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Con tale gruppo di lavoro si propone una riflessione sull'urgenza nella civiltà contemporanea di uscire dagli schemi di relazioni sociali improntate alla sopraffazione, alla concorrenza intesa come rivalità, quand'anche non alla violenza e all'aggressività. L'intenzione è di interrogarci sulla proponibilità di un diverso paradigma delle relazioni interpersonali e sociali, ovvero rintracciare il potenziale umano delle condotte cooperative, proprio utilizzando a pretesto la gestione dei conflitti, e non la loro risoluzione. Si tratta di provare ad esplorare nell'uomo e nel suo comportamento, l'eventuale collegamento tra la nostra capacità di essere violenti e il nostro bisogno l'uno dell'altro. A questo proposito viene presentato un filmato che illustra l'esperienza delle "Commissioni di verità e riconciliazione in Sudafrica". Inoltre si descriveranno esempi concreti, in ambiti e contesti sociali differenti, dove il mediatore diventa "elaboratore di progetti", e propone una nuova operatività sociale attraverso la gestione dei conflitti: il Centro Sperimentale di Mediazione Sociale di Milano, e la Mediazione Sportiva nell'ambito del settore giovanile di una squadra professionista di calcio. |
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RELAZIONE
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Il quarto anno di realizzazione del Progetto di Mediazione dei conflitti nell'ambito delle attività di allenamento ed agonistica nel settore giovanile dell'Inter, rappresenta, per quanto qui successivamente motivato, il completamento di una fase sperimentale che si è necessariamente articolata con diversi impianti operativi fin dall'inizio dell'esecuzione del progetto. Inserire una nuova figura che si dispone alla neutralità e all'accoglienza
delle diverse narrazioni di chi affronta un'esperienza conflittuale in
un ambiente funzionalmente competitivo come il calcio professionistico,
è stata quasi una scommessa. Queste premesse teoriche permettono di meglio specificare l'evoluzione
del nostro operato di mediatori sportivi all'Inter in questi anni, anche
in riferimento all'indispensabile esigenza sperimentale dei primi anni
di inserimento di questa specifica figura operativa. Va senz'altro rilevato a proposito che la prospettiva di intervento dei
primi anni di progetto, sia stata lievemente sbilanciata su preoccupazioni
di tipo educativo-pedagogico e di tutela dei diritti dei giocatori in
erba, quasi come se il mediatore volesse farsi leggere dai ragazzi come
il loro rassicuratore amico. In tal senso anche la percezione di tale
ruolo da parte degli adulti che operano nel settore giovanile, si è
andata deformando verso aspettative di tipo educativo-disciplinare, che
invece non devono per niente competergli. Quest'anno in particolare si è concentrato il nostro lavoro anche sugli adulti che operano con i ragazzi, soprattutto gli allenatori, e sui genitori. Il disagio che esita da difficoltà di ordine comunicativo e relazionale, maggiormente quando ad esse sono sottese vicende conflittuali, è anche un vissuto ed un'esperienza del formatore, di colui che esercita una specifica professione tecnica, e che difficilmente viene incontrato e accolto sul piano emotivo e più specificamente umano. In particolare la forte caratterizzazione del ruolo dell'allenatore, spesso ne offusca la dimensione personale ed umana, con possibili conseguenze di disagio personale che possono comportare anche profondi vissuti di solitudine. Quando si è chiamati in un ambiente a svolgere un compito molto specifico e leaderistico, come quello dell'allenatore, spesso si sente la necessità di disfarsi della maschera che il ruolo stesso impone, e di poter esistere in quanto tali. Questa operazione pur apparendo banale non è in realtà facile e siamo convinti che il mediatore abbia fornito un supporto anche in tal senso. L'offerta di un luogo privilegiato di ascolto e di confronto anche per
i genitori si è confermato come un intervento fondamentale, che
in talune situazioni ha facilitato la gestione di dissapori e di disagi
pregiudiziali, che altrimenti non potevano venire accolti se non con spicciole
pratiche liquidatorie, già di per sé causa di inquinamento
comunicativo e relazionale. L'attenzione al mondo genitoriale dei ragazzi
è un aspetto irrinunciabile in un settore giovanile di un Club
professionistico, e non può essere negata, arrivando addirittura
a sostenere, come spesso si sente dire tra gli operatori del settore,
che i migliori giocatori siano gli orfani. Un altro aspetto problematico si riferisce al modo di inserimento del
mediatore nel gruppo di lavoro. A conclusione di queste tracce di presentazione dell'attività del progetto di mediazione nell'anno 1999-2000, ci preme evidenziare alcuni aspetti fondamentali della figura del mediatore sportivo, tutti scaturiti a partire dalla pratica concreta e dalle problematiche che questa comporta. Innanzi tutto egli è un soggetto capace di autorevolezza, pur sfornito di potere e con un ruolo assai debole. Alla base del suo intervento vi è la risorsa di saper creare relazioni fiduciarie, sia restituendo che ottenendo fiducia. Altro aspetto del mediatore sportivo è l'autonomia rispetto ad altre competenze e professioni. Egli non ha una funzione pedagogica, né un approccio terapeutico. Il conflitto, anche quello tra due persone, certo genera disordine. Il mediatore non interviene per ristabilire l'ordine o per guarire il disordine, bensì accoglie quel disordine come componente viva degli incontri inter-personali, sia dentro che fuori dalla dinamica dei gruppi. Ciò facendo si sottrae ad interventi risolutori, consigli, cure o giudizi, e si dispone ad offrire uno spazio privilegiato di ascolto, restituendo a coloro che vivono un conflitto la dignità e la responsabilità rispetto ad esso. L'altra caratteristica è la neutralità. Sembra un aspetto
quasi scontato, ma è in realtà il più difficile dei
compiti di un mediatore, evitare di immedesimarsi con qualcuno che gli
fa rivivere proprie situazioni di vita o con il più debole di un
conflitto. Ancor più complesso in un ambiente competitivo per definizione
è il rimanere neutro tra le varie componenti che vi interagiscono,
e saper sempre demarcare il limite tra gli aspetti competitivi e quelli
conflittuali. Individuare infatti una precisa demarcazione tra l'ambito
della competizione e quello del conflitto, consente di evitare non solo
gli esiti negativi che intaccherebbero il complesso delle relazioni interpersonali,
ma anche il blocco di potenzialità che possono attivarsi in uno
spazio comunicativo ed espressivo libero e aperto al confronto con l'altro. Considerati questi vari aspetti caratteristici del mediatore, va segnalata
la difficoltà ad accettare questa figura come risorsa, per alcuni
protagonisti delle pratiche di addestramento, e l'esigenza di lavorare
con coloro che in questi anni si sono rivolti al mediatore in modo continuativo,
in particolare alcuni tra gli allenatori. In sintesi, la nostra azione di trattamento dei conflitti non coincide
con la loro risoluzione "a tutti i costi", ma con la messa in
opera di pratiche di mediazione tese a riattivare nei soggetti la potenzialità
necessaria per uscire dalla situazione conflittuale. Queste riflessioni fin qui fatte sono da ritenere il frutto di un'esperienza
pratica di quattro anni, e completano le precedenti considerazioni svolte
alla fine di ogni anno di lavoro, come introduzione ai fascicoli con cui
abbiamo annualmente presentato l'operato dei mediatori. Il supervisore è Paolo Giulini, ideatore del progetto. |
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