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Documento di Programmazione Economica e Finanziaria
Progetti Integrati Territoriali


 

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Indice

1. - Analisi della Situazione di Partenza

1.1. - Considerazioni sull’economia della regione

1.1.1. - Andamenti demografici

La Sardegna, con una popolazione, al 1998, di un milione e 654 mila abitanti, su un territorio di due milioni e 408 mila ettari, presenta la più bassa densità abitativa del Mezzogiorno, pari a circa 69 abitanti per Kmq. L’analisi dell’andamento demografico evidenzia che:

§         il tasso medio annuo di crescita della popolazione si è più che dimezzato tra il decennio intercensuario 1981/91 e l’intervallo successivo 1991/97, passando dallo 0,34 allo 0,15 per cento;

§         l’indice di vecchiaia è passato da 48 a 81 nel decennio 1981-91; nel 1997 si è superata la soglia critica del valore 100, con oltre due anziani per ogni bambino. La tendenza all’invecchiamento nella struttura della popolazione assume valori significativi specialmente nelle zone interne, periferiche e montane;

§         il numero di nuclei familiari è cresciuto (quasi l’1% su base annua) con una conseguente diminuzione della dimensione media (circa 3 componenti per nucleo familiare);

§         l’immigrazione ha un contributo marginale sul bilancio demografico;

§         l’emigrazione, dopo un periodo di stasi, è in ripresa.

Al tempo stesso si registrano divari nell’andamento territoriale di questi fenomeni:

§         un rafforzamento relativo dei poli urbani e metropolitani; nell’ultimo periodo, tuttavia, si registra una stasi dell’afflusso di popolazione e un ritmo inferiore di crescita;

§         la persistente caduta del presidio insediativo nelle zone interne;in tali aree, ogni anno, si rileva una perdita di quasi 2 abitanti ogni cento residenti, con un trend che minaccia la desertificazione di vaste porzioni del territorio regionale, strategiche sotto il profilo ambientale e sociale.

Tendenzialmente in Sardegna si vanno consolidando quattro polarità urbane (Sassari, Olbia-Siniscola, Oristano, Cagliari), distanti fra di loro e mal collegate, che concentreranno il 70% della popolazione regionale, con fenomeni di congestione urbana.

1.1.2. – Le risorse umane e il mercato del lavoro Inizio Pagina

I livelli di istruzione della popolazione regionale sono sensibilmente cresciuti, particolarmente tra le nuove generazioni. L’innalzamento dei livelli di scolarità è riscontrabile soprattutto tra le giovani donne. Tra il 1981 e il 1991, la percentuale delle laureate passa dal 5,5% al 6,7% nella classe d’età 25-44 anni, mentre si registra un lieve decremento maschile. Nel caso dei diplomati, in riferimento alla stessa classe d’età, l’incremento maschile è pari al 5,9%, mentre quello femminile raggiunge l’8,8%. Il maggiore dinamismo della popolazione femminile trova conferma anche nei dati relativi ai tassi di scolarità medio-superiore. Nell’anno 1995/96, il tasso di scolarità femminile, pari al 91,8% contro l’87,3% maschile, si rivela tra quelli più alti riscontrati nelle regioni italiane ed è superiore di oltre 10 punti rispetto al valore medio nazionale, pari all’80,0% (Dati ISTAT). Tuttavia, accanto a queste dinamiche positive rilevabili tra le ultime generazioni e che costituiscono sicuramente un fattore di forza permane una situazione di profondo disagio.

Occorre evidenziare, innanzitutto, l’incompiutezza del processo di scolarizzazione di massa. Il 16,7% (2.190 maschi e 1.091 donne) delle forze di lavoro non dispone di alcun titolo o al massimo della licenza elementare, un valore preoccupante e più elevato rispetto al dato nazionale, pari al 14,2% (Dati ISTAT, media 1998).

Sempre in riferimento alle forze di lavoro la quota di diplomati è, in Sardegna, uguale al 25,9% (12,4% donne e 13,5% uomini), mentre la quota nazionale è pari al 29,5%.

Per quanto riguarda i livelli più alti dell’istruzione (laurea breve, laurea e dottorato) il dato regionale si attesta all’8,9%, con uguali percentuali per le donne e gli uomini, mentre il dato nazionale è pari all’11,7% e quello meridionale all’11,0% (Dati ISTAT, media 1998).

Si rilevano percentuali elevate anche relativamente anche a irregolarità e interruzioni dei percorsi scolastici.

Un primo indicatore è dato dai tassi di ripetenza. Nella scuola media superiore, essi raggiungono il 10,8% (il 3,3 per le ragazze e il 7,5% per i ragazzi), un valore assai elevato in rapporto a quelli del Mezzogiorno, dove si rileva il 5,4% di ripetenze e dell’Italia, col 4,76%. Anche nella scuola media superiore le differenze rispetto al Mezzogiorno e all’Italia sono assai marcate. Il tasso di ripetenza per questa fascia di istruzione, in Sardegna è pari al 14,9% (6,3% per le ragazze e 8,6% per i ragazzi), mentre nel Mezzogiorno è del 6,9% e in Italia del 7,1% (Dati ISTAT, 1997). Il tasso di interruzione di frequenza nella scuola media secondaria è pari al 7,9% con una media particolarmente elevata, pari al 12,1%, relativamente agli studenti maschi.

Per quanto riguarda la dispersione scolastica, secondo i dati del Ministero per la Pubblica Istruzione, le quattro province sarde si collocano tutte agli ultimi posti in una graduatoria fra le province italiane. Secondo un indicatore sintetico di dispersione (100=valore minimo; 0=valore massimo), in particolare le province di Sassari (20,44) e di Cagliari (18,99) si trovano rispettivamente nella quintultima e quartultima posizione.

Per quanto attiene infine la presenza di gravi carenze nel sistema delle infrastrutture scolastiche si rileva che, in base a un indicatore sintetico per l’edilizia scolastica (100=situazione migliore; 0=situazione peggiore), è soprattutto la provincia di Cagliari a esibire la situazione più disagiata, con un valore di appena 4,6, in fondo ad una graduatoria che la vede agli ultimi posti, seguita solo dalla provincia di Napoli, con 2,17 e di Reggio Calabria con 0 (Dati del Ministero per la Pubblica Istruzione 1999).

Il tasso di disoccupazione per titolo di studio per i laureati cresce dal 7,1% del 95 al 10,4% del 1997 mentre diminuisce quello di coloro che hanno al più la licenza media dell’obbligo.

La domanda di laureati o diplomati universitari in Sardegna rappresenta il 3,7% delle assunzioni previste nei prossimi due anni (15 mila) quasi 3 punti percentuali in meno della media nazionale (6,6%).

Il dato per certi versi più problematico comunque riguarda la domanda di capitale umano qualificato nel settore dei servizi che sommando la domanda di laureati e quella di diplomati raggiunge il 37% delle nuove assunzioni il 5% in meno della media nazionale. La scarsa valorizzazione del capitale umano qualificato costituisce proprio nel settore dei servizi uno dei principali fattori di debolezza del sistema socio economico sardo.

In generale, le ricognizioni sulle dinamiche di recluta­mento, sui valori ed i comportamenti nei diversi ambiti pro­fessionali, entro i versanti pubblico e privato, mostrano la dominanza di atteggiamenti strettamente fiduciari, parentali, amicali, ed in generale appunto ascrittivi.

Ciò determina meccanismi distorsivi nel mercato del lavoro regionale, quali solidarietà contrattuali statiche e non competitive nella gestione di appalti e sub-appalti, rapporti di scambio su raccomandazione per i reclutamenti, ridotta incentivazione nella domanda e nell’offerta per la formazione specialistica delle risorse umane.

La domanda di lavoro da parte delle imprese manifatturiere e dei servizi nei prossimi due anni mostra una bassissima capacità di assorbimento di capitale umano qualificato in particolare nel comparto terziaria a dimostrazione di un basso processo di innovazione.

Per quanto attiene il mercato del lavoro regionale, l’indicatore più significativo, rappresentato dal tasso di attività, cioè dal rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione totale da 15 anni in su, si mantiene relativamente stabili nel tempo. Questo indicatore, che può essere interpretato come una misura sintetica dell’offerta di lavoro, relativamente alla popolazione residente, oscilla in Sardegna intorno a valori compresi tra il 45-46% sin dalla seconda metà degli anni ‘70. Esso ha raggiunto la punta massima del 50% nel 1992, per poi ridiscendere ai suoi livelli abituali al di sotto del 47%. Negli ultimi anni, la punta massima è stata toccata nell’aprile 1999, con un valore del 46,9%, ma nel gennaio di quest’anno il suo valore è ridisceso al 45,8%. In valore assoluto, le forze di lavoro rilevate nell’Isola a gennaio di quest’anno sono risultate pari a 640 mila unità, con una netta tendenza verso la diminuzione rispetto al valore medio registrato nel 1997.

Forze di lavoro, tassi di disoccupazione e di attività in Sardegna

Periodi

Occupati
(migliaia)

In cerca di occupazione (migliaia)

Forze lavoro
(migliaia)

Tasso di disoccupazione

Tasso di attività

 

Media 1997

494

130

662

20,9

45,5

Media 1998

494

135

629

21,4

46,0

Aprile 1999

501

142

644

22,1

46,9

Gennaio 2000

498

142

640

22,1

45,8

Fonte: ISTAT, Indagine trimestrale sulle forze di lavoro.

Il tasso di occupazione, invece, può essere considerato come un indicatore sintetico della domanda di lavoro, sempre in relazione alla popolazione potenzialmente attiva, cioè a quella compresa tra i 15-64 anni. Il tasso di occupazione in Sardegna è diminuito dal 46,5% nel 1977 al 42,2% nel 1998, in ciò assecondando una tendenza generale verso la diminuzione presente in questo periodo anche in Italia. L’attuale tasso di occupazione in Sardegna implica che su quattro persone in età compresa tra 15-64 anni, lavorano solo 1,7 persone, mentre lo stesso dato in Italia è pari a 2. Rispetto al totale della popolazione, includendo quindi anche i minori di 14 anni e gli anziani, il tasso di occupazione in Sardegna nel 1999 è risultato pari al 36,9%, il che significa che mediamente ogni lavoratore sardo ha a carico altre due persone.

La maggiore evidenza delle debolissime condizioni del mercato del lavoro regionale sono sintetizzate da questo indicatore ancora meglio di quanto non faccia il tasso di disoccupazione, anche se le sue più recenti evoluzioni mostrano una leggera tendenza al rialzo. Nel 1999, infatti, il tasso di occupazione regionale si è attestato sul 43,9%, con un recupero di 1,7 punti percentuali sul 1998, che rispecchia un recupero analogo verificatosi anche a livello nazionale (dal 50,8 nel 1998 al 52,5% nel 1999). Tale incremento riguarda essenzialmente le classi di età mature, dai 25 anni in su, mentre per le classi giovanili il tasso in questione è diminuito dal 15,8% nel 1998 al 15,4% nel 1999.

Peraltro, la scomposizione di questo indicatore per genere e classi di età conferma che anche in Sardegna il problema occupazionale riguarda essenzialmente i giovani e le donne, mentre per quanto riguarda i maschi della fascia principale di età (30-64 anni) il problema si presenta relativamente meno drammatico. Il corrispondente tasso di occupazione regionale di questa classe di età, infatti, nel 1999 si è attestato sul 73%, contro un livello di poco superiore nella media nazionale (76,5%). Le differenze, anche molto consistenti, sorgono invece con riferimento all’occupazione giovanile e femminile. Per quanto riguarda i giovani, ovvero la classe di età compresa tra 15-24 anni, il tasso di occupazione medio in Sardegna nel 1999 è risultato del 15,4%, di molto inferiore al corrispondente tasso nazionale (25,2%).

Per le donne, poi, anche se il tasso di occupazione complessivo è leggermente migliorato passando dal 26,4% nel 1998 al 28,2% nell’anno successivo, la situazione del mercato del lavoro resta molto debole. Di fatto, mediamente solo una donna su quattro lavora in Sardegna, mentre in Italia il tasso di occupazione femminile è superiore di dieci punti percentuali a quello regionale (38,3%). Tra le giovani donne (classe di età 15-24 anni), infine, solo il 10,6% risultano occupate in Sardegna, contro valori medi pari al 21,3% in Italia.

Peraltro, la distribuzione settoriale dell’occupazione in Sardegna mostra una netta prevalenza dell’occupazione nel settore dei servizi (69% nell’indagine del gennaio 2000), di cui il 17% riguarda il settore del commercio. Scarso risulta il contributo degli altri settori, suddiviso tra meno del 9% in agricoltura, il 10,6% nell’industria in senso stretto e l’11,7% nel settore delle costruzioni. In valori assoluti, l’occupazione regionale negli ultimi due anni si è attestata intorno alle 500 mila unità, meno, come si è già detto, di un terzo dell’intera popolazione dell’Isola.

Alla debolezza del mercato del lavoro regionale in termini di tasso di occupazione fa da riscontro altrettanta debolezza in termini di tasso di disoccupazione. Il problema della disoccupazione si è andato aggravando in Sardegna dopo il 1978. Sino a tale anno, infatti, il tasso di disoccupazione regionale era ancora contenuto al di sotto del 12%. A partire dal 1979, invece, esso balza subito oltre il 14% e va continuamente crescendo negli anni successivi, sino a raggiungere il 21,5% nel 1985, per poi rimanere su livelli compresi tra il 18 e il 21%.

1.1.3. - Mercato del lavoro Inizio Pagina

vedi tabelle Installa Acrobat

 

1.1.4. - Situazione economica e divari regionali

Il valore del PIL per abitante in Sardegna, in p.p.a. nel 1996, ammonta a 25.417 milioni di lire circa, pari al 70,64% del dato nazionale e al 72,51% di quello europeo, in calo rispetto alla media triennale1994/1996, in cui il dato nazionale ed europeo erano rispettivamente del 72,55% e del 74,05%.

Nel complesso, gli indicatori disponibili evidenziano una economia regionale sprovvista di significativi elementi di dinamicità e caratterizzata da deboli segnali di ripresa.

INDICATORI

SARDEGNA

ITALIA

UE

A

C

A/C (Val.%)

D

A/D (Val.%)

Popolazione x 1.000 (1996)

1.662

57.397

2,90

373.607

0,44

Popolazione (1996) - EUR 15 = 100

0,44

15,36

 

100

 

Superficie Kmq/1000

24

301

7,97

3.191

 

Densità (1996)

69

190

36,84

117

 

PIL/ab 1996 (Ecu – PPA) *

13.127

18.584

70,64

18.103

72,51

PIL/ab (media 1994/95/96) *

12.868

17.736

72,55

17.379

74,05

Occupati (1996)

489

20.088

 

 

 

% Occupati agricoltura

11,4

7,9

 

 

 

% Occupati industria

21,8

28,3

 

 

 

% Occupati servizi

66,7

63,8

 

 

 

Tasso disocc. (1996)

21

12,1

 

 

 

Tasso disocc. 15-24 anni

49,5

33,8

 

 

 

(*) Fonte: EUROSTAT (16.11.98)

I dati relativi al 1996 evidenziano che il settore agricolo, pur impiegando l’11,4% degli occupati (pari a 61,3 migliaia di unità) produce solo il 6,3% del valore aggiunto regionale (pari a 1.439.255 milioni di lire correnti). Le ragioni della bassa redditività nell’agricoltura sarda sono evidenziate anche dal fatto che quasi l’80% della superficie agraria e forestale della Sardegna ricade in zone svantaggiate ai sensi della Direttiva 75/268/CEE. L’agricoltura sarda si caratterizza per l’elevata incidenza dei pascoli e dei prati pascoli sulla superficie agricola utilizzata; la bassa diffusione dell’irrigazione; il basso grado di meccanizzazione; la bassa produttività della terra; la modesta dimensione economica delle aziende. Nel 1996, il valore della PLV sarda è di 2.109 miliardi di lire, di cui circa il 60% proviene dal settore zootecnico e il 26,3% dalle produzioni erbacee e arboree. Secondo il 7° Censimento generale dell’industria del 1991, nell’industria agro-alimentare sarda si contano 2.059 imprese con 10.748 addetti. Le imprese artigiane sono 1.490 ed occupano 5.398 addetti. I settori di maggior rilievo sono quelli dei prodotti lattiero-caseari ovini, viticoli, olivicoli, orticoli e del grano duro. Il saldo della bilancia agro-alimentare si presenta ancora fortemente negativo
(-331.783 milioni di lire nel 1996) a causa dello squilibrio strutturale del settore primario, il cui saldo normalizzato, negli ultimi anni, è sempre inferiore a -90%. Soltanto quella relativa all’industria alimentare evidenzia un attivo: i prodotti per i quali esiste una prevalenza delle esportazioni sulle importazioni sono soprattutto quelli con forti connotazioni di tipicità.

Il settore alieutico sardo si trova a dover affrontare problemi analoghi a quelli della maggior parte degli operatori della pesca in ogni altra parte del Mediterraneo. Il sovrasfruttamento, con la conseguente contrazione degli stock, degli sbarchi e quindi dei redditi, rappresenta la principale minaccia che incombe sul futuro degli stock e del settore in se. La piattaforma continentale assai stretta ha condizionato la natura della pesca nella regione. Le attività di pesca si svolgono prevalentemente nella fascia litoranea e sono praticate da numerose navi di piccole dimensioni. Alcune specie altamente migratrici come il tonno vengono pescate anche in alto mare. Le specie maggiormente catturate sono il nasello, il dentice, la sogliola, la triglia, i gamberi, il tonno rosso, il tonno bianco e il pesce spada.

La flotta da pesca della Sardegna risulta, attualmente, costituita da 1323 battelli, pari a 1.567 Tsl di tonnellaggio complessivo, 12.217 metri di Lft ed una potenza motoristica totale di 104.978 kw.

Da numerosi indicatori, quali le caratteristiche tecniche e le dimensioni delle imbarcazioni e la polverizzazione della presenza della flotta lungo il litorale isolano, si desume la connotazione marcatamente artigianale del settore. Su un totale di 1.021 natanti motorizzati, l’87% non superano le 10 Tsl e solamente 10 natanti, pari allo 0,7%, superano le 100 Tsl. Il tonnellaggio medio è, quindi, pari circa a 9.9 Tsl, mentre la potenza dei motori non raggiunge i 104 Kw per battello. In sostanza il 97% di tutta la flotta da pesca è inferiore a 51 Tsl e operano principalmente entro la fascia delle 12 miglia. La percentuale dei natanti con età inferiore a 10 anni è nel complesso modesta (circa il 3.7%), mentre i battelli con età maggiore di 20 anni (praticano in genere la pesca a strascico) rappresentano il 25% del totale(età media pari a 29 anni). Le caratteristiche delineate sono in linea con quelle nazionali e, più general­mente, con quelle relative alle flotte operanti nel Mediterraneo.

L’estensione della costa, la presenza di numerose aree umide e le favorevoli condizioni meteo-climatiche contribuiscono a definire per la Sardegna un quadro favorevole all’espansione delle attività di acquacoltura. Gli stagni sono circa 59 e interessano una superficie globale di 14.400 ettari. Attualmente risultano funzionanti 35 impianti di allevamento, tutti bisognosi di ristrutturazione: 15 sono caratterizzati da attività di tipo intensivo e 20 praticano l’allevamento estensivo in circa 9.564 ettari di zone umide. La produzione complessiva regionale, è valutabile in circa 1.250 tonnellate annue per le specie eurialine, ed è destinata ad aumentare grazie agli impianti che, a breve, entreranno a regime.

Per quanto riguarda le strutture portuali, in Sardegna vi sono numerosi punti di sbarco, distribuiti, però, in modo non uniforme e scarsamente dotati di servizi di supporto alla pesca.

Anche gli impianti di trasformazione risultano carenti: esiste, infatti, un solo impianto per la produzione di affumicati ed un grande stabilimento (a rilevanza nazionale) per la conservazione del tonno. Sono, inoltre, operativi 6 stabulatori, ma la lavorazione complessiva annua raggiunge solo i 60.000 quintali di prodotto.

Il sistema turistico regionale è basato essenzialmente sul prodotto marino-balneare. L’offerta ricettiva alberghiera ed extralberghiera è costituita da 1.028 strutture. La ricettività alberghiera conta 661 strutture e 67.442 posti letto; risulta caratterizzata da una tendenza ad addensarsi sulle aree costiere e da una insufficiente diversificazione delle tipologie ricettive rispetto alla domanda. La ricettività alberghiera sarda costituisce quasi il 2% di quella nazionale, mentre il numero dei posti letto rappresenta il 3,8% dell’intero patrimonio nazionale. La quota di strutture ricettive regionali è pari a 0,4 per 1000 residenti (valore medio nazionale: 0,6; valore medio del mezzogiorno: 0,3). Il numero di camere per albergo è 45,1 (valore medio italiano 28,0; valore medio del mezzogiorno 37,6); il numero dei posti letto è di 40,6 x 1.000 abitanti (30,8 Italia). I dati inerenti l’utilizzazione delle strutture alberghiere, e in particolare il basso indice di utilizzazione lorda (22,8) evidenzia tuttavia il sottoutilizzo delle strutture ricettive in gran parte dell’anno.

Le aree che fungono da baricentro alla attività turistica sono quelle di Cagliari, di Sassari e di Olbia. In alcune aree molto vicine a questi principali poli di attività turistica e urbana, l’offerta appare sempre più articolata ed in via di consolidamento, sebbene ancora fortemente orientata al segmento marino-balneare. Il movimento turistico regionale espresso in giornate/presenze rappresenta quasi il 3% di quello nazionale, con concentrazione di flussi nei mesi estivi e punte massime in luglio-agosto. Per quanto riguarda la composizione percentuale delle presenze, la quota maggiore (quasi l’80%) è costituita dagli italiani; la componente straniera rappresenta l’1,02 del dato a livello nazionale, segno di un’ancora scarsa riconoscibilità del prodotto “Sardegna” sui mercati esteri. Il V.A. del settore nel 1997 ha un’incidenza sul PIL regionale di circa il 3,75%, largamente inferiore a quello nazionale che è pari a circa il 6%.

Infine, il settore del diportismo nautico, che comprende un numero di posti barca potenziali pubblici e privati pari a 14.000, a fronte di una domanda attuale di 5.000-6.000 unità, sarà adeguato quando la potenzialità diventerà servizio effettivo una volta realizzati i necessari completamenti funzionali,.

Nel settore industriale e artigianale, le PMI sarde sono caratterizzate da una assoluta prevalenza delle micro-imprese: il 47,3% delle imprese del settore industriale ha un solo addetto; un ulteriore 39,0% è rappresentato dalle imprese con un numero di addetti da 2 a 5; solo il 13,7 delle imprese industriali ha un numero di addetti superiore alle cinque unità.. In termini di dinamica della produttività, il raffronto con le altre regioni evidenzia una perdita di efficienza e competitività della Sardegna nel corso degli anni ‘90. Nel periodo 1991-96 il V.A. per unità di lavoro è cresciuto in Sardegna dell’1,2%: nello stesso periodo la crescita meridionale è stata del 2,4%, e quella italiana del 3,1%.

Quanto al grado di specializzazione della produzione, che costituisce un indicatore di competitività, una recente ricerca pubblicata dallo Svimez riporta alcuni indici di specializzazione settoriale relativa, fondati sulla capacità di export in tre anni di riferimento (1985, 1990, 1995). La Sardegna, rispetto al contesto nazionale, risulta stabilmente specializzata (ossia con continuità negli anni di riferimento) nell’industria chimica (ad alto valore aggiunto e con domanda elevata) e nei prodotti in plastica (a basso valore aggiunto e con domanda elevata), mentre è debolmente specializzata (ossia con discontinuità negli anni di riferimento) nel comparto alimentare (a medio valore aggiunto e con domanda debole) e nei derivati da carbone e petrolio (alto valore aggiunto, domanda debole).Le ultime tendenze mostrano una buona dinamica di iniziative imprenditoriali in alcuni comparti dei servizi (telematica, telecomunicazioni). La bilancia commerciale sarda, nel triennio 1993-1995, mostra saldi attivi (in termini di valore) solo nel tessile, nel metallurgico, nel chimico e affini.

Gli unici distretti o proto distretti presenti nel territorio regionale sono legati alle risorse locali, quali il granito, il sughero, la tessitura e le produzioni lattiero-casearie; tali distretti hanno precisi riferimenti territoriali: la Gallura per il granito ed il sughero, il Mandrolisai per la tessitura, il Meilogu ed il Marghine per il lattiero-caseario.

Il sistema regionale della Ricerca e Innovazione Tecnologica presenta un buon livello dell’offerta da parte del sistema pubblico (Università, Enti Nazionali e Regionali di ricerca: i dati sono descritti analiticamente nel P.O.N. del MURST) e pubblico-privato (Parco Scientifico e Tecnologico). Grazie agli interventi dello scorso periodo di programmazione sono stati realizzati centri di ricerca e sviluppo tecnologico di alto livello e, in alcuni casi, di eccellenza, con la partecipazione della Regione, delle Università e di privati nelle filiere prioritarie per lo sviluppo d’impresa (biotecnologie, ambiente, informatica e comunicazioni, materiali). Risulta invece scarsa la capacità di ricezione delle innovazioni da parte del sistema produttivo il cui contributo (espresso dal 18,1% delle imprese sarde, contro il 33,1% per l’Italia) alle spese innovative in Italia è pari allo 0,9%, anche se, a differenza del meridione e in linea con i valori italiani, tale spesa è indirizzata all’acquisto di brevetti, prove e marketing (dati ISTAT 1992). Altro dato preoccupante è quello della spesa in R&S, pari, nel 1997, allo 0,6% del PIL regionale: mentre per la parte pubblica è in linea con i valori del mezzogiorno, pur certamente bassi, il dato della spesa delle imprese è di molto inferiore (0,3% contro il 2,1% del mezzogiorno) e in calo, così come è diminuito, tra il 1993 e il 1995, il numero di addetti del settore.

Per quanto concerne le reti infrastrutturali il divario è ben evidenziato nella tabella che segue:

Regione

Strade e Autostrade

Ferrovie

Porti

Aeroporti

Infrastrutture idriche

Metanodotti

 

Lombardia

139,7

113,9

22,2

176,4

181,4

154,7

Veneto

117,7

103,5

163,1

56,5

205,3

103,5

Lazio

113,9

113,4

93,8

138,8

121,1

125,9

Nord-Ovest

129,9

129,0

61,1

122,3

180,6

135,9

Mezzogiorno

70,5

92,5

104,2

41,8

88,2

71,0

Sardegna

41,3

40,1

218,4*

47,4

68,4

0,0

Basilicata

51,3

49,3

50,4

31,7

67,7

72,6

Calabria

60,6

73,6

58,4

39,5

58,5

58,4

Sicilia

60,6

63,8

99,1

42,3

71,4

66,5

Puglia

61,2

71,1

112,7

43,4

118,6

83,4

*    Il dato sulla dotazione di porti in Sardegna è connesso alla particolare condizione insulare, pertanto non indica una dotazione di forza e non può essere rapportato a quello delle altre regioni, neppure al dato della Sicilia, che usufruisce di una direttrice di collegamento rapido con la Penisola.

Le principali inefficienze del sistema dei trasporti, riguardano tre fondamentali tematiche:

§         l’inadeguatezza dei collegamenti rispetto ai territori ed ai mercati nazionali, sia per le merci che per la mobilità delle persone;

§         l’assoluta insufficienza della rete dei collegamenti veloci all’interno dell’isola;

§         la debolissima concorrenzialità del sistema di trasporto pubblico, nei contesti metropolitani, rispetto all’auto privata.

Per quanto riguarda il sistema stradale l’isola, unica tra tutte le Regioni d’Itala, è rimasta storicamente esclusa dai flussi di risorse relativi alla realizzazione delle reti autostradali. La rete esistente non consente collegamenti rapidi e sicuri tra tutti i centri di maggiore importanza, i porti, gli aeroporti, gli snodi per il collegamento alla rete dei grandi collegamenti nazionali ed Europei.

Il sistema ferroviario sardo è ancora quello degli inizi del secolo: la rete ferroviaria regionale si sviluppa su circa 1100 km di rete, di cui circa 435 sono a scartamento ordinario; di questi, 16 km sono a doppio binario (nella penisola il 55%); non esistono tratte elettrificate. La velocità media di percorrenza della rete oscilla dai 33 km/ora delle tratte ferroviarie montane ai 60-70 km/ora delle rete FS. La scarsa presenza di raccordi intermodali tra gli scali marittimi e le altre modalità di trasporto, passeggeri e merci rende il ruolo delle ferrovie assai limitato, con ciò incidendo negativamente sui livelli di servizio e impedendo ogni possibile crescita della mobilità merci su ferro.

Il sistema portuale della Sardegna evidenzia indicatori solo in apparenza elevati, cui fanno riscontro gravi carenze sia negli scali passeggeri che negli scali industriali. Va, peraltro, sottolineata l’importanza che l’apertura del porto canale di Cagliari avrà sull’evoluzione del settore della movimentazione delle merci.

I collegamenti aerei rappresentano per la Sardegna, come per la generalità delle regioni periferiche, l’unica forma di collegamento veloce alla penisola. Peraltro alla perifericità dell’isola non corrisponde una dotazione adeguata di voli ed il servizio è, ancora, caratterizzato da un elevato livello delle tariffe, dalla rarità di collegamenti diretti e dalla frequente saturazione dei posti/aereo disponibili.

Con riferimento alla società dell’informazione, a livello infrastrutturale la rete di giunzione (tra centrale e centrale) è di livello soddisfacente, essendo già in gran parte realizzata in fibra ottica. Per quanto riguarda la rete di distribuzione (dalle centrali alle utenze), il cablaggio su rame è già sufficiente per la telematica non multimediale, mentre il passaggio su fibra ottica è ancora da definire. Per governare lo sviluppo che le nuove tecnologie dell’informazione avranno sul tessuto socio economico dell’isola, la Regione ha elaborato un Piano Telematico regionale.

Il Piano telematico, in particolare, definisce un insieme di servizi a valore aggiunto erogabili alla Pubblica Amministrazione nel suo complesso, al mondo delle imprese e ai cittadini. I progetti che lo compongono attivabili con le infrastrutture di rete attualmente esistenti. Essi sono riferibili alle seguenti azioni:

§         Azione 1: Sistema Integrato Ufficio, con l’obiettivo di coadiuvare gli uffici dell’Amministrazione Regionale nell’aggiornamento dei propri standard operativi, anche in conseguenza di quanto previsto dalle normative europee, nazionali e regionali. L’azione si sviluppa secondo due sottoprogetti principali: 1) Gestione documentale e 2) Adeguamento e uniformazione dei servizi di rete.

§          Azione 2: Attivazione di un insieme di servizi specifici per i Comuni e le Comunità Montane della Sardegna, con l’obiettivo di agevolare l’approccio dei Comuni della Sardegna, soprattutto i più piccoli, ai servizi ottenibili per via telematica, rendendo disponibile quanto viene offerto da Ancitel-Ancinet (società che fornisce servizi all’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia) su scala regionale.

§          Azione 3: Attivazione del progetto relativo al Sistema Informativo per la Montagna (SIM) con l’obiettivo di fornire al cittadino un insieme di servizi informatizzati, particolarmente mirati alle esigenze del territorio preso in considerazione. Il progetto, promosso e finanziato dal Ministero per le Politiche Agricole e sottoposto alla supervisione dell’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA), costituisce un sistema distribuito ed eterogeneo di servizi di natura territoriale resi disponibili ad enti territoriali.

§         Azione 4: Integrazione SIM con altre iniziative di interesse regionale con l’obiettivo di rendere operativi durante tutto l’anno i servizi telematici per la prevenzione incendi, e integrare le basi dati di tale servizio con quelle del SIM.

§         Azione 5: Progetto pilota di valorizzazione culturale e turistica con l’obiettivo di valorizzare e contribuire ad inserire nei circuiti turistici internazionali uno o più “percorsi” di interesse archeologico, monumentale e naturalistico della Sardegna, utilizzando gli strumenti della telematica e realizzando un percorso virtuale integrato.

§         Azione 6: Orientamento giovanile con l’obiettivo di diffondere capillarmente le informazioni sul mercato del lavoro, sulle opportunità formative e sulla socializzazione e aggregazione dei giovani nei centri di informazione, utilizzando lo strumento dell’Internet e opportune azioni di marketing di rete.

§         Azione 7: Servizi telematici per le imprese con l’obiettivo di promuovere la fruizione di un primo articolato insieme di fattori innovativi a favore delle PMI regionali da veicolare attraverso rete telematica, attraverso l’accesso ad un servizio di informazione ad alto valore aggiunto, nonché attraverso la realizzazione di processi di innovazione fondati sullo sviluppo di tecniche di marketing telematico finalizzati a favorire l’apertura delle stesse PMI verso mercati extra-regionali.

Per quanto attiene le risorse idriche, negli ultimi 10 anni si è registrata una variazione negativa nel regime delle precipitazioni, che ha portato ad una drastica riduzione dei corrispondenti deflussi nei corsi d’acqua, che hanno raggiunto, a seconda della zona idrografica, valori pari al 45-65% del deflusso registrato nei 50 anni 1925-1975.

Infatti, nonostante esistano nell’isola circa 45 laghi artificiali con una capacità di regolazione di circa 2.250 milioni di mc., l’acqua invasata risulta ampiamente insufficiente a soddisfare la domanda. Alle motivazioni climatiche vanno aggiunte quelle di un inadeguato sistema gestionale. Esiste un ritardo infrastrutturale nel completamento dei sistemi di approvvigionamento (potabile, industriale, irriguo e misto) che presenta elevati livelli di perdite nelle reti e negli adduttori, e nell’organizzazione del sistema di depurazione. A questo proposito, occorre dare completa attuazione alla L.N. 36/94, laddove prevede in particolare l’individuazione di un soggetto di governo unico della risorsa, responsabile della predisposizione di un piano di “ciclo integrato dell’acqua”.

Per quanto attiene il sistema energetico, la Sardegna presenta le seguenti caratteristiche e anomalie: pressoché totale dipendenza energetica dall’esterno (Sardegna 98%, Italia 80%, U.E. 50%); assenza di diversificazione delle fonti di energia primaria con una dipendenza dal petrolio del 94%; produzione di energia elettrica basata essenzialmente sugli impianti termoelettrici (97% della produzione); consumi finali per usi energetici caratterizzati da un’incidenza dei prodotti petroliferi del 73%. Particolarmente grave e penalizzante è l’inesistenza di infrastrutture per l’approvvigionamento e la distribuzione di gas metano. In attuazione del POM 94-99 “Energia” del Ministero dell'Industria, sono state costruite e sono in corso di ultimazione, con contributi di capitale privato, delle reti funzionanti con gas propanato a Cagliari, Oristano, Sassari. Finanziata con la legge 266/97 una rete è in corso di costruzione anche a Nuoro.

1.1.5. - Analisi della situazione ambientale Inizio Pagina

Il rilevante patrimonio naturale esistente nell’isola rappresenta una risorsa strategica che la Regione intende valorizzare e salvaguardare. Per conseguire questo obiettivo sono di fondamentale importanza la realizzazione o il miglioramento delle reti di monitoraggio.

Qui di seguito si sintetizza la situazione ambientale della regione, risultante dalle informazioni e dati attualmente disponibili. Il testo completo dell'Analisi della situazione ambientale è riportato in allegato al POR

Emissioni climalteranti

Anidride carbonica (CO2) - Nel 1995 le emissioni hanno di poco superato i 15 milioni di tonnellate (8,8 t. per abitante, contro la media nazionale di 7,1 t.), pari al 3,5% delle emissioni nazionali provenienti da processi energetici, registrando negli anni di riferimento una crescita di circa 2,5 milioni di tonnellate, pari al 20%.

Anidride solforosa (SO2) - Nel 1995 le emissioni hanno raggiunto poco più di 100.000 t., pari a circa 8% del totale nazionale e a 60 t. per 1000 abitanti, contro una media nazionale di 22 t. registrando negli anni di riferimento un aumento medio annuo dell’1,2%, contro un decremento del 6,6% nella media nazionale. L’aumento più rilevante si è avuto per le emissioni industriali (+25), attribuibili in buona misura agli impianti di produzione industriale e di energia.

Ossidi di azoto (Nox) - Le emissioni nel 1995 sono arrivate a circa 70.000 t., pari a poco meno del 4% del totale nazionale, ovvero a 41 t. per 1000 abitanti, contro le 32 t. della media nazionale, registrando nel periodo considerato un aumento delle emissioni (fatta eccezione per il settore energetico) dello 0,6% (soprattutto trasporti),

Composti Organici Volatili (COV) - Nel 1995 sono state stimate 32.000 t di COV non metanici, pari a circa il 2,5 % del totale nazionale. La media pro-capite è di poco inferiore alle 20 t per 1000 abitanti, contro le 24 t nazionali.

Ossido di Carbonio (CO) - Nel 1995 sono state emesse sul territorio regionale poco meno di 180.000 t. di CO con un’incidenza sul totale nazionale del 2,5%. La quantità pro-capite negli anni di riferimento, per quanto in netta crescita (+2,5% annuo), è sensibilmente più bassa della media nazionale. Il settore cui è imputabile il maggiore contributo alle emissioni di CO è quello dei trasporti.

Particolato (PTS) - Nel 1992, anno per il quale si dispone dell’ultimo dato nazionale, le emissioni nell’Isola hanno inciso sul totale nazionale per poco più del 2%, la percentuale più bassa tra i sei inquinanti considerati. La quantità emessa per 1.000 abitanti è pari a circa 9,5 t., rispetto alle 13 t. della media nazionale.

Il confronto tra la composizione percentuale delle emissioni regionali e nazionali evidenzia contributi settoriali nettamente diversi. L’industria, che contribuisce per il 73% alle emissioni nazionali, a livello regionale pesa per meno del 10%; ai trasporti è imputabile circa un quarto delle emissioni regionali, contro un dato nazionale di poco superiore al 10%. Ancora più marcata la differenza nel settore di produzione di energia alla quale a livello regionale è imputabile il 63% delle emissioni, mentre a livello nazionale non raggiunge il 10%. Il settore civile, che a livello nazionale contribuisce con l’8% , a livello regionale non oltrepassa l'1%, mentre al settore agricolo è imputabile il 5% delle emissioni regionali.

Qualità dell’aria

In Sardegna è stata realizzato un sistema di reti locali di rilevamento della qualità dell’aria nelle principali aree industriali e urbane. Dalle rilevazioni si evince una situazione di elevata criticità in tutta l’area di Portoscuso/Portovesme, di Sarroch/Macchiareddu, di Ottana e di Porto Torres (SS), che rappresentano i principali poli industriali della Sardegna.

Rifiuti

La regione, a seguito dell’attuazione dello Studio di aggiornamento del Piano di smaltimento dei rifiuti urbani, speciali, tossici e nocivi del 1992, è divisa in 15 bacini. In generale, solo il 20% dei rifiuti viene trattato negli impianti, mentre l’80% continua ad essere smaltito in discarica.

L’attuale produzione di rifiuti urbani è stata quantificata in circa 730.000 tonnellate/anno. La gestione degli impianti e delle discariche è assicurata principalmente dai Consorzi Industriali e dalle Comunità Montane. La raccolta indifferenziata viene affidata generalmente ad un concessionario, ma è ancora significativo (20%) il numero dei Comuni che gestisce il servizio in economia. La forma di gestione consortile sta acquisendo sempre maggiore importanza ed, attualmente, coinvolge il 14% dei Comuni, per lo più concentrati nella provincia di Oristano. La raccolta differenziata coinvolge solo lo 0,6% del totale e il 15% dei Comuni e riguarda, soprattutto, carta, plastica, ex RUP. La raccolta del vetro è la più diffusa (50% dei Comuni), ma i gettiti sono molto modesti. È assente, invece, quella dell’organico. La provincia di Cagliari è quella che contribuisce alla maggiore produzione di rifiuti speciali di origine industriale (circa l’80% dell’intera Regione).

Gli impianti di smaltimento dei rifiuti speciali risentono della peculiarità del sistema produttivo isolano. Si hanno prevalentemente impianti destinati al trattamento/smaltimento di singole tipologie di rifiuti che le industrie più rilevanti hanno attivato con esercizio “conto proprio”. Le attività di recupero dei rifiuti speciali sono per lo più derivanti dagli impianti di produzione di energia alimentati a carbone (circa 40.000 t/a) ed ai residui derivanti dalle attività di lavorazione del granito (60.000 t/a,). Altre attività di recupero significative sono legate ai rifiuti dell’agroindustria, in particolare derivanti dalle attività lattiero-casearie, con produzione di mangimi per animali. Nel periodo 97/98 sono stati esportati verso i paesi appartenenti alla comunità europea circa 76.800 t. di rifiuti, di cui: 56.000 t. di residui da forno a sale, derivanti da passate produzioni, e circa 20.000 t. di rifiuti costituiti da peci clorurate. Per quanto riguarda la bonifica dei siti inquinati, la Regione, sulla base delle indicazioni del DM n.185 del 16/05/1989, si è dotata di un Piano, attualmente in fase di aggiornamento. Riveste, comunque, carattere di assoluta priorità il disinquinamento e la riabilitazione delle aree minerarie dismesse per le quali il Ministero dell’Ambiente, la Regione Autonoma della Sardegna e l’Ente Minerario Sardo (EMSA) hanno sottoscritto, in data 25/01/1997, un’intesa di Programma e predisposto un piano di intervento. Per quanto riguarda i rifiuti speciali, l’area che desta maggiori preoccupazioni è quella del Sulcis-Iglesiente, già dichiarata “area ad elevato rischio di crisi ambientale”, dove vengono prodotti circa il 65% di rifiuti speciali dell’isola.

Acqua

La qualità delle acque destinate ad uso potabile è preoccupante: la totalità delle stazioni di campionamento si trova, infatti, nelle classi A2, A3 e Sub A3 e nessuna nella classe A1, in quanto 23 dei 45 laghi artificiali con destinazione idropotabile sono eutrofici e ipertrofici. Le cause sono dovute soprattutto alle caratteristiche dei terreni dove sono state invasate le acque e allo sversamento diretto o indiretto di reflui non trattati in maniera ottimale.

La situazione è, invece, di sostanziale “buono stato” per quanto riguarda le acque destinate alla balneazione (DPR 470/82), in quanto su un totale di 1.849 km di costa: 981 Km circa risultano balneabili; 57 Km circa risultano permanentemente vietati per inquinamento; 550 Km circa non risultano controllabili, perché inaccessibili con i mezzi a disposizione; 260 Km circa risultano interdetti permanentemente per motivi indipendenti all’inquinamento (es.: presenza di porti).

Per quanto riguarda le acque idonee alla vita dei pesci Salmonicoli e Ciprinicoli, è stata approvata la classificazione dei corsi d’acqua da sottoporre a particolare protezione (Decreto legislativo 130/92), mentre numerosi tratti di costa e aree salmastre sono stati dichiarati idonei all’allevamento e alla raccolta dei molluschi bivalvi e gasteropodi (Decreto legislativo 131/92).

La domanda di infrastrutture fognario-depurative, pur avendo registrato negli ultimi anni un’evoluzione positiva, è ancora elevata; infatti, solo l’85% della popolazione è servita da fognature e solo il 68% è servita da impianti di depurazione. Su 22 agglomerati industriali, 3 sono privi di impianti di trattamento delle acque reflue; gli altri, oltre ai reflui industriali, trattano anche quelli civili. Non vi sono impianti di depurazione di reflui conformi alla Direttiva 271/91/CEE, anche se i progetti per la realizzazione di 10 schemi fognario-depurativi, attualmente in corso di appalto, sono stati predisposti nel rispetto di tale norma. Si rileva, fra le altre problematiche, quella di adeguare e migliorare le infrastrutture che servono molti dei centri più grossi dell’isola.

Rischi tecnologici

In Sardegna sono presenti 13 insediamenti industriali soggetti a dichiarazione e 19 soggetti a notifica, ai sensi della normativa DPR.175/88. La situazione sarà aggiornata alla luce di quanto previsto dal D. Lgs. 17/8/1999 n.334.

Suolo

La situazione idrogeologica è caratterizzata da 7 bacini idrografici nei quali sono stati individuati 227 bacini montani. Di questi: 115 (circa 223.126 ha, 74 Comuni) sono classificati a rischio di erosione da medio a forte; 11 (circa 14.000 ha) a rischio forte e 104 (circa 208.000 ha) a “basso rischio”.

Una delle cause del dissesto è, sicuramente, da ricondurre ai numerosi incendi che ogni anno interessano il territorio regionale. Peraltro, si deve positivamente rilavare che la superficie boscata, è pari a complessivi 899.287 Ha, di cui 309.598 di boschi di alto fusto (fustaie) e 223.892 Ha di cedui. Tra le fustaie di latifoglie la sughera occupa una superficie pari a 116.665 Ha.

Natura e biodiversità

Per quanto riguarda l’istituzione di aree naturali protette regionali, di recente sono state approvate le leggi istitutive dei parchi di Molentargius (circa 1.622 ha) e di Porto Conte, e istituiti 16 monumenti naturali previsti dalla L.R. 31/1989.

Sono stati istituiti anche i parchi nazionali geomarini dell’Asinara (circa 4.800 ha) e dell’Arcipelago de La Maddalena (circa 4.937 ha), che rientra anche nel parco marino internazionale delle Bocche di Bonifacio. Attualmente la loro gestione provvisoria, in attesa dell’istituzione dell’Ente parco, è affidata ai rispettivi Comitati di gestione. È stato, invece, sospeso il decreto relativo all’istituzione del parco del Gennargentu-Golfo di Orosei. Risulta, inoltre, di prossima istituzione l’area marina protetta di Capo Caccia-Isola Piana, mentre sono già state istituite quelle di: Sinis-Isola di Mal di Ventre, Capo Carbonara e Tavolara-Capo Coda Cavallo.

Attraverso il progetto Bioitaly e in attuazione della direttiva Habitat, sono stati individuati ben 114 siti di interesse comunitario per un totale di circa 460.000 ha, molti dei quali ricadenti in aree parco, destinati a costituire una rete ecologica coerente di Zone Speciali di Conservazione, denominata “Natura 2000”. In proposito si segnala che per l’incremento delle ZPS sono in corso i necessari rapporti con il Ministero dell’Ambiente e che le proposte scaturiranno avuto riguardo per le risultanze del citato progetto Bioitaly e per le risposte del modello di monitoraggio realizzato.

Va, infine, evidenziato il riconoscimento, con atto ufficiale sottoscritto dall’UNESCO il 30.7.1998, del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna e l’istituzione del “santuario dei cetacei”, nella zona tirrenica compresa tra l’arcipelago de La Maddalena, l’Argentaria in Toscana, la Liguria, la costa francese fino a Marsiglia e l’isola dell’Asinara.

Stato di applicazione delle principali direttive in materia ambientale

Direttiva 85/337/CEE – Valutazione di impatto ambientale - La direttiva 85/337 (DPR 12/04/96) è stata recepita dall’art. 31 della L.R. n. 1 del 1999 recante “norme transitorie in materia di valutazione di impatto ambientale”. È stato, inoltre, predisposto un disegno di legge che recepisce la Direttiva 97/11/CE.

Direttiva 91/156 CEE, 91/689 CEE – Rifiuti e rifiuti pericolosi - In attuazione del decreto Legislativo 22/97 (Decreto Ronchi) la Regione ha predisposto il “Piano di Gestione dei rifiuti - sezione rifiuti urbani”, approvato con deliberazione della Giunta Regionale n. 57/2 del 17.11.98. Come previsto dalle Direttive, a breve il Piano verrà notificato alla Commissione europea. La sezione dei rifiuti speciali e bonifica dei siti inquinati è in corso di redazione. È, inoltre, in via di definizione un apposito ddl regionale di recepimento del decreto Ronchi dal titolo “Disciplina Regionale della Gestione dei rifiuti e degli imballaggi, della bonifica dei siti inquinati in attuazione del decreto legislativo n° 22/97”, che verrà portato a breve all’attenzione della Giunta Regionale.

Direttiva 91/271/CEE – Acque reflue urbane - La Regione, precedentemente all’emanazione del D. Lgs 152/99, aveva già recepito, con il decreto dell’Assessore Difesa dell’Ambiente n. 34/97, parte dei dettami della suddetta direttiva. Attualmente è in via di definizione e predisposizione un disegno di legge regionale di recepimento.

Direttive 79/409/CEE e 92/43/CEE – Uccelli selvatici e habitat - Le direttive sono state formalmente recepite con la L.R. 23/98 recante “Norme per la protezione della fauna selvatica in Sardegna e per l’esercizio venatorio”. La Regione, fin dal 1995, ha formalmente aderito (delibera n° 63/86 del 29/12/1995) al programma nazionale denominato “Bioitaly” che, in attuazione della direttiva 92/43, si proponeva di individuare nel territorio di ciascuna regione i siti di interesse comunitario in cui sono presenti specie di flora, fauna o habitat indicati negli allegati alla stessa direttiva. Come evidenziato, sono stati individuati e indicati allo Stato 114 siti di interesse comunitario affinché potessero essere proposti all’U.E. per far parte della costituenda rete natura 2000. È stato così possibile utilizzare le risorse finanziarie messe a disposizioni dal regolamento Life di supporto alla direttiva comunitaria 92/43/CEE. Al riguardo si sottolinea la premialità ottenuta dalla Regione Sardegna per numero di iniziative ammesse a finanziamento comunitario. Si dovrà provvedere al completamento dell’attuazione della direttiva “habitat”, in particolare all’individuazione delle prime norme di salvaguardia ed alle stime per il cofinanziamento delle azioni volte a mantenere i siti in uno stato soddisfacente di conservazione. Ulteriori azioni dovranno riguardare la definizione delle procedure per la valutazione dell’incidenza che piani, progetti e programmi possano determinare nei siti di interesse comunitario, coerentemente con quanto disposto dal regolamento attuativo approvato con D.P.R. 357/97. Infine, non trascurabile appare l’attività di monitoraggio dei siti, attività per la quale è stato esplicitamente richiesto un impegno costante e duraturo da parte della Regione. Sono state già fornite assicurazioni in proposito, indicando nel CFVA l’organo tecnico preposto ai controlli di campo e il modello realizzato dall’Assessorato quale elemento tecnologico di supporto.

Direttiva 91/676/CEE – Nitrati - Il decreto legislativo 152/99 recepisce la direttiva 91/676, pertanto il disegno di legge regionale in via di definizione in materia di ciclo integrato dell’acqua attuativo del suddetto D.Lgs.152/99 recepirà anche questa direttiva.

Normativa regionale per la Difesa delle risorse biologiche del mare (Pesca) - La normativa regionale del Settore della tutela e gestione delle risorse biologiche del mare con particolare riferimento alla disciplina dell’attività di pesca é caratterizzata da forte valenza ambientale volta a tutelare l’ambiente marino costiero e le risorse della pesca da sistemi di cattura particolarmente impattanti. Occorre evidenziare che la regolamentazione regionale pone precisi punti di riferimento negli obiettivi della politica comune della pesca ed in particolare nel Regolamento CE n°1626/94 del Consiglio del 27 giugno 1994 recante “Misure tecniche per la conservazione della pesca sul Mediterraneo”.

Normative regionali in materia di Parchi e Foreste - Legge Regionale 7 giugno 1989, n.31 e successive modifiche ed integrazioni “Norme in materia di parchi regionali”.

1.1.6. - Situazione in termini di pari opportunità Inizio Pagina

La realtà delle donne in Sardegna, in questi ultimi venti anni, appare sensibilmente cambiata: esse hanno acquisito maggiore consapevolezza della loro dignità e delle loro capacità, non solamente nella sfera privata ma anche e soprattutto nella vita pubblica e istituzionale; hanno conquistato nuovi spazi nel mondo del lavoro, anche in professioni fino ad oggi quasi prevalentemente maschili, hanno acquisito livelli di istruzione sempre più elevati, sorpassando la componente maschile nel raggiungimento dei titoli di studio e di migliori rendimenti scolastici, in tempi più brevi, anche nelle facoltà in cui fino a pochi anni fa le donne erano sotto rappresentate.

Permane una disparità per ciò che riguarda la presenza delle donne nei luoghi decisionali, nelle carriere direttive e nelle possibilità di accesso ai ruoli dirigenziali, una ripartizione diseguale del lavoro di cura, che rende tuttora faticosa per le donne la conciliazione della vita familiare con la vita professionale.

Da circa un ventennio, si assiste ad una forte tensione delle donne verso l’acquisizione di strumenti di partecipazione sociale, fra cui l’istruzione e il lavoro.

Al Censimento del 1991 in Sardegna si registra il vantaggio relativo delle donne rispetto agli uomini sotto il profilo della scolarizzazione (diplomate donne 16% contro il 14% maschi), anche se la situazione si presenta diversificata fra città e campagna. Le studentesse presentano minori tassi di ripetenza e una dispersione scolastica più contenuta. Inoltre, a partire dalla seconda metà degli anni 80 in Sardegna il numero delle laureate è aumentato con un ritmo progressivo e graduale. Il tasso di femminilizzazione è elevato, maggiore che negli altri contesti: il 53,9% per il diploma, il 48,6% per la laurea.

Per quanto attiene l’occupazione, la metà della popolazione in età lavorativa, dai 15 ai 70 anni, è femminile, ma la quota di donne che partecipa al mercato del lavoro rappresenta appena un terzo del volume complessivo dei lavoratori. L’incidenza della presenza femminile nel mercato del lavoro, come occupata e in cerca di occupazione, sul totale della popolazione femminile, è più che raddoppiata nel ventennio 61/81 (21,4%) e triplicata nel trentennio 61/91 (27,1%).

La discrasia tra i tassi di attività femminili e tassi di occupazione continua ad aumentare: le donne vogliono lavorare per il mercato e si attrezzano per questo, anche se lavorare talvolta è solo la ricerca di un lavoro o una situazione di precariato o in nero. Il mercato stenta ad assorbire questo aumento di offerta di forza lavoro femminile. Anche gli anni 90 evidenziano il permanere di questa tendenza. Nel 1997 il tasso di occupazione femminile è pari al 33,4% in Italia, in Sardegna al 23,7%.

Nel 1997 la struttura dell’occupazione per settore di attività economica mostra che l’occupazione femminile si concentra nel terziario, nelle attività di servizio e nel commercio (88,9%). La Sardegna, infatti, ha conosciuto un processo di industrializzazione tardivo e accidentato che ha visto l’assorbimento di quote insignificanti di forza lavoro femminile (6,3%) ed inoltre l’ingresso femminile nel mercato del lavoro ha coinciso col momento dell’espansione dei servizi. Molto bassa rimane la percentuale delle donne occupate in agricoltura (4,8%).

Per quanto riguarda la struttura dell’occupazione sotto il profilo dell’autonomia/dipendenza circa il 70% in complesso si concentra nel lavoro dipendente; lo scarto tra i dati della componente femminile e della componente maschile è del 15,9% a vantaggio del sesso femminile.

Pur tuttavia, vi è da segnalare che – a partire dagli anni 90 – assistiamo in Sardegna ad una significativa crescita dell’imprenditoria femminile nella forma della piccola e media impresa e della cooperativa, che appare più consona ad aumentare il lavoro delle donne e che, tra l’altro, viene indicata come il modello più adatto a creare sviluppo nell’ambito del territorio regionale. Le donne sono presenti prevalentemente nel settore terziario, nel commercio, nell’agricoltura, nel turismo. Un capitolo a parte merita l’artigianato artistico tradizionale, che è prevalentemente organizzato in forma cooperativa.

Considerando, invece, le pari opportunità da un punto di vista che prescinde dalla questione uomo-donna per affrontare la tematica più generale dell’esclusione sociale, si rileva che le fasce deboli ed i soggetti a rischio di emarginazione rappresentano una realtà regionale significativa: i dati statistici riferiti al 1998 evidenziano, infatti, una situazione di disagio sociale marcata nelle periferie e nelle aree cittadine a più alto degrado socio-economico, nonché nelle zone interne della regione, geograficamente più isolate dalle aree urbane maggiori.

1.1.7. - Punti di forza e di debolezza (analisi SWOT – sintesi) Inizio Pagina

I punti di forza e di debolezza del sistema socio economico regionale sono fortemente connessi con la condizione di insularità e con le peculiarità geografiche e demografiche della Regione. Tali fattori sono sintetizzati nella tabella che segue.

Punti di Forza

Punti di Debolezza

Di contesto:

n          Presenza di un ambiente naturale ancora integro e di una buona qualità della vita, che possono costituire elementi di attrazione di iniziative esterne.

Di contesto:

n          la scarsità di popolazione, che costituisce una difficoltà reale allo svilupparsi di distretti produttivi;

n          le distanze dai grandi mercati di sbocco, con conseguenti alti costi dei beni esportati;

n          ristrettezza del mercato regionale.

Risorse naturali e energetiche:

n          la presenza di 45 laghi artificiali realizzati, con una capacità di regolazione di circa 2.250 milioni di mc;

n          l’ottimo stato delle acque di balneazione;

n          la disponibilità di un Piano di gestione dei rifiuti, predisposto sulla base delle disposizioni contenute nel d.lgs 22/97;

n          la vocazione del territorio regionale alla creazione di aree naturali protette terrestri e marine.

Risorse naturali e energetiche:

n          la scarsa disponibilità di risorse idriche;

n          i processi di degrado esteso delle coperture vegetali, a causa di incendi, sovraccarichi pascolativi, ecc., che accelerano il fenomeno della desertificazione e, a valle, l’interrimento delle zone umide;

n          l’indisponibilità del gas naturale metano.

Risorse culturali

n          patrimonio culturale fortemente diffuso nel territorio e l’unicità di alcune tipologie storico-archeologiche.

Risorse culturali:

n          le carenze di vario tipo nello standard dei servizi culturali (strutture, attrezzature, personale, consis-tenza del patrimonio);

n          la scarsa integrazione dell’offerta culturale con quella turistica.

Risorse umane

n          la crescita dei livelli di istruzione tra le nuove generazioni e particolarmente tra le giovani donne;

n          l’avvio di iniziative di raccordo tra Università, Centri di ricerca e imprese.

Risorse umane:

n          la presenza di alti tassi di disoccupazione soprattutto giovanili e femminili;

n          i limiti e le carenze negli strumenti di politiche attive del lavoro;

n                    le carenze nella scuola e nella formazione professionale per l’apprendimento e la diffusione dei sistemi informatici.

segue

Sistema produttivo:

n          l’esistenza di realtà produttive pseudo o proto distrettuali e la vivacità di iniziative imprenditoriali in campo telematico;

n          le potenzialità del turismo, fondate su un ambiente ancora integro e sulla presenza di un significativo patrimonio culturale da valorizzare;

n          la consapevolezza, prima di altri contesti territoriali, dall’importanza delle nuove tecnologie, quale fattore di successo per un’area non centrale.

Sistema produttivo:

n          la frammentazione del tessuto produttivo, caratterizzato da una prevalenza di micro imprese, con problemi organizzativi, di capitalizzazione e di commercializzazione;

n                    il limitato rinnovamento tecnologico dei settori produttivi;

n          l’attività turistica troppo concentrata sul prodotto marino-balneare nei soli mesi estivi.

Città e organizzazione del territorio:

n          Ristrutturazione delle gerarchie urbane con l’affermazione di reti di città intermedie con nuove funzioni di servizio e produttive legati a particolari distretti (Tempio, Macomer).

Città e organizzazione del territorio:

n          L’insufficiente massa critica del sistema urbano, che ha in Cagliari l’unico ambito assimilabile a quello metropolitano;

n          Lo spopolamento delle aree interne e rurali, con conseguenti problemi di presidio del territorio;

n          Carenza di servizi avanzati nei poli principali e di servizi informativi, di accoglienza e di aggregazione nei centri intermedi e minori.

Reti e nodi di servizio:

n          Rete di telecomunicazioni soddisfacente e presenza di numerose iniziative imprenditoriali;

n          Buona rete di interscambio merci con la penisola via mare.

Reti e nodi di servizio:

§         i collegamenti interni ed esterni inadeguati e le rilevanti carenze che limitano l’operatività e l’intermodalità negli scali industriali;

n          La forte marginalità delle aree interne, cui si contrappongono fenomeni di congestione nei centri urbani.

Opportunità

Rischi

Di contesto:

n          la localizzazione geografica, che consente di assume-re il ruolo di produttore e distributore di merci e servizi da destinare agli altri Paesi del Mediterraneo;

n          l’attivazione della finanza di progetto mediante l’apporto di capitali privati.

Di contesto:

n          Permanenza delle condizioni di perifericità della Sardegna, rispetto ai centri produttivi e alle grandi direttrici di traffico.

Risorse naturali:

n          l’aumento della domanda di turismo ambientale;

n          la liberalizzazione del mercato europeo dell’energia elettrica.

Risorse naturali:

n          il possibile inquinamento costiero causato dagli scarichi provenienti da imbarcazioni in transito lungo le coste dell’Isola.

Risorse culturali:

n          l’evoluzione degli stili di vita e dei modelli di consumo e di spesa verso una maggiore domanda di servizi ad elevato contenuto culturale.

 

Risorse umane:

n          Nuove strategie in materia di occupazione e 1ristrutturazione del sistema dei centri per l’impiego.

Risorse umane:

n          Esclusione e marginalizzazione sociale di fasce deboli della popolazione.

Sistema produttivo:

n          Potenzialità offerte da interventi di destagionalizzazione e delocalizzazione dei flussi turistici;

n          L’attrattività ambientale e la disponibilità di insediamenti produttivi possono costituire fattore di attrazione di investimenti esterni.

Sistema produttivo:

n          le presenze turistiche concentrate nel tempo e nello spazio e la concorrenza esercitata da altri poli di attrazione turistica nel bacino mediterraneo;

n          Difficoltà ad attivare politiche efficaci di attrazione d’impresa e di sostegno ai distretti produttivi locali.


segue

 

Città e organizzazione del territorio:

n          Desertificazione delle aree interne per la perdita del presidio umano;

n          Impossibilità di sviluppare servizi avanzati e qualificati nei poli principali, per l’assenza di una sufficiente massa critica, che andranno pertanto reperite in altre regioni.

Reti e nodi di servizio:

n          il processo di liberalizzazione in atto nel settore dei trasporti marittimi ed aerei, che dovrebbe comportare significativi vantaggi in termini di continuità territoriale, riducendo il costo dell’insularità sia per le persone che per le merci;

n          La diffusione delle Società dell’Informazione che ridurrà gli svantaggi legati alla perifericità;

n          Le potenzialità offerte dalla prossima entrata in funzione del Polo di trasnshipment di Cagliari.

Reti e nodi di servizio

n          l’esclusione dell’Isola dalla rete dei collegamenti di valenza nazionale ed internazionale (reti TEN e TERN).

1.2. - Le variabili di rottura Inizio Pagina

A conclusione dell’Analisi socioeconomica della Regione appare opportuno rapportare in maniera specifica tale situazione alle variabili di rottura, indicate dal QCS, considerate come elementi cardine sui quali basare il cambiamento che si intende perseguire a livello regionale e del Mezzogiorno. Per ciascuna variabile è stato correlato uno specifico indicatore per evidenziare l’evoluzione degli andamenti.

1. Capacità di esportare

La capacità di esportare della regione è molto debole rispetto al resto dell’Italia. Infatti l’indicatore che misura la percentuale di esportazioni rispetto al PIL è costantemente e di gran lunga inferiore rispetto a quello nazionale: l’ultimo dato confrontabile (1996) è pari a circa 1/3 (6,9% contro il 20,7%). Anche l’indicatore Esportazioni per abitante, pur essendo in linea o leggermente superiore al dato del Mezzogiorno, evidenzia costantemente un notevole gap rispetto al resto dell’Italia.

2. Grado di indipendenza economica

Anche il grado di indipendenza economica della Sardegna è decisamente più debole rispetto al resto dell’Italia: infatti, l’indicatore che misura la percentuale di Importazioni nette rispetto al PIL è decisamente e costantemente superiore. L’ultimo dato disponibile (1996) è pari al 17,46% contro un valore per il Mezzogiorno pari al 14,27% e ad un valore di –2,93% per l’Italia.

3. Capacità di attrazione di consumi turistici

La capacità di attrazione di consumi turistici della Sardegna è notevole in quanto le presenze turistiche sono in continua crescita. Le giornate di presenza turistica per abitante ammontano a circa 5,05 giorni contro i 5,2 giorni del resto d’Italia. È da notare, tuttavia, che la motivazione della visita è essenzialmente quella del turismo balneare e che solo un turista su cinque in Sardegna proviene dall’estero. È inoltre da segnalare che la spesa turistica dei non residenti ammonta a circa 1,29% contro l’1,30% del Mezzogiorno e il 2,33% dell’Italia.

4. Intensità di accumulazione del capitale

La percentuale di Investimenti fissi lordi rispetto al PIL in Sardegna è costantemente superiore a quella nazionale e a quella del Mezzogiorno: nel 1995 tale valore ammontava al 20,87% rispetto al 16% del Mezzogiorno e al 17,32% dell’Italia. Questo dato, che sembra manifestare un maggiore dinamismo delle imprese e della pubblica amministrazione in Sardegna, può avere due chiavi di lettura: la prima, positiva, come capacità delle imprese sarde di accumulazione del capitale finalizzato a migliorare il processo produttivo, la seconda, negativa, legata ad un gap tecnologico accumulato negli anni precedenti, come esigenza di rinnovo di beni capitali obsoleti.

5. Capacità di attrazione di investimenti esteri

L’indicatore utilizzato è riferito agli anni 1994 e 1995. Tale indicatore mette in evidenza per la Sardegna una situazione nettamente deficitaria rispetto a quella nazionale: 0,13% nel 1994 e 0,23% nel 1995, rispetto al dato nazionale (1,39% nel 1994 e 1,97% nel 1995).

6. Partecipazione della popolazione al mercato del lavoro

Gli indicatori utilizzati evidenziano per la Sardegna una situazione costantemente deficitaria rispetto all’Italia mentre risulta migliore rispetto al Mezzogiorno. Il tasso di attività totale della popolazione in età 15-64 anni, nel 1998 in Sardegna assume valori più bassi di oltre 4 punti percentuali rispetto al dato nazionale (54,56% contro 58,74%) mentre è decisamente superiore del 2,1% rispetto al dato del Mezzogiorno (52,47%). La situazione diventa più preoccupante per quanto riguarda il tasso di disoccupazione che, sempre nel 1998, raggiunge in Sardegna il 21,5% contro il 12,3% del resto d’Italia. Il dato della Sardegna, tuttavia, è migliore del dato del Mezzogiorno (22,8%).

7. Capacità di offrire lavoro regolare

L’indicatore (Occupati irregolari sul Totale degli occupati), riferito al 1998, colloca la Sardegna in una posizione mediana tra il Mezzogiorno e l’Italia: 19,54 per la Sardegna contro rispettivamente 14,55 per il Mezzogiorno e 27,62 per l’Italia. Tale indicatore, disponibile solo per gli anni 1997 e 1998, tende a ridursi nel corso del tempo, seguendo un trend comune all’Italia ed al Mezzogiorno.

8. Capacità di sviluppo dei servizi sociali

La Capacità di sviluppo dei servizi sociali è stata misurata con indicatore “L’occupazione dei settori sociali rispetto all’occupazione nei servizi” che in Sardegna è costantemente superiore sia al dato del Mezzogiorno che al dato nazionale: nel 1995, 37,4% rispetto al 35,9% del Mezzogiorno e al 30,5% dell’Italia.


9. Capacità di esportare prodotti ad elevata o crescente produttività

La percentuale di esportazioni di prodotti ad elevata produttività rispetto al PIL evidenzia in modo costante per la Sardegna una situazione assolutamente deficitaria rispetto al Mezzogiorno e al resto dell’Italia. Prendendo in considerazione l’indice di specializzazione in prodotti selezionati si rileva che, dato 1 il valore dell’Italia, il valore della Sardegna si posiziona costantemente sotto lo 0,30, con una punta massima di 0,37, rilevato nel 1998, mentre il Mezzogiorno presenta valori decisamente superiori a 0,60, con una punta di 0,78, rilevata nel 1998.

10. Capacità innovativa

La percentuale di PIL destinato a spesa nel settore della Ricerca e dello Sviluppo in Sardegna è costantemente in linea con il valore del Mezzogiorno ma decisamente inferiore rispetto al valore nazionale (nel 1994, ultimo dato disponibile: 0,63% contro l’1,06%).

11. Capacità di sviluppo di servizi alle imprese

L’indice utilizzato nel QCS per questa variabile di rottura è, attualmente, poco significativo in quanto il dato regionale riferito ai “Dipendenti nelle imprese dei servizi alla produzione sul totale dei dipendenti nelle imprese dei servizi” non è confrontabile con dati similari del Mezzogiorno e dell’Italia per mancanza di riferimenti statistici. Peraltro, l’unico dato nazionale a disposizione, riferito al 1996, assume un valore pari al 12,7 sostanzialmente in linea con i dati regionali riferiti al 1994 e 1995, rispettivamente pari al 12,5 e 11,0.

12. Capacità di finanziamento

L’analisi dei dati, che nel corso degli anni rilevano “Il differenziale dei tassi a breve termine sui finanziamenti per cassa con il Centro-Nord”, evidenzia che mentre il dato nazionale presenta valori contigui al dato del Centro-Nord (100,28 nel 1998), il dato regionale assume valori crescenti nel tempo e assume il valore massimo nel 1998 (122,6) contro un valore del Mezzogiorno decisamente più favorevole (113,47 nel 1998).

13. Condizioni di legalità e coesione sociale

Dal punto di vista della legalità, la Sardegna evidenzia condizioni sostanzialmente migliori rispetto al Mezzogiorno ed in linea col resto dell’Italia: l’indice di criminalità violenta (Stragi,violenze, rapine gravi, sequestri, attentati, ecc.) per 10.000 abitanti, infatti, assume un valore che oscilla tra il 10 e l’11,51, con punte minime del 9,54, rilevata nel 1996, e massime dell’11,51, rilevata nel 1998. Per contro nel Mezzogiorno i valori oscillano tra il 14,19, rilevato nel 1995, e il 16,40 del 1998.

vedi tabelle Installa Acrobat

 

1.3. - Risultati conseguiti nella fase di Programmazione 1994-99 Inizio Pagina

Il Programma Operativo Plurifondo 94/99 si articola in 3 Sottoprogrammi:

Il Sottoprogramma cofinanziato dal FESR prevede un costo complessivo programmato di 888 Meuro ed é articolato in cinque sottoassi prioritari di Sviluppo, previsti dal QCS:

1.      Comunicazioni

  362,57

Meuro

2.      Industria, artigianato e servizi alle imprese

  167,43

Meuro

3.      Turismo

    95,14

Meuro

4.      Infrastrutture di supporto alle attività economiche

  257,16

Meuro

5.      Valutazione e Assistenza tecnica

      5,71

Meuro

Il Sottoprogramma (Asse prioritario di Sviluppo) cofinanziato dal FSE, il cui costo complessivo programmato ammonta a 283,99 Meuro, è articolato in tre sottoassi.

1.      Interventi legati agli assi di sviluppo del Q.C.S. (ob.1)

    81,87

Meuro

2.      Inserimento e reinserimento di persone alla ricerca di occu­pazione (ob.3)

  179,12

Meuro

3.      Formazione continua per gli occupati (ob.4)

    23,01

Meuro

Il Sottoprogramma (Asse prioritario di Sviluppo) cofinanziato dal FEOGA, il cui costo complessivo programmato è pari a 644,014 Meuro, è articolato in quattro sottoassi:

1.      Valorizzazione produzioni zootecniche, arboree e infra­strutture connesse

  357,666

Meuro

2.      Sviluppo rurale

  121,494

Meuro

3.      Obiettivo 5° A)

  148,622

Meuro

4.      Misure in corso

    16,232

Meuro

Le azioni di riprogrammazione sul POP, che hanno comportato sia modifiche tecniche che finanziarie delle misure, hanno comunque avuto come risultato un aumento delle risorse destinate al programma (in particolare con la misura sulla “riqualificazione dei centri urbani a fini turistici”) e l’attribuzione di un finanziamento aggiuntivo nell’ambito del POM “Protezione Civile”.

Pur presentando, a seguito delle riprogrammazioni, alcune differenze rispetto alla versione originaria - sia per la soppressione di alcune misure cofinanziate dal FESR, sia a seguito dell’introduzione di numerose misure ammesse al cofinanziamento del FEOGA che dello stesso FESR - nel POP è stato rispettato l’obiettivo complessivo di carattere generale, consistente nell’assicurare alla Sardegna un tasso di sviluppo capace di realizzare la coesione economica e sociale con le aree più sviluppate dell’Unione, e sono stati riequilibrati e rafforzati alcuni obiettivi specifici, anche attraverso una riorganizzazione delle misure trasversale agli assi, in modo da rendere più esplicito l’impatto degli interventi.

I principali riscontri della valutazione intermedia effettuata dal valutatore indipendente sui programmi 94/99 hanno riguardato l’analisi dei processi di programmazione, di realizzazione di monitoraggio e di valutazione che hanno messo in evidenza come significativo punto di forza la qualità professionale delle risorse umane impiegate dall’Amministrazione Regionale, presenti soprattutto nel Centro Regionale di Programmazione. Ciò che impedisce tuttavia all’Amministrazione Regionale della Sardegna di distinguersi, in termini di risultati finali nella quantità e qualità della spesa comunitaria, è l’organizzazione complessiva intesa come insieme di processi che fanno interagire tra di loro le risorse umane.

Stato di attuazione del POP 94/99

Il programma operativo ha subito nella fase di avvio notevoli ritardi in gran parte recuperati con le azioni di riprogrammazione. Allo stato attuale, a fronte di uno stanziamento complessivo di 3.589 milioni di lire, gli impegni assunti al 31/12/1999 superano il 100% delle risorse stanziate e le somme erogate superano il 63% dell’investimento programmato. Il sottoprogramma FESR presenta impegni al di sopra del 109% del costo totale dell’investimento a fronte di una spesa attorno al 60%. Anche per il sottoprogramma FEOGA gli impegni sono superiori al 100% e le spese rappresentano il 64% dello stanziato. Per il Sottoprogramma FSE, la percentuale di impegni è pari al 100% e quella dei pagamenti supera il 72% del costo totale.

Il sottoprogramma del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) ha seguito le linee strategiche e gli orientamenti emergenti dal QCS:

§         aumento della specializzazione e dell’integrazione del sistema produttivo al fine di valorizzare le risorse locali;

§         sostegno alla ricerca e all’innovazione;

§         miglioramento del sistema urbano attraverso una riorganizzazione e razionalizzazione dello stesso;

§         miglioramento dei collegamenti tra aree interne e agglomerati urbani;

§         tutela dell’ambiente;

§         rafforzamento del sistema turistico;

Tuttavia, se si scende ad un livello di maggiore dettaglio, non sempre le singole misure sembrano efficaci e, laddove esiste un quadro di programmazione generale, all’interno di ciascuna area non è riscontrabile un’altrettanto chiara strategia di settore. Da un lato, la difficoltà a rispettare le scadenze poste per l’assunzione degli impegni ha condotto la Regione a privilegiare interventi di immediata cantierabilità o già avviati, differendo la realizzazione temporale di alcuni interventi prescelti in precedenza. Ciò ha reso meno efficace il sistema di selezione basato su criteri di efficienza, efficacia e massimizzazione dell’impatto atteso. Dall’altro, la scarsa integrazione degli interventi intorno a progetti strategici ne ha acuito la dispersione territoriale. L’effettivo contributo portato dal P.O.R. al conseguimento degli obiettivi specifici e di quello generale rischia pertanto di essere sensibilmente inferiore rispetto alle stime, anche se potrà essere apprezzato solo in sede di valutazione ex-post.

Da un punto di vista finanziario il FESR presenta tuttora alcune criticità per quanto concerne l’avanzamento di alcune delle sue misure più significative: in particolare, si fa riferimento agli interventi di realizzazione della S.S. 125, della Metropolitana Leggera di Sassari e al Parco Tecnologico, che si sommano ai progetti già eliminati dal P.O.R. quali la metropolitana di Cagliari, il gassificatore del Sulcis e alcune infrastrutture viarie del nord Sardegna.

Il sottoprogramma cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE) mostra un buon stato di avanzamento, si presenta ben articolato e sufficientemente “valutabile”; tuttavia, non sempre risulta coerente con i principali fabbisogni formativi della Regione. Il problema, peraltro, si pone anche sul lato dell’offerta di lavoro regionale, che sembra avere una propensione inferiore, rispetto alle medie nazionali, ad impiegare forza lavoro ad elevato livello di istruzione.

Il livello di attuazione del POP relativamente alla componente formativa mostra un grado di utilizzazione delle risorse relativamente soddisfacente. Per quanto attiene agli interventi riconducibili alle misure obiettivo 1 l’agricoltura e lo sviluppo rurale appaiono le aree dove maggiore appare la capacità di spesa con il 79% delle risorse impegnate. Anche se appare ancora prematuro effettuare valutazioni definitive in tal senso si rileva una qualche lentezza nello sviluppo del programma relativamente alla formazione nei settori dell’ambiente e della sanità per i quali la quota di risorse spese sul totale di quelle impegnate appare complessivamente ridotto. Per quanto attiene invece alle misure dell’obiettivo 3 il livello di spesa appare analogo a quello registrato per l’obiettivo 1 (51%) anche se decisamente maggiore è la variabilità tra le diverse misure previste.

Critica appare ad esempio l’attuazione degli interventi relativamente alle misure destinate alle Donne disoccupate breve periodo, a persone ad alto rischio occupazionale a favore dei ristretti e tossicodipendenti, dove il livello di utilizzazione non supera il 38% del totale impegnato. Problematica infine appare la realizzazione delle azioni per gli Aiuti all’occupazione, la formazione dei Disoccupati già occupati in altre attività, i Lavoratori iscritti in liste di mobilità ex lege 223/91. Decisamente basso in ultimo il livello di attuazione per l’obiettivo 4 che si attesta su una spesa del 24% del totale.

Il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia per l’Agricoltura (FEOGA) presenta uno stato di avanzamento in linea con gli altri programmi e la sua struttura ha reso più semplice l’attività di valutazione di efficacia e di efficienza: entrambe le valutazioni hanno fatto riscontrare buone performances. Una prima valutazione della coerenza degli interventi previsti rispetto alla situazione regionale evidenzia una scelta strategica forte della Regione a favore del settore dell’olivicoltura ed un minor peso riconosciuto ai settori di nicchia ma che, tuttavia, costituiscono altrettante aree di sviluppo dell’economia agricola della Regione, come la produzione di miele, del sughero, il comparto ortofrutticolo. La questione che si pone è, tuttavia, non quella dell’importanza del settore ma dell’efficienza della spesa di Fondi Strutturali relativamente al conseguimento della finalità citata. Il settore non è, infatti, uscito dalla crisi e appare modesta la differenza che i Fondi strutturali sono riusciti a produrre a favore dei beneficiari rispetto alle aziende che non lo sono state. Il settore ovo-caprino che trova nel latte e nel formaggio (il pecorino - romano) i suoi prodotti di punta, sembra essere stato fortemente danneggiato dalla caduta nei prezzi verificatisi sui mercati e per effetto di decisioni della UE.

Emerge la necessità, anche come indicazione per il prossimo ciclo di programmazione, di individuare un obiettivo più organico e meno contingente: il Feoga dovrebbe focalizzarsi maggiormente sulle politiche per le aree rurali e ciò corrisponderebbe ad avere come obiettivo un rallentamento o una inversione dei processi di spopolamento.

Indicazioni per il periodo 2000-2006

I principali insegnamenti del periodo di programmazione 1994/99, da tener presenti nel nuovo ciclo di programmazione 2000/2006, sono:

§         la dotazione di un parco progetti adeguato sul piano della quantità e della qualità;

§         lo snellimento della legislazione e delle procedure;

§         la riforma dell’apparato pubblico e il processo di privatizzazione;

§         il maggior coordinamento tra i diversi programmi.

In questo contesto vale la pena di menzionare due esempi di “buone” e “cattive” pratiche per quanto riguarda l’attuazione dei progetti:

§         la misura relativa alla riqualificazione dei centri urbani a fini turistici rappresenta un intervento di successo sul piano del metodo di ripartizione dei fondi tra i potenziali beneficiari finali: trasparenza e innovazione nelle procedure;

§         per contro, alcune misure del FESR, la cui realizzazione era subordinata all’acquisizione del consenso o delle autorizzazioni di soggetti istituzionali diversi dall’Amministrazione regionale, hanno riscontrato ampi ritardi nell’avvio delle azioni. In alcuni casi, ciò ha comportato la soppressione delle misure medesime.

Tra le aree di miglioramento operativo per la programmazione 2000/2006 vi sono quelle relative:

§         alla costruzione di una griglia di indicatori: la definizione, cioè, di un obiettivo quali-quantitativo per ciascun intervento, in modo da valutare che cosa ci si può aspettare da ogni intervento specifico, in termini di realizzazioni concrete e miglioramenti apportati alla situazione socio-economica e ambientale della Regione;

§         alla costruzione di un adeguato sistema di monitoraggio, finanziario, fisico e procedurale, per permettere a chi prende le decisioni di conoscere, in tempo reale o comunque con aggiornamenti periodici, quale è l’avanzamento complessivo -delle singole misure. Le esigenze più significative riguardano in particolare:

1.      La verifica presso i beneficiari finali, a scadenze periodiche ravvicinate, delle procedure di attuazione dei progetti di loro competenza, offrendo supporto nella redazione di un cronogramma realistico di attuazione, esaminandone la compatibilità rispetto alle scadenze del programma, e fornendo assistenza per tutti gli aspetti concernenti la rendicontazione delle spese;

2.      Lo sviluppo di un’applicazione informatica, sotto forma di una banca dati dei progetti ammessi a cofinanziamento, e di quelli inseriti in eventuali programmi aggiuntivi, che, oltre agli indicatori di avanzamento fisico, finanziario e di impatto, contenga informazioni precise sui passaggi procedurali cui il progetto è sottoposto, e ne aggiorni il tempo reale l’effettivo avanzamento;

3.      Il supporto all’amministrazione regionale nella definizione del sentiero previsionale di impegno e di spesa e nel suo aggiornamento costante, conseguente alla rilevazione dei dati di avanzamento presso i beneficiari finali.

§         al coinvolgimento delle autorità ambientali e delle autorità in materia di pari opportunità. Di fatto nel periodo di programmazione 1994/99 le considerazioni di carattere ambientale e il principio delle pari opportunità sono stati inseriti in maniera disorganica nella strategia di sviluppo.

§         al miglioramento dei collegamenti sia tra uffici interni dell’Amministrazione regionale, sia tra i soggetti attuatori delle misure e le amministrazioni locali coinvolti nella realizzazione di singoli progetti. Come evidenziato nel QCS, andrà assicurata una chiara individuazione delle responsabilità e degli obiettivi di risultato a livello di misura. Inoltre, andrà favorito il ricorso agli strumenti esistenti che permettano di accelerare il processo decisionale e di ridurre la conflittualità tra amministrazioni e soggetti attuatori diversi (conferenze di servizi, intese istituzionali di programma, accordi di programma). A questo proposito, una particolare attenzione andrà dedicata alla riforma dell’attuale sistema di controllo preventivo di tutti gli atti amministrativi regionali da parte della sezione regionale della Corte dei Conti, che è stato fonte di ingiustificati ritardi attuativi in passato

§         alla diffusione generalizzata di sistemi di selezione dei progetti basati su bandi e inviti alla manifestazione dei progetti. Le procedure di selezione dovranno basarsi su una griglia di criteri che premino l’efficienza, l’efficacia, la capacità attuativa e gestionale, e l’impatto sugli obiettivi specifici della misura.

§         al miglioramento della capacità di lettura dei fenomeni e dei fabbisogni territoriali, che richiedono in fase interpretativa e di gestione competenze specialistiche. A questo proposito, occorrerà una maggior integrazione a livello territoriale dei progetti finanziati.


 
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