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Italy
Language:
Italian
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L'interesse del minore è ormai diventato principio guida nella
regolazione giuridica della famiglia. Già verso la fine degli anni
'70 inizio anni '80 la normativa apprestata in tema di diritto di famiglia
nei Paesi Occidentali ha come punto di riferimento prioritario tale concetto.
In Svezia il codice della famiglia subisce una modifica nel 1983 nella
parte che riguarda la custodia ed i diritti di visita dei bambini: si
stabilisce, a tal proposito, che chi ha l'affidamento del figlio deve
esercitare questa funzione tenendo nel massimo conto "il punto di
vista del bambino". In Germania, la legge 18.7.79 sostituisce il
concetto di potestà con quello di "cura genitoriale"
specificando i compiti dei genitori: nell'art.1626 del codice civile si
legge che, "nella cura e nell'educazione, i genitori devono considerare
la crescente capacità ed il crescente bisogno del bambino ad un
trattamento autonomo e responsabile. Essi discutono con il figlio, in
modo compatibile con il suo sviluppo, i problemi della cura genitoriale
nell'intento di raggiungere un accordo". Il codice civile greco,
all'art.1511, nel sostituire il concetto di potestà con quello
di "responsabilità genitoriale", dispone che "il
parere del minore, in funzione del suo grado di maturità, deve
essere richiesto e preso in considerazione prima di ogni decisione relativa
alla responsabi-lità genitoriale, nella misura in cui tale decisione
concerne il suo interesse". Il legislatore francese, invece, sancisce
il diritto all'ascolto del minore in tutte le procedure che lo ri-guardano.
Sempre a tutela dell'interesse del minore, infine, in gran parte del territorio
eu-ropeo vengono istituiti il Tribunale o il Giudice della famiglia (ex.
Francia), o ancora se-zioni specializzate a trattare i problemi ad essa
connessi (ex. The Family Division delle High Courts in Inghilterra e nel
Galles), ciò al fine di garantire una maggior tutela degli in-teressi
e dei diritti degli individui coinvolti nelle dinamiche familiari.
Anche nel diritto internazionale l'interesse del minore è stato
recepito come princi-pio cardine, dalla Dichiarazione dei diritti del
fanciullo del 1959, alla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia del
1989. Da ultimo la Convenzione Europea sull'esercizio dei di-ritti dei
bambini del 1996 ha ribadito la partecipazione attiva del minore nei procedimenti
familiari che lo riguardano, in quanto soggetto, a pieno titolo, di diritti
civili e sociali; il diritto del bambino ad essere ascoltato e consultato
in detti procedimenti; la opportunità per i genitori di addivenire
ad un accordo, anche attraverso la mediazione, al fine di evita-re la
instaurazione di procedimenti giudiziari.
Passando al panorama legislativo italiano, non è dato trovare una
definizione preci-sa dell'interesse del minore. La Corte di Cassazione,
nel 1983, lo individua nella "salute psicofisica" del bambino;
l'anno successivo il Tribunale per i Minorenni di Roma lo defi-nisce come
"diritto alla prestazione di cure idonee a garantirgli uno sviluppo
ottimale, sot-to ogni punto di vista"; parte della dottrina lo identifica
con "il diritto all'educazione". In realtà ci si è
resi conto che è impossibile determinarlo in astratto, deducendolo
da opinioni generali sui modelli di allevamento, di socializzazione e
di educazione ritenuti validi per i minori nel loro complesso. Esso è
sì un principio generale, ma deve richiamarsi alla fatti-specie
concreta, al singolo, al suo vissuto ed alle sue esigenze; il senso e
la portata, quindi, va determinato di volta in volta con riferimento alla
situazione specifica cui si riferisce.
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a) Il quadro normativo
Nella separazione l'interesse primario del minore è il mantenimento
della cogenitorialità. E' pur vero che il bambino non può
più continuare a vivere in una famiglia unita, ma è altrettanto
indispensabile salvaguardare il suo mondo affettivo e relazionale. Si
consideri che la separazione può verificarsi in un determinato
momento della vita del bambino e secondo modalità diverse: pertanto,
la efficacia degli strumenti di tutela del minore non può prescindere
da questi aspetti, chè, anzi, dovrà misurarsi con essi.
I coniugi, infatti, possono accettare abbastanza serenamente il fallimento
del loro matrimonio e decidere di riorganizzare la loro vita in spirito
di collaborazione; oppure innescare un meccanismo altamente conflittuale
fatto di accuse, insulti ed incomprensioni in cui l'uno tende a distruggere
l'altro. In ambedue i casi, i figli vivono con estremo disagio l'eutanasia
della famiglia, e, a seconda del contesto familiare e dell'età,
appaiono disorientati o impauriti, si sentono in colpa, cominciano a nutrire
sentimenti di odio e di disistima verso i genitori; di conseguenza i comportamenti
che vanno ad assumere sono i più vari, imprevedibili ed a sé
pregiudizievoli.
Occorre, allora, che qualcuno si faccia carico di questa sofferenza.
Ci si chiede, in primis, se il legislatore, nel disciplinare l'istituto
della separazione, abbia tenuto conto del disagio dei figli ed abbia apprestato
un sistema di tutela adeguato.
Dando per scontato che l'obbligo, per i genitori, di mantenere, istruire
ed educare la prole - previsto dall'art.147 c.c. - sopravvive alla separazione,
la norma su cui fermare l'attenzione è l'art.155 c.c.: "Provvedimenti
riguardo ai figli".
Il primo comma, modificato dalla L.19.5.75 n.151, così recita:
"Il giudice che pronunzia la separazione dichiara a quale dei coniugi
i figli sono affidati e adotta ogni altro provvedimento relativo alla
prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di es-sa".
I commi successivi attribuiscono al giudice il potere di determinare,
in capo ad uno dei coniugi, la entità e le modalità di contribuzione
al mantenimento, istruzione ed educa-zione dei figli; di dettare le condizioni
attraverso le quali viene esercitata la potestà - che spetta in
via esclusiva, al genitore affidatario -; di decidere diversamente in
ordine alle sta-tuizioni di maggiore interesse per i figli - in riferimento
alle quali la norma prevede un esercizio congiunto della potestà.
Viene inoltre ribadito il diritto-dovere, per il genitore non affidatario,
di vigilare sulla vita del proprio figlio. Il VII comma, infine, dispone
che il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti, pur essendo
questo non vincolante nel senso che il magistrato può emettere
provvedimenti differenti rispetto alla volontà delle parti.
Quanto al procedimento di separazione, il combinato disposto degli artt.707-708
e 711 c.p.c. individua due momenti essenziali nell'ambito della udienza
presidenziale: la comparizione personale delle parti, cioè dei
coniugi - spettando solo a questi il diritto di chiedere la separazione
- ed il tentativo di conciliazione. Dispone, infine, che, fallito il tentativo
di conciliazione, il giudice dovrà, in caso di separazione consensuale,
prendere atto del consenso dei coniugi e disporre per la omologazione;
in caso di separazione giudiziale, emettere i provvedimenti temporanei
ed urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole.
Il codice prevede, altresì, l'intervento obbligatorio del Pubblico
Ministero il quale vigila sul contenuto degli accordi raggiunti dai separandi
e sulla portata dei provvedimenti riguardo la prole, ne valuta la adeguatezza
e la rispondenza alle esigen-ze dei figli, alla luce del compito affidatogli
che è quello di tutela dell'interesse della famiglia. A tal proposito
è d'uopo un inciso: nel concreto, a differenza di quanto normativamente
previsto, mancano la presenza e la partecipazione attiva e costante di
tale organo.
b) Il ruolo del minore -
Chiarito lo scenario legislativo, vi è da domandarsi dov'è
il minore. Nell'ingranaggio processuale non gli è concesso uno
spazio in cui poter esprimere il suo disagio. Nonostante che, richiamando
la disciplina sul divorzio, il giudice possa, in casi del tutto eccezionali
e ricorrendo determinate condizioni, ascoltare il minore (artt.4 e 6 L.D.),
questi, in realtà resta privo di voce. Compete allora al genitore
il ruolo di inter-prete dei suoi bisogni, poiché egli condivide
con il figlio la esperienza di separazione.
Dalla lettura delle norme, però, si evince che, non appena la separazione
varca la soglia del giudiziario, i coniugi si spogliano del loro potere
decisionale, delegano un pote-re superiore per la organizzazione del loro
futuro e della vita dei loro figli, utilizzano canali di comunicazione
indiretta in quanto formulano le loro istanze attraverso gli avvo-cati.
La esperienza insegna che spesso la scelta della separazione consensuale
non scatu-risce da un consenso dei coniugi, bensì da un assenso.
Il più delle volte, invero, i separan-di accettano di sottoscrivere
l'accordo perché stanchi di guerreggiare, forse anche timorosi
di affrontare una separazione giudiziale, ove il costo economico conta
più di quello emo-tivo.
L'accordo, allora, non appartiene al "sentire" dei coniugi,
non è il frutto di un pro-cesso di responsabilizzazione delle parti;
spesso esso parte dall'avvocato e si costruisce con l'avvocato il quale
è "terzo" rispetto al conflitto ed alla loro storia di
sofferenza.
Allorquando, invece, si innesca un procedimento di separazione giudiziale
il senti-mento di competitività conduce alla completa auto-distruzione
della famiglia il cui salva-taggio è affidato al giudice, anch'egli
- come l'avvocato - estraneo alle dinamiche emotive ed affettive che sottendono
alla separazione.
c) Considerazioni -
Orbene, tali considerazioni suggeriscono un interrogativo più
ampio: se sia possibile conciliare la rigidità della norma con
la esigenza di tutela della fa-miglia e dell'individuo; se l'apparato
giudiziario, che si occupa essenzialmente di diritti e doveri, possa far
spazio ai bisogni, ai sentimenti ed alle emozioni; se è consentito,
sul pal-coscenico giudiziario, rappresentare fedelmente un dramma - quale
è l'evento separativo - utilizzando, però la regola del
vincitore-soccumbente che sottende alla logica del proces-so.
Nei giudizi di separazione, è davvero arduo per il magistrato cogliere
la REALTA' nella sua VERITA', conoscere il vissuto di una famiglia attraverso
il breve colloquio con le parti o addirittura l'interrogatorio delle stesse,
accertare se il consenso espresso dai co-niugi sia veramente tale (nel
senso di sentire con, provare insieme all'altro lo stesso sen-timento)
e non piuttosto un assenso. Ove disponesse l'audizione del bambino, egli
dovrà saperlo ascoltare, decifrare i suoi messaggi, soprattutto
quelli non verbali.
Quali mezzi e parametri utilizza, inoltre, il giudice per decidere sull'affidamento
? In genere, egli sceglie il genitore più idoneo ad adempiere ai
doveri di allevamento ed i-struzione: quali criteri allora lo guideranno
nello stabilire detta idoneità?
In realtà accade che, qualsiasi criterio si adotti, secondo una
cultura ormai radicata, la individuazione del genitore affidatario determina
una classificazione tra genitori di serie A e genitori di serie B. Il
genitore affidatario interpreta la scelta del giudice come un se-gno di
rassicurazione, di valorizzazione personale e di potere. Il non affidatario
tenta una rivincita intralciando l'attività educativa dell'altro,
sminuendo la figura del suo antagonista agli occhi del figlio; subentrando,
infine, la stanchezza, per questa guerra senza fine, nasce poco a poco
in lui una disaffezione per il figlio: comincia a diradare le visite,
a ridimen-sionare l'interesse nei suoi confronti. Per il bambino allora
sarà il papà o la mamma che dura un giorno, il compagno
dei giochi, l'"ospite non invitato" ai compleanni; per il geni-tore,
invece, colui che era un tempo "sangue del mio sangue" diventerà
figlio di un amore finito, lontano negli affetti e nel ricordo.
L'impressione che si ha è che i coniugi siano molto più
preoccupati a salvaguardare se stessi, più che i propri figli.
In realtà il bisogno di riscattarsi da un fallimento o di di-fendersi
da un dolore troppo grande, la esigenza di avere giustizia dopo la ingiusta
rottura di un rapporto coniugale, spingono i coniugi ad adire frettolosamente
l'autorità giudizia-ria: inizia allora una vera competizione per
il che i soggetti adottano l'assurda tecnica "del farsi male"
e "del vincere a tutti i costi" dimenticando di essere ancora
e comunque geni-tori, utilizzando i figli come alleati, capri espiatori,
strumenti di difesa o di attacco.
Ciò che manca quasi sempre è la elaborazione dell'evento
separativo che ha un suo "tempo", diversificato per la coppia
e per i figli, non coincidente con quello delle proce-dure. Accade, quindi,
che, allorquando il meccanismo giudiziario è innescato, non è
più possibile rispettare i tempi fisiologici dell'evento separativo.
E' la famiglia in crisi a do-versi adeguare ai ritmi del sistema giudiziario
con la conseguenza che tale sfasamento fi-nisce con amplificare il disagio
dei bambini piuttosto che contenerlo.
- Le proposte di legge -
Le inefficienze dell'apparato normativo sopra denunciate spiegano il
proliferare dei disegni di legge redatti e discussi negli ultimi anni
a modifica dell'istituto e del procedimento di separazione al fine di
una miglior tutela dei figli minori. Quasi tutti i progetti di legge presentati
individuano finalmente l'affidamento congiunto come diritto soggettivo
del minore, privilegiando tale forma di affido rispetto a quella monogenitoriale.
Si è pensato che l'esercizio congiunto della potestà, l'alternanza
dei genitori nell'assunzione di responsabilità - non legata al
calendario, bensì a specifiche attività e a momenti di vita
del bambino - possano garantire una maggiore continuità affettiva
attri-buendo, di conseguenza, al genitore non convivente il diritto ad
una presenza costante e significativa nella vita del proprio figlio. In
tutti i disegni di legge, pertanto, viene ribadi-to l'interesse morale
e materiale del minore ad un corretto sviluppo sociale ed affettivo, attuabile
attraverso un rapporto equilibrato e qualitativamente significativo con
entrambe le figure genitoriali, nonché con tutto l'ambito parentale.
In alcuni progetti di legge viene previsto l'obbligo per il giudice di
ascoltare i figli, se maggiori di dieci anni, prima di e-mettere i provvedimenti
che li riguardano.
Per una sorta di applicazione analogica, già in passato tale istituto
- previsto e disci-plinato dalla legge sul divorzio - è stato sperimentato
nei casi di separazione, ma con risul-tati poco esaltanti. E' da condividere
la opinione espressa da alcuni studiosi del diritto in merito: "L'affidamento
congiunto è un capolavoro difficile in cui un grande risultato
di civiltà è appeso al filo di condizioni obiettive".
Non basta, infatti, una semplice previsione normativa; la applicazione
e la riuscita dipendono dalla età evolutiva dei figli, dal livello
di conflittualità dei coniugi i quali dovrebbero avere stili omogenei
di vita ed eguale ido-neità educativa, una sostanziale stima di
sé ed una immagine positiva dell'ex partner; ma soprattutto è
indispensabile il raggiungimento di un accordo basato sul CON SENSO non-ché
la accettazione del proprio figlio come persona autonoma con sentimenti
ed esigenze mutevoli in relazione all'evolversi dei propri bisogni.
Torna ancora una volta la importanza del tempo e dello spazio: c'è
un tempo per in-teriorizzare l'evento separativo, ed occorre uno spazio
di dialogo per recuperare un lega-me a tre che sopravvive al rapporto
di coppia.
- La mediazione -
Proprio in virtù del fatto che il problema separazione ha poco
di giudiziario e molto di emozionale, i lavori parlamentari degli ultimi
anni hanno incorag-giato l'attuazione della mediazione come momento di
recupero della genitorialità. I vari progetti di legge propongono
la realizzazione del percorso mediativo attraverso modalità diverse.
Si è pensato, ad esempio, ad appositi consultori specializzati
nella mediazione familiare, attivati presso gli uffici di giudice tutelare
delle Preture (n.398 dep. Lucchese e 497 dep.Balocchi); ad una équipe
di consulenza psicopedagogica - composta da uno psi-cologo, un pedagogista,
un avvocato ed un assistente sociale - con funzione di organo col-legiale
di consulenza del giudice, agganciati, a loro volta, a consultori familiari
o a centri privati deputati a svolgere gli incontri di mediazione (n.164
sen. Mazzuca). Si è immagi-nato ancora la fattibilità di
una collaborazione tra organo giudiziario e centri per la fami-glia specializzati
in mediazione familiare, segnalati attraverso un elenco custodito presso
ogni Tribunale (n.1609 dep. Guidi), o ancora la costituzione di uffici
di consulenza e con-ciliazione formati da esperti iscritti agli albi dei
consulenti tecnici di ufficio presso i Tri-bunali e le Corti di Appello
(n.2898 dep. Giovine).
Ci si è soffermati anche sulla collocazione temporale della mediazione
nel giudizio di separazione avanzando proposte differenti: la mediazione
può aver luogo ancor prima di adire l'autorità giudiziaria,
nelle more tra la presentazione del ricorso e la comparizione dinanzi
al Presidente del Tribunale, dopo la celebrazione della udienza presidenziale,
in ogni stato e grado del procedimento. E' stata discussa anche la "forma
di approccio" da parte dei coniugi ipotizzando che la mediazione
possa essere prescritta dal giudice come passaggio obbligato, o presentarsi
come invito/segnalazione da parte del magistrato con la facoltà
di questi di valutare la mancata adesione dei separandi. Si è tentato
di ridimensio-nare il "peso" riveniente dalla obbligatorietà
distinguendo le sedute informative da quelle di mediazione e attribuendo
solo alle prime il carattere obbligatorio, un po' come avviene in Québec
a seguito della riforma del settembre 1997.
Al di là comunque delle diverse disposizioni, tutti gli elaborati
legislativi prevedono la sospensione del procedimento giudiziario, durante
lo svolgimento della mediazione, onde evitare interferenze esterne ed
estranee al percorso di responsabilizzazione genitoria-le, per il che
si facilita quella armonizzazione di tempi di cui si è detto prima;
essi, altresì, stabiliscono una forma di collaborazione tra giustizia
e centri di mediazione poiché l'esito del lavoro dei mediatori
non resta circoscritto alla stanza di mediazione, ma viene parteci-pato
al giudice affinchè, in caso di risultato positivo, questi faccia
dell'accordo dei coniugi il contenuto primario degli emanandi provvedimenti
riguardo la prole, sostituendo al suo potere decisionale la libera volontà
ed il "sentito" dei genitori.
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Al di là delle osservazioni che possono farsi
in merito al contenuto dei progetti di legge surrichiamati, è d'uopo
individuare dei principi cardine alla luce dei quali è possibile
garantire un corretto ed adeguato funzionamento dell'attività mediativa,
nell'ambito dell'istituto della separazione, in sintonia con l'attuale
panorama legislativo tendente a sperimentare modelli extra-giudiziari
di risoluzione dei conflitti e delle controversie.
Occorre, innanzi tutto, partire da tre premesse fondamentali:
1) il diritto di famiglia è un universo a sé: sottende problematiche
complesse e questioni di grande impatto emotivo; investe la sfera del
privato sociale oltre che del pubblico; disci-plina diritti e doveri,
ma coinvolge altresì bisogni e sentimenti incidendo sulle dinamiche
relazionali. E' auspicabile, pertanto, la creazione di un organo giudiziario
unico specializ-zato. Da tale esigenza, invero, parte il dibattito politico-legislativo
circa la istituzione del Tribunale della Famiglia, delle sezione specializzate
o ancora del Tribunale per i Minori quale organo accentrante, in maniera
autonoma, tale branca del diritto.
2) L'evento separazione rappresenta un problema personale e sociale, prima
che legale. Per l'individuo è la distruzione di un progetto di
vita e tale episodio, inevitabilmente, ha una ricaduta diretta sulla collettività:
si assiste alla disgregazione della famiglia, quale cel-lula sociale primaria,
con il conseguente sconvolgimento dei legami affettivi.
3) La mediazione postula la individuazione di un modello che possa efficacemente
opera-re in caso di separazione dei coniugi. Occorre, pertanto, superare
la mediazione-negoziazione di Hynes, la mediazione-terapia di Irving e
la mediazione-concordato di La-roque per accedere ad un modello di mediazione-incontro-ascolto-accoglienza,
di ciascu-no dei genitori, singolarmente e congiuntamente affinchè
essi si riconoscano nella possibi-lità di addivenire ad un consenso
e ad una condivisione dei compiti genitoriali.
Sulla base di tali premesse è possibile fissare i principi cui
una riforma legislativa dovrebbe ispirarsi:
I) l'istituto della separazione deve rimanere il più possibile
al di fuori del meccanismo giudiziario, attesa la risposta incongrua che
le regole processuali offrono al dramma sepa-razione;
II) l'intervento del giudice, quale potere superiore, esterno al nucleo
diviso ed estraneo al-le dinamiche conflittuali, è da prevedersi
in ipotesi eccezionali, allorquando, cioè, i sepa-randi, nonostante
l'aiuto e l'impegno dei mediatori e degli avvocati, non arrivano a "con-cordare",
con libertà e responsabilità, le modalità di vita
futura ed i compiti genitoriali;
III) il problema separazione deve essere affidato ad un organo sociale
specializzato, diver-so dai consultori familiari e dai centri terapeutici,
così articolato:
a) un'equipe interdisciplinare, formata da avvocati, psicologi, sociologi
e pedago-ghi, con funzione informativa-consultiva circa le problematiche
connesse alla separazione, la possibilità di un percorso mediativo,
l'ascolto dei figli. Tale equipe, pertanto, potrà an-che collaborare
col magistrato laddove sia indispensabile avviare l'iter giudiziario;
b) centri di mediazione, completamente sganciati dal giudiziario, pubblici
- cioè at-tivati dagli enti locali - e/o privati - convenzionati
con la Regione o con il Ministero Affari Sociali - nei quali i mediatori
(figura a sé particolarmente qualificata) svolgono esclusi-vamente
attività di mediazione;
IV) il perfezionamento dell'accordo di separazione, riveniente da un percorso
mediativo fruttuoso, reclama la supervisione dell'avvocato il quale, previa
valutazione della congrui-tà della intesa rispetto alle norme di
diritto e all'interesse dei figli, procede alla formaliz-zazione dell'accordo
attribuendo allo stesso forza esecutiva.
L'esperienza di separazione, pertanto, si conclude dinanzi al professionista,
senza adire il magistrato, da un lato decongestionando il carico giudiziario,
dall'altro tutelando al meglio i protagonisti del conflitto familiare,
in considerazione della qualificazione del mediatore, della libertà
del consenso e della segretezza su cui si fonda la mediazione, delle competenze
tecniche dell'avvocato.
Quest'ultimo, infine, ritrova in tale ambito il suo ruolo originario che
è quello di prevenire le liti e di favorire il raggiungimento della
tranquillità sociale.
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