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Le
radici della Mediazione
ALBA MURENU
ABSTRACT
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Country:
Italy
Language:
Italian
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La
mediazione come "arte" di risoluzione dei conflitti affidata a
un terzo imparziale non è, come potrebbe sembrare, un'invenzione
dell'uomo moderno dettata dalla necessità di ristabilire in qualche
modo l'equilibrio perduto o di stabilirne uno nuovo.
Ben 500 anni prima di Cristo, nell'antica Cina, la mediazione era la strada
privilegiata per superare le situazioni conflittuali e giungere a riconciliarsi
con l'altra parte. Certamente la filosofia Confuciana influenzò favorevolmente
tale modalità d'approccio conciliatorio e non antagonista.
In Giappone come anche nell'Africa centrale, non era sconosciuta la figura
del mediatore: eletto da un'assemblea di anziani riunita in consiglio, conduceva
ad una collaborazione proficua le parti in contesa.
La relazione si articolerà in due parti:
A- le origini della mediazione in oriente, nella Cina e nel Giappone, dai
villaggi del passato ai tribunali del giorno presente;
B- le origini della mediazione in occidente dalla famiglia patriarcale fino
all'intuizione dell'avvocato americano Jim Coogler, senza dimenticare la
figura di John Haynes, fondatore della Prima scuola per mediatori.
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Index
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Introduzione
La
mediazione in Cina
La
mediazione in Giappone
La
mediazione in Occidente
La
mediazione negli
Stati
Uniti d'America
La
mediazione in Canada
La
mediazione in Gran
Bretagna
La
mediazione in Italia
Conclusioni
Bibliografia
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" L'armonia nascosta vale pił di quella che appare
".
ERACLITO
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Il termine "mediazione" deriva dal tardo latino "mediatio,onis"
che a sua volta trae origine dal verbo "mediare", "essere
nel mezzo", "interporsi", "mantenersi in una via intermedia".
La mediazione in quanto capacità di condurre due o più persone
al superamento della contesa non è, come potrebbe sembrare, un'invenzione
dell'uomo moderno, dettata dalla necessità di ristabilire in qualche
modo l'equilibrio perduto, o di stabilirne uno nuovo. Già in Cina
cinquecento anni prima di Cristo si ricorreva a questa "tecnica"
per risanare le dispute all'interno delle piccole comunità e così
pure gli anziani dei villaggi giapponesi assumevano le vesti di mediatore
per reintrodurre quell'ordine modificato da eventi conflittuali.
Nella stessa Sardegna non era sconosciuta l'arte del "mediare"
quale strada privilegiata per ri-compattare le disgregazioni che avvenivano
in seno alle piccole comunità paesane.
La mediazione non ha il potere di "annullare" il conflitto;
sarebbe questa una pretesa assurda e irrealizzabile. Eraclito affermava
che il "Pólemos [la guerra] è padre di tutte le cose,
di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini,
gli uni fa schiavi gli altri liberi" (Eraclito, in S. Gabbiadini-M.
Manzoni,1991).
Ciò che voleva dire il grande filosofo greco è che la realtà
si configura come armonia e unità degli opposti, un'armonia che
si produce grazie ad un'equilibrata tensione di forze opposte, grazie
cioè a un "pólemos", un conflitto implicito in
ogni realtà.
Se il conflitto venisse soppresso, anche il suo contrario (la pace) non
avrebbe più sostanza: "una certa realtà non si dà
senza la realtà ad essa opposta" (S. Moravia, 1990).
La mediazione, quindi, è un luogo in cui il conflitto, il disordine
di ciascun individuo vengono accolti e "gestiti" positivamente
e non osteggiati.
Non mi pare un azzardo accostare l'arte del mediatore a quella della "maieutica",
alla quale Socrate, nella Grecia del V secolo a.C., ricorreva per "aiutare
le persone a partorire le idee che esse avevano in gestazione, limitandosi
a interrogarle e lasciando loro lo spazio per l'elaborazione" (S.
Moravia, 1990).
E allo stesso modo il mediatore, lungi dal proporre alle parti una soluzione
preconfezionata e modulata sulle proprie ideologie, si adopera affinché
esse stesse giungano in totale libertà e in maniera incondizionata
ad una risoluzione, e ancor più affinché vi sia una ri-apertura
dei canali comunicativi.
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Le radici della mediazione affondano nel lontano Oriente, così ricco
di fascino e di saggezza: nel V secolo a. C., in una Cina straziata dai
conflitti per le successioni e illuminata dalla figura sempre viva del grande
filosofo Confucio, che non aveva la pretesa di essere un profeta o una divinità
ma solo un maestro, ci si affidava alla mediazione per ripristinare e mantenere
delle relazioni pacifiche tra gli abitanti dei piccoli centri.
Confucio raccomandava l'esercizio e lo sviluppo della virtù, come
il "Jen" (l'umanità, la benevolenza, la gentilezza, l'altruismo),
il "Li" (il rito), lo "I" (la giustizia), il "Chih"
(l'intelligenza, la cultura), la pace e l'armonia universali ( Less. Univ.
Ital., vol. V, 1970 ); per questo ogni contrasto e ogni contrapposizione
prendevano i connotati di un evento destabilizzante: per ristabilire l'equilibrio
originario era essenziale superare il bipolarismo della contesa fino a giungere,
su un livello più alto, alla conciliazione dei due opposti. Fedele
a questo insegnamento, il popolo cinese preferiva di gran lunga un approccio
conciliatorio a quello antagonista (Gulotta e Santi, 1988).
L'attività mediativa dei tempi passati, ha trovato la sua naturale
prosecuzione nei cosiddetti "Comitati di Mediazione", attualmente
più di un milione sparsi in maniera capillare su tutto il territorio
nazionale: essi operano nei quartieri, nei villaggi, nelle fabbriche, risolvendo
con successo le situazioni conflittuali e favorendo il ri-fiorire di una
nuova comunicazione tra gli individui.
Nella sola Pechino, nel 1984, il numero dei "Comitati" era
pari a undicimila, senza contare quello dei mediatori, oltre ottantamila,
selezionati tra la popolazione che appartiene al "Comitato di base".
A quest'ultimo è riservato l'intervento mediativo vero e proprio,
mentre l'amministrazione dei "Comitati" è appannaggio
del Ministero di Giustizia di Pechino.
E' importante sapere che, per giungere ad un accordo, le parti in lite
sono libere di optare per diverse soluzioni: la mediazione non ha valore
coercitivo ed è considerata un'alternativa alle vie legali.
All'interno del sistema di mediazione citato poc'anzi, l'assistente giudiziario
riveste un ruolo di prim'ordine, divenendo un prezioso e insostituibile
collaboratore per i mediatori: è colui che, incaricato dalle autorità
cinesi, ha la funzione di garantire una certa regolarità negli
accordi presi al termine del processo di mediazione, vigilando a ché
essi non si allontanino oltremisura dalle norme giuridiche vigenti.
Il criterio di selezione di queste figure professionali è strettamente
connesso all'età dei candidati e alla professione che essi svolgevano
in precedenza: gli assistenti giudiziari vengono infatti reclutati tra
i pensionati del sistema giudiziario o militare o anche tra le persone
più in vista; essi hanno il compito di supervisionare i Comitati
da un punto di vista politico e di istruire i mediatori in relazione alle
principali nozioni di diritto.
I dati relativi al 1985 in Cina, mostrano chiaramente come oltre sei milioni
di conflitti abbiano trovato una risposta soddisfacente grazie al ricorso
alle tecniche mediative e, tra essi, cinque milioni si sono conclusi senza
l'intervento degli assistenti giudiziari, del restante milione una metà
ha avuto una rapida risoluzione grazie alla proficua collaborazione tra
mediatori e assistenti giudiziari, mentre l'altra metà è
stata mediata direttamente dagli assistenti giudiziari. Nel complesso,
fra tutti i conflitti giunti a buon esito, soltanto una piccola percentuale
è stata sottoposta all'attenzione dei tribunali (Demeulenaere,1987).
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La mediazione in Giappone
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Così come in Cina, anche in Giappone l'arte del mediare era il
canale preferenziale nella risoluzione dei contenziosi: in alcuni villaggi
giapponesi, erano gli anziani, considerati saggi, che si facevano carico
dei disagi scaturiti da un conflitto irrisolto o derivati dalle piccole
e grandi contese che minavano gli equilibri della comunità.
L'usanza era quella di convocare l'assemblea degli anziani, ai quali spettava
il compito di vagliare i termini della lite ed eleggere un "capo",
il mediatore: stimolando la comunicazione tra le parti le portava al superamento
della contesa (Gulotta e Santi, 1988).
La comunicazione. Essi avevano compreso, nella loro infinita saggezza,
quale era la chiave di risoluzione, lo strumento prezioso, l'essenza della
vita stessa, che produce lo scambio, il fluire delle idee, la consapevolezza
dell'altro nell' "ascolto" reciproco.
Di quella antica arte sono rimaste immutate le finalità, il tentativo
di ri-pristinare una comunicazione inter-rotta facendo "circolare"
la parola, l'esigenza di ri-condurre alla "normalità"
una situazione caotica, la necessità di gestire in maniera positiva
i conflitti seguendo la strada che conduce ad una effettiva cooperazione,
ma tutto è cambiato in termini di professionalità e anche
il campo d'azione si è allargato a tutte le sfere del sociale in
cui un mantenimento delle relazioni non è soltanto necessario ai
fini pratici ma è essenziale per il re-cupero del benessere individuale
e, evidentemente, collettivo.
Attualmente la mediazione, nel Paese del Sol Levante, trova applicazione
negli ambiti più disparati come, ad esempio, nel diritto civile,
nella protezione ambientale o nel diritto del lavoro; nel diritto penale,
invece, si preferisce non intervenire con il processo mediativo.
Nell'ambito del diritto civile si opera all'interno di due campi ben distinti:
quello del diritto di famiglia e quello del diritto civile in generale.
La mediazione del diritto di famiglia si pratica all'interno dei Tribunali
di Famiglia che si occupano esclusivamente dei dissidi sorti tra le mura
domestiche; questi Tribunali, fondati nel 1949, sono stati creati per
trattare in maniera diretta gli aspetti inerenti alla separazione, al
divorzio, all'affidamento dei figli e a tutte quelle problematiche di
carattere prettamente familiare. Rispetto ai Tribunali civili ordinari,
essi si caratterizzano per l'utilizzo di una procedura informale, confacente
alla sfera familiare, e per il fatto che le udienze si tengono in forma
strettamente privata, chiuse al pubblico, per salvaguardare il diritto
alla privacy e per favorire una maggiore fluidità della comunicazione
tra i partecipanti al processo.
Inoltre, mentre nei Tribunali di diritto civile il ricorso alla mediazione
è solamente un'alternativa al comune iter legale, nei Tribunali
familiari è stato reso obbligatorio.
I casi di mediazione, che di volta in volta vengono sottoposti all'attenzione
del Tribunale, vengono presi in esame da una Commissione, nominata dal
Tribunale stesso: essa è composta da tre membri, di cui due sono
mediatori (in genere si preferisce eleggere un mediatore e una mediatrice)
e l'altro è un giudice che riveste il ruolo di presidente della
commissione.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, per acquisire il titolo di
mediatori in Giappone non necessariamente si devono seguire dei corsi
di specializzazione, sebbene il governo garantisca una formazione continua
per coloro che ne sono interessati. Bisogna inoltre dire che la professione,
non ha fini di lucro: dal punto di vista economico, infatti, non offre
grossi vantaggi; forse per questo motivo, quella del mediatore, è
considerata dai giapponesi una tra le più prestigiose figure professionali!
La crescente consapevolezza dell'importanza del processo di mediazione
quale momento d'incontro e di superamento di modalità conflittuali
negative e violente, e la felice risoluzione della maggior parte dei casi
mediati, sono dovute, per lo più, ad una efficace politica di incoraggiamento
sostenuta dal governo sia attraverso la legislazione in materia, sia rendendo
difficoltoso l'accesso ai Tribunali ordinari.
Non si può certamente negare un'influenza notevole della cultura,
della religione o di altre esperienze di vita come lo Zen, "la ricerca
di sé mediante la meditazione per realizzare la propria vera natura";
lo spirito Zen significa la pace e la comprensione, la devozione all'arte
e al lavoro
" ( N. Senzaki, P. Reps, 1995).
Non ci deve stupire allora il fatto che i giapponesi preferiscano cooperare
in una prospettiva di risoluzione pacifica delle controversie, piuttosto
che incorrere nelle liti giudiziarie.
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La mediazione in Occidente
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Anche nell'antica Grecia si può ritrovare la figura del mediatore
che nelle situazioni critiche faceva da intermediario, spesso tra il singolo
e la comunità, e si adoperava per raggiungere un accordo scavalcando
l'uso della violenza.
Celebre è l'episodio raccontato nell'Iliade, poema omerico narrante
la guerra di Troia e la sua conseguente distruzione, in cui Agamennone,
comandante degli Achei, invia nella tenda di Achille accecato dall'ira,
Fenice, Ulisse e Aiace per indurlo a imbracciare di nuovo le armi al sevizio
dei Greci: "
accorri a preservar dall'inimico assalto i desolati
Achei. Se gli abbandoni, alto cordoglio un dì n'avrai, né
al danno troverai più riparo; [
] allontana dall'argolica
gente il giorno estremo" (Hom.- Il., IX, 324-330, Zanichelli, 1963).
Questo tipo di mediazione può essere definita "indiretta":
è la cosiddetta "diplomazia della navetta" di cui oggigiorno
sentiamo spesso parlare alla televisione in quanto pratica di mediazione
che trova la sua attuazione nelle crisi inter-nazionali.
Prima del processo di industrializzazione presso i popoli occidentali,
in cui la famiglia aveva un'organizzazione di tipo patriarcale, accadeva
che la risoluzione delle dispute, soprattutto di quelle coniugali, fosse
affidata alla saggezza e all'esperienza del "pater familias"
: egli rappresentava non soltanto la "patria potestas" ma anche
la maggiore autorità all'interno del clan, aveva potere decisionale
in relazione alle questioni più delicate ed era chiamato a "mediare"
i dissidi che di volta in volta affliggevano il "gruppo"; questo
naturalmente avveniva in maniera non strutturata e informale.
Fu però la Chiesa a investirsi per prima del ruolo di mediatrice
con lo scopo di guidare le famiglie, smarrite e infragilite da un'incapacità
o da una impossibilità di gestire i conflitti, verso la riconciliazione
(I. Buzzi, 1992).
Attualmente, il modello di mediazione più diffuso e più
applicato in Occidente è quello legato alle controversie che hanno
origine nell'ambito del lavoro, e riguardano le relazioni tra dipendenti,
sindacati e associazioni imprenditoriali.
La vera novità riguarda l'applicazione di questa procedura ai contrasti
familiari e al processo di separazione e divorzio (Bastard, Cardia-Voneche,
1990).
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La mediazione negli Stati Uniti d'America
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La nascita ufficiale della mediazione si colloca intorno al 1913, negli
U.S.A.; inizialmente venne introdotta nel Dipartimento del lavoro attraverso
il servizio di conciliazione: l'utilizzo delle tecniche di mediazione
si rivelò ben presto assai efficace per la risoluzione delle controversie
relative ai contesti lavorativi.
Nel 1939 venne fondata la Family Conciliation Court, nella Contea di Los
Angeles, sorta, almeno nelle sue battute iniziali, con lo scopo di riconciliare
le coppie in crisi; circa venti anni più tardi, a partire dal 1962,
essa cominciò ad occuparsi di altri aspetti conseguenti alla separazione
e al divorzio, come ad esempio il diritto di visita del genitore non affidatario.
Il Governo americano per garantire, nell'interesse degli attori, una maggiore
imparzialità durante il processo di mediazione si affida ad un'agenzia
privata e indipendente, il Servizio Federale di Mediazione e di Conciliazione
la cui fondazione risale al 1947.
Una sera Jim Coogler, un avvocato di Atlanta in Georgia, mentre sorseggiava
del vino in compagnia di due amici rifletteva su come si sarebbe potuta
realizzare una via migliore per divorziare, più civile e meno frustrante
rispetto al processo legale di divorzio fondato principalmente sull'accusa,
di cui egli stesso recentemente era stato vittima (W. Neville, 1985).
Era il 1972. Nonostante la dura opposizione da parte dell'ordine degli
avvocati e le notevoli resistenze incontrate in ambito sociale per via
della mentalità propria della cultura statunitense fondata sulla
competizione e sull'antagonismo, il progetto di Coogler sulla "mediazione
di divorzio" (così come si chiamava allora) cominciava a prendere
forma. Nell'introduzione al suo libro qualche anno più tardi egli
scrive:
"Mi sento debitore verso la mia ex-moglie e i due avvocati che ci
hanno rappresentato nella nostra causa di divorzio per avermi reso consapevole
della necessità cruciale di un modo più razionale e più
civile di dividere le nostre strade
" ( Haynes-Buzzi, 1996).
Ed è proprio grazie all'amara esperienza personale di questo avvocato
statunitense e alla sua capacità di modificare la dinamica vincitori/vinti,
tanto cara al sistema legale tradizionale nordamericano, che prese il
via la mediazione familiare.
Nel 1975 lo stesso Coogler fonda l'Associazione di Mediazione Familiare
(F.M.A.) rivolta ai coniugi interessati ad una negoziazione della propria
separazione legale o ad una ri-negoziazione dell'accordo di divorzio.
Le tecniche inizialmente utilizzate, mutuate direttamente dalla mediazione
del lavoro, si rivelarono ben presto inadeguate per la mediazione familiare:
sorsero così differenti correnti di pensiero riguardo la formazione
dei mediatori. Una prima corrente ritiene che debba essere salvaguardata
in ogni caso la libertà decisionale delle parti (Stulberg, 1981)
e che gli attori, protagonisti del processo di mediazione, necessitino
soprattutto di un aiuto processuale (Phear, 1984).
Alla seconda corrente appartengono coloro che sostengono che il mediatore,
pur nel rispetto della neutralità e dell'imparzialità, debba
vagliare le questioni di contenuto, nella garanzia di una maggiore onestà
ed equità delle soluzioni scelte dai partecipanti.
Alcuni, come J. Coogler e J.M. Haynes, più vicini ad un orientamento
di tipo socio-psicologico, sono dell'avviso che il compito del mediatore
sia quello di bilanciare il potere tra le parti, altri sono convinti della
necessità di salvaguardare in primis i diritti dei minori (Saposnek,
1991).
Il fenomeno della mediazione dagli anni settanta ad oggi non solo ha avuto
una rapida diffusione, ma soprattutto ha ampliato la propria sfera di
influenza a diversi settori del contenzioso. La "mediazione comunitaria",
ad esempio, si è sviluppata a partire da un progetto pilota realizzato
nel 1977 a San Francisco, attraverso la creazione di strutture dislocate
nei quartieri considerati i "più a rischio" della città:
l'esperienza rappresentava un tentativo di condurre la comunità
verso una riconciliazione pacifica, attraverso la ricomposizione delle
relazioni, la restaurazione dei canali comunicativi, la riappropriazione
di valori fondamentali quali la solidarietà, la convivialità,
la comprensione reciproca ( P. Giulini, 1994).
Il primo fra gli stati ad adottare una legge che prevedesse la mediazione
nei casi di separazione e divorzio, fu la California (nel 1980), soprattutto
e obbligatoriamente qualora si fossero presentate divergenze relative
all'affidamento dei figli minori.
Parlando della mediazione negli Stati Uniti d'America non si può
certamente tralasciare la figura carismatica del prof. John Haynes, scomparso
recentemente; fu uno dei fondatori, nel 1975, della Academy of Family
Mediators (di cui fu anche presidente dal 1981 al 1985) nata con lo scopo
di diffondere la cultura e la formazione dei mediatori in tutto il mondo.
Vorrei qui riportare due frasi che il professor J. Haynes era solito ripetere
ai suoi allievi e che mettono in luce gli aspetti più importanti,
credo, della sua concezione filosofica della mediazione:
"Il mediatore non emette giudizi sugli altri ma vuole bene ad entrambi(
i partecipanti al processo)" e "La speranza si può riacquistare
solo parlando del futuro; la vita è nel futuro" (Appunti sulle
lezz. tenute a Cagliari, 8-9 marzo 1997).
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Dagli Stati Uniti la mediazione si diffonde rapidamente anche in Canada
dove, nel 1984, nasce nel Quèbec un servizio di mediazione; un anno
più tardi vengono creati dei servizi di mediazione per la famiglia
all'interno dei Palazzi di Giustizia.
Nel 1985, le modifiche alla legge del divorzio fanno riferimento alla mediazione
senza però definirla né renderla obbligatoria, come in California,
in presenza dei figli minori.
L'anno successivo il ministero Federale della Giustizia distribuisce a più
di seimila avvocati un elenco di associazioni di volontariato o private
che offrono servizi di mediazione.
Un avvocato di Montréal, Andrè Murray, in un articolo apparso
sul Recueil de droit de la famille del 1986, scrisse che un mediatore è
tale per la sua neutralità e che l'unico fine che egli deve perseguire
è quello di aiutare le coppie in via di separazione a trovare un'intesa
sulle problematiche familiari più importanti. A suo giudizio era
necessario, da parte degli avvocati, modificare l'ottica del legale nei
confronti delle parti ed appropriarsi delle tecniche di mediazione per andare
verso una nuova e più positiva gestione dei conflitti.
Oggi la mediazione è offerta addirittura dal Servizio Sanitario Nazionale,
essendo stata riconosciuta quale mezzo valido per ridare potere ai genitori
e alla parte più debole della coppia.
Secondo quanto affermano alcuni dati canadesi, nel 97% dei casi in cui
si è fatto ricorso alla mediazione il pagamento dell'assegno di
mantenimento è stato regolare, mentre dove è stata impiegata
una procedura tradizionale tale risultato è stato ottenuto solo
nel 66% dei casi (Lévesque, Ottawa 1989).
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La mediazione oltre l'Atlantico
In Gran Bretagna
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Il primo servizio di mediazione fu fondato a Bristol nel 1978 indipendentemente
dall'iniziativa del Tribunale.
Il Servizio di Conciliazione di Bristol è un servizio di mediazione
a cui si può accedere liberamente, e che offre la possibilità
di raggiungere in maniera pacifica gli accordi circa la custodia dei figli
e le visite del genitore non affidatario.
Nel 1977 venne introdotto anche un sistema di conciliazione giudiziaria.
Attualmente la mediazione nel Regno Unito è praticata in diversi
ambiti. Ad esempio a Londra nel 1986, fu inaugurato un progetto sperimentale
chiamato "Solicitors in Mediation", che prevedeva una particolare
pratica di mediazione, la "co-mediazione" condotta da due professionisti
esperti in due campi differenti: uno nel campo delle discipline psicologiche,
l'altro in quelle giuridiche.
Sulla scia di tale progetto nel 1988 è nata un'organizzazione conosciuta
col nome di "Family Mediation Association" che accoglie al suo
interno rappresentanti della
"Law Society" (l'organizzazione che si occupa della formazione
e della deontologia degli avvocati in Inghilterra e Galles), membri dell'associazione
degli avvocati del diritto di famiglia e rappresentanti dell'Istituto Tavistock
di psicologia clinica; insomma un'organizzazione interdisciplinare in cui
avvocati e psicologi collaborano in vista di un comune obiettivo (AIAF Osservatorio,
pag. 48 Genn./Marzo-1997).
Tra le associazioni che si occupano in particolar modo della mediazione
sociale, scolastica e giudiziaria va ricordata la "Mediation UK",
forse la struttura europea che vanta la migliore organizzazione nel campo
della mediazione: nella loro catena associativa vi sono oltre trenta Centri
distribuiti su tutto il territorio britannico, impegnati per lo più
nella realizzazione di progetti relativi alla mediazione sociale e comunitaria.
Alcuni di questi Centri ( Leicester, Leeds in particolare) invece prediligono
l'ambito della mediazione penale.
Inoltre non bisogna tralasciare il fatto che spesso sono le associazioni
religiose dipendenti dai quaccheri e dai mennoniti ad aprire centri di
mediazione sociale nei quartieri, con lo scopo di "ri-attivare"
la solidarietà tra i membri della comunità e di promuovere
una convivenza pacifica (P.Giulini, notiziario C.I.P.M, maggio 1997).
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L'interesse dell'Italia per la mediazione e le sue prospettive è
piuttosto recente, anche se attualmente esistono numerosi centri sparsi
su tutta la Penisola che si occupano della diffusione della mediazione.
L'avventura della novella professione comincia esattamente nel 1987, con
la fondazione dell'associazione denominata Ge.A. (genitori ancora) a Milano,
ad opera di Fulvio Scaparro. Nel corso dello stesso anno a Torino nasce
il Ge.s (genitori sempre) fondato da Sonia Rallo con lo scopo di sostenere
genitori e figli nelle delicate situazioni di separazione e divorzio,
attraverso la mediazione.
Nel 1990 si pianifica all'Università La Sapienza di Roma la formazione
di centri di mediazione, cercando di trovare un accordo con la pretura.
La promotrice di questa iniziativa è Silvia Mazzoni.
Negli anni 1993 e 1994 prende il via anche a Genova il progetto di un
centro di formazione alla mediazione, a cura di Lia Mastropaolo. Poi è
la volta di Bari con la creazione di un centro per la gestione positiva
dei conflitti.
Nel 1996 la mediazione sbarca per la prima volta in Sardegna: nasce a
Cagliari un centro di formazione per mediatori, promosso dal CE.RI.UM.
e dal suo presidente Savina Pinna, il cui scopo primario è la sensibilizzazione
alla mediazione.
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La mediazione è la professione del momento: in qualunque ambito,
sociale, familiare, penale, si sviluppi un conflitto, si sente l'esigenza
di risolverlo in maniera pacifica, abbandonando le ansie e i turbamenti
che un momento di crisi può facilmente generare.
Senza dubbio è necessario che il processo di mediazione sia condotto
da un professionista non improvvisato, a garanzia del buon esito del processo
stesso e del rispetto degli esseri umani e della loro sofferenza.
Ecco perché accanto alla diffusione della cultura di pace di cui
la mediazione è l'emblema, non si può prescindere da una
formazione oculata e continua per gli operatori che operino nel campo
della mediazione.
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