Introduzione

3 WMF ITALIA 2000

Le radici della Mediazione

ALBA MURENU


ABSTRACT

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Country:
Italy

Language:
Italian

La mediazione come "arte" di risoluzione dei conflitti affidata a un terzo imparziale non è, come potrebbe sembrare, un'invenzione dell'uomo moderno dettata dalla necessità di ristabilire in qualche modo l'equilibrio perduto o di stabilirne uno nuovo.
Ben 500 anni prima di Cristo, nell'antica Cina, la mediazione era la strada privilegiata per superare le situazioni conflittuali e giungere a riconciliarsi con l'altra parte. Certamente la filosofia Confuciana influenzò favorevolmente tale modalità d'approccio conciliatorio e non antagonista.
In Giappone come anche nell'Africa centrale, non era sconosciuta la figura del mediatore: eletto da un'assemblea di anziani riunita in consiglio, conduceva ad una collaborazione proficua le parti in contesa.
La relazione si articolerà in due parti:
A- le origini della mediazione in oriente, nella Cina e nel Giappone, dai villaggi del passato ai tribunali del giorno presente;
B- le origini della mediazione in occidente dalla famiglia patriarcale fino all'intuizione dell'avvocato americano Jim Coogler, senza dimenticare la figura di John Haynes, fondatore della Prima scuola per mediatori.


 

Index

Introduzione
La mediazione in Cina
La mediazione in Giappone
La mediazione in Occidente
La mediazione negli
Stati Uniti d'America
La mediazione in Canada
La mediazione in Gran
Bretagna
La mediazione in Italia
Conclusioni
Bibliografia

 
 
" L'armonia nascosta vale pił di quella che appare ".
ERACLITO
 
 

Introduzione

 
 


Il termine "mediazione" deriva dal tardo latino "mediatio,onis" che a sua volta trae origine dal verbo "mediare", "essere nel mezzo", "interporsi", "mantenersi in una via intermedia".
La mediazione in quanto capacità di condurre due o più persone al superamento della contesa non è, come potrebbe sembrare, un'invenzione dell'uomo moderno, dettata dalla necessità di ristabilire in qualche modo l'equilibrio perduto, o di stabilirne uno nuovo. Già in Cina cinquecento anni prima di Cristo si ricorreva a questa "tecnica" per risanare le dispute all'interno delle piccole comunità e così pure gli anziani dei villaggi giapponesi assumevano le vesti di mediatore per reintrodurre quell'ordine modificato da eventi conflittuali.

Nella stessa Sardegna non era sconosciuta l'arte del "mediare" quale strada privilegiata per ri-compattare le disgregazioni che avvenivano in seno alle piccole comunità paesane.
La mediazione non ha il potere di "annullare" il conflitto; sarebbe questa una pretesa assurda e irrealizzabile. Eraclito affermava che il "Pólemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi" (Eraclito, in S. Gabbiadini-M. Manzoni,1991).

Ciò che voleva dire il grande filosofo greco è che la realtà si configura come armonia e unità degli opposti, un'armonia che si produce grazie ad un'equilibrata tensione di forze opposte, grazie cioè a un "pólemos", un conflitto implicito in ogni realtà.
Se il conflitto venisse soppresso, anche il suo contrario (la pace) non avrebbe più sostanza: "una certa realtà non si dà senza la realtà ad essa opposta" (S. Moravia, 1990).
La mediazione, quindi, è un luogo in cui il conflitto, il disordine di ciascun individuo vengono accolti e "gestiti" positivamente e non osteggiati.

Non mi pare un azzardo accostare l'arte del mediatore a quella della "maieutica", alla quale Socrate, nella Grecia del V secolo a.C., ricorreva per "aiutare le persone a partorire le idee che esse avevano in gestazione, limitandosi a interrogarle e lasciando loro lo spazio per l'elaborazione" (S. Moravia, 1990).
E allo stesso modo il mediatore, lungi dal proporre alle parti una soluzione preconfezionata e modulata sulle proprie ideologie, si adopera affinché esse stesse giungano in totale libertà e in maniera incondizionata ad una risoluzione, e ancor più affinché vi sia una ri-apertura dei canali comunicativi.

 

 

La mediazione in Cina

 
 
Le radici della mediazione affondano nel lontano Oriente, così ricco di fascino e di saggezza: nel V secolo a. C., in una Cina straziata dai conflitti per le successioni e illuminata dalla figura sempre viva del grande filosofo Confucio, che non aveva la pretesa di essere un profeta o una divinità ma solo un maestro, ci si affidava alla mediazione per ripristinare e mantenere delle relazioni pacifiche tra gli abitanti dei piccoli centri.
Confucio raccomandava l'esercizio e lo sviluppo della virtù, come il "Jen" (l'umanità, la benevolenza, la gentilezza, l'altruismo), il "Li" (il rito), lo "I" (la giustizia), il "Chih" (l'intelligenza, la cultura), la pace e l'armonia universali ( Less. Univ. Ital., vol. V, 1970 ); per questo ogni contrasto e ogni contrapposizione prendevano i connotati di un evento destabilizzante: per ristabilire l'equilibrio originario era essenziale superare il bipolarismo della contesa fino a giungere, su un livello più alto, alla conciliazione dei due opposti. Fedele a questo insegnamento, il popolo cinese preferiva di gran lunga un approccio conciliatorio a quello antagonista (Gulotta e Santi, 1988).
L'attività mediativa dei tempi passati, ha trovato la sua naturale prosecuzione nei cosiddetti "Comitati di Mediazione", attualmente più di un milione sparsi in maniera capillare su tutto il territorio nazionale: essi operano nei quartieri, nei villaggi, nelle fabbriche, risolvendo con successo le situazioni conflittuali e favorendo il ri-fiorire di una nuova comunicazione tra gli individui.

Nella sola Pechino, nel 1984, il numero dei "Comitati" era pari a undicimila, senza contare quello dei mediatori, oltre ottantamila, selezionati tra la popolazione che appartiene al "Comitato di base". A quest'ultimo è riservato l'intervento mediativo vero e proprio, mentre l'amministrazione dei "Comitati" è appannaggio del Ministero di Giustizia di Pechino.
E' importante sapere che, per giungere ad un accordo, le parti in lite sono libere di optare per diverse soluzioni: la mediazione non ha valore coercitivo ed è considerata un'alternativa alle vie legali.
All'interno del sistema di mediazione citato poc'anzi, l'assistente giudiziario riveste un ruolo di prim'ordine, divenendo un prezioso e insostituibile collaboratore per i mediatori: è colui che, incaricato dalle autorità cinesi, ha la funzione di garantire una certa regolarità negli accordi presi al termine del processo di mediazione, vigilando a ché essi non si allontanino oltremisura dalle norme giuridiche vigenti.

Il criterio di selezione di queste figure professionali è strettamente connesso all'età dei candidati e alla professione che essi svolgevano in precedenza: gli assistenti giudiziari vengono infatti reclutati tra i pensionati del sistema giudiziario o militare o anche tra le persone più in vista; essi hanno il compito di supervisionare i Comitati da un punto di vista politico e di istruire i mediatori in relazione alle principali nozioni di diritto.

I dati relativi al 1985 in Cina, mostrano chiaramente come oltre sei milioni di conflitti abbiano trovato una risposta soddisfacente grazie al ricorso alle tecniche mediative e, tra essi, cinque milioni si sono conclusi senza l'intervento degli assistenti giudiziari, del restante milione una metà ha avuto una rapida risoluzione grazie alla proficua collaborazione tra mediatori e assistenti giudiziari, mentre l'altra metà è stata mediata direttamente dagli assistenti giudiziari. Nel complesso, fra tutti i conflitti giunti a buon esito, soltanto una piccola percentuale è stata sottoposta all'attenzione dei tribunali (Demeulenaere,1987).

 

La mediazione in Giappone

 
 


Così come in Cina, anche in Giappone l'arte del mediare era il canale preferenziale nella risoluzione dei contenziosi: in alcuni villaggi giapponesi, erano gli anziani, considerati saggi, che si facevano carico dei disagi scaturiti da un conflitto irrisolto o derivati dalle piccole e grandi contese che minavano gli equilibri della comunità.
L'usanza era quella di convocare l'assemblea degli anziani, ai quali spettava il compito di vagliare i termini della lite ed eleggere un "capo", il mediatore: stimolando la comunicazione tra le parti le portava al superamento della contesa (Gulotta e Santi, 1988).
La comunicazione. Essi avevano compreso, nella loro infinita saggezza, quale era la chiave di risoluzione, lo strumento prezioso, l'essenza della vita stessa, che produce lo scambio, il fluire delle idee, la consapevolezza dell'altro nell' "ascolto" reciproco.

Di quella antica arte sono rimaste immutate le finalità, il tentativo di ri-pristinare una comunicazione inter-rotta facendo "circolare" la parola, l'esigenza di ri-condurre alla "normalità" una situazione caotica, la necessità di gestire in maniera positiva i conflitti seguendo la strada che conduce ad una effettiva cooperazione, ma tutto è cambiato in termini di professionalità e anche il campo d'azione si è allargato a tutte le sfere del sociale in cui un mantenimento delle relazioni non è soltanto necessario ai fini pratici ma è essenziale per il re-cupero del benessere individuale e, evidentemente, collettivo.
Attualmente la mediazione, nel Paese del Sol Levante, trova applicazione negli ambiti più disparati come, ad esempio, nel diritto civile, nella protezione ambientale o nel diritto del lavoro; nel diritto penale, invece, si preferisce non intervenire con il processo mediativo.
Nell'ambito del diritto civile si opera all'interno di due campi ben distinti: quello del diritto di famiglia e quello del diritto civile in generale.

La mediazione del diritto di famiglia si pratica all'interno dei Tribunali di Famiglia che si occupano esclusivamente dei dissidi sorti tra le mura domestiche; questi Tribunali, fondati nel 1949, sono stati creati per trattare in maniera diretta gli aspetti inerenti alla separazione, al divorzio, all'affidamento dei figli e a tutte quelle problematiche di carattere prettamente familiare. Rispetto ai Tribunali civili ordinari, essi si caratterizzano per l'utilizzo di una procedura informale, confacente alla sfera familiare, e per il fatto che le udienze si tengono in forma strettamente privata, chiuse al pubblico, per salvaguardare il diritto alla privacy e per favorire una maggiore fluidità della comunicazione tra i partecipanti al processo.
Inoltre, mentre nei Tribunali di diritto civile il ricorso alla mediazione è solamente un'alternativa al comune iter legale, nei Tribunali familiari è stato reso obbligatorio.
I casi di mediazione, che di volta in volta vengono sottoposti all'attenzione del Tribunale, vengono presi in esame da una Commissione, nominata dal Tribunale stesso: essa è composta da tre membri, di cui due sono mediatori (in genere si preferisce eleggere un mediatore e una mediatrice) e l'altro è un giudice che riveste il ruolo di presidente della commissione.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, per acquisire il titolo di mediatori in Giappone non necessariamente si devono seguire dei corsi di specializzazione, sebbene il governo garantisca una formazione continua per coloro che ne sono interessati. Bisogna inoltre dire che la professione, non ha fini di lucro: dal punto di vista economico, infatti, non offre grossi vantaggi; forse per questo motivo, quella del mediatore, è considerata dai giapponesi una tra le più prestigiose figure professionali!

La crescente consapevolezza dell'importanza del processo di mediazione quale momento d'incontro e di superamento di modalità conflittuali negative e violente, e la felice risoluzione della maggior parte dei casi mediati, sono dovute, per lo più, ad una efficace politica di incoraggiamento sostenuta dal governo sia attraverso la legislazione in materia, sia rendendo difficoltoso l'accesso ai Tribunali ordinari.

Non si può certamente negare un'influenza notevole della cultura, della religione o di altre esperienze di vita come lo Zen, "la ricerca di sé mediante la meditazione per realizzare la propria vera natura"; lo spirito Zen significa la pace e la comprensione, la devozione all'arte e al lavoro…" ( N. Senzaki, P. Reps, 1995).
Non ci deve stupire allora il fatto che i giapponesi preferiscano cooperare in una prospettiva di risoluzione pacifica delle controversie, piuttosto che incorrere nelle liti giudiziarie.

 

 

La mediazione in Occidente

 
 


Anche nell'antica Grecia si può ritrovare la figura del mediatore che nelle situazioni critiche faceva da intermediario, spesso tra il singolo e la comunità, e si adoperava per raggiungere un accordo scavalcando l'uso della violenza.
Celebre è l'episodio raccontato nell'Iliade, poema omerico narrante la guerra di Troia e la sua conseguente distruzione, in cui Agamennone, comandante degli Achei, invia nella tenda di Achille accecato dall'ira, Fenice, Ulisse e Aiace per indurlo a imbracciare di nuovo le armi al sevizio dei Greci: "…accorri a preservar dall'inimico assalto i desolati Achei. Se gli abbandoni, alto cordoglio un dì n'avrai, né al danno troverai più riparo; […] allontana dall'argolica gente il giorno estremo" (Hom.- Il., IX, 324-330, Zanichelli, 1963).

Questo tipo di mediazione può essere definita "indiretta": è la cosiddetta "diplomazia della navetta" di cui oggigiorno sentiamo spesso parlare alla televisione in quanto pratica di mediazione che trova la sua attuazione nelle crisi inter-nazionali.
Prima del processo di industrializzazione presso i popoli occidentali, in cui la famiglia aveva un'organizzazione di tipo patriarcale, accadeva che la risoluzione delle dispute, soprattutto di quelle coniugali, fosse affidata alla saggezza e all'esperienza del "pater familias" : egli rappresentava non soltanto la "patria potestas" ma anche la maggiore autorità all'interno del clan, aveva potere decisionale in relazione alle questioni più delicate ed era chiamato a "mediare" i dissidi che di volta in volta affliggevano il "gruppo"; questo naturalmente avveniva in maniera non strutturata e informale.

Fu però la Chiesa a investirsi per prima del ruolo di mediatrice con lo scopo di guidare le famiglie, smarrite e infragilite da un'incapacità o da una impossibilità di gestire i conflitti, verso la riconciliazione (I. Buzzi, 1992).
Attualmente, il modello di mediazione più diffuso e più applicato in Occidente è quello legato alle controversie che hanno origine nell'ambito del lavoro, e riguardano le relazioni tra dipendenti, sindacati e associazioni imprenditoriali.
La vera novità riguarda l'applicazione di questa procedura ai contrasti familiari e al processo di separazione e divorzio (Bastard, Cardia-Voneche, 1990).

 

 

La mediazione negli Stati Uniti d'America

 
 


La nascita ufficiale della mediazione si colloca intorno al 1913, negli U.S.A.; inizialmente venne introdotta nel Dipartimento del lavoro attraverso il servizio di conciliazione: l'utilizzo delle tecniche di mediazione si rivelò ben presto assai efficace per la risoluzione delle controversie relative ai contesti lavorativi.
Nel 1939 venne fondata la Family Conciliation Court, nella Contea di Los Angeles, sorta, almeno nelle sue battute iniziali, con lo scopo di riconciliare le coppie in crisi; circa venti anni più tardi, a partire dal 1962, essa cominciò ad occuparsi di altri aspetti conseguenti alla separazione e al divorzio, come ad esempio il diritto di visita del genitore non affidatario.
Il Governo americano per garantire, nell'interesse degli attori, una maggiore imparzialità durante il processo di mediazione si affida ad un'agenzia privata e indipendente, il Servizio Federale di Mediazione e di Conciliazione la cui fondazione risale al 1947.
Una sera Jim Coogler, un avvocato di Atlanta in Georgia, mentre sorseggiava del vino in compagnia di due amici rifletteva su come si sarebbe potuta realizzare una via migliore per divorziare, più civile e meno frustrante rispetto al processo legale di divorzio fondato principalmente sull'accusa, di cui egli stesso recentemente era stato vittima (W. Neville, 1985).

Era il 1972. Nonostante la dura opposizione da parte dell'ordine degli avvocati e le notevoli resistenze incontrate in ambito sociale per via della mentalità propria della cultura statunitense fondata sulla competizione e sull'antagonismo, il progetto di Coogler sulla "mediazione di divorzio" (così come si chiamava allora) cominciava a prendere forma. Nell'introduzione al suo libro qualche anno più tardi egli scrive:
"Mi sento debitore verso la mia ex-moglie e i due avvocati che ci hanno rappresentato nella nostra causa di divorzio per avermi reso consapevole della necessità cruciale di un modo più razionale e più civile di dividere le nostre strade…" ( Haynes-Buzzi, 1996).
Ed è proprio grazie all'amara esperienza personale di questo avvocato statunitense e alla sua capacità di modificare la dinamica vincitori/vinti, tanto cara al sistema legale tradizionale nordamericano, che prese il via la mediazione familiare.

Nel 1975 lo stesso Coogler fonda l'Associazione di Mediazione Familiare (F.M.A.) rivolta ai coniugi interessati ad una negoziazione della propria separazione legale o ad una ri-negoziazione dell'accordo di divorzio.
Le tecniche inizialmente utilizzate, mutuate direttamente dalla mediazione del lavoro, si rivelarono ben presto inadeguate per la mediazione familiare: sorsero così differenti correnti di pensiero riguardo la formazione dei mediatori. Una prima corrente ritiene che debba essere salvaguardata in ogni caso la libertà decisionale delle parti (Stulberg, 1981) e che gli attori, protagonisti del processo di mediazione, necessitino soprattutto di un aiuto processuale (Phear, 1984).

Alla seconda corrente appartengono coloro che sostengono che il mediatore, pur nel rispetto della neutralità e dell'imparzialità, debba vagliare le questioni di contenuto, nella garanzia di una maggiore onestà ed equità delle soluzioni scelte dai partecipanti.
Alcuni, come J. Coogler e J.M. Haynes, più vicini ad un orientamento di tipo socio-psicologico, sono dell'avviso che il compito del mediatore sia quello di bilanciare il potere tra le parti, altri sono convinti della necessità di salvaguardare in primis i diritti dei minori (Saposnek, 1991).

Il fenomeno della mediazione dagli anni settanta ad oggi non solo ha avuto una rapida diffusione, ma soprattutto ha ampliato la propria sfera di influenza a diversi settori del contenzioso. La "mediazione comunitaria", ad esempio, si è sviluppata a partire da un progetto pilota realizzato nel 1977 a San Francisco, attraverso la creazione di strutture dislocate nei quartieri considerati i "più a rischio" della città: l'esperienza rappresentava un tentativo di condurre la comunità verso una riconciliazione pacifica, attraverso la ricomposizione delle relazioni, la restaurazione dei canali comunicativi, la riappropriazione di valori fondamentali quali la solidarietà, la convivialità, la comprensione reciproca ( P. Giulini, 1994).
Il primo fra gli stati ad adottare una legge che prevedesse la mediazione nei casi di separazione e divorzio, fu la California (nel 1980), soprattutto e obbligatoriamente qualora si fossero presentate divergenze relative all'affidamento dei figli minori.

Parlando della mediazione negli Stati Uniti d'America non si può certamente tralasciare la figura carismatica del prof. John Haynes, scomparso recentemente; fu uno dei fondatori, nel 1975, della Academy of Family Mediators (di cui fu anche presidente dal 1981 al 1985) nata con lo scopo di diffondere la cultura e la formazione dei mediatori in tutto il mondo.
Vorrei qui riportare due frasi che il professor J. Haynes era solito ripetere ai suoi allievi e che mettono in luce gli aspetti più importanti, credo, della sua concezione filosofica della mediazione:
"Il mediatore non emette giudizi sugli altri ma vuole bene ad entrambi( i partecipanti al processo)" e "La speranza si può riacquistare solo parlando del futuro; la vita è nel futuro" (Appunti sulle lezz. tenute a Cagliari, 8-9 marzo 1997).

 

 

La mediazione in Canada

 
 
Dagli Stati Uniti la mediazione si diffonde rapidamente anche in Canada dove, nel 1984, nasce nel Quèbec un servizio di mediazione; un anno più tardi vengono creati dei servizi di mediazione per la famiglia all'interno dei Palazzi di Giustizia.
Nel 1985, le modifiche alla legge del divorzio fanno riferimento alla mediazione senza però definirla né renderla obbligatoria, come in California, in presenza dei figli minori.
L'anno successivo il ministero Federale della Giustizia distribuisce a più di seimila avvocati un elenco di associazioni di volontariato o private che offrono servizi di mediazione.
Un avvocato di Montréal, Andrè Murray, in un articolo apparso sul Recueil de droit de la famille del 1986, scrisse che un mediatore è tale per la sua neutralità e che l'unico fine che egli deve perseguire è quello di aiutare le coppie in via di separazione a trovare un'intesa sulle problematiche familiari più importanti. A suo giudizio era necessario, da parte degli avvocati, modificare l'ottica del legale nei confronti delle parti ed appropriarsi delle tecniche di mediazione per andare verso una nuova e più positiva gestione dei conflitti.
Oggi la mediazione è offerta addirittura dal Servizio Sanitario Nazionale, essendo stata riconosciuta quale mezzo valido per ridare potere ai genitori e alla parte più debole della coppia.

Secondo quanto affermano alcuni dati canadesi, nel 97% dei casi in cui si è fatto ricorso alla mediazione il pagamento dell'assegno di mantenimento è stato regolare, mentre dove è stata impiegata una procedura tradizionale tale risultato è stato ottenuto solo nel 66% dei casi (Lévesque, Ottawa 1989).

 

La mediazione oltre l'Atlantico
In Gran Bretagna

 
 
Il primo servizio di mediazione fu fondato a Bristol nel 1978 indipendentemente dall'iniziativa del Tribunale.
Il Servizio di Conciliazione di Bristol è un servizio di mediazione a cui si può accedere liberamente, e che offre la possibilità di raggiungere in maniera pacifica gli accordi circa la custodia dei figli e le visite del genitore non affidatario.
Nel 1977 venne introdotto anche un sistema di conciliazione giudiziaria.
Attualmente la mediazione nel Regno Unito è praticata in diversi ambiti. Ad esempio a Londra nel 1986, fu inaugurato un progetto sperimentale chiamato "Solicitors in Mediation", che prevedeva una particolare pratica di mediazione, la "co-mediazione" condotta da due professionisti esperti in due campi differenti: uno nel campo delle discipline psicologiche, l'altro in quelle giuridiche.
Sulla scia di tale progetto nel 1988 è nata un'organizzazione conosciuta col nome di "Family Mediation Association" che accoglie al suo interno rappresentanti della
"Law Society" (l'organizzazione che si occupa della formazione e della deontologia degli avvocati in Inghilterra e Galles), membri dell'associazione degli avvocati del diritto di famiglia e rappresentanti dell'Istituto Tavistock di psicologia clinica; insomma un'organizzazione interdisciplinare in cui avvocati e psicologi collaborano in vista di un comune obiettivo (AIAF Osservatorio, pag. 48 Genn./Marzo-1997).

Tra le associazioni che si occupano in particolar modo della mediazione sociale, scolastica e giudiziaria va ricordata la "Mediation UK", forse la struttura europea che vanta la migliore organizzazione nel campo della mediazione: nella loro catena associativa vi sono oltre trenta Centri distribuiti su tutto il territorio britannico, impegnati per lo più nella realizzazione di progetti relativi alla mediazione sociale e comunitaria. Alcuni di questi Centri ( Leicester, Leeds in particolare) invece prediligono l'ambito della mediazione penale.
Inoltre non bisogna tralasciare il fatto che spesso sono le associazioni religiose dipendenti dai quaccheri e dai mennoniti ad aprire centri di mediazione sociale nei quartieri, con lo scopo di "ri-attivare" la solidarietà tra i membri della comunità e di promuovere una convivenza pacifica (P.Giulini, notiziario C.I.P.M, maggio 1997).

 

 

In Italia

 
 


L'interesse dell'Italia per la mediazione e le sue prospettive è piuttosto recente, anche se attualmente esistono numerosi centri sparsi su tutta la Penisola che si occupano della diffusione della mediazione.
L'avventura della novella professione comincia esattamente nel 1987, con la fondazione dell'associazione denominata Ge.A. (genitori ancora) a Milano, ad opera di Fulvio Scaparro. Nel corso dello stesso anno a Torino nasce il Ge.s (genitori sempre) fondato da Sonia Rallo con lo scopo di sostenere genitori e figli nelle delicate situazioni di separazione e divorzio, attraverso la mediazione.
Nel 1990 si pianifica all'Università La Sapienza di Roma la formazione di centri di mediazione, cercando di trovare un accordo con la pretura. La promotrice di questa iniziativa è Silvia Mazzoni.
Negli anni 1993 e 1994 prende il via anche a Genova il progetto di un centro di formazione alla mediazione, a cura di Lia Mastropaolo. Poi è la volta di Bari con la creazione di un centro per la gestione positiva dei conflitti.
Nel 1996 la mediazione sbarca per la prima volta in Sardegna: nasce a Cagliari un centro di formazione per mediatori, promosso dal CE.RI.UM. e dal suo presidente Savina Pinna, il cui scopo primario è la sensibilizzazione alla mediazione.

 

 

CONCLUSIONI

 
 


La mediazione è la professione del momento: in qualunque ambito, sociale, familiare, penale, si sviluppi un conflitto, si sente l'esigenza di risolverlo in maniera pacifica, abbandonando le ansie e i turbamenti che un momento di crisi può facilmente generare.
Senza dubbio è necessario che il processo di mediazione sia condotto da un professionista non improvvisato, a garanzia del buon esito del processo stesso e del rispetto degli esseri umani e della loro sofferenza.
Ecco perché accanto alla diffusione della cultura di pace di cui la mediazione è l'emblema, non si può prescindere da una formazione oculata e continua per gli operatori che operino nel campo della mediazione.

 

 
 

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