Country:
Italy
Language:
Italian
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L'esperienza
Ciò che ha caratterizzato gran parte dell'esperienza didattica
volta alla formazione del mediatore familiare, presso l'I.S.P.P.R.E.F.
di Napoli, è stata la possibilità di creare un'esperienza
formativa di "secondo livello" finalizzata, cioè, sia
a far acquisire un corpus teorico e abilità operative di tipo professionale,
sia alla stimolazione della competenza autoriflessiva del soggetto adulto
in formazione, attraverso il costante richiamo, esplicito e/o implicito,
alla personale storia di vita (familiare, scolastica, lavorativa, affettiva,
relazionale). Ciò consente al soggetto in formazione di moltiplicare
la possibilità di personale significazione e cambiamento e provoca,
al proprio interno, trasformazioni altrimenti impensabili, senza alterare
la coerenza del proprio sistema, ma abilitandolo a comprendere quali meccanismi
regolativi attivare nei futuri adulti-clienti per la loro personale crescita.
Da questa impostazione scaturiscono due riflessioni. La prima è
legata alla natura del processo apprenditivo in età adulta. L'adulto,
in particolare, ha un bisogno costante di affermare la propria autonomia
relazionale e incrementabilità conoscitiva; perciò, è
possibile considerare che ogni formazione è autoformazione nella
misura in cui è lo stesso sistema vivente che, attraverso la sua
struttura e il suo funzionamento, stabilisce che cosa fare di ciò
che ha imparato e che cosa imparare di ciò che fa. La seconda riflessione
è una necessaria integrazione della precedente; la precedente,
infatti, ha il limite di incentrare ed esaurire la processualità
apprenditiva all'interno del soggetto titolare del percorso, accantonando
da un lato il contesto della relazione apprenditiva e dall'altro quasi
ignorando il ruolo del formatore; la "formazione come organizzazione"
e il suo dispiegarsi all'interno del "gruppo in formazione"
costituiscono, invece, la risposta all'eccessivo individualismo apprenditivo
che sembra avere generato e consolidato, nella nostra società,
percorsi individuali e collettivi fortemente autoreferenziali, antagonistici,
conflittivi.
Tutto ciò ha condotto il gruppo dei didatti a ritarare costantemente
l'offerta della relazione formativa e a rivalutare la figura del didatta
quale elemento, a sua volta, mediatore fra l'istanza formativa e la crescita
individuale e del gruppo, facilitatore dell' "esposizione" apprenditiva
di ciascuno all'interno di un percorso caratterizzato dal comune scopo
di formarsi alla funzione mediativa. La presenza del didatta non nega
né l'autoapprendimento, né l'autoformazione se si considera
che non si dà autoformazione senza una preformazione attenta ad
evitare sia la dipendenza dalla dimensione formativa tradizionale sia
il solipsismo dell'autodidatticità.
La riflessione
A questo punto, si potrebbe tratteggiare una fenomenologia della relazione
didattica così come emerge dall'esperienza. Entrambi i soggetti
principali dell'interazione: didatta e corsista/gruppo dei corsisti sono
legati al comune destino formativo/autoformativo che li unisce facendoli
entrare in contatto grazie ai limiti che i ruoli reciproci permettono
loro. Più la relazione formativa è autentica, più
il ruolo di ciascuno funziona come decodificatore semantico dell'esperienza
individuale e di gruppo che può essere immessa nel setting della
formazione senza pregiudicarne i caratteri, ma confermando anzi la struttura
asimmetrica sulla quale si fonda. Nello stesso tempo, per quanto di sé
ognuno riesca ad esprimere attraverso il ruolo che riveste, il sé
trascende comunque l'interazione formativa salvaguardando l'autonomia
sia dei soggetti nei confronti della relazione didattica, sia viceversa.
Per il corsista in formazione non può che essere di grande valore
potersi rispecchiare non in un formatore tutto d'un pezzo che si confonde
con il vestito che indossa, ma in una persona che affronta il suo stesso
problema anche se visto dall'altra parte del mondo. E' corretto pensare,
dunque, che un setting è tanto più ricco quanto più
le persone che vi sono immesse possono esprimere se stesse attraverso
il filtro del ruolo che occupano. Ciò è possibile se si
considerano i ruoli non come dei setacci della propria personalità
che a seconda della larghezza delle maglie lasciano cadere parti più
o meno estese ed interessanti di sé trattenendone altre, ma come
codici di interpretazione della propria esperienza che possono quindi
potenzialmente restituire per intero anche se elaborata sul piano particolare
che la caratterizza.
Ciò che è significativo - nell'esperienza formativa della
quale si sta tratteggiando il profilo - non è quello che si apprende,
ma il modo con cui tutto ciò accade. Non sono le conoscenze che
garantiscono autonomia a chi le possiede, ma la capacità di manipolarle
adattandole al nuovo che di volta in volta si incontra e quindi non è
l'oggetto dell'apprendimento ad essere fondamentale per lo sviluppo individuale
e di gruppo, ma il suo processo, la full immersion nell'esperienza sincronica
(contenuto/emozioni/contesto) di apprendimento. All'interno del setting,
la condizione di dipendenza che caratterizza il corsista/gruppo permette
la sperimentazione di una molteplicità di forme di apprendimento
che autonomamente non verrebbe esplorata, alla ricerca invece di un metodo
valido, di un contenuto certo. Questa è la caratteristica propria
del neofita alle prime armi del suo apprendistato.
La prospettiva
All'interno del setting offerto dal gruppo dei didatti è, dunque,
possibile imparare, entrando in relazione con i problemi che si incontrano
e che in futuro si incontreranno, provando diversi modi per farlo e cercando
di comprendere al tempo stesso le proprie reazioni e le proprie strategie
evitando la tentazione sempre in agguato di affidarsi alla prima soluzione
individuata o al "guru" del gruppo dei didatti. Inoltre, il
setting implica la relazione con altri soggetti che apprendono e questo
offre modelli cui fare riferimento e strategie differenziate che legittimano
con la loro stessa esistenza la ricerca di quelle personali. Infine, nel
setting l'imparare è sempre un imparare da qualcuno che è
lì proprio per garantire a ognuno la possibilità di apprendere
ben più di ciò che gli permette la sua propria esperienza
rendendo possibile l'accesso a quella degli altri. Naturalmente il fatto
che tutto ciò sia possibile non ne garantisce affatto l'automatismo
e per questo motivo il gruppo dei didatti è costantemente allertato
a riflettere, ridisegnare, riproporre, confrontarsi con gli altri colleghi;
il gruppo dei didatti, mutatis mutandis, vive e sperimenta su di sé
la stessa dinamica del gruppo dei formandi.
D'altronde, se l'unica cosa che un formando deve imparare in una struttura
formativa fosse solo ciò che gli viene insegnato come farebbe a
imparare ad imparare? Come potrebbe sviluppare la propria capacità
di apprendere senza qualcuno che gli indicasse la strada per farlo e nello
stesso tempo gli offrisse la possibilità di percorrerla insieme?
L'apprendimento prende forma attraverso e dentro la relazione in atto;
la sua qualità dipende dalla qualità della relazione posta
in essere.
Di qui la comprensione che il lavoro di formazione dei didatti si fonda
su due distinte dimensioni: da una parte, la strutturazione dell'esperienza
apprenditiva che il didatta deve progettare e condurre nel migliore dei
modi possibili, all'interno dei vincoli esistenti; dall'altra, la necessità
dell'elaborazione di quello che, comunque, accade anche al di là
del previsto. Ciò che infatti è negativo, sul piano del
vissuto immediato, può trasformarsi in un qualche significato per
gli attori della scena. I significati sono sempre positivi sul piano formativo,
perché permettono di sviluppare la complessità del proprio
patrimonio simbolico e di conseguenza la propria capacità di apprendimento.
Inoltre, cogliere i significati di un'esperienza negativa implica comprendere
il senso dei vincoli che l'hanno prodotta e dunque la possibilità
di agire su di essi per modificarli o per trasformare gli effetti. L'apertura
semantica della quale il lavoro formativo necessita si sposa di più
con i quesiti che non con le affermazioni di certezza, con le ipotesi
più che con le tesi, con l'ascolto che con la perorazione. Il chiedere,
l'immaginare e l'ascoltare lasciano che l'esperienza parli di sé,
aggiungendo quindi elementi di comprensione al semplice e naturale fatto
di viverla. In termini fenomenologici si tratta di "mettere tra parentesi"
ciò che accade per cogliere la relazione tra il fatto e i suoi
protagonisti, riportando in tal modo al centro dell'attenzione il ruolo
di ciascun soggetto in formazione, l'interazione formativa e il suo setting.
E' il didatta, infatti, il garante di questa possibilità, non tanto
per delle capacità che potrebbe avere o non avere, ma per il suo
stesso ruolo. Nessuno come un didatta è costretto continuamente
a chiedersi il senso di quello che sta facendo, anche se evita accuratamente
di farlo. Per il solo fatto di esserci, di stare con e in mezzo al gruppo,
il didatta immette la relazione con il formando in una condizione di apertura
che può anche venire richiusa immediatamente, ma al prezzo di ineliminabili
tensioni, conflitti. Il ruolo del didatta implica un setting che giustifichi
questa condizione di apertura e un contratto che la istituisca. E la interazione
formativa regolata da un setting fondato sulla presenza del formatore
è il primo mondo ad essere disvelato dalla propria autoriflessività.
Ciò che appare con la riflessione sull'esperienza formativa che
si vive, dopo il suo carattere di artificialità e di metafora,
è il suo essere "autoeducante", cioè irriducibilmente
orientata ad interrogarsi su se stessa.
La domanda ricorrente di ricerca
Ci si potrebbe chiedere se quanto illustrato sia soltanto un'alchimia
astratta, un'ipotesi sofisticata di lavoro da attuare ancora oppure una
tensione in atto. Stiamo descrivendo ciò che non solo accade, ma
che non può non accadere. La domanda, allora, è un'altra:
cos'è che impedisce il pieno dispiegarsi di ciò che - di
fatto - non deve essere creato dal nulla, ma che c'è già
sempre nei contesti formativi caratterizzandone la struttura profonda?
Questo è un percorso di ricerca ben più interessante, che
potrebbe condurci, come di fatto ci sta conducendo, ad affrontare il problema
dei linguaggi e dei paradigmi scientifici e culturali capaci di vedere
una realtà fenomenica che quelli imperanti occultano. Il setting,
l'apertura semantica, l'oggetto intenzionale dell'esperienza educativa,
l'autoriflessività come sospensione del giudizio quotidiano sul
mondo, l'interazione formativa tematizzata come primo e fondamentale universo
di significato che emerge dall'elaborazione didattica, il contratto come
pratica di istituzione del setting, la struttura metaforica del laboratorio
esistenziale sul quale ogni agenzia formativa si regge, non sono dispositivi
da attivare, ma fatti da vedere attraverso un linguaggio che ne sappia
parlare e rendere ragione. E' alla ricerca di questi fatti che il gruppo
dei didatti dell' I.S.P.P.R.E.F. è partito da tempo, per mostrare
a se stesso, agli altri e ai propri gruppi in formazione la possibilità
e la necessità.
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Operatori del Servizio di Mediazione Familiare, Istituto di Psicologia
e Psicoterapia Relazionale e Familiare, Napoli.
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- Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1999(XVI);
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