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INTERAZIONI & JAPAN

(2000)

di Massimo Zanasi
I’ m here, now / My name is Tokio Maruyama / I came from Japan / I was born in Tokyo City / But, my name is not city’s name / Tokyo city means Eastern Metropolitan / My name means Eternally Life / My father named me / My parents were born in Nagano Prefecture / Last olympic games were held in Nagano / My ancestors were there from 500 years ago / My mother passed away 17 years ago / My father is still alive. But, he cannot keep their own memory, becouse he is very old / And now, I am here!

InterAzioni 2000, edizione tra due millenni, è dedicata ai "Progettisti di Mondi", ricercatori di mondi alternativi al nostro, governato dalla competizione e senza più tempo per le utopie. Il tema portante, invita gli artisti in questo passaggio epocale - momento di fine e inizio, tra Oriente e Occidente -, ad ideare scenari comuni tra popoli e culture diverse. Mondi di visioni e poetiche al di lˆ della globalizzazione finanziaria e della democrazia delle merci, spazi dove il mito dell’"esserci" propagandato dalla comunicazione massmediatica, sia cancellato da un’arte concreta, che parli all’uomo di sé e del suo cammino. Ecco allora che attraverso la Drammaturgia delle Arti - quel dialogare fra teatro, danza, musica, poesia e arti visive che da sempre anima il Teatro ARKA (H.C.E.) -, Interazioni 2000 indaga la realtà alla ricerca di una sintesi nuova, inedita, magari un mondo dove scoprire il "non-esserci" come un fuori scena più ospitale e abitabile.InterAzioni, Cagliari, fine primavera sarda. Dove siamo? In una anomala e amodale rassegna internazionale di Performing Arts (Arti Sceniche), Videoarte, Installazioni, Programmi Celibi… Una rassegna che non si rassegna, è stata definita, ma non è ancora finita; è un progetto di ricerca dedicato ai Progettisti di Mondi, dunque non solo multimedialità né banale contaminazione fra i linguaggi. È semplicemente un’isola che non c’è, una realtà parallela, un luogo di confine intorno al quale si ritrovano personalità, esperienze, punti di vista assolutamente molteplici. Non avanguardia in cerca di tradizionali riconoscimenti, o underground naïf, niente più esoterismo terzoteatrale o dorata marginalità. Qui pionieri, artisti, pensatori, ricercatori, creatori di arte immateriale, performers, attanti, poeti, musicisti, danzatori non rappresentano più un piccolo mondo estroso ma costituiscono il prototipo di un nuovo slancio antropologico che non si muove più soltanto sul piano volgarmente spettacolare ma si preoccupa dell’intero processo evolutivo. Izumi Murata: "Tomorrow and yesterday, expectation and anxiety, dream and real world, you and I, all things are going to melt away. Come to my hot andcolourful room. I see, I sleep, I study, I speak, I spend, I scream, and I sing my songs in my room".InterAzioni è prima di tutto un laboratorio viaggiante per cicli pluriennali (che naviga ormai dal lontano 1988) e che nell’ultimo giugno ha mostrato le ricerche di un importante equipaggio giapponese in collaborazione con l’MMAC (Mixed Media Art Communication) di Tokyo. Così le ipotesi pittorico-plastiche degli italiani Gianni Atzeni e Rosanna D’Alessandro si sono confrontate con quelle austere del pittore/scenografo giapponese Koji Ogushi al Poliart Studio. Confronto che poi prosegue con gli interventi dal vivo: sul palcoscenico del CineTeatro Nanni Loy si sono avvicendati i paesaggi stratificati di nuovi mondi concettuali (Boudewijn Payens, Olanda), le emozioni e il sentire di chi li attraversa col canto e con le parole (Victoria Stanton, Canada), il disorientamento prima di formulare nuove misure esistenziali (Tokio Maruyama), la meraviglia di liberarsi con ironia delle vecchie paure (Monique Moumblow & Yudi Sewraij, Canada e Guyana), i corto-circuiti del linguaggio e il tentativo d’invertire l’ordine del sistema cognitivo che normalmente esiste tra chi parla/segna e chi ascolta/riceve, quindi tra autore e spettatore (Keiko Kamma), i gesti di una danza sempre contemporanea come il butoh (Noboru Kamita), il confronto tra chi si sente sempre "in movement" (Mario Pischedda), e chi immobile, in spasmodica attesa (Izumi Murata). Tutti gli spazi sono attivi, anzi interattivi, perché oltre le installazioni che vi ambientano gli artisti/performer (Joergen Teller, gli stessi Tokio Maruyama e Keiko Kamma), si viaggia attraverso una "videoinstallazione interattiva" per visitare cd-rom d’arte (Machina Amniotica e AVE.COM), musica e teatro (ma non solo) italiani ed internazionali. Tokio Maruyama: "May I ask your name? / Where were you born? / Where are you living? / Are your parents still alive? / Last question… where do you want to die? / If you cannot answer, just imagine, please / WATCH AND KEEP THIS MEMORY.

InterAzioni è anche una rassegna di videoarte internazionale: ci sono cinque cortometraggi che hanno preso parte all’ultima edizione del Festival della FEDIC (l’affascinante "A Viagem" realizzato tutto in computer grafica, "Migrations" che in quattro minuti traccia una splendida metafora del desiderio di libertà, "Slurpinn & Co" tredici minuti di camera fissa che gira su sé stessa per raccontare ansie e stress di un ufficio islandese, e ancora, un’incredibile testimonianza in super-8 dell’evoluzione tecnologica ne "Il Sito Inquietante" del settantenne Ettore Ferrettini, e tre produzioni di Giorgio Sabbatini). E naturalmente anche una sezione dedicata al Giappone e realizzata in collaborazione sempre con la MMAC (un 8-mm tratto ad una splendida performance del 1993 "Seraphita" di Jun Manjome e "Venus" di Yoshihisa Nakanishi); più una sezione dedicata al nord-America, con una prima mondiale ("Arm’ s Lenght" dello statunitense John Sturgeon), e due video canadesi di Monique Moumblow e due di Yudi Sewraj che a quest’ edizione di InterAzioni partecipano nel doppio ruolo di performers e videomakers ("The Middle Distance" di Y.Sewraj è una prima europea). Insomma, uno studio della mente, del corpo e delle sue protesi a 360¡, come testimonia lo stesso Noboru Kamita: "Ho studiato Butoh con Anzu Furukawa, teatro con Zen Hirano, box cinese con Hiun Ryu, Yoga con Akiyo Naito, danza moderna con Hiromi Watanabe e danza contemporanea con Setuko Kuroda, e mi pare che InterAzioni sia proprio la "summa" di diverse discipline e mondi paralleli che possono portare ad una nuova sensibilitˆ, non solo artistica ma anche ultra-artistica". Così Kyo Hoshino, critico e direttore dell’MMAC: "In Giappone sono pochi coloro che tentano oggi un approccio all’arte della performance nel senso stretto del termine: al contrario, assistiamo ad un diffuso movimento di performing arts in senso lato. Ad esempio, si tengono quasi sempre delle perfomances all’aperto in occasione di mostre d’arte, ma dal momento che i ruoli artistici non si limitano più ad una forma di performance particolare, molti artisti provenienti da diversi linguaggi prendono parte agli eventi di performances scambiandosi liberamente e vicendevolmente i ruoli o collaborando allo stesso progetto". Da un osservatorio privilegiato quale è un’isola come la Sardegna, nel cuore del Mediterraneo - luogo di passaggio di razze e culture diverse -, ci sembra che sulla scia di queste InterAzioni anche altri organismi (scenici, musicali, poetici, visuali,...) si stiano muovendo da tempo in questa direzione, ritrovando sorprendentemente il coraggio di rischiare. Ma mentre in Italia le esperienze più significative degli ultimi due decenni erano legate agli ensemble teatrali (o meta-teatrali) e, in modo minore, agli artisti visuali che si riferivano implicitamente all’ampio territorio mentale degli anni settanta, l’Europa di fine millennio riassume i frammenti di sé esportati in tutto il mondo dagli inizi dell’era moderna. I grandi naufragi verso l’Asia, le Americhe, l’Africa, il Medio Oriente e lo spazio cosmico, ci restituiscono oggi i sublimi relitti delle nostre culture come fuori dal tempo e dalla Storia, fuori di sé. Non si tratta però in questo caso di un semplice riflusso di citazioni e di atteggiamenti - né di un ritorno a casa, perché nel frattempo essa è andata distrutta - ma di un vero e proprio rendez-vous ultraideologico sulle rovine di una nostra Troade. Le opere degli ultra-artisti - degli artifex che si pongono al di lˆ delle specie catalogabili per il superamento dei tradizionali limiti "amministrativi" tra parola, corpo, suono, immagine, concetto -, dimostrano che l’impossibile rientro in patria non ci condanna solamente ad una vita da cavalieri erranti, da perenni viandanti, ma ci trasforma - come artisti e come poeti - in testimoni di un Finale che si ripete, in demiurghi del Nulla… angeli senza aureola. Qui sta pure l'assurdità del teatro, l'impossibilità del tragico. Perciò si può parlare della scena e del suo oltre soprattutto quando viene a cadere l’ottica convenzionale che un teatro impone come unica chiave di lettura e di organizzazione degli eventi. Prestiamo attenzione alle parole di Camille Dumouliè: «La drammaturgia è sempre stata una tecnica terapeutica: catarsi, esorcismo, terrore e pietà, castigata ridendo mores, straniamento brechtiano: tutto annuncia che il teatro è fatto per ammalati, debilitati e convalescenti inguaribili. Tanto che Nietzsche, dopo aver creduto in una rinascita della tragedia, si è detto disgustato da tutta questa teatrocrazia e ha potuto definirsi come una natura essenzialmente antiteatrale. A teatro, scriveva, si contribuisce solo con la parte più volgare di sé, si diventa vicini di casa, gregge, femmine del serraglio. Il teatro è un plebiscito contro il buon gusto». In altri tempi Ettore Petrolini ipotizzava la realizzazione di un Padiglione delle Meraviglie contro la pedanteria dei funzionari e la rigidità delle categorie estetiche. Ebbene: nuovamente impegnati sul piano antropologico, spesso sganciati da false fiducie "progressiste", questa nuova specie di progettisti di mondi rappresenta, nella migliore delle ipotesi, un superamento delle formule stilistiche precedenti a favore di una visionarietà progettuale che ritrova i margini dell’assenza riflettendo non solo su se stessi, ma finalmente anche contro se stessi. Così facendo, e perciò confinati nei settori dell’arte problematica, i ricercatori che si muovono nella direzione di una possibile (perché antichissima, in fondo) drammaturgia delle arti restano pazientemente in ascolto, come antenne umane che cercano di decifrare il rumore di fondo dell’Universo. E l’ascolto più "commovente", come in Samuel Beckett e Francis Bacon o in Yukio Mishima e Yasujiro Ozu, avviene sempre a metˆ strada tra l’orecchio, l’occhio e il cuore, tra la mente e il sentimento sonnambulo per una scena al di lˆ delle forme e al di lˆ della critica.