"SERVIZI
DI CONSULENZA ALLE IMPRESE PER LA SOLUZIONE PACIFICA E NEGOZIATA DELLE
CONTROVERSIE CIVILI-COMMERCIALI E FORMAZIONE DI NUOVE SPECIFICHE FIGURE
PROFESSIONALI "
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1.1- Il quadro del progetto. L'idea originaria è stata del socio accomandatario, che per motivi professionali, ha potuto sviluppare una competenza specifica come facilitatore - negoziatore di controversie con clienti, fornitori, imprese concorrenti e pubbliche amministrazioni, evitando il coinvolgimento della giustizia ordinaria, lenta, costosa e incerta fino all'ultimo grado di giudizio, ma collaborando con gli avvocati di parte, spesso favorevoli a soluzioni transattive. Recandosi poi personalmente nel mondo anglosassone, egli ha potuto verificare (frequentando corsi e convegni, ma anche osservando la prassi nelle controversie tra soggetti privati, pubblici, singoli o collettivi) come l'approccio negoziale era parte di un vasto processo di evoluzione nella risoluzione delle dispute, che va sotto il nome di "movimento ADR (Alternative Dispute Resolution)". Tale movimento, sorto per la disaffezione alle "ingiustizie" della giustizia, spesso troppo distante dal caso concreto e comunque lenta e costosa, si è sviluppato inizialmente per le dispute minori, per le quali è sproporzionato il ricorso alla complessa macchina giudiziale rispetto all'entità della lite stessa (classico esempio: controversie tra impresa e consumatore per singoli beni o servizi di modesto valore economico o liti tra vicini di casa o nella scuola), infatti l'assistenza nella soluzione è affidata a centri che agiscono per lo più su base sociale e volontaria Ma il "grande business" è stato creato dal servizio di "facilitazione" alla soluzione negoziata delle controversie tra imprese private o pubbliche, anche di rilevante valore, per evitare i costi diretti e indiretti del ricorso alle procedure contenziose (l'incertezza degli esiti di una causa blocca gli investimenti) ma anche per evitare la pubblicità connessa ai processi o perché le parti vogliono essere protagoniste attive della soluzione, non vogliono arrivare a una vittoria o disfatta totale (con tutto ciò che ne consegue in entrambi i casi) e vogliono invece continuare a mantenere o ristabilire buone relazioni, invece di farle incancrenire per il perdurare del contenzioso, cosa che creerebbe danni a entrambe le parti. In particolare abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla "mediation" (talvolta detta anche "conciliation"), cioè quel metodo di risoluzione di una controversia relativa a diritti disponibili in cui un terzo neutrale ed imparziale interviene, col consenso delle parti, e le assiste a negoziare un nuovo accordo consensuale e formale che pone fine alla controversia e migliora lo status psicologico ed economico delle parti stesse. L'assistenza del terzo si sostanzia nel facilitare la comunicazione e la gestione costruttiva degli incontri, con un occhio di riguardo sia agli aspetti psicologici che a quelli giuridico-economici (eventualmente il terzo potrà farsi affiancare da specialisti), fino alla conclusione positiva della controversia, frutto di una creazione di opzioni e alternative tra le quali le parti sceglieranno la più "giusta" per loro, formalizzandola in un contratto. Purtroppo i termini italiani più vicini non si adattano completamente al concetto di cui sopra, in quanto la "mediazione" è una fattispecie già regolata dal codice civile (artt. 1754 e sgg.) e riguarda l'interposizione di un terzo (peraltro iscritto in un apposito ruolo degli agenti di affari in mediazione) tra le parti per consentire loro di raggiungere un affare, quindi si prescinde dall'esistenza di una controversia; di "conciliazione" parla il codice di procedura civile in diversi casi dove la stessa è attribuita al giudice ordinario o a professionisti o enti prestabiliti (davanti al consulente tecnico: artt. 198,199,200; davanti al giudice di pace: artt. 320, 321, 322; in appelo: art. 320; in primo grado: art. 350; nell'opposizione all'esecuzione: art. 652; nella separazione dei coniugi: artt. 708, 711; nelle controversie di lavoro - sindacati e uffici del lavoro: artt. 412, 420, 431, 432; nelle controversie in materia di previdenza e assistenza, att. 147) ma non si tratta dello stesso metodo, perché o il terzo comunque decide o le parti non partecipano direttamente. Similmente alcune previsioni legislative attribuiscono o attribuivano a terzi la facoltà o l'obbligo di tentare la conciliazione della controversia, ma anche qui esuliamo dallo specifico procedimento descritto sopra: legge n. 392/78 (abrogata) nelle controversie relative a locazione di immobili urbani, presso le organizzazioni dei proprietari e degli inquilini; legge n. 203/82 nelle controversie relative a contratti agrari dinanzi agli Ispettorati Provinciali dell'agricoltura; legge n. 146/90 nel diritto di sciopero, di competenza dei prefetti; legge n. 546/92 per i tributi locali, dinanzi le Commissioni Provinciali Tributarie; legge n. 29/93 e n. 109/94, rispettivamente per controversie relative al pubblico impiego e negli appalti pubblici, presso la stessa Pubblica Amministrazione. In molti dei casi sopradescritti oltretutto il terzo facilitatore o decisore non è nemmeno terzo, infatti è emanazione ed ha sede presso una delle parti contendenti. Similmente per le procedure facilitate di soluzione delle piccole controversie con consumatori e utenti (procedure TELECOM, ENEL, OMBUDSMAN bancario e assicurativo, contratti turistici e via dicendo). Con ciò non si vuole assolutamente sminuire l'importanza di tutte queste possibilità che, comunque, deflazionano l'enorme mole del contenzioso civile in Italia, ma non hanno le caratteristiche specifiche della "mediation" ("conciliation"). I primi soggetti a recepire pressoché integralmente la metodologia e l'approccio anglosassone sono state le Camere di Commercio, per le quali il legislatore già dal 1993, con la legge di riforma camerale n. 580, aveva previsto la facoltà di aprire sportelli di conciliazione (chiaramente non giudiziale e non per rappresentanza di categoria), cosa che solo poche Camere fecero, ma che invece si sono affrettate a compiere dalla fine del 1998, quando entrò in vigore la legge n. 192, che prevedeva il primo caso di conciliazione pregiudiziale obbligatoria dinanzi alle CCIAA in caso di controversie relative ai contratti di subfornitura. In effetti nel frattempo aveva visto la luce la legge n. 481/95, che prevedeva il caso di conciliazione nelle controversie tra utenti e soggetti esercenti servizi di pubblica utilità, richiamando la previsione facoltativa di cui alla legge n. 580/93, cioè la conciliazione dinanzi alla Camere di Commercio. Con simili finalità e con lo stesso richiamo, la legge n. 281/98 ha istituito un tentativo facoltativo di conciliazione a difesa dei consumatori attivato dalle specifiche associazioni. Le Camere di Commercio si sono quindi attivate tutte per istituire questo servizio sulla base delle esperienze anglosassoni di maggior successo, organizzarlo e formare il personale addetto e quei professionisti esterni di cui di volta in volta si possono avvalere per tentare la conciliazione delle controversie, in modo pacifico e negoziato, con il terzo che si limita a facilitare la comunicazione e la relazione tra le parti, senza potere di decidere dell'esito della controversia, ma semmai di suggerire e stimolare le possibili opzioni e alternative in base alle quali le parti possono raggiungere un accordo, di tipo transattivo (ex art. 1965 e sgg. c.c.), che pone fine alla controversia e può creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della contestazione. Con la pretesa, rispetto alla transazione, di non limitare la soluzione alle reciproche concessioni e di fare in modo che il rapporto controverso non solo sia ristabilito, ma addirittura migliori, dal punto di vista economico o anche solo psicologico, che non è poco!
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