo il 13,7 delle imprese industriali ha un numero di
addetti superiore alle cinque unità.. In termini di
dinamica della produttività, il raffronto con le altre
regioni evidenzia una perdita di efficienza e competitività
della Sardegna nel corso degli anni ‘90. Nel periodo
1991-96 il V.A. per unità di lavoro è cresciuto in
Sardegna dell’1,2%: nello stesso periodo la crescita
meridionale è stata del 2,4%, e quella italiana del 3,1%.
Quanto al grado di
specializzazione della produzione, che costituisce un
indicatore di competitività, una recente ricerca pubblicata
dallo Svimez riporta alcuni indici di specializzazione
settoriale relativa, fondati sulla capacità di export in
tre anni di riferimento (1985, 1990, 1995). La Sardegna,
rispetto al contesto nazionale, risulta stabilmente
specializzata (ossia con continuità negli anni di
riferimento) nell’industria chimica (ad alto valore
aggiunto e con domanda elevata) e nei prodotti in plastica
(a basso valore aggiunto e con domanda elevata), mentre è
debolmente specializzata (ossia con discontinuità negli
anni di riferimento) nel comparto alimentare (a medio valore
aggiunto e con domanda debole) e nei derivati da carbone e
petrolio (alto valore aggiunto, domanda debole).Le ultime
tendenze mostrano una buona dinamica di iniziative
imprenditoriali in alcuni comparti dei servizi (telematica,
telecomunicazioni). La bilancia commerciale sarda, nel
triennio 1993-1995, mostra saldi attivi (in termini di
valore) solo nel tessile, nel metallurgico, nel chimico e
affini.
Gli unici distretti o proto
distretti presenti nel territorio regionale sono legati alle
risorse locali, quali il granito, il sughero, la tessitura e
le produzioni lattiero-casearie; tali distretti hanno
precisi riferimenti territoriali: la Gallura per il granito
ed il sughero, il Mandrolisai per la tessitura, il Meilogu
ed il Marghine per il lattiero-caseario.
Il sistema regionale della Ricerca e Innovazione Tecnologica
presenta un buon livello dell’offerta da parte del
sistema pubblico (Università, Enti Nazionali e Regionali di
ricerca: i dati sono descritti analiticamente nel P.O.N. del
MURST) e pubblico-privato (Parco Scientifico e Tecnologico).
Grazie agli interventi dello scorso periodo di
programmazione sono stati realizzati centri di ricerca e
sviluppo tecnologico di alto livello e, in alcuni casi, di
eccellenza, con la partecipazione della Regione, delle
Università e di privati nelle filiere prioritarie per lo
sviluppo d’impresa (biotecnologie, ambiente, informatica e
comunicazioni, materiali). Risulta invece scarsa la capacità
di ricezione delle innovazioni da parte del sistema
produttivo il cui contributo (espresso dal 18,1% delle
imprese sarde, contro il 33,1% per l’Italia) alle spese
innovative in Italia è pari allo 0,9%, anche se, a
differenza del meridione e in linea con i valori italiani,
tale spesa è indirizzata all’acquisto di brevetti, prove
e marketing (dati ISTAT 1992). Altro dato preoccupante è
quello della spesa in R&S, pari, nel 1997, allo 0,6% del
PIL regionale: mentre per la parte pubblica è in linea con
i valori del mezzogiorno, pur certamente bassi, il dato
della spesa delle imprese è di molto inferiore (0,3% contro
il 2,1% del mezzogiorno) e in calo, così come è diminuito,
tra il 1993 e il 1995, il numero di addetti del settore.
Per quanto concerne le reti infrastrutturali
il divario è ben evidenziato nella tabella che segue:
Regione
|
Strade
e Autostrade
|
Ferrovie
|
Porti
|
Aeroporti
|
Infrastrutture
idriche
|
Metanodotti
|
Lombardia
|
139,7
|
113,9
|
22,2
|
176,4
|
181,4
|
154,7
|
Veneto
|
117,7
|
103,5
|
163,1
|
56,5
|
205,3
|
103,5
|
Lazio
|
113,9
|
113,4
|
93,8
|
138,8
|
121,1
|
125,9
|
Nord-Ovest
|
129,9
|
129,0
|
61,1
|
122,3
|
180,6
|
135,9
|
Mezzogiorno
|
70,5
|
92,5
|
104,2
|
41,8
|
88,2
|
71,0
|
Sardegna
|
41,3
|
40,1
|
218,4*
|
47,4
|
68,4
|
0,0
|
Basilicata
|
51,3
|
49,3
|
50,4
|
31,7
|
67,7
|
72,6
|
Calabria
|
60,6
|
73,6
|
58,4
|
39,5
|
58,5
|
58,4
|
Sicilia
|
60,6
|
63,8
|
99,1
|
42,3
|
71,4
|
66,5
|
Puglia
|
61,2
|
71,1
|
112,7
|
43,4
|
118,6
|
83,4
|
*
Il dato sulla dotazione di porti in Sardegna è
connesso alla particolare condizione insulare, pertanto non
indica una dotazione di forza e non può essere rapportato a
quello delle altre regioni, neppure al dato della Sicilia,
che usufruisce di una direttrice di collegamento rapido con
la Penisola.
Le principali inefficienze del sistema dei trasporti, riguardano tre fondamentali tematiche:
§
l’inadeguatezza dei collegamenti rispetto ai
territori ed ai mercati nazionali, sia per le merci che per
la mobilità delle persone;
§
l’assoluta insufficienza della rete dei
collegamenti veloci all’interno dell’isola;
§
la debolissima concorrenzialità del sistema
di trasporto pubblico, nei contesti metropolitani, rispetto
all’auto privata.
Per quanto riguarda il sistema stradale l’isola, unica tra tutte le Regioni d’Itala, è
rimasta storicamente esclusa dai flussi di risorse relativi
alla realizzazione delle reti autostradali. La rete
esistente non consente collegamenti rapidi e sicuri tra
tutti i centri di maggiore importanza, i porti, gli
aeroporti, gli snodi per il collegamento alla rete dei
grandi collegamenti nazionali ed Europei.
Il sistema
ferroviario sardo è ancora quello degli inizi del
secolo: la rete ferroviaria regionale si sviluppa su circa
1100 km di rete, di cui circa 435 sono a scartamento
ordinario; di questi, 16 km sono a doppio binario (nella
penisola il 55%); non esistono tratte elettrificate. La
velocità media di percorrenza della rete oscilla dai 33
km/ora delle tratte ferroviarie montane ai 60-70 km/ora
delle rete FS. La scarsa presenza di raccordi intermodali
tra gli scali marittimi e le altre modalità di trasporto,
passeggeri e merci rende il ruolo delle ferrovie assai
limitato, con ciò incidendo negativamente sui livelli di
servizio e impedendo ogni possibile crescita della mobilità
merci su ferro.
Il sistema
portuale della Sardegna evidenzia indicatori solo in
apparenza elevati, cui fanno riscontro gravi carenze sia
negli scali passeggeri che negli scali industriali. Va,
peraltro, sottolineata l’importanza che l’apertura del
porto canale di Cagliari avrà sull’evoluzione del settore
della movimentazione delle merci.
I collegamenti
aerei rappresentano per la Sardegna, come per la
generalità delle regioni periferiche, l’unica forma di
collegamento veloce alla penisola. Peraltro alla perifericità
dell’isola non corrisponde una dotazione adeguata di voli
ed il servizio è, ancora, caratterizzato da un elevato
livello delle tariffe, dalla rarità di collegamenti diretti
e dalla frequente saturazione dei posti/aereo disponibili.
Con riferimento
alla società dell’informazione, a livello
infrastrutturale la rete di giunzione (tra centrale e
centrale) è di livello soddisfacente, essendo già in gran
parte realizzata in fibra ottica. Per quanto riguarda la
rete di distribuzione (dalle centrali alle utenze), il
cablaggio su rame è già sufficiente per la telematica non
multimediale, mentre il passaggio su fibra ottica è ancora
da definire. Per governare lo sviluppo che le nuove
tecnologie dell’informazione avranno sul tessuto socio
economico dell’isola, la Regione ha elaborato un Piano
Telematico regionale.
Il Piano telematico, in
particolare, definisce un insieme di servizi a valore
aggiunto erogabili alla Pubblica Amministrazione nel suo
complesso, al mondo delle imprese e ai cittadini. I progetti
che lo compongono attivabili con le infrastrutture di rete
attualmente esistenti. Essi sono riferibili alle seguenti
azioni:
§
Azione
1: Sistema Integrato Ufficio, con l’obiettivo di
coadiuvare gli uffici dell’Amministrazione Regionale
nell’aggiornamento dei propri standard operativi, anche in
conseguenza di quanto previsto dalle normative europee,
nazionali e regionali. L’azione si sviluppa secondo due
sottoprogetti principali: 1) Gestione documentale e 2)
Adeguamento e uniformazione dei servizi di rete.
§
Azione
2: Attivazione di un insieme di servizi specifici per i
Comuni e le Comunità Montane della Sardegna, con
l’obiettivo di agevolare l’approccio dei Comuni della
Sardegna, soprattutto i più piccoli, ai servizi ottenibili
per via telematica, rendendo disponibile quanto viene
offerto da Ancitel-Ancinet (società che fornisce servizi
all’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia) su scala
regionale.
§
Azione
3: Attivazione del progetto relativo al Sistema Informativo
per la Montagna (SIM) con l’obiettivo di fornire
al cittadino un insieme di servizi informatizzati,
particolarmente mirati alle esigenze del territorio preso in
considerazione. Il progetto, promosso e finanziato dal
Ministero per le Politiche Agricole e sottoposto alla
supervisione dell’Autorità per l’Informatica nella
Pubblica Amministrazione (AIPA), costituisce un sistema
distribuito ed eterogeneo di servizi di natura territoriale
resi disponibili ad enti territoriali.
§
Azione
4: Integrazione SIM con altre iniziative di interesse
regionale con l’obiettivo di rendere operativi
durante tutto l’anno i servizi telematici per la
prevenzione incendi, e integrare le basi dati di tale
servizio con quelle del SIM.
§
Azione
5: Progetto pilota di valorizzazione culturale e turistica con
l’obiettivo di valorizzare e contribuire ad inserire nei
circuiti turistici internazionali uno o più “percorsi”
di interesse archeologico, monumentale e naturalistico della
Sardegna, utilizzando gli strumenti della telematica e
realizzando un percorso virtuale integrato.
§
Azione
6: Orientamento giovanile con l’obiettivo di
diffondere capillarmente le informazioni sul mercato del
lavoro, sulle opportunità formative e sulla socializzazione
e aggregazione dei giovani nei centri di informazione,
utilizzando lo strumento dell’Internet e opportune azioni
di marketing di rete.
§
Azione
7: Servizi telematici per le imprese con
l’obiettivo di promuovere la fruizione di un primo
articolato insieme di fattori innovativi a favore delle PMI
regionali da veicolare attraverso rete telematica,
attraverso l’accesso ad un servizio di informazione ad
alto valore aggiunto, nonché attraverso la realizzazione di
processi di innovazione fondati sullo sviluppo di tecniche
di marketing telematico finalizzati a favorire l’apertura
delle stesse PMI verso mercati extra-regionali.
Per quanto attiene le risorse idriche, negli ultimi 10 anni si è registrata una
variazione negativa nel regime delle precipitazioni, che ha
portato ad una drastica riduzione dei corrispondenti
deflussi nei corsi d’acqua, che hanno raggiunto, a seconda
della zona idrografica, valori pari al 45-65% del deflusso
registrato nei 50 anni 1925-1975.
Infatti, nonostante
esistano nell’isola circa 45 laghi artificiali con una
capacità di regolazione di circa 2.250 milioni di mc.,
l’acqua invasata risulta ampiamente insufficiente a
soddisfare la domanda. Alle motivazioni climatiche vanno
aggiunte quelle di un inadeguato sistema gestionale. Esiste
un ritardo infrastrutturale nel completamento dei sistemi di
approvvigionamento (potabile, industriale, irriguo e misto)
che presenta elevati livelli di perdite nelle reti e negli
adduttori, e nell’organizzazione del sistema di
depurazione. A questo proposito, occorre dare completa
attuazione alla L.N. 36/94, laddove prevede in particolare
l’individuazione di un soggetto di governo unico della
risorsa, responsabile della predisposizione di un piano di
“ciclo integrato dell’acqua”.
Per quanto attiene il sistema energetico, la Sardegna presenta le seguenti caratteristiche
e anomalie: pressoché totale dipendenza energetica
dall’esterno (Sardegna 98%, Italia 80%, U.E. 50%); assenza
di diversificazione delle fonti di energia primaria con una
dipendenza dal petrolio del 94%; produzione di energia
elettrica basata essenzialmente sugli impianti
termoelettrici (97% della produzione); consumi finali per
usi energetici caratterizzati da un’incidenza dei prodotti
petroliferi del 73%. Particolarmente grave e penalizzante è
l’inesistenza di infrastrutture per l’approvvigionamento
e la distribuzione di gas metano. In attuazione del POM
94-99 “Energia” del Ministero dell'Industria, sono state
costruite e sono in corso di ultimazione, con contributi di
capitale privato, delle reti funzionanti con gas propanato a
Cagliari, Oristano, Sassari. Finanziata con la legge 266/97
una rete è in corso di costruzione anche a Nuoro.
Il
rilevante patrimonio naturale esistente nell’isola rappresenta
una risorsa strategica che la Regione intende valorizzare
e salvaguardare. Per conseguire questo obiettivo sono di
fondamentale importanza la realizzazione o il miglioramento
delle reti di monitoraggio.
Qui
di seguito si sintetizza la situazione ambientale della
regione, risultante dalle informazioni e dati attualmente
disponibili. Il testo completo dell'Analisi della situazione
ambientale è riportato in allegato al POR
Emissioni
climalteranti
Anidride
carbonica (CO2) - Nel 1995 le emissioni hanno di poco
superato i 15 milioni di tonnellate (8,8 t. per abitante,
contro la media nazionale di 7,1 t.), pari al 3,5% delle
emissioni nazionali provenienti da processi energetici,
registrando negli anni di riferimento una crescita di circa
2,5 milioni di tonnellate, pari al 20%.
Anidride
solforosa (SO2) - Nel 1995 le emissioni hanno raggiunto
poco più di 100.000 t., pari a circa 8% del totale
nazionale e a 60 t. per 1000 abitanti, contro una media
nazionale di 22 t. registrando negli anni di riferimento un
aumento medio annuo dell’1,2%, contro un decremento del
6,6% nella media nazionale. L’aumento più rilevante si è
avuto per le emissioni industriali (+25), attribuibili in
buona misura agli impianti di produzione industriale e di
energia.
Ossidi
di azoto (Nox) - Le emissioni nel 1995 sono arrivate a
circa 70.000 t., pari a poco meno del 4% del totale
nazionale, ovvero a 41 t. per 1000 abitanti, contro le 32 t.
della media nazionale, registrando nel periodo considerato
un aumento delle emissioni (fatta eccezione per il settore
energetico) dello 0,6% (soprattutto trasporti),
Composti
Organici Volatili (COV) - Nel 1995 sono state stimate
32.000 t di COV non metanici, pari a circa il 2,5 % del
totale nazionale. La media pro-capite è di poco inferiore
alle 20 t per 1000 abitanti, contro le 24 t nazionali.
Ossido
di Carbonio (CO) - Nel 1995 sono state emesse sul
territorio regionale poco meno di 180.000 t. di CO con
un’incidenza sul totale nazionale del 2,5%. La quantità
pro-capite negli anni di riferimento, per quanto in netta
crescita (+2,5% annuo), è sensibilmente più bassa della
media nazionale. Il settore cui è imputabile il maggiore
contributo alle emissioni di CO è quello dei trasporti.
Particolato
(PTS) - Nel 1992, anno per il quale si dispone
dell’ultimo dato nazionale, le emissioni nell’Isola
hanno inciso sul totale nazionale per poco più del 2%, la
percentuale più bassa tra i sei inquinanti considerati. La
quantità emessa per 1.000 abitanti è pari a circa 9,5 t.,
rispetto alle 13 t. della media nazionale.
Il
confronto tra la composizione percentuale delle emissioni
regionali e nazionali evidenzia contributi settoriali
nettamente diversi. L’industria, che contribuisce per il
73% alle emissioni nazionali, a livello regionale pesa per
meno del 10%; ai trasporti è imputabile circa un quarto
delle emissioni regionali, contro un dato nazionale di poco
superiore al 10%. Ancora più marcata la differenza nel
settore di produzione di energia alla quale a livello
regionale è imputabile il 63% delle emissioni, mentre a
livello nazionale non raggiunge il 10%. Il settore civile,
che a livello nazionale contribuisce con l’8% , a livello
regionale non oltrepassa l'1%, mentre al settore agricolo è
imputabile il 5% delle emissioni regionali.
Qualità
dell’aria
In
Sardegna è stata realizzato un sistema di reti locali di
rilevamento della qualità dell’aria nelle principali aree
industriali e urbane. Dalle rilevazioni si evince una
situazione di elevata criticità in tutta l’area di
Portoscuso/Portovesme, di Sarroch/Macchiareddu, di Ottana e
di Porto Torres (SS), che rappresentano i principali poli
industriali della Sardegna.
Rifiuti
La
regione, a seguito dell’attuazione dello Studio di
aggiornamento del Piano
di smaltimento dei rifiuti urbani, speciali, tossici e
nocivi del 1992, è divisa in 15 bacini. In generale,
solo il 20% dei rifiuti viene trattato negli impianti,
mentre l’80% continua ad essere smaltito in discarica.
L’attuale
produzione di rifiuti
urbani è stata quantificata in circa 730.000
tonnellate/anno. La gestione degli impianti e delle
discariche è assicurata principalmente dai Consorzi
Industriali e dalle Comunità Montane. La raccolta
indifferenziata viene affidata generalmente ad un
concessionario, ma è ancora significativo (20%) il numero
dei Comuni che gestisce il servizio in economia. La
forma di gestione consortile sta acquisendo sempre maggiore
importanza ed, attualmente, coinvolge il 14% dei Comuni, per
lo più concentrati nella provincia di Oristano. La raccolta
differenziata coinvolge solo lo 0,6% del totale e il 15%
dei Comuni e riguarda, soprattutto, carta, plastica, ex RUP.
La raccolta del vetro è la più diffusa (50% dei Comuni),
ma i gettiti sono molto modesti. È assente, invece, quella
dell’organico. La provincia di Cagliari è quella che
contribuisce alla maggiore produzione di rifiuti speciali di
origine industriale (circa l’80% dell’intera Regione).
Gli
impianti di
smaltimento dei rifiuti speciali risentono della
peculiarità del sistema produttivo isolano. Si hanno
prevalentemente impianti destinati al
trattamento/smaltimento di singole tipologie di rifiuti che
le industrie più rilevanti hanno attivato con esercizio
“conto proprio”. Le attività di recupero
dei rifiuti speciali sono per lo più derivanti dagli
impianti di produzione di energia alimentati a carbone
(circa 40.000 t/a) ed ai residui derivanti dalle attività
di lavorazione del granito (60.000 t/a,). Altre attività di
recupero significative sono legate ai rifiuti dell’agroindustria,
in particolare derivanti dalle attività lattiero-casearie,
con produzione di mangimi per animali. Nel periodo 97/98
sono stati esportati verso i paesi appartenenti alla comunità europea circa
76.800 t. di rifiuti, di cui: 56.000 t. di residui da forno
a sale, derivanti da passate produzioni, e circa 20.000 t.
di rifiuti costituiti da peci clorurate. Per quanto riguarda
la bonifica dei siti
inquinati, la Regione, sulla base delle indicazioni del
DM n.185 del 16/05/1989, si è dotata di un Piano,
attualmente in fase di aggiornamento. Riveste, comunque,
carattere di assoluta priorità il disinquinamento e la
riabilitazione delle aree minerarie dismesse per le quali il
Ministero dell’Ambiente, la Regione Autonoma della
Sardegna e l’Ente Minerario Sardo (EMSA) hanno
sottoscritto, in data 25/01/1997, un’intesa di Programma e
predisposto un piano di intervento. Per quanto riguarda i
rifiuti speciali, l’area che desta maggiori preoccupazioni
è quella del Sulcis-Iglesiente, già dichiarata “area ad
elevato rischio di crisi ambientale”, dove vengono
prodotti circa il 65% di rifiuti speciali dell’isola.
Acqua
La
qualità delle acque
destinate ad uso
potabile è preoccupante: la totalità delle stazioni di
campionamento si trova, infatti, nelle classi A2, A3 e Sub
A3 e nessuna nella classe A1, in quanto 23 dei 45 laghi
artificiali con destinazione idropotabile sono eutrofici e
ipertrofici. Le cause sono dovute soprattutto alle
caratteristiche dei terreni dove sono state invasate le
acque e allo sversamento diretto o indiretto di reflui non
trattati in maniera ottimale.
La
situazione è, invece, di sostanziale “buono stato” per
quanto riguarda le acque
destinate alla balneazione (DPR 470/82), in quanto su un
totale di 1.849 km di costa: 981 Km circa risultano
balneabili; 57 Km circa risultano permanentemente vietati
per inquinamento; 550 Km circa non risultano controllabili,
perché inaccessibili con i mezzi a disposizione; 260 Km
circa risultano interdetti permanentemente per motivi
indipendenti all’inquinamento (es.: presenza di porti).
Per
quanto riguarda le acque
idonee alla vita dei pesci Salmonicoli e Ciprinicoli, è
stata approvata la classificazione dei corsi d’acqua da
sottoporre a particolare protezione (Decreto legislativo
130/92), mentre numerosi tratti di costa e aree salmastre
sono stati dichiarati idonei all’allevamento e alla
raccolta dei molluschi bivalvi e gasteropodi (Decreto
legislativo 131/92).
La
domanda di infrastrutture
fognario-depurative, pur avendo registrato negli ultimi
anni un’evoluzione positiva, è ancora elevata; infatti,
solo l’85% della popolazione è servita da fognature e
solo il 68% è servita da impianti di depurazione. Su 22
agglomerati industriali, 3 sono privi di impianti di
trattamento delle acque reflue; gli altri, oltre ai reflui
industriali, trattano anche quelli civili. Non vi sono
impianti di depurazione di reflui conformi alla Direttiva
271/91/CEE, anche se i progetti per la realizzazione di 10
schemi fognario-depurativi, attualmente in corso di appalto,
sono stati predisposti nel rispetto di tale norma. Si
rileva, fra le altre problematiche, quella di adeguare e
migliorare le infrastrutture che servono molti dei centri più
grossi dell’isola.
Rischi
tecnologici
In
Sardegna sono presenti 13 insediamenti industriali soggetti
a dichiarazione e 19 soggetti a notifica, ai sensi della
normativa DPR.175/88. La situazione sarà aggiornata alla
luce di quanto previsto dal D. Lgs. 17/8/1999 n.334.
Suolo
La
situazione
idrogeologica è caratterizzata da 7 bacini idrografici
nei quali sono stati individuati 227 bacini montani. Di
questi: 115 (circa 223.126 ha, 74 Comuni) sono classificati
a rischio di erosione da medio a forte; 11 (circa 14.000 ha)
a rischio forte e 104 (circa 208.000 ha) a “basso
rischio”.
Una
delle cause del dissesto è, sicuramente, da ricondurre ai
numerosi incendi che ogni anno interessano il territorio regionale. Peraltro, si
deve positivamente rilavare che la superficie
boscata, è pari a complessivi 899.287 Ha, di cui
309.598 di boschi di alto fusto (fustaie) e 223.892 Ha di
cedui. Tra le fustaie di latifoglie la sughera occupa una
superficie pari a 116.665 Ha.
Natura
e biodiversità
Per
quanto riguarda l’istituzione di aree
naturali protette regionali, di recente sono state
approvate le leggi istitutive dei parchi di Molentargius
(circa 1.622 ha) e di Porto Conte, e istituiti 16 monumenti
naturali previsti dalla L.R. 31/1989.
Sono
stati istituiti anche i parchi
nazionali geomarini dell’Asinara (circa 4.800 ha) e
dell’Arcipelago de La Maddalena (circa 4.937 ha), che
rientra anche nel parco marino internazionale delle Bocche
di Bonifacio. Attualmente la loro gestione provvisoria, in
attesa dell’istituzione dell’Ente parco, è affidata ai
rispettivi Comitati di gestione. È stato, invece, sospeso
il decreto relativo all’istituzione del parco del
Gennargentu-Golfo di Orosei. Risulta, inoltre, di prossima
istituzione l’area marina protetta di Capo Caccia-Isola
Piana, mentre sono già state istituite quelle di:
Sinis-Isola di Mal di Ventre, Capo Carbonara e Tavolara-Capo
Coda Cavallo.
Attraverso
il progetto Bioitaly e in attuazione della direttiva
Habitat, sono stati individuati ben 114 siti
di interesse comunitario per un totale di circa 460.000
ha, molti dei quali ricadenti in aree parco, destinati a
costituire una rete ecologica coerente di Zone Speciali di
Conservazione, denominata “Natura 2000”. In proposito si
segnala che per l’incremento delle ZPS sono in corso i
necessari rapporti con il Ministero dell’Ambiente e che le
proposte scaturiranno avuto riguardo per le risultanze del
citato progetto Bioitaly e per le risposte del modello di
monitoraggio realizzato.
Va,
infine, evidenziato il riconoscimento, con atto ufficiale
sottoscritto dall’UNESCO il 30.7.1998, del Parco
Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna e
l’istituzione del “santuario dei cetacei”, nella zona
tirrenica compresa tra l’arcipelago de La Maddalena,
l’Argentaria in Toscana, la Liguria, la costa francese
fino a Marsiglia e l’isola dell’Asinara.
Stato
di applicazione delle principali direttive in materia
ambientale
Direttiva
85/337/CEE – Valutazione di impatto ambientale - La
direttiva 85/337 (DPR 12/04/96) è stata recepita
dall’art. 31 della L.R. n. 1 del 1999 recante “norme
transitorie in materia di valutazione di impatto
ambientale”. È stato, inoltre, predisposto un disegno di
legge che recepisce la Direttiva 97/11/CE.
Direttiva
91/156 CEE, 91/689 CEE – Rifiuti e rifiuti pericolosi - In
attuazione del decreto Legislativo 22/97 (Decreto Ronchi) la
Regione ha predisposto il “Piano di Gestione dei rifiuti -
sezione rifiuti urbani”, approvato con deliberazione della
Giunta Regionale n. 57/2 del 17.11.98. Come previsto dalle
Direttive, a breve il Piano verrà notificato alla
Commissione europea. La sezione dei rifiuti speciali e
bonifica dei siti inquinati è in corso di redazione. È,
inoltre, in via di definizione un apposito ddl regionale di
recepimento del decreto Ronchi dal titolo “Disciplina
Regionale della Gestione dei rifiuti e degli imballaggi,
della bonifica dei siti inquinati in attuazione del decreto
legislativo n° 22/97”, che verrà portato a breve
all’attenzione della Giunta Regionale.
Direttiva
91/271/CEE – Acque reflue urbane - La Regione,
precedentemente all’emanazione del D. Lgs 152/99, aveva già
recepito, con il decreto dell’Assessore Difesa
dell’Ambiente n. 34/97, parte dei dettami della suddetta
direttiva. Attualmente è in via di definizione e
predisposizione un disegno di legge regionale di recepimento.
Direttive
79/409/CEE e 92/43/CEE – Uccelli selvatici e habitat - Le
direttive sono state formalmente recepite con la L.R. 23/98
recante “Norme per la protezione della fauna selvatica in
Sardegna e per l’esercizio venatorio”. La Regione, fin
dal 1995, ha formalmente aderito (delibera n° 63/86 del
29/12/1995) al programma nazionale denominato “Bioitaly”
che, in attuazione della direttiva 92/43, si proponeva di
individuare nel territorio di ciascuna regione i siti di
interesse comunitario in cui sono presenti specie di flora,
fauna o habitat indicati negli allegati alla stessa
direttiva. Come evidenziato, sono stati individuati e
indicati allo Stato 114 siti di interesse comunitario
affinché potessero essere proposti all’U.E. per far parte
della costituenda rete natura 2000. È stato così possibile
utilizzare le risorse finanziarie messe a disposizioni dal
regolamento Life di supporto alla direttiva comunitaria
92/43/CEE. Al riguardo si sottolinea la premialità ottenuta
dalla Regione Sardegna per numero di iniziative ammesse a
finanziamento comunitario. Si dovrà provvedere al
completamento dell’attuazione della direttiva
“habitat”, in particolare all’individuazione delle
prime norme di salvaguardia ed alle stime per il
cofinanziamento delle azioni volte a mantenere i siti in uno
stato soddisfacente di conservazione. Ulteriori azioni
dovranno riguardare la definizione delle procedure per la
valutazione dell’incidenza che piani, progetti e programmi
possano determinare nei siti di interesse comunitario,
coerentemente con quanto disposto dal regolamento attuativo
approvato con D.P.R. 357/97. Infine, non trascurabile appare
l’attività di monitoraggio dei siti, attività per la
quale è stato esplicitamente richiesto un impegno costante
e duraturo da parte della Regione. Sono state già fornite
assicurazioni in proposito, indicando nel CFVA l’organo
tecnico preposto ai controlli di campo e il modello
realizzato dall’Assessorato quale elemento tecnologico di
supporto.
Direttiva
91/676/CEE – Nitrati - Il decreto legislativo
152/99 recepisce la direttiva 91/676, pertanto il disegno di
legge regionale in via di definizione in materia di ciclo
integrato dell’acqua attuativo del suddetto D.Lgs.152/99
recepirà anche questa direttiva.
Normativa regionale per la Difesa
delle risorse biologiche del mare (Pesca) - La normativa regionale
del Settore della tutela e gestione delle risorse biologiche
del mare con particolare riferimento alla disciplina dell’attività
di pesca é caratterizzata da forte valenza ambientale volta
a tutelare l’ambiente marino costiero e le risorse della
pesca da sistemi di cattura particolarmente impattanti.
Occorre evidenziare che la regolamentazione regionale pone
precisi punti di riferimento negli obiettivi della politica
comune della pesca ed in particolare nel Regolamento CE
n°1626/94 del Consiglio del 27 giugno 1994 recante “Misure
tecniche per la conservazione della pesca sul Mediterraneo”.
Normative regionali in
materia di Parchi e Foreste - Legge Regionale 7
giugno 1989, n.31 e successive modifiche ed integrazioni
“Norme in materia di parchi regionali”.
La realtà delle donne in
Sardegna, in questi ultimi venti anni, appare sensibilmente
cambiata: esse hanno acquisito maggiore consapevolezza della
loro dignità e delle loro capacità, non solamente nella
sfera privata ma anche e soprattutto nella vita pubblica e
istituzionale; hanno conquistato nuovi spazi nel mondo del
lavoro, anche in professioni fino ad oggi quasi
prevalentemente maschili, hanno acquisito livelli di
istruzione sempre più elevati, sorpassando la componente
maschile nel raggiungimento dei titoli di studio e di
migliori rendimenti scolastici, in tempi più brevi, anche
nelle facoltà in cui fino a pochi anni fa le donne erano
sotto rappresentate.
Permane una disparità per
ciò che riguarda la presenza delle donne nei luoghi
decisionali, nelle carriere direttive e nelle possibilità
di accesso ai ruoli dirigenziali, una ripartizione diseguale
del lavoro di cura, che rende tuttora faticosa per le donne
la conciliazione della vita familiare con la vita
professionale.
Da circa un ventennio, si assiste
ad una forte tensione delle donne verso l’acquisizione di
strumenti di partecipazione sociale, fra cui l’istruzione
e il lavoro.
Al Censimento del 1991 in Sardegna
si registra il vantaggio relativo delle donne rispetto agli
uomini sotto il profilo della scolarizzazione (diplomate
donne 16% contro il 14% maschi), anche se la situazione si
presenta diversificata fra città e campagna. Le studentesse
presentano minori tassi di ripetenza e una dispersione
scolastica più contenuta. Inoltre, a partire dalla seconda
metà degli anni 80 in Sardegna il numero delle laureate è
aumentato con un ritmo progressivo e graduale. Il tasso di
femminilizzazione è elevato, maggiore che negli altri
contesti: il 53,9% per il diploma, il 48,6% per la laurea.
Per quanto attiene
l’occupazione, la metà della popolazione in età
lavorativa, dai 15 ai 70 anni, è femminile, ma la quota di
donne che partecipa al mercato del lavoro rappresenta appena
un terzo del volume complessivo dei lavoratori.
L’incidenza della presenza femminile nel mercato del
lavoro, come occupata e in cerca di occupazione, sul totale
della popolazione femminile, è più che raddoppiata nel
ventennio 61/81 (21,4%) e triplicata nel trentennio 61/91
(27,1%).
La discrasia tra i tassi di
attività femminili e tassi di occupazione continua ad
aumentare: le donne vogliono lavorare per il mercato e si
attrezzano per questo, anche se lavorare talvolta è solo la
ricerca di un lavoro o una situazione di precariato o in
nero. Il mercato stenta ad assorbire questo aumento di
offerta di forza lavoro femminile. Anche gli anni 90
evidenziano il permanere di questa tendenza. Nel 1997 il
tasso di occupazione femminile è pari al 33,4% in Italia,
in Sardegna al 23,7%.
Nel 1997 la struttura
dell’occupazione per settore di attività economica mostra
che l’occupazione femminile si concentra nel terziario,
nelle attività di servizio e nel commercio (88,9%). La
Sardegna, infatti, ha conosciuto un processo di
industrializzazione tardivo e accidentato che ha visto
l’assorbimento di quote insignificanti di forza lavoro
femminile (6,3%) ed inoltre l’ingresso femminile nel
mercato del lavoro ha coinciso col momento dell’espansione
dei servizi. Molto bassa rimane la percentuale delle donne
occupate in agricoltura (4,8%).
Per quanto riguarda la
struttura dell’occupazione sotto il profilo
dell’autonomia/dipendenza circa il 70% in complesso si
concentra nel lavoro dipendente; lo scarto tra i dati della
componente femminile e della componente maschile è del
15,9% a vantaggio del sesso femminile.
Pur tuttavia, vi è da
segnalare che – a partire dagli anni 90 – assistiamo in
Sardegna ad una significativa crescita dell’imprenditoria
femminile nella forma della piccola e media impresa e della
cooperativa, che appare più consona ad aumentare il lavoro
delle donne e che, tra l’altro, viene indicata come il
modello più adatto a creare sviluppo nell’ambito del
territorio regionale. Le donne sono presenti prevalentemente
nel settore terziario, nel commercio, nell’agricoltura,
nel turismo. Un capitolo a parte merita l’artigianato
artistico tradizionale, che è prevalentemente organizzato
in forma cooperativa.
Considerando, invece, le pari
opportunità da un punto di vista che prescinde dalla
questione uomo-donna per affrontare la tematica più
generale dell’esclusione sociale, si rileva che le fasce
deboli ed i soggetti a rischio di emarginazione
rappresentano una realtà regionale significativa: i dati
statistici riferiti al 1998 evidenziano, infatti, una
situazione di disagio sociale marcata nelle periferie e
nelle aree cittadine a più alto degrado socio-economico,
nonché nelle zone interne della regione, geograficamente più
isolate dalle aree urbane maggiori.
I
punti di forza e di debolezza del sistema socio economico
regionale sono fortemente connessi con la condizione di
insularità e con le peculiarità geografiche e demografiche
della Regione. Tali fattori sono sintetizzati nella tabella
che segue.
Punti
di Forza
|
Punti
di Debolezza
|
Di
contesto:
n
Presenza di un ambiente naturale ancora
integro e di una buona qualità della vita, che
possono costituire elementi di attrazione di
iniziative esterne.
|
Di contesto:
n
la scarsità di popolazione, che
costituisce una difficoltà reale allo svilupparsi di
distretti produttivi;
n
le distanze dai grandi mercati di
sbocco, con conseguenti alti costi dei beni esportati;
n
ristrettezza del mercato regionale.
|
Risorse
naturali e energetiche:
n
la presenza di 45 laghi artificiali
realizzati, con una capacità di regolazione di circa
2.250 milioni di mc;
n
l’ottimo stato delle acque di
balneazione;
n
la disponibilità di un Piano di
gestione dei rifiuti, predisposto sulla base delle
disposizioni contenute nel d.lgs 22/97;
n
la vocazione del territorio regionale
alla creazione di aree naturali protette terrestri e
marine.
|
Risorse
naturali e energetiche:
n
la scarsa disponibilità di risorse
idriche;
n
i processi di degrado esteso delle
coperture vegetali, a causa di incendi, sovraccarichi
pascolativi, ecc., che accelerano il fenomeno della
desertificazione e, a valle, l’interrimento delle
zone umide;
n
l’indisponibilità del gas naturale
metano.
|
Risorse
culturali
n
patrimonio culturale fortemente diffuso
nel territorio e l’unicità di alcune tipologie
storico-archeologiche.
|
Risorse
culturali:
n
le carenze di vario tipo nello standard
dei servizi culturali (strutture, attrezzature,
personale, consis-tenza del patrimonio);
n
la scarsa integrazione dell’offerta
culturale con quella turistica.
|
Risorse
umane
n
la crescita dei livelli di istruzione
tra le nuove generazioni e particolarmente tra le
giovani donne;
n
l’avvio di iniziative di raccordo tra
Università, Centri di ricerca e imprese.
|
Risorse
umane:
n
la presenza di alti tassi di
disoccupazione soprattutto giovanili e femminili;
n
i limiti e le carenze negli strumenti di
politiche attive del lavoro;
n
le
carenze nella scuola e nella formazione professionale
per l’apprendimento e la diffusione dei sistemi
informatici.
|
segue
Sistema
produttivo:
n
l’esistenza di realtà produttive
pseudo o proto distrettuali e la vivacità di
iniziative imprenditoriali in campo telematico;
n
le potenzialità del turismo, fondate su
un ambiente ancora integro e sulla presenza di un
significativo patrimonio culturale da valorizzare;
n
la consapevolezza, prima di altri
contesti territoriali, dall’importanza delle nuove
tecnologie, quale fattore di successo per un’area
non centrale.
|
Sistema
produttivo:
n
la frammentazione del tessuto
produttivo, caratterizzato da una prevalenza di micro
imprese, con problemi organizzativi, di
capitalizzazione e di commercializzazione;
n
il
limitato rinnovamento tecnologico dei settori
produttivi;
n
l’attività turistica troppo
concentrata sul prodotto marino-balneare nei soli mesi
estivi.
|
Città
e organizzazione del territorio:
n
Ristrutturazione delle gerarchie urbane
con l’affermazione di reti di città intermedie con
nuove funzioni di servizio e produttive legati a
particolari distretti (Tempio, Macomer).
|
Città e
organizzazione del territorio:
n
L’insufficiente massa critica del
sistema urbano, che ha in Cagliari l’unico ambito
assimilabile a quello metropolitano;
n
Lo spopolamento delle aree interne e
rurali, con conseguenti problemi di presidio del
territorio;
n
Carenza di servizi avanzati nei poli
principali e di servizi informativi, di accoglienza e
di aggregazione nei centri intermedi e minori.
|
Reti
e nodi di servizio:
n
Rete di telecomunicazioni soddisfacente
e presenza di numerose iniziative imprenditoriali;
n
Buona rete di interscambio merci con la
penisola via mare.
|
Reti e nodi
di servizio:
§
i
collegamenti interni ed esterni inadeguati e le
rilevanti carenze che limitano l’operatività e
l’intermodalità negli scali industriali;
n
La forte marginalità delle aree
interne, cui si contrappongono fenomeni di congestione
nei centri urbani.
|
Opportunità
|
Rischi
|
Di
contesto:
n
la localizzazione geografica, che
consente di assume-re il ruolo di produttore e
distributore di merci e servizi da destinare agli
altri Paesi del Mediterraneo;
n
l’attivazione della finanza di
progetto mediante l’apporto di capitali privati.
|
Di
contesto:
n
Permanenza delle condizioni di
perifericità della Sardegna, rispetto ai centri
produttivi e alle grandi direttrici di traffico.
|
Risorse
naturali:
n
l’aumento della domanda di turismo
ambientale;
n
la liberalizzazione del mercato europeo
dell’energia elettrica.
|
Risorse
naturali:
n
il possibile inquinamento costiero
causato dagli scarichi provenienti da imbarcazioni in
transito lungo le coste dell’Isola.
|
Risorse
culturali:
n
l’evoluzione degli stili di vita e dei
modelli di consumo e di spesa verso una maggiore
domanda di servizi ad elevato contenuto culturale.
|
|
Risorse
umane:
n
Nuove strategie in materia di
occupazione e 1ristrutturazione del sistema dei centri
per l’impiego.
|
Risorse
umane:
n
Esclusione e marginalizzazione sociale
di fasce deboli della popolazione.
|
Sistema
produttivo:
n
Potenzialità offerte da interventi di
destagionalizzazione e delocalizzazione dei flussi
turistici;
n
L’attrattività ambientale e la
disponibilità di insediamenti produttivi possono
costituire fattore di attrazione di investimenti
esterni.
|
Sistema
produttivo:
n
le presenze turistiche concentrate nel
tempo e nello spazio e la concorrenza esercitata da
altri poli di attrazione turistica nel bacino
mediterraneo;
n
Difficoltà ad attivare politiche
efficaci di attrazione d’impresa e di sostegno ai
distretti produttivi locali.
|
segue
|
Città
e organizzazione del territorio:
n
Desertificazione delle aree interne per
la perdita del presidio umano;
n
Impossibilità di sviluppare servizi
avanzati e qualificati nei poli principali, per
l’assenza di una sufficiente massa critica, che
andranno pertanto reperite in altre regioni.
|
Reti
e nodi di servizio:
n
il processo di liberalizzazione in atto
nel settore dei trasporti marittimi ed aerei, che
dovrebbe comportare significativi vantaggi in termini
di continuità territoriale, riducendo il costo
dell’insularità sia per le persone che per le
merci;
n
La diffusione delle Società
dell’Informazione che ridurrà gli svantaggi legati
alla perifericità;
n
Le potenzialità offerte dalla prossima
entrata in funzione del Polo di trasnshipment di
Cagliari.
|
Reti
e nodi di servizio
n
l’esclusione dell’Isola dalla rete
dei collegamenti di valenza nazionale ed
internazionale (reti TEN e TERN).
|
A
conclusione dell’Analisi socioeconomica della Regione
appare opportuno rapportare in maniera specifica tale
situazione alle variabili di rottura, indicate dal QCS,
considerate come elementi cardine sui quali basare il
cambiamento che si intende perseguire a livello regionale e
del Mezzogiorno. Per ciascuna variabile è stato correlato
uno specifico indicatore per evidenziare l’evoluzione
degli andamenti.
1. Capacità di esportare
La capacità di esportare
della regione è molto debole rispetto al resto
dell’Italia. Infatti l’indicatore che misura la
percentuale di esportazioni rispetto al PIL è costantemente
e di gran lunga inferiore rispetto a quello nazionale:
l’ultimo dato confrontabile (1996) è pari a circa 1/3
(6,9% contro il 20,7%). Anche l’indicatore Esportazioni
per abitante, pur essendo in linea o leggermente superiore
al dato del Mezzogiorno, evidenzia costantemente un notevole
gap rispetto al resto dell’Italia.
2. Grado di indipendenza economica
Anche il grado di
indipendenza economica della Sardegna è decisamente più
debole rispetto al resto dell’Italia: infatti,
l’indicatore che misura la percentuale di Importazioni
nette rispetto al PIL è decisamente e costantemente
superiore. L’ultimo dato disponibile (1996) è pari al
17,46% contro un valore per il Mezzogiorno pari al 14,27% e
ad un valore di –2,93% per l’Italia.
3. Capacità di attrazione di consumi
turistici
La capacità di attrazione
di consumi turistici della Sardegna è notevole in quanto le
presenze turistiche sono in continua crescita. Le giornate
di presenza turistica per abitante ammontano a circa 5,05
giorni contro i 5,2 giorni del resto d’Italia. È da
notare, tuttavia, che la motivazione della visita è
essenzialmente quella del turismo balneare e che solo un
turista su cinque in Sardegna proviene dall’estero. È
inoltre da segnalare che la spesa turistica dei non
residenti ammonta a circa 1,29% contro l’1,30% del
Mezzogiorno e il 2,33% dell’Italia.
4. Intensità di accumulazione del
capitale
La percentuale di
Investimenti fissi lordi rispetto al PIL in Sardegna è
costantemente superiore a quella nazionale e a quella del
Mezzogiorno: nel 1995 tale valore ammontava al 20,87%
rispetto al 16% del Mezzogiorno e al 17,32% dell’Italia.
Questo dato, che sembra manifestare un maggiore dinamismo
delle imprese e della pubblica amministrazione in Sardegna,
può avere due chiavi di lettura: la prima, positiva, come
capacità delle imprese sarde di accumulazione del capitale
finalizzato a migliorare il processo produttivo, la seconda,
negativa, legata ad un gap tecnologico accumulato negli anni
precedenti, come esigenza di rinnovo di beni capitali
obsoleti.
5. Capacità di attrazione di
investimenti esteri
L’indicatore utilizzato
è riferito agli anni 1994 e 1995. Tale indicatore mette in
evidenza per la Sardegna una situazione nettamente
deficitaria rispetto a quella nazionale: 0,13% nel 1994 e
0,23% nel 1995, rispetto al dato nazionale (1,39% nel 1994 e
1,97% nel 1995).
6. Partecipazione della popolazione al
mercato del lavoro
Gli indicatori utilizzati
evidenziano per la Sardegna una situazione costantemente
deficitaria rispetto all’Italia mentre risulta migliore
rispetto al Mezzogiorno. Il tasso di attività totale della
popolazione in età 15-64 anni, nel 1998 in Sardegna assume
valori più bassi di oltre 4 punti percentuali rispetto al
dato nazionale (54,56% contro 58,74%) mentre è decisamente
superiore del 2,1% rispetto al dato del Mezzogiorno
(52,47%). La situazione diventa più preoccupante per quanto
riguarda il tasso di disoccupazione che, sempre nel 1998,
raggiunge in Sardegna il 21,5% contro il 12,3% del resto
d’Italia. Il dato della Sardegna, tuttavia, è migliore
del dato del Mezzogiorno (22,8%).
7. Capacità di offrire lavoro regolare
L’indicatore (Occupati
irregolari sul Totale degli occupati), riferito al 1998,
colloca la Sardegna in una posizione mediana tra il
Mezzogiorno e l’Italia: 19,54 per la Sardegna contro
rispettivamente 14,55 per il Mezzogiorno e 27,62 per
l’Italia. Tale indicatore, disponibile solo per gli anni
1997 e 1998, tende a ridursi nel corso del tempo, seguendo
un trend comune all’Italia ed al Mezzogiorno.
8. Capacità di sviluppo dei servizi
sociali
La Capacità di sviluppo
dei servizi sociali è stata misurata con indicatore
“L’occupazione dei settori sociali rispetto
all’occupazione nei servizi” che in Sardegna è
costantemente superiore sia al dato del Mezzogiorno che al
dato nazionale: nel 1995, 37,4% rispetto al 35,9% del
Mezzogiorno e al 30,5% dell’Italia.
9. Capacità di esportare prodotti ad
elevata o crescente produttività
La percentuale di
esportazioni di prodotti ad elevata produttività rispetto
al PIL evidenzia in modo costante per la Sardegna una
situazione assolutamente deficitaria rispetto al Mezzogiorno
e al resto dell’Italia. Prendendo in considerazione
l’indice di specializzazione in prodotti selezionati si
rileva che, dato 1 il valore dell’Italia, il valore della
Sardegna si posiziona costantemente sotto lo 0,30, con una
punta massima di 0,37, rilevato nel 1998, mentre il
Mezzogiorno presenta valori decisamente superiori a 0,60,
con una punta di 0,78, rilevata nel 1998.
10. Capacità innovativa
La percentuale di PIL
destinato a spesa nel settore della Ricerca e dello Sviluppo
in Sardegna è costantemente in linea con il valore del
Mezzogiorno ma decisamente inferiore rispetto al valore
nazionale (nel 1994, ultimo dato disponibile: 0,63% contro
l’1,06%).
11. Capacità di sviluppo di servizi
alle imprese
L’indice utilizzato nel
QCS per questa variabile di rottura è, attualmente, poco
significativo in quanto il dato regionale riferito ai
“Dipendenti nelle imprese dei servizi alla produzione sul
totale dei dipendenti nelle imprese dei servizi” non è
confrontabile con dati similari del Mezzogiorno e
dell’Italia per mancanza di riferimenti statistici.
Peraltro, l’unico dato nazionale a disposizione, riferito
al 1996, assume un valore pari al 12,7 sostanzialmente in
linea con i dati regionali riferiti al 1994 e 1995,
rispettivamente pari al 12,5 e 11,0.
12. Capacità di finanziamento
L’analisi dei dati, che
nel corso degli anni rilevano “Il differenziale dei tassi
a breve termine sui finanziamenti per cassa con il
Centro-Nord”, evidenzia che mentre il dato nazionale
presenta valori contigui al dato del Centro-Nord (100,28 nel
1998), il dato regionale assume valori crescenti nel tempo e
assume il valore massimo nel 1998 (122,6) contro un valore
del Mezzogiorno decisamente più favorevole (113,47 nel
1998).
13. Condizioni di legalità e coesione
sociale
Dal punto di vista della
legalità, la Sardegna evidenzia condizioni sostanzialmente
migliori rispetto al Mezzogiorno ed in linea col resto dell’Italia:
l’indice di criminalità violenta (Stragi,violenze, rapine
gravi, sequestri, attentati, ecc.) per 10.000 abitanti,
infatti, assume un valore che oscilla tra il 10 e l’11,51,
con punte minime del 9,54, rilevata nel 1996, e massime
dell’11,51, rilevata nel 1998. Per contro nel Mezzogiorno
i valori oscillano tra il 14,19, rilevato nel 1995, e il
16,40 del 1998.
vedi
tabelle
Il Programma Operativo Plurifondo
94/99 si articola in 3 Sottoprogrammi:
Il Sottoprogramma cofinanziato dal FESR prevede un costo complessivo programmato di 888 Meuro ed é
articolato in cinque sottoassi prioritari di Sviluppo,
previsti dal QCS:
1.
Comunicazioni
|
362,57
|
Meuro
|
2.
Industria, artigianato e servizi alle imprese
|
167,43
|
Meuro
|
3.
Turismo
|
95,14
|
Meuro
|
4.
Infrastrutture di supporto alle attività
economiche
|
257,16
|
Meuro
|
5.
Valutazione e Assistenza tecnica
|
5,71
|
Meuro
|
Il
Sottoprogramma (Asse prioritario di Sviluppo) cofinanziato dal
FSE, il cui costo
complessivo programmato ammonta a 283,99 Meuro, è articolato
in tre sottoassi.
1.
Interventi legati agli assi di sviluppo del
Q.C.S. (ob.1)
|
81,87
|
Meuro
|
2.
Inserimento e reinserimento di persone alla
ricerca di occupazione (ob.3)
|
179,12
|
Meuro
|
3.
Formazione continua per gli occupati (ob.4)
|
23,01
|
Meuro
|
Il
Sottoprogramma (Asse prioritario di Sviluppo) cofinanziato dal
FEOGA, il cui costo
complessivo programmato è pari a 644,014 Meuro, è articolato
in quattro sottoassi:
1.
Valorizzazione produzioni zootecniche, arboree e
infrastrutture connesse
|
357,666
|
Meuro
|
2.
Sviluppo rurale
|
121,494
|
Meuro
|
3.
Obiettivo 5° A)
|
148,622
|
Meuro
|
4.
Misure in corso
|
16,232
|
Meuro
|
Le azioni
di riprogrammazione sul POP, che hanno comportato sia
modifiche tecniche che finanziarie delle misure, hanno
comunque avuto come risultato un aumento delle risorse
destinate al programma (in particolare con la misura sulla
“riqualificazione dei centri urbani a fini turistici”) e
l’attribuzione di un finanziamento aggiuntivo nell’ambito
del POM “Protezione Civile”.
Pur presentando, a seguito delle
riprogrammazioni, alcune differenze rispetto alla versione
originaria - sia per la soppressione di alcune misure
cofinanziate dal FESR, sia a seguito dell’introduzione di
numerose misure ammesse al cofinanziamento del FEOGA che dello
stesso FESR - nel POP è stato rispettato l’obiettivo
complessivo di carattere generale, consistente
nell’assicurare alla Sardegna un tasso di sviluppo capace di
realizzare la coesione economica e sociale con le aree più
sviluppate dell’Unione, e sono stati riequilibrati e
rafforzati alcuni obiettivi specifici, anche attraverso una
riorganizzazione delle misure trasversale agli assi, in modo
da rendere più esplicito l’impatto degli interventi.
I principali riscontri della
valutazione intermedia effettuata dal valutatore indipendente
sui programmi 94/99 hanno riguardato l’analisi dei processi
di programmazione, di realizzazione di monitoraggio e di
valutazione che hanno messo in evidenza come significativo
punto di forza la qualità professionale delle risorse umane
impiegate dall’Amministrazione Regionale, presenti
soprattutto nel Centro Regionale di Programmazione. Ciò che
impedisce tuttavia all’Amministrazione Regionale della
Sardegna di distinguersi, in termini di risultati finali nella
quantità e qualità della spesa comunitaria, è
l’organizzazione complessiva intesa come insieme di processi
che fanno interagire tra di loro le risorse umane.
Stato di attuazione del POP 94/99
Il programma operativo ha subito
nella fase di avvio notevoli ritardi in gran parte recuperati
con le azioni di riprogrammazione. Allo stato attuale, a
fronte di uno stanziamento complessivo di 3.589 milioni di
lire, gli impegni assunti al 31/12/1999 superano il 100% delle
risorse stanziate e le somme erogate superano il 63%
dell’investimento programmato. Il sottoprogramma FESR
presenta impegni al di sopra del 109% del costo totale
dell’investimento a fronte di una spesa attorno al 60%.
Anche per il sottoprogramma FEOGA gli impegni sono superiori
al 100% e le spese rappresentano il 64% dello stanziato. Per
il Sottoprogramma FSE, la percentuale di impegni è pari al
100% e quella dei pagamenti supera il 72% del costo totale.
Il sottoprogramma del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) ha seguito le linee
strategiche e gli orientamenti emergenti dal QCS:
§
aumento della specializzazione e
dell’integrazione del sistema produttivo al fine di
valorizzare le risorse locali;
§
sostegno alla ricerca e all’innovazione;
§
miglioramento del sistema urbano attraverso una
riorganizzazione e razionalizzazione dello stesso;
§
miglioramento dei collegamenti tra aree interne
e agglomerati urbani;
§
tutela dell’ambiente;
§
rafforzamento del sistema turistico;
Tuttavia, se si scende ad un
livello di maggiore dettaglio, non sempre le singole misure
sembrano efficaci e, laddove esiste un quadro di
programmazione generale, all’interno di ciascuna area non è
riscontrabile un’altrettanto chiara strategia di settore. Da
un lato, la difficoltà a rispettare le scadenze poste per
l’assunzione degli impegni ha condotto la Regione a
privilegiare interventi di immediata cantierabilità o già
avviati, differendo la realizzazione temporale di alcuni
interventi prescelti in precedenza. Ciò ha reso meno efficace
il sistema di selezione basato su criteri di efficienza,
efficacia e massimizzazione dell’impatto atteso.
Dall’altro, la scarsa integrazione degli interventi intorno
a progetti strategici ne ha acuito la dispersione
territoriale. L’effettivo contributo portato dal P.O.R. al
conseguimento degli obiettivi specifici e di quello generale
rischia pertanto di essere sensibilmente inferiore rispetto
alle stime, anche se potrà essere apprezzato solo in sede di
valutazione ex-post.
Da un punto di vista
finanziario il FESR presenta tuttora alcune criticità per
quanto concerne l’avanzamento di alcune delle sue misure più
significative: in particolare, si fa riferimento agli
interventi di realizzazione della S.S. 125, della
Metropolitana Leggera di Sassari e al Parco Tecnologico, che
si sommano ai progetti già eliminati dal P.O.R. quali la
metropolitana di Cagliari, il gassificatore del Sulcis e
alcune infrastrutture viarie del nord Sardegna.
Il sottoprogramma cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE) mostra un buon stato di avanzamento, si
presenta ben articolato e sufficientemente “valutabile”;
tuttavia, non sempre risulta coerente con i principali
fabbisogni formativi della Regione. Il problema, peraltro, si
pone anche sul lato dell’offerta di lavoro regionale, che
sembra avere una propensione inferiore, rispetto alle medie
nazionali, ad impiegare forza lavoro ad elevato livello di
istruzione.
Il livello di attuazione del
POP relativamente alla componente formativa mostra un grado di
utilizzazione delle risorse relativamente soddisfacente. Per
quanto attiene agli interventi riconducibili alle misure
obiettivo 1 l’agricoltura e lo sviluppo rurale appaiono le
aree dove maggiore appare la capacità di spesa con il 79%
delle risorse impegnate. Anche se appare ancora prematuro
effettuare valutazioni definitive in tal senso si rileva una
qualche lentezza nello sviluppo del programma relativamente
alla formazione nei settori dell’ambiente e della sanità
per i quali la quota di risorse spese sul totale di quelle
impegnate appare complessivamente ridotto. Per quanto attiene
invece alle misure dell’obiettivo 3 il livello di spesa
appare analogo a quello registrato per l’obiettivo 1 (51%)
anche se decisamente maggiore è la variabilità tra le
diverse misure previste.
Critica appare ad esempio
l’attuazione degli interventi relativamente alle misure
destinate alle Donne disoccupate breve periodo, a persone ad
alto rischio occupazionale a favore dei ristretti e
tossicodipendenti, dove il livello di utilizzazione non supera
il 38% del totale impegnato. Problematica infine appare la
realizzazione delle azioni per gli Aiuti all’occupazione, la
formazione dei Disoccupati già occupati in altre attività, i
Lavoratori iscritti in liste di mobilità ex lege 223/91.
Decisamente basso in ultimo il livello di attuazione per
l’obiettivo 4 che si attesta su una spesa del 24% del
totale.
Il Fondo
Europeo di Orientamento e Garanzia per l’Agricoltura (FEOGA)
presenta uno stato di avanzamento in linea con gli altri
programmi e la sua struttura ha reso più semplice l’attività
di valutazione di efficacia e di efficienza: entrambe le
valutazioni hanno fatto riscontrare buone performances. Una
prima valutazione della coerenza degli interventi previsti
rispetto alla situazione regionale evidenzia una scelta
strategica forte della Regione a favore del settore
dell’olivicoltura ed un minor peso riconosciuto ai settori
di nicchia ma che, tuttavia, costituiscono altrettante aree di
sviluppo dell’economia agricola della Regione, come la
produzione di miele, del sughero, il comparto ortofrutticolo.
La questione che si pone è, tuttavia, non quella
dell’importanza del settore ma dell’efficienza della spesa
di Fondi Strutturali relativamente al conseguimento della
finalità citata. Il settore non è, infatti, uscito dalla
crisi e appare modesta la differenza che i Fondi strutturali
sono riusciti a produrre a favore dei beneficiari rispetto
alle aziende che non lo sono state. Il settore ovo-caprino che
trova nel latte e nel formaggio (il pecorino - romano) i suoi
prodotti di punta, sembra essere stato fortemente danneggiato
dalla caduta nei prezzi verificatisi sui mercati e per effetto
di decisioni della UE.
Emerge la necessità, anche
come indicazione per il prossimo ciclo di programmazione, di
individuare un obiettivo più organico e meno contingente: il
Feoga dovrebbe focalizzarsi maggiormente sulle politiche per
le aree rurali e ciò corrisponderebbe ad avere come obiettivo
un rallentamento o una inversione dei processi di
spopolamento.
Indicazioni per il periodo 2000-2006
I principali insegnamenti del
periodo di programmazione 1994/99, da tener presenti nel nuovo
ciclo di programmazione 2000/2006, sono:
§
la dotazione di un parco progetti adeguato sul
piano della quantità e della qualità;
§
lo snellimento della legislazione e delle
procedure;
§
la riforma dell’apparato pubblico e il
processo di privatizzazione;
§
il maggior coordinamento tra i diversi
programmi.
In questo contesto vale la pena di
menzionare due esempi di
“buone” e “cattive” pratiche per quanto riguarda
l’attuazione dei progetti:
§
la misura relativa alla riqualificazione dei centri urbani a fini turistici rappresenta un
intervento di successo sul piano del metodo di ripartizione
dei fondi tra i potenziali beneficiari finali: trasparenza e
innovazione nelle procedure;
§
per contro, alcune misure del FESR, la cui
realizzazione era subordinata all’acquisizione del consenso
o delle autorizzazioni di soggetti istituzionali diversi
dall’Amministrazione regionale, hanno riscontrato ampi
ritardi nell’avvio delle azioni. In alcuni casi, ciò ha
comportato la soppressione delle misure medesime.
Tra le aree di miglioramento
operativo per la programmazione 2000/2006 vi sono quelle
relative:
§
alla
costruzione di una griglia di indicatori: la definizione,
cioè, di un obiettivo quali-quantitativo per ciascun
intervento, in modo da valutare che cosa ci si può aspettare
da ogni intervento specifico, in termini di realizzazioni
concrete e miglioramenti apportati alla situazione
socio-economica e ambientale della Regione;
§
alla
costruzione di un adeguato sistema di monitoraggio,
finanziario, fisico e procedurale, per permettere a chi prende
le decisioni di conoscere, in tempo reale o comunque con
aggiornamenti periodici, quale è l’avanzamento complessivo
-delle singole misure. Le esigenze più significative
riguardano in particolare:
1.
La verifica presso i beneficiari finali, a scadenze
periodiche ravvicinate, delle procedure di attuazione dei
progetti di loro competenza, offrendo supporto nella redazione
di un cronogramma realistico di attuazione, esaminandone la
compatibilità rispetto alle scadenze del programma, e
fornendo assistenza per tutti gli aspetti concernenti la
rendicontazione delle spese;
2.
Lo sviluppo di un’applicazione informatica, sotto
forma di una banca dati dei progetti ammessi a cofinanziamento,
e di quelli inseriti in eventuali programmi aggiuntivi, che,
oltre agli indicatori di avanzamento fisico, finanziario e di
impatto, contenga informazioni precise sui passaggi
procedurali cui il progetto è sottoposto, e ne aggiorni il
tempo reale l’effettivo avanzamento;
3.
Il supporto all’amministrazione regionale nella
definizione del sentiero previsionale di impegno e di spesa e
nel suo aggiornamento costante, conseguente alla rilevazione
dei dati di avanzamento presso i beneficiari finali.
§
al coinvolgimento delle autorità ambientali e delle autorità in materia di pari
opportunità. Di fatto nel periodo di programmazione
1994/99 le considerazioni di carattere ambientale e il
principio delle pari opportunità sono stati inseriti in
maniera disorganica nella strategia di sviluppo.
§
al miglioramento
dei collegamenti sia tra uffici interni dell’Amministrazione
regionale, sia tra i soggetti attuatori delle misure e le
amministrazioni locali coinvolti nella realizzazione di
singoli progetti. Come evidenziato nel QCS, andrà
assicurata una chiara individuazione delle responsabilità e
degli obiettivi di risultato a livello di misura. Inoltre,
andrà favorito il ricorso agli strumenti esistenti che
permettano di accelerare il processo decisionale e di ridurre
la conflittualità tra amministrazioni e soggetti attuatori
diversi (conferenze di servizi, intese istituzionali di
programma, accordi di programma). A questo proposito, una
particolare attenzione andrà dedicata alla riforma
dell’attuale sistema di controllo preventivo di tutti gli
atti amministrativi regionali da parte della sezione regionale
della Corte dei Conti, che è stato fonte di ingiustificati
ritardi attuativi in passato
§
alla diffusione
generalizzata di sistemi di selezione dei progetti basati su
bandi e inviti alla manifestazione dei progetti. Le
procedure di selezione dovranno basarsi su una griglia di
criteri che premino l’efficienza, l’efficacia, la capacità
attuativa e gestionale, e l’impatto sugli obiettivi
specifici della misura.
§
al miglioramento
della capacità di lettura dei fenomeni e dei fabbisogni
territoriali, che richiedono in fase interpretativa e di
gestione competenze specialistiche. A questo proposito,
occorrerà una maggior integrazione a livello territoriale dei
progetti finanziati.
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