Country:
Italy
Language:
Italian
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La
crisi in cui si dibatte da anni la giustizia italiana, determinata da
una litigiosità crescente ed un conseguenziale sovraccarico degli
uffici giudiziari, induce con sempre maggiore frequenza, a ricercare strumenti
alternativi al processo, che non può più, pertanto, considerarsi
come l'unica sede di risoluzione delle controversie. In tale prospettiva
si muove anche lo stesso legislatore che, con la riforma dell'arbitrato,
il riordino delle Camere di Commercio, le recenti modifiche al codice
di procedura civile e l'introduzione della figura del giudice di pace,
ha incentivato il ricorso a metodi stragiudiziali di composizione dei
conflitti
La ricerca di nuove forme di intervento, idonee a dirimere le controversie,
incentiva la sperimentazione della mediazione nei contesti più
disparati. Pur non essendo presente in Italia una normativa specifica
in tema di mediazione, il nostro legislatore, a partire dall'emanazione
della L.285/1997, ha mostrato un crescente interesse attorno alla mediazione,
come testimoniano le numerose ed eterogenee proposte di legge al vaglio
del Parlamento.
Particolare rilievo assumono i progetti in tema di mediazione in sede
di separazione e divorzio, in materia di iniziative sociali per la gestione
dei conflitti, nonché la disciplina della mediazione giudiziaria
nel procedimento minorile.
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ANGELA CROVETTI avvocato, mediatore, cultore presso la
cattedra di Istituzioni di diritto privato della Facoltà di scienze Politiche
dell'Università di Sassari
M.GIUSEPPINA SALARIS avvocato, mediatore, contrattista
presso la cattedra di Diritto Civile della facoltà di Giurisprudenza dell'Università
di Sassari
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1.
La crescente attenzione attorno alle problematiche dell'infanzia e dell'
adolescenza ha condotto ad una riflessione approfondita in ordine agli
strumenti di tutela atti alla realizzazione dell' "interesse del
minore".
Infatti, superata l'ottica esclusiva e limitante della protezione della
minore che attribuiva tutela al bambino in quanto figlio e non in quanto
persona ,il principio della preminenza dell' interesse del minore (rispetto
a quello dell'adulto) viene ritenuto "l'unico criterio valido per
conformare i rapporti che lo riguardano" , (sia le relazioni all'interno
della famiglia che quelle con terzi estranei).
In mancanza di una definizione normativa di tale interesse non è
mancato chi , sottolineandone il carattere di clausola o principio generale
, ha considerato questo concetto come una sorta di "nozione magica"
(Carbonier), in grado di promuovere la sostituzione dell'ottica adultocentrica
con una prospettiva che si definisce in termini di "centralità
del minore" .
E' opinione diffusa che la valutazione dell'interesse del bambino ,in
quanto principio generale, debba assurgere a canone interpretativo di
tutti gli istituti giuridici che lo riguardano.
Giova ricordare che alla medesima considerazione di interesse fanno preciso
riferimento vari strumenti ed atti internazionali - si ricordi principalmente
la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, O.N.U. 20 novembre 1959, la
Convenzione dei diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre
1989 e ratificata dall'Italia in base alla legge 27 maggio 1991, n. 176
, e la recente Convenzione Europea sull' esercizio dei diritti dei minori,
firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e non ancora ratificata dall'
Italia - dai quali l'interesse si configura come un elemento cardine per
una rilettura in chiave evolutiva dei diritti dei minori.
In particolare, la Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei
minori , sul presupposto che "in caso di contrasto è opportuno
che le famiglie tentino di trovare un accordo prima di portare la questione
davanti ad un'autorità giudiziaria" (PREAMBOLO) stabilisce
che "per prevenire e risolvere i conflitti ed evitare i procedimenti
giudiziari riguardanti i bambini, gli Stati parti incoraggiano l'attuazione
della mediazione e ogni altro metodo di risoluzione dei conflitti e la
loro utilizzazione per raggiungere l'accordo".
Conformemente a quanto disposto dalla succitata Convenzione la legge 28
agosto 1997 n. 258 "Disposizioni per la promozione di diritti e di
opportunità per l'infanzia e l'adolescenza" ha previsto dei
servizi di mediazione e di consulenza per le famiglie ed i minori che
si trovino in difficoltà relazionali, nonché servizi di
sostegno alla frequenza scolastica .
2.
Quanto alla individuazione degli requisiti o dei parametri cui fare
riferimento per valutare in concreto l'interesse del bambino, rileviamo
come autorevoli dottrine siano inclini a ritenere che tale interesse possa
essere soddisfatto solo rispettando il diritto del minore ad uno sviluppo
armonico e completo della sua personalità .
Assume notevole importanza , in questa prospettiva , la considerazione
che il soddisfacimento dell'interesse del bambino si consegue mediante
la applicazione diretta, in capo al minore , dei principi fondamentali
espressi nella nostra Carta Costituzionale, in particolare quelli di cui
agli artt. 2 e 3 . I diritti del minore, in tale ottica , vengono riconosciuti
e garantiti al pari di quelli degli adulti, sia nella dimensione individualistica
, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità
, con l'impegno da parte dello Stato di rimuovere ogni ostacolo allo sviluppo
della personalità stessa .
In proposito è importante rilevare che per molto tempo l'ordinamento
giuridico aveva mostrato scarsa attenzione nei confronti del minore come
soggetto autonomo di diritto, limitandosi a considerarlo invece solo come
destinatario di norme giuridiche di protezione.
Il ritardo con il quale il dettato costituzionale è stato recepito
dall'ordinamento era frutto del prevalere di una concezione che considerava
il minore, in quanto privo della capacità di agire, non come persona
ma come oggetto/soggetto debole della potestà genitoriale. In un
sistema codicistico improntato alla tutela della patrimonialità
la frattura determinata dal sistema capacità vs- incapacità
qualifica il minore come inidoneo alla cura dei propri interessi .
Il mutamento culturale che agli inizi degli anni 70 aveva determinato
il sorgere di una nuovo paritario assetto degli interessi dei coniugi
,sia in campo personale che in quello patrimoniale - e del quale costituisce
testimonianza sotto il profilo giuridico la riforma del diritto di famiglia
-, è di impulso a una nuova attenzione al minore persona in formazione,
cui vanno riconosciuti gli stessi diritti fondamentali propri di ogni
individuo (ad es. il diritto di riunirsi pacificamente, di associarsi,
di professare una fede religiosa, di manifestare il proprio pensiero o
tutelare la propria salute).
Quanto alle possibilità concrete di esercizio dei diritti è
stata attribuita rilevanza al grado di maturità e consapevolezza
del minore .Infatti ricorrendo al concetto di capacità naturale
è possibile riconoscere al minore , a seconda del livello di maturità
raggiunta ,una certa capacità di autodeterminazione.
L'accertamento della sua capacità di intendere e di volere in relazione
al singolo atto diviene criterio di valutazione della rilevanza giuridica
di tutte quelle attività attinenti alla sfera della sua persona
.
In questa ottica autorevoli dottrine hanno sottolineato che subordinare
al raggiungimento della maggiore età non la titolarità ma
l'esercizio del diritto, cioè la capacità di porre in essere
atti personalissimi, equivale ad impedire di fatto lo sviluppo psico-fisico
del bambino .
3.
Il progressivo abbandono della concezione protezionistica del minore
a favore di una valorizzazione sempre più spinta della sua soggettività
giuridica ,unitamente alle indicazioni emerse in ambito internazionale
, principalmente attraverso la Convenzione sui diritti del fanciullo dei
1989, hanno stimolato gli stati ad adottare misure volte a rendere effettiva
e diretta la tutela dei diritti civili dei minori e finalizzate alla piena
promozione umana, sociale, civile dei bambini.
<<L'ordinamento giuridico prende finalmente atto che non assolve
alla sua funzione se si limita solo a declamare diritti , non preoccupandosi
di disporre anche strumenti attraverso i quali questi diritti possano
essere effettivamente tutelati. Il soggetto in formazione non ha capacità
di esigere il rispetto dei propri diritti e l'appagamento pieno di quei
bisogni essenziali che , giustamente, l'ordinamento giuridico comincia
a riconoscere come autentici diritti di cui il cittadini minore di età
è titolare . Soprattutto per questa categoria di cittadini è
fondamentale che l'opportuno riconoscimento astratto dei diritti venga
coniugato con la predisposizione di programmi concreti che consentano
di dare risposte realmente appaganti all'esigenza di un sostegno nel difficile
itinerario verso l'autonomia e la compiutezza umana >> .
Questa sembra essere la finalità della L. 28 agosto 1997 n. 285
recante disposizioni per la promozione di diritti ed opportunità
per l'infanzia e l'adolescenza. La nuova normativa ,che rappresenta il
primo intervento organico in favore di una migliore condizione dei minori
, ha come obiettivo la promozione della qualità della vita dei
bambini e degli adolescenti riconosciuti quali titolari di diritti e di
doveri .
Le trasformazioni realizzatesi nella società e nella famiglia hanno
determinato l'insorgenza di nuove forme di disagio minorile, non conseguenti
soltanto a situazioni di bisogno e di marginalità economica, ma
sempre più spesso dovute a privazioni culturali e relazionali.
Come da più parti è stato rilevato le cause di disagio dei
minori possono essere ricondotte principalmente a due filoni : le difficoltà
sociali ed economiche , più gravi in alcune regioni rispetto ad
altre, e la caduta dei valori tradizionali, che indistintamente riguarda
sia la parte povera che la parte ricca della società.
La necessità di ridurre le sofferenze dei bambini, tanto di coloro
che si trovano in condizioni di povertà materiale, quanto di coloro
che si trovano in condizioni di povertà relazionale, ha portato
alla introduzione di un sistema flessibile con una pluralità di
possibili risposte ai bisogni.
La legge n. 285/97 che presenta un forte carattere di promozione culturale
ed educativa , realizza un sistema di pari opportunità per i minori
, attivando diverse iniziative di contrasto alla povertà e di interventi
sul disagio, senza peraltro trascurare le esigenze quotidiane dei bambini.
E' importante sottolineare che per la prima volta il nostro legislatore
si è occupato in maniera organica delle questioni relative all'infanzia
e alla adolescenza, non limitandosi a mere enunciazioni teoriche ma prevedendo
misure concrete e puntuali di intervento .
Questa legge va dunque a completare il quadro legislativo di intervento
a favore dei minori, nel quale finora sono risultate prevalenti le normative
sull'infanzia a carattere settoriale .
Nuova e diversa risulta pertanto la prospettiva della L. n.285 che muovendo
da una visione globale delle problematiche inerenti all'età evolutiva,
disciplina interventi di promozione e prevenzione di carattere generale.
L'idea di promozione dei diritti che sta a fondamento della legge in esame
permette di evidenziare un ulteriore elemento di novità rispetto
alle normative precedenti non si tratta più di sanzionare "comportamenti
scorretti o abusanti nei confronti dei soggetti più deboli della
nostra società , quanto piuttosto quello di sviluppare attraverso
interventi innovativi , condizioni che consentano di promuovere positivamente
i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e di assicurare ai cittadini
di minore età , quelle opportunità indispensabili per un
adeguato processo di sviluppo umano che porti alla costruzione di personalità
compiute" .
4.
La legge traduce in piano operativo proprio quell'aspetto relativo alla
promozione dei diritti enunciato dalla Convenzione internazionale sui
diritti del fanciullo del 1989 , che non aveva ancora ottenuto nel nostro
paese la dovuta attenzione , né nell'ambito legislativo né
in quello delle politiche sociali. La legge n. 285 rappresenta il primo
atto concreto del Piano nazionale di azione per l' infanzia e l'adolescenza
, presentato dal Governo nell'aprile 1997, che attraverso un insieme coordinato
di misure costituisce una vera e propria politica per l'infanzia ; il
Piano si propone di assicurare a
tutti i bambini uno sviluppo armonico e completo della propria identità
personale e sociale facendo apparire superata l'ottica di un intervento
nelle sole situazioni di disagio e di devianza .
<<Il criterio fondamentale è quello di ricostruire una politica
dei bambini e degli adolescenti non segmentata e parcellizzata , ma ricondotta
ad unità per effetto della considerazione della vita come un unicum
scandito nelle varie fasi evolutive della crescita e della formazione
personale>> .
Il rispetto della personalità del soggetto e la prevalenza dell'interesse
del minore nei confronti di altri interessi sono al centro di una serie
di iniziative legislative che si propongono di attuare gli obiettivi previsti
dal Piano di azione.
In tale contesto la L.285 può certamente considerarsi il punto
di partenza di un effettivo cambiamento nell'approccio alle problematiche
minorili , soprattutto laddove mira a destare l'attenzione delle istituzioni
e della società sui diritti e sulle necessità dei bambini.
Il principio dell'interesse del minore - cui la normativa in esame si
ispira - consente dunque di porre l'accento sul l'aspetto di promozione
dei diritti e al contempo favorisce il sorgere di un nuovo diritto minorile
europeo .
5.
La L. n. 285/97, in attuazione dei principi contenuti nella Convenzione
internazionale di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo
, si propone di promuovere le condizioni di vita e di crescita dei minori
favorendone la maturazione individuale e la socializzazione (art. 1 comma
primo).
A tal proposito è importante sottolineare che la normativa , oltre
ad indicare la famiglia quale ambiente naturale di sviluppo e di realizzazione
, non esclude la possibilità di privilegiare ambienti diversi,
quali ad es.la scuola, qualora risultino più rispondenti al soddisfacimento
dell'interesse del minore.
Per il raggiungimento delle finalità enunciate , la legge prevede
il finanziamento dei necessari interventi a livello nazionale, regionale
e locale tramite l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri di un Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza.
Il secondo comma dell'art. 1 stabilisce i criteri per la ripartizione
del Fondo , disponendo che una quota pari al 70 % venga suddivisa tra
le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano , mentre la restante
quota , pari al 30% sia riservata al finanziamento di interventi da realizzarsi
in determinate città che , per dimensioni e densità di popolazione,
richiedono un miglioramento quantitativo e qualitativo dei servizi e delle
opportunità per l'infanzia.
Il criterio di ripartizione delle suddette quote deve avvenire per il
50% sulla base dell'ultima rilevazione della popolazione minorile effettuata
dall'Istat, e per il restante 50% secondo criteri enunciati dalla legge
al fine di migliorare la distribuzione delle risorse sul territorio. I
parametri che presiedono alla assegnazione di questa ulteriore quota sono
rappresentati dalla carenza di strutture per la prima infanzia , dal numero
dei minori presenti in istituti educativo-assistenziali, dall'indice di
dispersione scolastica nella scuola dell'obbligo, dalla percentuale di
famiglie con figli minori, che vivono al di sotto della soglia di povertà,
dall'incidenza del coinvolgimento di minori in attività criminose.
Il riferimento a criteri diversi rispetto a quello della densità
della popolazione minorile appare giustificato dalla necessità
di individuare con precisione le aree del disagio sulle quali effettuare
gli interventi .
La determinazione delle modalità di ripartizione e di erogazione
delle risorse , ai sensi dell'art, 1 comma terzo, è demandata all'emanazione
di un decreto del Ministro della solidarietà sociale .
Per quanto concerne gli ambiti territoriali di intervento (che il primo
comma dell'art. 2 individua nei Comuni, nei Comuni associati, nelle comunità
montane e nelle provincie) la legge demanda alle Regioni i compiti relativi
alla loro individuazione ed alla conseguente ripartizione delle risorse
, allo scopo di assicurare l'efficienza e l'efficacia degli interventi
e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti .
Elemento di novità è rappresentato dalla valorizzazione
del ruolo degli enti locali , i quali approvano i piani annuali di intervento
articolati in progetti immediatamente esecutivi ed il relativo piano economico.
Questi piani devono essere definiti mediante appositi accordi di programma
cui partecipano oltre alle competenti amministrazioni , provveditorati
agli studi , aziende sanitarie locali, centri per la giustizia minorile,
anche quelle organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti
sul territorio che si occupano di infanzia e di adolescenza.
La legge sembra muoversi in una prospettiva di più ampio respiro
rispetto al semplice finanziamento del singolo progetto, promuovendo la
elaborazione di piani complessivi di intervento .
L'art. 3 individua le finalità dei progetti previsti dai piani
territoriali di intervento ed ammessi al finanziamento del Fondo , mentre
i successivi artt. 4, 5, 6, 7 specificano le modalità per il perseguimento
degli obiettivi ivi stabiliti.
In particolare i progetti previsti dai piani debbono prevedere (art.3
lett.a) misure di preparazione e di sostegno alla relazione genitori-figli,
di contrasto alla povertà e alla violenza e misure alternative
al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali.
6.
Delle difficoltà connesse al ruolo genitoriale, accresciute dalle
profonde trasformazioni sociali e culturali che hanno determinato una
eterogeneità di modelli familiari, ha tenuto conto il legislatore
laddove ha previsto la attivazione di una serie di servizi di supporto
alla genitorialità.
L'intervento rivolto ai genitori assume svariate forme : attività
di informazione e di sostegno alle scelte di maternità e paternità
(art.4 primo comma lett.b), attività di sostegno alla famiglia
e al minore al fine di realizzare un' azione di prevenzione delle situazioni
di crisi e di rischio psico-sociale (art.4 primo comma lett.c) , attività
di consulenza per le famiglie e i minori e servizi di mediazione familiare
orientati al superamento delle difficoltà relazionali (art. 4 primo
comma lett.i) .
E' importante sottolineare che per la prima volta il nostro legislatore
in sintonia con le più recenti normative europee contempla la mediazione
quale strumento di risoluzione dei conflitti sorti in ambito familiare.
L'interpretazione attuale della disposizione legislativa non limita l'uso
della mediazione ai soli conflitti della coppia coniugale ma lo estende
anche a quelli tra genitori e figli e tra i minori e i loro educatori
(gli insegnanti).
L'utilizzazione dello strumento mediativo non può essere limitato
ad un unico ambito , posto che famiglia e scuola sono entrambi luoghi
di socializzazione e di regolazione dei conflitti, e come tali necessitano
di strumenti atti a facilitare, nell'ottica dell'interesse del minore,
il loro ruolo di educatori.
7.
Le difficoltà in cui da molto tempo si dibatte l'intero sistema
della scuola sono testimoniate sia dall'aumento della dispersione scolastica
che dalla diffusione della violenza tra gli adolescenti.
In tali contesti si inserisce a pieno la mediazione che , in alternativa
ad un modello disciplinare punitivo, mira a creare un nuovo spazio di
gestione dei conflitti nel quale ridefinire i rapporti interpersonali,
non solo quelli tra alunni ed educatori ma anche tra gli stessi allievi.
La consapevolezza di un imponente bisogno di capire e gestire la conflittualità
ci induce infatti verso la acquisizione di una nuova mentalità
di concepire il conflitto, secondo cui la conflittualità non può
considerarsi di per sé negativa proprio in quanto espressione di
opinioni diverse, ed in tal senso necessita di essere accolta. Nella stessa
ottica si rende indispensabile gestire il conflitto in modo da favorire
la responsabilità decisionale dei contendenti.
Nella ricerca di strumenti atti a soddisfare le nuove esigenze si colloca
la mediazione che mira a ristabilire un dialogo tra le parti e a realizzare
un progetto di riorganizzazione delle relazioni.
La mediazione scolastica promuove l'acquisizione da parte dei bambini
e degli adolescenti delle tecniche di gestione dei conflitti sia in forma
preventiva, per affrontare cioè il disadattamento e la devianza,
sia come strumento di lotta all'intolleranza e di diffusione di una nuova
cultura di pace e di accettazione delle diversità.
In tale ottica la mediazione scolastica - che trova il proprio referente
normativo giustappunto nella disciplina di cui alla L. 285/97 - viene
a proporsi non come una semplice tecnica di gestione della violenza e
di pacificazione delle relazioni in ambito scolastico, ma come un processo
educativo in grado di favorire la diffusione e la fruizione di un nuovo
modello di regolazione dei conflitti.
L'elemento portante del sistema delineato dalla normativa in esame, peraltro,
può essere individuato in quelle norme che consentono di raggiungere
quegli stessi obiettivi di promozione e prevenzione che la Convenzione
ONU del 1989 considera indispensabili per porre le basi di una nuova cultura
dell'infanzia .
La legge n. 285/97 , infatti, nell'ottica di una promozione e di una intensa
partecipazione dei minori in esperienze aggregative , (art. 6 primo comma),
consente, implicitamente, che la mediazione assurga a strumento di sensibilizzazione
e di informazione degli insegnanti e delle famiglie, ma soprattutto diventi
strumento di formazione degli alunni , alternativo a quello tradizionale,
disciplinare-punitivo
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