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Lucianina, figlia di Jean Piaget (studioso svizzero dei processi di sviluppo
cognitivo), gioca scuotendo una scatolina contenente una collana.
Attraverso una piccola apertura riesce ad estrarre il contenuto e a rimetterlo.
Guarda soddisfatta il suo papà osservatore, ignorando che lui sia
anche uno scienziato che va oltre l'esperimento. Entra nel 'gioco' della
bambina e, con un gesto rapido, chiude l'apertura della scatola, cosi che
la collana non possa più venir fuori e attende una reazione.
La bimba tenta di ripetere l'esercizio, ma ogni sforzo è vano; fissa
negli occhi il suo papa, poi apre e chiude la sua boccuccia.
Ella non sa ancora parlare, ma sa dire, sa comunicare e, attraverso la gestualità,
evidenzia di avere raggiunto una fase di sviluppo in cui il processo di
simbolizzazione prende forma: sa ra-presentare i suoi pensieri, li ri-produce,
li comunica, la sua mente elabora. Padre e figlia sono protagonisti di una
significativa esperienza.
Non si può prescindere dall'analisi di alcuni concetti generali che
costituiscono il perno della Mediazione: il concetto di comunicazione ritenuto
elemento costitutivo, determinante all'interno sia della tecnica, sia della
teoria nei processi di Mediazione. L'area delle ricerche filosofiche privilegia
l'analisi dei problemi epistemologici concernenti lo studio della comunicazione
umana.
L'area della psicologia generale, sociale e dell'età evolutiva, mette
a fuoco le caratteristiche della emissione e ricezione, della formazione
sociale, della comunicazione. Spesso appare necessario soffermare l'attenzione
sul concetto di metafora e sulla sua funzione all'interno della comunicazione,
soprattutto quando il suo fluire irrompe sbaragliando gli argini del controllo
razionale.
Metafora: 'phora' per i greci; spostamento di qualcosa nello spazio; 'traslatio'
per i latini; maschera che permette l'inscenamento del vissuto, il mostrarsi
senza essere visti e il poter vedere senza essere individuati, in uno sfondo
dove domina l'oscurità e si cela il 'non conosciuto' e lo scenario
che i partners in conflitto propongono in una disputa, in una contesa.
La rappresentazione mentale, la simbolizzazione è, nello stesso tempo,
causa ed effetto della comunicazione. <<La nostra vita è un
palcoscenico, dominato, nel bene e nel male, nella commedia, farsa o tragedia
che sia, da una drammatis personae; il nostro io (il Self) così sarà
sempre finché non calerà il sipario>> (C. Sherrington,
cit. da Bardi 1981).
Inserendoci nella scena diventiamo personaggi e interpreti: interpretanti
ed interpretati, dotati di un Io agente e inconsapevole della propria identità
e da un Io impersonale ed agito dal personaggio, dalla maschera. Il Mediatore,
neutrale, facilita questo inscenamento ed è così che emerge
la possibilità di ascoltare se stessi e l'altro, di prendere coscienza
che si possono trovare delle opzioni per poter, dopo aver chiuso il sipario
del passato, progettare il futuro.
In una narrazione, il flusso del racconto procede in modo comprensibile
tra memoria semantica e memoria episodica. Bowlby (1988) dichiara che <<ogni
situazione della nostra vita è interpretata attraverso i modelli
rappresentazionali che abbiamo intorno al mondo e di noi stessi>>;
quindi tutte le informazioni che raggiungono i nostri sensi vengono selezionate
ed interpretate sulla base di questi modelli, i quali non sono solo filtri
di esperienza, ma tendono, secondo Ammaniti (1991) a ricreare esperienze
congruenti con la propria storia relazionale.
Rappresentare deriva dal latino repraesentare: il prefisso 're' indica il
movimento in senso inverso, un ritorno, quindi, ad uno stato precedente,
una ripetizione. L'uomo tende a ripetere e, funzione della mediazione, è
quella di condurlo al presente per poter progettare un futuro. Praesentare
deriva da praesens, 'prae' sostituisce 'ad', in absens (assenza). Una possibile
ricostruzione, secondo un'analisi linguistica del termine, rimanda ad un
evento che ripropone una posizione precedente, la quale potrebbe anche essere:
ri - petizione, ossia un 'richiedere' nuovamente di essere percepiti. La
rappresentazione, afferma E. Funari (1984), si configura come il <<prototipo
di ogni possibile esperienza psichica, filtro e pellicola, in cui si precipita
l'originarsi della significazione
>>. La posizione della rappresentazione
si pone, all'attenzione dell'indagine psicologica come phantasma, sogno
ad occhi chiusi o aperti. Queste produzioni non sono che possibili tra-vestimenti,
metafore, sotto le quali si compie il dis-velamento.
La rappresentazione mentale è, nello stesso tempo, causa ed effetto
della comunicazione.
C. Sini (1990) afferma che l'uomo prende le distanze, nel cammino filogenetico,
dagli altri suoi simili, quando il mezzo (la parola) diventa strumento di
comunicazione. Quando scopre che può usare il segno, il simbolo,
conquista le distanze, gli spazi e i tempi.
Il mondo della rappresentazione, per ''presentificare la sua esistenza'',
ha bisogno della parola o di un canale di comunicazione che possa sfociare
in una situazione di accoglimento. L'espressione che non trova un'eco, una
risonanza, muore nel nulla, e, spesso, non si ripete. Entra in gioco la
motivazione e il rinforzo. Nasce da qui l'enorme responsabilità di
chi è, per sua scelta, preposto a fare da cassa di risonanza.
La metafora si offre come mezzo o è stata 'creata' dall'individuo,
per poter metabolizzare quanto deriva dall'esperienza.
Nella metafora si evidenzia la necessità di partire da ciò
che è noto per definire quanto sfugge alla diretta osservazione e
che, perciò, appare come ignoto. Con la parola, gli stati d'animo
prendono colore, si animano e diventano quei personaggi che aprono il sipario
e inscenano le profonde esperienze: ci esprimono!
Il teatro non può essere formato da soli attori: se manca la platea,
l'auditorium, manca l'oggetto, il riferimento. Senza interlocutore non ci
può essere comunicazione.
Sono queste considerazioni sulla meta-comunicazione che motivano l'interesse
mio verso la mediazione la cui funzione consiste nell'applicazione di tecniche
che agevolano il recupero di processi di comunicazione, ne ascoltano i significati
profondi e consentono alle parti in contesa (individui, gruppi, popoli)
di gestire i conflitti senza ricorso all'aggressività.
Il 30 luglio 1932 (carteggio in Opere Vol. XI Boringhieri 1979) Einstein
scriveva a Freud: <<Caro signor Freud, la proposta, fattami dalla
Società della Nazioni e dal suo Istituto Internazionale di cooperazione
intellettuale di Parigi, di invitare una persona di mio gradimento ad un
franco scambio di opinioni su di un problema qualsiasi da me scelto, mi
offre la gradita occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare,
nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle
che si pongono alla civiltà.
La domanda è: c'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità
della guerra?
Com'è possibile che la massa si lasci infiammare
con i mezzi suddetti fino al furore e all'olocausto di sé? Una sola
risposta si impone: l'uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e
di distruggere
>>.
Tre anni prima Freud, nel chiudere il saggio Il disagio della civiltà
(Opere Vol. IX Boringhieri 1967) scriveva che il problema fondamentale del
destino della specie umana consiste nell'intuire fino a che punto l'evoluzione
civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva
provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttiva degli uomini.
Il problema pone una questione centrale: <<è possibile guidare
l'evoluzione dell'uomo fino al superamento dell'aggressività distruttiva?>>
Lo sviluppo delle scienze umane, le ricerche etologiche ci chiariscono che
i comportamenti non sono dimensioni immodificabili perciò la domanda
posta da Einstein può trovare risposta nell'ambito di un contesto
umano, ricorrendo all'antagonista della distruttività.
Se tutto ciò può accadere, ci resta ancora un dubbio: chi
e in quale modo, potrà aiutare l'uomo a gestire il conflitto?
''La mediazione generalmente intesa - quale alternativa alla procedura giudiziaria
tradizionale - non costituisce una recente invenzione. Lo schema 'recitato
dagli attori' ricalca un copione vecchio di secoli e, a parte alcuni dettagli,
è un riadattamento in chiave contemporanea di quanto venne già
collaudato presso altri popoli, in altre epoche storiche'' (Gulotta e Santi
1988).
Nel V secolo a. C. in Cina, predisposti dal sistema filosofico che considerava
l'universo in armonico equilibrio e considerava qualsiasi contrapposizione
di forze come evento destabilizzante, si ricorreva alla Mediazione per risolvere
situazioni conflittuali e ristabilire l'originario equilibrio.
Anche in diverse tribù dell'Africa centrale, così come in
alcuni villaggi giapponesi, vigeva l'usanza di riunire in assemblea gli
anziani e di metterli al corrente delle eventuali diatribe all'interno della
comunità''.
''Al di là di specifiche variazioni etiche e culturali, lo schema
che regge il sistema di regole nelle varie tradizioni sociali, appare sempre
il medesimo:
a) costantemente centrato al raggiungimento di una soluzione conciliativa;
b) strutturato in modo che le parti possano disporre liberamente delle loro
controversie;
c) senza essere giudicati;
d) senza l'impiego di provvedimenti sanzionatori''.
In Italia ci è stato un modello di mediazione per le dispute che
si manifestavano nel mondo del lavoro. In un primo momento tra dipendenti
e imprenditori, più tardi tra organizzazioni sindacali e organizzazioni
imprenditoriali.
Negli anni '70 C. J. Coogler, J. M. Haynes ed altri diedero vita negli Stati
Uniti ad un movimento verso la risoluzione dei conflitti familiari, ma già
nel 1913 esisteva la mediazione nelle vertenze di lavoro; nel 1975 nasce
la mediazione familiare il cui scopo consiste nell'assistere 'le parti'
affinché pervengano ad una soluzione dei problemi e strutturino un
accordo che risulti di reciproco interesse che possa essere rispettato nel
futuro.
Gulotta e Santi (op. cit.) rilevano il motivo per cui la pratica di mediazione
si distingue da altri tipi di intervento, come la psicoterapia o la consulenza
psicologica e legale, in quanto il suo scopo consiste 'nell'assistere le
parti affinché pervengano ad una soluzione dei problemi direttamente
uniti alla disgregazione coniugale e strutturino una sistemazione che risulti
di reciproco interesse'.
Questi studiosi, anch'essi pionieri in Italia e in Europa, nell'intuire
la validità e l'efficacia della mediazione, definiscono il mediatore
familiare 'elemento catalizzatore' nella soluzione delle dispute, in quanto
la sua funzione riesce a far variare la velocità delle reazioni.
Essi percepiscono che, con la pratica della mediazione, si stimola un processo
che è, a mio avviso, quello della simbolizzazione o rappresentazione
mentale che blocca nell'individuo il passaggio all'atto, consente la riflessione
e l'elaborazione, riducendo la rigidità e la 'coazione a ripetere'
e permettendo la presa di coscienza dello 'stato presente' e la progettazione
del futuro che si sostanzia, spesso, in un impegno reciproco, in un contratto.
Questa caratteristica, essi affermano, differenzia i mediatori dai giudici
o da eventuali arbitri chiamati a comporre la vertenza in quanto non viene
rivestito né di potere né di autorità vincolanti.
Nel mediatore familiare il problema della 'direttiva' è più
complesso e delicato giacché esso è garante dell'equità
nell'accordo e, generalmente valuta, la gestione dell'educazione della prole
e l'affido di essa.
Il differente grado di 'intromissione' nelle decisioni dell'accordo negoziale
danno luogo a due immagini contrapposte di mediatore a cui fanno capo diverse
correnti di pensiero.
''Coogler (1978) ed Haynes (1981) ritengono che l'esperto dovrebbe assumere
attivamente l'iniziativa al fine di equilibrare il potere tra le parti,
aiutandole a definire i termini delle scelte sostanziali. Saposnek (1983)
sostiene che un buon mediatore familiare dovrebbe salvaguardare e difendere
i legittimi diritti dei membri deboli (per es. i minori) e, pertanto, dovrebbe
intervenire per modificare accordi negoziali che violino tali interessi
(Gulotta e Santi, op. cit.).
Viene inoltre sottolineata, da questi autori, una notevole diversità
nel grado di esercizio della direttività. Sia i mediatori di lavoro,
sia i mediatori familiari si differenziano tra loro in relazione allo 'stile',
all'approccio e alle tecniche adottate anche se tutti sono d'accordo nel
definire la propria professione: "assistenza alle parti in disputa,
affinché esse pervengano, in tempi brevi e con reciproco interesse,
alla stipula di un contratto d'accordo''.
Dal mio punto di vista, non è soltanto una differenziazione tra mediazione
familiare o altri tipi di mediazione e neppure la differenza di stile di
mediazione, né l'assistenza alle parti in disputa o il grado di 'esercizio
della direttività' a caratterizzare i processi di mediazione, ma
è la 'praesentiam' imparziale del mediatore che funge da 'raccordo'
nella comunicazione, che facilita la stipula di un contratto d'accordo.
L'obiezione che si pone è 'chiunque può mediare'.
Non è necessario riflettere sulla formazione dei mediatori.
Così come tutti gli eventi naturali, umani, sociali possono accadere
spontaneamente o possono essere provocati, anche nei rapporti conflittuali
tra individui, tra gruppi, tra popoli, chiunque può fungere da raccordo
per ristrutturare la comunicazione. 'E innegabile che tutto ciò accada,
così come accade che ognuno di noi sia potenzialmente un educatore,
un avvocato, un medico, un manager; ma chi di noi è disponibile ad
affidarsi all'opera del caso? Si pone, nell'economia dell'esistenza, l'esigenza
di ricorrere ad attività intenzionali che, perciò, si caratterizzano
come professioni con una loro specificità, una loro etica ed una
loro deontologia.
Il futuro della mediazione dovrà poter contare non solo sulla pratica,
ma su una cornice teorica di riferimento, su una elaborazione deontologica
della professione.
Analizzando le leggi che regolano la natura, osserviamo che tutto ciò
che accade, in termini di vita, è comunicazione.
La cellula, unità minima della materia vivente, assorbe sostanze,
si nutre, si riproduce, in uno scambio continuo infra ed inter cellulare.
Gli scienziati la considerano struttura specializzata che svolge le funzioni
della vita in modo coordinato.
La membrana cellulare è, anch'essa, una struttura sensibile, che
non isola completamente la cellula: canali efficienti permettono all'acqua
e ad altre molecole di attraversarla con facilità. Al suo interno,
l'architettura cellulare, comprende 'strutture sofisticate' che svolgono
attività e funzioni particolari, all'insegna dello scambio continuo.
Le cellule viventi e le loro parti devono, dunque, essere parzialmente isolate
dal loro ambiente, ma devono essere in grado (per vivere) di scambiare materiali
e ricevere informazioni, diversamente la cellula muore.
Mi rendo conto, restando dentro l'involucro della metafora, di voler continuare
così il mio dis-correre.
Le forme e i fenomeni della mente umana e della vita in generale, possono
essere capiti nei termini di un insieme di 'principi organizzativi'.
Tra questi, il più importante, è la 'nozione dell'interdipendenza
di tutte le forme di vita' (D. Kriss 1982).
Da un'analisi sommaria, la mediazione si pone come assistenza alle parti,
come professione che agevola l'apprendimento, attraverso il mediatore, nella
gestione positiva dei conflitti.
Approfondendo l'analisi del processo, sia dal punto di vista biologico,
sia dal punto di vista psicologico e, se vogliamo anche sociologico, dobbiamo
ammettere che il mediatore si pone come 'raccordo', 'veicolo' tra parti
contendenti, estremamente 'mobili' (aggressive), o estremamente 'rigide'
(bloccate). La sua presenza e la sua posizione, intenzionalmente imparziale,
ri-struttura la 'possibilità di ascolto reciproco', re-instaura la
comunicazione e ri-attiva il processo di simbolizzazione.
Il successo della mediazione non consiste tanto nel raggiungimento di un
accordo in tempi brevi, quanto nell'instaurare la possibilità di
ascolto e di ristrutturazione della comunicazione tra le parti senza determinarne
a priori il tempo.
I meccanismi che generano l'aggressività, la rabbia, la vendetta
per un torto subito (per una mancanza) vengono destabilizzati e recuperato
lo spazio mentale dove il LAD ('Language Acquisition Device') si connette
con il LASS ('Language Acquisition Support System') facilitando l'uso del
linguaggio verbale (Bruner 1980).
La parola, il 'verbo', è appannaggio dell'uomo; è, dunque,
una sua dote privilegiata, frutto, e probabilmente, risultato di un processo
evolutivo che stacca decisamente l'uomo dagli altri esseri viventi, come
afferma C. Sini ( op. cit.).
Il mancato uso del 'verbo' intenzionale, genera l'occupazione o il blocco
dello spazio mentale da parte dei 'fantasmi', blocca quel meraviglioso processo
di simbolizzazione, di rappresentazione e conduce, inesorabilmente, a fare
perno sulla distruttività.
Lucianina non ha distrutto la scatola ma, essendo in grado di mettere in
atto un processo di elaborazione, di simbolizzazione, si rivolge al suo
interlocutore.
Il 'passaggio all'atto', che tanto caratterizza l'uomo in preda alla rabbia,
alla guerra, all'aggressività e che diventa fenomeno frequente soprattutto
nelle fasi in cui l'individuo è ancora immaturo, si ripropone e diventa
incontrollabile quando la comunicazione verbale si spezza, quando il silenzio
invade lo spazio della mente e ne oscura ogni riflesso di luce.
L'uomo moderno dimostra una forte propensione verso la messa in atto dei
processi di mediazione. Questa mia affermazione nasce dall'esperienza vissuta
anche in questi due anni di intenso lavoro come delegata dal Comitato Direttivo
del WMF per l'organizzazione del III Congresso mondiale. Quando l'informazione
ci scuote con messaggi di eventi drammatici, MEDIAZIONE (!) è la
parola che risuona nei momenti di tensione tra individui, tra gruppi, tra
popoli.
Dando uno sguardo al mondo di oggi, soprattutto ai giovani che sono la speranza
del futuro, si riscontra quanto incessante sia il bisogno di voler ad ogni
costo comunicare; ne sono un esempio tangibile l'uso delle nuove tecniche,
dei mezzi di comunicazione sempre più sofisticati; ne sono un palese
bisogno il fiorire di Organizzazioni, Associazioni, Movimenti di solidarietà,
di promozione, di scambio; ne è un grande esempio la diffusione della
cultura della mediazione nel mondo e il proliferare di leggi, di decreti,
di istanze che i governi dei vari paesi stanno mettendo in atto, ne è
un esempio l'arte, la musica, lo sport.
Ne siamo un esempio noi stessi, in quanto mediatori, professionisti, che
impiegano le loro risorse, mettono in atto le proprie abilità e competenze
di mediatori, per promuovere e divulgare questo processo.
Quale sarà il futuro della mediazione?
Pare di poter cogliere che incombe sulla società attuale una grande
responsabilità.
Processi di comunicazione, di globalizzazione, da un lato ci stimolano,
dall'altro ci preoccupano.
L'uomo è un viandante, con un equipaggiamento suo che, però,
deve integrare con le risorse degli altri, dell'ambiente, inteso nel senso
più alto del termine e così, come gli antichi oniromanti tentavano
di capire dalla interpretazione dei sogni e i naviganti dalla lettura delle
stelle, i disegni dell'esistenza e dell'esistente, noi dovremmo tentare,
attraverso l'ascolto di ogni voce che vibra nell'infinito, di cogliere il
significato che, a mio modo di vedere, consiste in un ANELITO DI PACE.
Savina Pinna
Presidente CE.RI.UM.
Delegata per l'organizzazione del III Congresso WMF
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Lucianina, hija de Jean Piaget (estudioso suizo de los procesos de desarrollo
cognitivo), juega sacudiendo una cajita con un collar dentro.
A través de una pequeña abertura consigue extraer el contenido
y volver a meterlo. Mira satisfecha al padre que la observa, ignorando
que él es además un científico que va más
allá del experimento. Entra en el 'juego' de la niña y,
con un gesto rápido, cierra la abertura de la caja, de modo que
el collar no pueda volver a salir, y espera una reacción.
La niña intenta repetir el ejercicio, pero sus esfuerzos son vanos;
mira fijamente a los ojos a su papá, y luego abre y cierra la boquita.
Ella no sabe hablar todavía, pero sabe decir, sabe comunicar, y,
a través de los gestos, demuestra haber alcanzado una fase de desarrollo
en la que el proceso de simbolización toma forma: sabe re-presentar
sus pensamientos, los re-produce, los comunica, su mente crea. Padre e
hija son protagonistas de una experiencia significativa.
No se puede prescindir del análisis de algunos conceptos generales
que constituyen el eje de la Mediación: el concepto de comunicación,
considerado elemento constitutivo, determinante tanto en la técnica
como en la teoría en los procesos de mediación. El área
de las investigaciones filosóficas privilegia el análisis
de los problemas epistemológicos relativos al estudio de la comunicación
humana.
El área de la psicología general, social y evolutiva examina
las características de la emisión y la recepción,
de la formación social, de la comunicación. A menudo resulta
necesario fijar la atención en el concepto de metáfora y
en su función dentro de la comunicación, sobre todo cuando
irrumpe en su fluir, desbaratando los diques del control racional.
Metáfora: 'phora' para los griegos; desplazamiento de algo en el
espacio; 'traslatio' para los latinos; máscara que permite la escenificación
de lo vivido, mostrarse sin ser visto y poder ver sin ser identificado,
en un fondo donde domina la oscuridad y se cela lo 'no conocido', y escenario
que las partes en conflicto presentan en una disputa, en una contienda.
La representación mental, la simbolización es, al mismo
tiempo, causa y efecto de la comunicación. <<Nuestra vida
es un escenario, dominado, para bien y para mal, sea en la comedia como
en la farsa o la tragedia, por una drammatis personae; nuestro yo (el
Self), así será para siempre, hasta que caiga el telón>>
(C. Sherrington, cit. por Bardi, 1981).
Entrando en escena, nos convertimos en personajes e intérpretes:
interpretantes e interpretados, dotados de un Yo actuante e ignorante
de la propia identidad y de un Yo impersonal y actuado por el personaje,
por el disfraz. El Mediador, neutral, facilita esta puesta en escena,
y así es como emerge la posibilidad de escucharse a sí mismo
y al otro, de tomar conciencia de que se pueden encontrar opciones para
poder, después de haber bajado el telón del pasado, proyectar
el futuro.
En una narración, el flujo expositivo progresa en forma comprensible
entre la memoria semántica y la memoria episódica. Bowlby
(1988) declara que <<cada situación de nuestra vida es interpretada
a través de los modelos de representación que tenemos acerca
del mundo y de nosotros mismos>>; por tanto, todas las informaciones
que alcanzan nuestros sentidos se seleccionan e interpretan sobre la base
de estos modelos, que no son sólo filtros de experiencia, sino
que tienden, según Ammaniti (1991) a recrear experiencias congruentes
con la propia historia relacional.
Representar deriva del latín repraesentare: el prefijo 're' indica
el movimiento en sentido inverso, una vuelta, pues, a un estado precedente,
una repetición. El hombre tiende a repetir, y función de
la mediación es conducirlo al presente para poder proyectar un
futuro. Praesentare deriva de praesens, 'prae' sustituye a 'ad', en absens
(ausencia). Una posible reconstrucción, según un análisis
lingüístico del término, remite a un evento que vuelve
a proponer una posición precedente, la cual podría también
ser re-petición, o sea un 'volver a pedir' ser percibidos. La representación,
afirma E. Funari (1984), se configura como el <<prototipo de toda
posible experiencia psíquica, filtro y película en que se
precipita el originarse de la significación...>>. El lugar
de la representación se muestra a la atención de la investigación
psicológica como phantasma, sueño con los ojos cerrados
o abiertos. Estas producciones no son sino posibles tra-vesticiones, metáforas,
bajo las que se cumple la des-velación.
La representación mental es, al mismo tiempo, causa y efecto de
la comunicación.
C. Sini (1990) afirma que el hombre se aleja, en el camino filogenético,
de sus semejantes, cuando el medio (la palabra) se convierte en instrumento
de comunicación. Cuando descubre que puede usar el signo, el símbolo,
conquista las distancias, los espacios y los tiempos.
El mundo de la representación, para "presentar su existencia",
necesita de la palabra o de un canal de comunicación que pueda
desembocar en una situación de acogida. La expresión que
no encuentra un eco, una resonancia, muere en la nada, y, a menudo, no
se repite. Entran en juego la motivación y el refuerzo. De aquí
nace la enorme responsabilidad de quien está, por elección
propia, destinado a servir de caja de resonancia.
La metáfora se ofrece como medio o ha sido 'creada' por el individuo,
para poder metabolizar cuanto deriva de la experiencia.
En la metáfora se evidencia la necesidad de partir de lo conocido
para definir todo cuanto escapa a la observación directa y que,
por ello, aparece como desconocido. Con la palabra, los estados de ánimo
toman color, se animan y se convierten en esos personajes que suben el
telón y escenifican las experiencias profundas: ¡nos expresan!
El teatro no puede estar formado sólo por actores: si falta la
platea, el auditorio, falta el objeto, la referencia. Sin interlocutor
no puede haber comunicación.
Son estas consideraciones sobre la meta-comunicación las que motivan
mi interés por la mediación, cuya función consiste
en la aplicación de técnicas que facilitan la recuperación
de procesos comunicativos, detectan sus significados profundos y permiten
a las partes en discordia (individuos, grupos, pueblos) tratar los conflictos
sin recurrir a la agresividad.
El 30 de julio de 1932 (correspondencia en Obras, vol. XI, Boringhieri,
1979) Einstein escribía a Freud: <<Querido señor Freud,
la propuesta que me ha formulado la Sociedad de Naciones y su Instituto
Internacional de cooperación intelectual de París, de invitar
a una persona de mi agrado a un intercambio franco de opiniones sobre
un problema cualquiera elegido por mí, me brinda la ocasión
de dialogar con usted acerca de una cuestión que aparece, en la
presente condición del mundo, como la más urgente entre
todas las que se plantean a la civilización.
La cuestión es: ¿hay un modo para liberar a los hombres
de la fatalidad de la guerra?... ¿Cómo es posible que las
masas se dejen enardecer con los medios citados hasta el furor y el propio
holocausto? Una sola respuesta se impone: el hombre tiene dentro de sí
el placer de odiar y de destruir...>>.
Tres años antes Freud, concluyendo el ensayo El malestar en la
cultura (Obras, vol. IX, Boringhieri, 1967) escribía que el problema
fundamental del destino de la especie humana consiste en intuir hasta
qué punto la evolución de la civilización conseguirá
dominar las perturbaciones de la vida colectiva provocadas por el impulso
agresivo y autodestructivo de los hombres.
El problema plantea una cuestión central: <<¿es posible
guiar la evolución del hombre hasta la superación de la
agresividad destructiva?>>
El desarrollo de las ciencias humanas, las investigaciones etológicas
nos aclaran que los comportamientos no son dimensiones inmodificables,
y por ello la pregunta planteada por Einstein puede encontrar respuesta
en el ámbito de un contexto humano, recurriendo al antagonista
de la destructividad.
Si todo esto puede suceder, queda aún una duda: ¿quién
y de qué modo podrá ayudar al hombre a encauzar el conflicto?
"La mediación generalmente entendida -como alternativa al
procedimiento judiciario tradicional- no constituye una invención
reciente. El esquema 'interpretado por los actores' copia un guión
de secular antigüedad, y, aparte de algunos detalles, es una readaptación
en clave contemporánea de cuanto fue ya probado por otros pueblos,
en otras épocas históricas" (Gulotta y Santi, 1988).
En el siglo V a. C., en China, con la predisposición dada por un
sistema filosófico que consideraba el universo en equilibrio armónico,
y juzgaba cualquier contraposición de fuerzas como evento desestabilizador,
se recurría a la Mediación para resolver situaciones de
conflicto y restablecer el equilibrio originario.
También en algunas tribus del África central, así
como en algunas aldeas japonesas, obraba la usanza de reunir en asamblea
a los ancianos y ponerlos al corriente de las eventuales diatribas internas
de la comunidad".
"Más allá de específicas variaciones éticas
y culturales, el esquema que rige el sistema de reglas en las diversas
tradiciones sociales parece siempre el mismo:
a) constantemente centrado en alcanzar una solución conciliadora;
b) estructurado de modo que las partes puedan disponer libremente de sus
controversias;
c) sin ser juzgados;
d) sin el empleo de medidas sancionadoras".
En Italia ha habido un modelo de mediación para las disputas que
se manifestaban en el mundo del trabajo. En un primer momento entre asalariados
y empresarios, más tarde entre organizaciones sindicales y organizaciones
patronales.
En los años 70 C. J. Coogler, J. M. Haynes y otros dieron vida
en Estados Unidos a un movimiento por la resolución de los conflictos
familiares, pero ya en 1913 existía la mediación en las
disensiones laborales; en 1975 nace la mediación familiar, cuya
finalidad consiste en asistir a 'las partes' para que logren una solución
de los problemas y estructuren un acuerdo que resulte de recíproco
interés y que pueda ser respetado en el futuro.
Gulotta y Santi (op. cit.) advierten el motivo por el que la práctica
de la mediación se distingue de otros tipos de intervención,
como la psicoterapia o la consultoría psicológica y legal,
por cuanto su fin consiste 'en asistir a las partes para que alcancen
una solución de los problemas ligados directamente a la disgregación
conyugal y estructuren un arreglo que resulte de recíproco interés'.
Estos estudiosos, pioneros también en Italia y Europa, intuyendo
la validez y la eficacia de la mediación, definen al mediador familiar
como 'elemento catalizador' en la solución de las disputas, porque
su función cosigue hacer que varíe la velocidad de las reacciones.
Ellos perciben que, con la práctica de la mediación, se
estimula un proceso que es, a mi entender, el de la simbolización
o representación mental que bloquea en el individuo el paso al
acto, consiente la reflexión y la elaboración, reduciendo
la rigidez y la 'coacción a repetir' y permitiendo la toma de conciencia
del 'estado presente' y la planificación del futuro que se sustancia,
con frecuencia, en un compromiso recíproco, en un contrato. Esta
característica, afirman ellos, diferencia a los mediadores de los
jueces o de eventuales árbitros llamados a resolver la controversia,
por cuanto no están revestidos ni de poder ni de autoridad vinculantes.
En el mediador familiar el problema de la 'directiva' es muy complejo
y delicado, ya que aquél es garante de la equidad del acuerdo y,
generalmente, valora la gestión de la educación de la prole
y a quién se confía.
El grado diferente de 'intromisión' en las decisiones del acuerdo
negociado da lugar a dos imágenes contrapuestas de mediador en
las que se reconocen distintas corrientes de pensamiento.
"Coogler (1978) y Haynes (1981) consideran que el experto debería
asumir activamente la iniciativa con el fin de equilibrar el poder entre
las partes, ayudándolas a definir los términos de las decisiones
sustanciales. Saposnek (1983) sostiene que un buen mediador familiar debería
salvaguardar y defender los derechos legítimos de los miembros
débiles (p. e., los menores) y, por tanto, debería intervenir
para modificar acuerdos negociados que violaran tales intereses (Gulotta
y Santi, op. cit.).
Subrayan además estos autores una notable diversidad en el grado
de ejercicio de la directividad. Tanto los mediadores laborales como los
mediadores familiares se diferencian entre sí en relación
con el 'estilo', el enfoque y las técnicas adoptadas, aunque todos
están de acuerdo en definir la propia profesión: "asistencia
a las partes en litigio, para que alcancen, en breve tiempo y con recíproco
interés, la estipulación de un contrato de acuerdo".
Desde mi punto de vista, no es solamente una diferenciación entre
la mediación familiar y otros tipos de mediación, y ni siquiera
la diferencia de estilo de mediación, ni la asistencia a las partes
en disputa o el grado de 'ejercicio de la directividad', lo que caracteriza
los procesos de mediación, sino la 'praesentiam' imparcial del
mediador que actúa como 'enlace' en la comunicación, que
facilita la firma de un contrato de acuerdo.
La objeción que puede hacerse es que 'cualquiera puede mediar'.
No es necesario reflexionar sobre la formación de los mediadores.
Así como todos los eventos naturales, humanos, sociales, pueden
ocurrir espontáneamente o pueden ser provocados, también
en las relaciones conflictivas entre individuos, entre grupos, entre pueblos,
cualquiera puede servir de vínculo para reestructurar la comunicación.
'Es innegable que todo esto sucede, así como sucede que cada uno
de nosotros es potencialmente un educador, un abogado, un médico,
un ejecutivo; ¿pero quién de nosotros está dispuesto
a ponerse en manos de la casualidad? Se presenta, en la economía
de la existencia, la exigencia de recurrir a actividades intencionales
que, por ello, se caracterizan como profesiones con su especificidad,
su ética y su deontología.
El futuro de la mediación deberá poder contar no sólo
con la práctica, sino también con un marco teórico
de referencia, con una elaboración deontológica de la profesión.
Analizando las leyes que reglan la naturaleza, observamos que todo lo
que sucede, en términos de vida, es comunicación.
La célula, unidad mínima de la materia viviente, absorbe
sustancias, se nutre, se reproduce, en un intercambio continuo infra e
inter celular. Los científicos la consideran una estructura especializada
que cumple las funciones de la vida en modo coordinado.
La membrana celular es, también ella, una estructura sensible,
que no aísla completamente a la célula: eficientes canales
permiten al agua y a otras moléculas atravesarla con facilidad.
En su interior, la arquitectura celular comprende 'estructuras sofisticadas'
que desarrollan actividades y funciones particulares, en nombre del intercambio
continuo.
Las células vivas y sus partes deben, por tanto, estar parcialmente
aisladas de su ambiente, pero deben estar en condiciones (para vivir)
de intercambiar materiales y recibir informaciones; de otro modo, la célula
muere.
Me doy cuenta, permaneciendo dentro de la metáfora, de que quiero
continuar así mi discurrir.
Las formas y los fenómenos de la mente humana y de la vida en general
pueden entenderse en términos de un conjunto de 'principios organizativos'.
De ellos, el más importante es la 'noción de la interdependencia
de todas las formas de vida' (D. Kriss, 1982).
A partir de un análisis sumario, la mediación se presenta
como asistencia a las partes, como profesión que facilita el aprendizaje,
a través del mediador, en la gestión positiva de los conflictos.
Profundizando en el análisis del proceso, tanto desde el punto
de vista biológico, como desde el punto de vista psicológico
y, si se quiere, también sociológico, debemos admitir que
el mediador se coloca como 'unión', 'vehículo' entre partes
contendientes, extremadamente 'móviles' (agresivas), o extremadamente
'rígidas' (bloqueadas). Su presencia y su posición, intencionadamente
imparcial, re-estructura la 'posibilidad de escucha recíproca',
re-instaura la comunicación y re-activa el proceso de simbolización.
El éxito de la mediación no consiste tanto en el logro de
un acuerdo en breve tiempo, cuanto en el instaurar la posibilidad de escuchar
y de reestructuración de la comunicación entre las partes,
sin determinar el tiempo a priori.
Los mecanismos que generan la agresividad, la rabia, la venganza por una
ofensa sufrida (por una falta) se desestabilizan, y se recupera el espacio
mental en el que el LAD ('Language Acquisition Device') se conecta con
el LASS ('Language Acquisition Support System') facilitando el uso del
lenguaje verbal (Bruner, 1980).
La palabra, el 'verbo', es prerrogativa del hombre; es, pues, una dote
suya privilegiada, fruto, y probablemente resultado, de un proceso evolutivo
que separa decididamente al hombre de los demás seres vivos, como
afirma C. Sini (op. cit.).
La omisión de uso del 'verbo' intencional genera la ocupación
o el bloqueo del espacio mental por parte de los 'fantasmas', bloquea
ese maravilloso proceso de simbolización, de representación,
y conduce, inexorablemente, a obrar desde la destructividad.
Lucianina no ha destruido la caja, sino que, estando en condiciones de
llevar a cabo un proceso de elaboración, de simbolización,
se dirige a su interlocutor.
El 'paso al acto', que tanto caracteriza al hombre presa de la rabia,
de la guerra, de la agresividad, y que se convierte en fenómeno
frecuente sobre todo en las fases en las que el individuo es aún
inmaduro, reaparece y se vuelve incontrolable cuando la comunicación
verbal se quiebra, cuando el silencio invade el espacio de la mente y
oscurece en él cualquier reflejo luminoso.
El hombre moderno demuestra una fuerte propensión hacia la práctica
de los procesos de mediación. Esta afirmación mía
nace entre otros motivos de la experiencia vivida en estos dos años
de intenso trabajo como delegada del Comité Directivo del WMF para
la organización del III Congreso mundial. Cuando la información
nos estremece con mensajes de eventos dramáticos, MEDIACIÓN
(!) es la palabra que resuena en los momentos de tensión entre
individuos, entre grupos, entre pueblos.
Lanzando una mirada al mundo de hoy, sobre todo a los jóvenes,
que son la esperanza del futuro, se comprueba lo incesante que es la necesidad
de comunicarse a cualquier coste; un ejemplo tangible es el uso de las
nuevas tecnologías, de los medios de comunicación cada vez
más sofisticados; una necesidad evidente es el florecimiento de
organizaciones, asociaciones, movimientos de solidaridad, de promoción,
de intercambio; y es también un gran ejemplo de ello la difusión
de la cultura de la mediación en el mundo y el proliferar de leyes,
decretos, demandas que los gobiernos de numerosos países están
elaborando; es un ejemplo el arte, la música, el deporte.
Somos un ejemplo nosotros mismos, en cuanto mediadores, profesionales,
que emplean sus recursos, ejercitan sus propias habilidades y competencias
como mediadores, para promover y divulgar este proceso.
¿Cuál será el futuro de la mediación?
Parece que puede inferirse que sobre la sociedad actual recae una gran
responsabilidad.
Procesos de comunicación, de globalización, por un lado
nos estimulan, por otro nos preocupan.
El hombre es un viandante, con un equipamiento propio que, sin embargo,
debe integrar con los recursos de los demás, del ambiente, entendido
en el sentido más alto del término, y así como los
antiguos onirománticos trataban de comprender a través de
la interpretación de los sueños, y los navegantes por la
lectura de las estrellas, los designios de la existencia y de lo existente,
nosotros deberíamos intentar, a través de la escucha de
cada voz que vibra en el infinito, percibir el significado que, a mi modo
de ver, consiste en un ANHELO DE PAZ
Savina Pinna
Presidente del CE.RI.UM.
Delegada para la organización del III Congreso WMF
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Lucianina, la fille de Jean Piaget (savant suisse qui a étudié
les processus de développement cognitif), agite, par jeu, une boîte
contenant un collier.
A travers une petite ouverture, elle réussit à en extraire
le contenu et à le remettre. Elle regarde avec satisfaction son papa
observateur, ignorant que c'est aussi un savant et qu'il dépasse
l'expérience. Il rentre dans le 'jeu' de la petite fille et, d'un
geste rapide, il referme la boîte, de manière à ce que
le collier ne puisse plus sortir et il attend une réaction.
L'enfant essaie de répéter l'expérience, mais tous
ses efforts sont vains ; elle fixe son papa dans les yeux, puis elle ouvre
et ferme sa petite bouche.
Elle ne sait pas encore parler, mais elle sait dire, elle sait communiquer
et, à travers la gestuelle, elle montre qu'elle a atteint une phase
de développement dans laquelle le processus de symbolisation prend
forme : elle sait re-présenter ses pensées, elle les re-produit,
elle les communique, son esprit élabore. Père et fille sont
protagonistes d'une expérience significative.
On ne peut pas ne pas tenir compte de l'analyse de certains concepts généraux
qui constituent le pivot de la Médiation : le concept de communication
retenu comme élément constitutif déterminant à
l'intérieur tant de la technique que de la théorie dans les
processus de Médiation. Le domaine de la recherche philosophique
privilégie l'analyse des problèmes épistémologiques
concernant l'étude de la communication humaine.
Le domaine de la psychologie générale, sociale et de l'âge
évolutif met au point les caractéristiques de l'émission
et de la réception, de la formation sociale, de la communication.
Il apparaît souvent nécessaire de s'arrêter sur le concept
de métaphore et sur sa fonction dans la communication, surtout quand
elle déferle en abattant les barrières du contrôle rationnel.
Métaphore : 'phora' pour les Grecs ; déplacement de quelque
chose dans l'espace ; 'traslatio' pour les Latins ; masque qui permet de
mettre en scène le vécu, de montrer sans être vu et
de pouvoir voir sans être reconnu, dans un arrière-plan où
domine l'obscurité et où se cache le 'non connu' et le scénario
que les partenaires en conflit proposent lors d'une dispute, d'une querelle.
La représentation mentale, la symbolisation est, en même temps,
cause et effet de la communication. " Notre vie est une scène,
dominée, dans le bien et dans le mal, que ce soit dans la comédie,
dans la farce ou dans la tragédie, par une dramatis personae ; notre
moi (le Self) sera ainsi tant que le rideau ne tombera pas " (C. Sherrington,
cité par Bardi 1981)
En nous insérant dans la scène, nous devenons personnages
et interprètes : interprétants et interprétés,
doués d'un Moi agent et ignorant sa propre identité et d'un
Moi impersonnel et animé par le personnage, par le Masque. Le Médiateur,
neutre, facilite cette mise en scène et c'est ainsi qu'apparaît
la possibilité d'écouter soi-même et l'autre, de prendre
conscience que l'on peut trouver des options pour pouvoir, après
avoir tiré le rideau du passé, projeter le futur.
Dans une narration, le flux du récit procède de manière
compréhensible entre mémoire sémantique et mémoire
épisodique. Bowlby (1988) déclare que " chaque situation
de notre vie est interprétée à travers les modèles
de représentation que nous avons du monde et de nous-mêmes
" ; donc, toutes les informations qui atteignent nos sens sont sélectionnées
et interprétées sur la base de ces modèles, qui ne
sont pas seulement des filtres de l'expérience, mais tendent, selon
Ammaniti (1991) à recréer des expériences en rapport
avec notre propre histoire relationnelle.
Représenter vient du latin repraesentare : le préfixe 're'
indique le mouvement en sens inverse, un retour, donc, à un stade
précédent, une répétition. L'homme tend à
répéter et la fonction de la médiation est de le reconduire
au présent pour pouvoir projeter le futur. Praesentare vient de praesens,
'prae' remplace 'ad', dans absens (absence). Une reconstruction possible,
selon une analyse linguistique du terme, renvoie à un événement
qui propose à nouveau une position précédente, qui
pourrait être : ré-pétition, c'est-à-dire 'demander'
de nouveau à être perçus. La représentation,
affirme E. Funari ( 1984), se présente comme le " prototype
de toute expérience psychique possible, filtre et pellicule, où
se précipite la naissance de la signification
". La position
de la représentation s'impose à l'attention de l'enquête
psychologique comme un phantasme, rêve avec les yeux fermés
ou ouverts. Ces productions ne sont que des tra-vestissements possibles,
métaphores, sous lesquelles s'accomplit le dé-voilement.
La représentation mentale est, en même temps, cause et effet
de la communication.
C. Sini (1990) affirme que l'homme prend ses distances, dans le chemin phylogénique,
de ses semblables, quand le moyen (la parole) devient instrument de communication.
Quand il découvre qu'il peut utiliser le signe, le symbole, il conquiert
les distances, les espaces et les temps.
Le monde de la représentation, pour 'présentifier son existence'
a besoin de la parole ou d'un canal de communication qui puisse déboucher
dans une situation d'acceptation. L'expression qui ne trouve pas d'écho,
de résonance, meurt dans le néant, et, souvent, ne se répète
pas. La motivation et le renforcement entrent en jeu. De là naît
l'énorme responsabilité de celui qui a, par son choix, la
tâche de faire fonction de caisse de résonance.
La métaphore se présente comme un moyen ou elle a été
'créée' par l'individu pour pouvoir métaboliser ce
qui dérive de l'expérience.
Dans la métaphore, on met en évidence la nécessité
de partir de ce qui est connu pour définir ce qui échappe
à l'observation directe et qui apparaît donc comme inconnu.
Avec la parole, les états d'âme se colorent, s'animent et deviennent
ces personnages qui ouvrent le rideau et mettent en scène les expériences
profondes : ils nous expriment.
Le théâtre ne peut être formé par les seuls acteurs
: s'il manque le public, l'auditoire, alors il manque l'objet, la référence.
Ce sont ces considérations sur la méta-communication qui motivent
mon intérêt pour la médiation dont la fonction consiste
en l'application de techniques qui facilitent la reprise des processus de
communication, qui en écoutent les significations profondes et qui
permettent aux parties en présence (individus, groupes, peuples)
de gérer les conflits sans recourir à l'agressivité.
Le 30 juillet 1932 (correspondance dans uvres Vol.XI Boringhieri 1979),
Einstein écrivait à Freud : " Cher monsieur Freud, la
proposition, qui m'a été faite par la Société
des Nations et par l'Institut International de coopération intellectuelle
de Paris, d'inviter une personne de mon choix à un échange
d'opinion franc sur un problème quelconque que je choisirais, me
donne l'occasion agréable de dialoguer avec vous sur la question
qui semble, dans la condition actuelle du monde, la plus urgente parmi celles
qui se proposent à la civilisation.
La question est : y a-t-il une manière pour libérer les hommes
de la fatalité de la guerre ?
Comment est-il possible que la
masse se laisse enflammer par les moyens dont on a parlé jusqu'à
la fureur et son l'holocauste? Une seule réponse s'impose : l'homme
porte en lui le plaisir de haïr et de détruire
"
Trois ans auparavant Freud, en concluant son essai Le malaise de la civilisation
(uvres Vol.IX Boringhieri 1967) écrivait que le problème
fondamental du destin de l'espèce humaine consiste dans le fait de
prévoir jusqu'à quel point l'évolution civile réussira
à maîtriser les troubles de la vie collective provoqués
par la pulsion agressive et autodestructrice des hommes.
Le problème pose une question centrale : " est-il possible de
guider l'évolution de l'homme jusqu'au dépassement de l'agressivité
destructrice ? "
Le développement des sciences humaines, les recherches éthologiques
nous montrent que les comportements ne sont pas des dimensions non modifiables
donc la question posée par Einstein peut trouver une réponse
dans le cadre d'un contexte humain, en recourant à l'antagoniste
de la destructivité.
Si tout cela peut arriver, il nous reste encore un doute : qui pourra aider
l'homme à gérer le conflit et de quelle manière ?
" La médiation, telle qu'on l'entend généralement,
- comme alternative aux procédures judiciaires traditionnelles -
ne constitue pas une invention récente. Le schéma 'récité
par les acteurs' calque un scénario qui est vieux de plusieurs siècles
et qui, à l'exception de quelques détails, est une réadaptation
en clé contemporaine de ce qui avait déjà été
expérimenté par d'autres peuples, à d'autres époques
historiques " (Gulotta et Santi, 1988).
Au Vème siècle av J.C. en Chine, les gens, prédisposés
par le système philosophique qui considérait que l'univers
était en équilibre harmonieux et que toute opposition de forces
était un événement déstabilisant , avaient recours
à la Médiation pour résoudre des situations conflictuelles
et pour rétablir l'équilibre originel.
Dans plusieurs tribus de l'Afrique Centrale, tout comme dans certains villages
japonais, on avait coutume de réunir les anciens en assemblée
et de les mettre au courant des diatribes éventuelles qu'il y avait
au sein de la communauté.
" Au-delà de variations éthiques et culturelles spécifiques,
le schéma qui gouverne le système de règles dans les
différentes traditions sociales, est toujours le même :
a) constamment centré sur la réalisation d'une solution conciliatoire
;
b) structuré de manière à ce que les parties puissent
disposer librement de leurs controverses ;
c) sans être jugés ;
d) sans employer de mesures de sanction ".
En Italie, il y a eu un modèle de médiation pour les disputes
qui se manifestaient dans le monde du travail, dans un premier temps entre
dépendants et patrons, ensuite entre organisations syndicales et
organisations patronales.
Dans les années 70, C.J. Coogler, J.M. Haynes, et d'autres, donnèrent
naissance aux Etats Unis à un mouvement pour la résolution
des conflits familiaux, mais la médiation dans les conflits du travail
existait déjà depuis 1913 ; en 1975 naissait la médiation
familiale dont le but consiste à assister les 'parties' afin qu'elles
parviennent à une solution des problèmes et qu'elles structurent
un accord qui soit dans l'intérêt réciproque et qui
puisse être respecté dans le futur.
Gulotta et Santi (op. cit.) soulignent le motif pour lequel la pratique
de la médiation se différencie d'autres types d'intervention,
comme la psychothérapie ou la consultation psychologique et légale
: son but consiste à 'assister les parties afin qu'elles parviennent
à une solution des problèmes directement liés à
la désagrégation conjugale et qu'elles structurent une solution
qui soit dans l'intérêt réciproque ".
Ces savants, pionniers en Italie et en Europe, ont l'intuition de la validité
et de l'efficacité de la médiation, et ils définissent
le médiateur familial comme un 'élément catalyseur'
dans la solution des disputes, parce que sa fonction réussit à
faire varier la vitesse des réactions.
Ils perçoivent que, par la pratique de la médiation, on stimule
un processus qui est, à mon avis, celui de la symbolisation ou de
la représentation mentale qui bloque dans l'individu le passage à
l'acte, permet la réflexion et l'élaboration, en réduisant
la rigidité et la 'compulsion de répétition' et en
permettant la prise de conscience de 'l'état présent' et la
projection dans le futur qui se matérialise, souvent , dans un engagement
réciproque, dans un contrat. Cette caractéristique, affirment-ils,
différencie les médiateurs des juges ou des arbitres éventuels
appelés à résoudre le conflit parce que le médiateur
ne revêt aucun pouvoir ni aucune autorité contraignants.
Dans le médiateur familial, le problème de la 'directivité'
est plus complexe et plus délicat car il est le garant de l'équité
de l'accord et, généralement, il évalue la gestion
de l'éducation des enfants et à qui les confier.
Le différent degré 'd'ingérence' dans les décisions
d'accord juridique donne lieu à deux images opposées de médiateurs
auxquelles se réfèrent divers courants de pensée.
" Coogler (1978) et Haynes (1981) retiennent que l'expert devrait prendre
activement l'initiative afin d'équilibrer le pouvoir entre les parties,
en les aidant à définir les termes des choix substantiels.
Saposnek (1983) soutient qu'un bon médiateur familial devrait sauvegarder
et défendre les droits légitimes des membres faibles (par
ex. les mineurs) et, qu'il devrait donc intervenir pour modifier les accords
juridiques qui violent ces intérêts (Gulotta et Santi, op.
cit.).
Ces auteurs soulignent, en outre, une diversité remarquable dans
le degré d'exercice de la directivité. Les médiateurs
du travail comme les médiateurs familiaux se différencient
entre eux par leur 'style', par leur approche et par les techniques adoptées
même s'ils sont tous d'accord pour définir leur profession
comme : " l'assistance aux parties en dispute , afin qu'elles parviennent,
en temps brefs et dans l'intérêt réciproque, à
stipuler un contrat d'accord ".
Selon moi, ce n'est pas seulement une différenciation entre médiation
familiale ou d'autres types de médiation, ni la différence
de style de médiation, ni l'assistance aux parties en dispute ou
le degré 'd'exercice de la directivité' qui caractérisent
les processus de médiation, mais c'est la 'praesentiam' impartiale
du médiateur qui sert de 'raccord' dans la communication, qui facilite
la stipulation d'un contrat d'accord.
L'objection qu'on avance est 'tout le monde peut jouer le rôle de
médiateur'.
Il n'est pas nécessaire de réfléchir sur la formation
des médiateurs.
Comme tous les événements naturels, humains, sociaux peuvent
arriver spontanément ou être provoqués, dans les rapports
conflictuels entre individus, entre groupes, entre peuples, n'importe qui
peut servir de raccord pour restructurer la communication. 'On ne peut nier
que tout cela arrive, tout comme il arrive que chacun de nous soit potentiellement
un éducateur, un avocat, un médecin, un manager ; mais qui
parmi nous est disposé à s'en remettre au hasard ? Dans l'économie
de l'existence, l'exigence d'avoir recours à des activités
intentionnelles qui se caractérisent donc comme des professions avec
leur spécificité, leur éthique et leur déontologie
s'impose.
Le futur de la médiation devra pouvoir compter non seulement sur
la pratique, mais aussi sur un cadre théorique de référence,
sur une élaboration déontologique de la profession.
En analysant les lois qui règlent la nature, nous observons que tout
ce qui arrive, en termes de vie, est communication.
La cellule, la plus petite unité de la matière vivante, absorbe
des substances, se nourrit, se reproduit, dans un échange continu
infra et inter cellules. Les savants la considèrent comme une structure
spécialisée qui remplit les fonctions de la vie de manière
coordonnée.
La membrane cellulaire est, elle aussi, une structure sensible, qui n'isole
pas complètement la cellule : des canaux efficaces permettent à
l'eau et à d'autres molécules de la traverser facilement.
A l'intérieur, l'architecture cellulaire comprend des 'structures
sophistiquées' qui ont des activités et des fonctions particulières,
sous le signe de l'échange continu.
Les cellules vivantes et leurs parties doivent donc être partiellement
isolées de leur milieu, mais elles doivent être capables (pour
vivre) d'échanger des matériaux et de recevoir des informations,
autrement, la cellule meurt.
Je me rends compte, en restant au sein de la métaphore, que je veux
continuer ainsi mon dis-cours.
Les formes et les phénomènes de l'esprit humain et de la vie
en général peuvent être compris comme un ensemble de
'principes organisateurs'.
Le plus important d'entre eux, c'est la 'notion d'interdépendance
de toutes les formes de vie' (D. Kriss, 1982).
D'après une analyse sommaire, la médiation s'impose comme
assistance aux parties, comme profession qui facilite l'apprentissage, à
travers le médiateur, de la gestion positive des conflits.
En approfondissant l'analyse du processus, tant du point de vue biologique
que du point de vue psychologique, et aussi du point de vue social si nous
le voulons, nous devons admettre que le médiateur agit comme 'raccord',
'véhicule' entre les parties adverses extrêmement 'mobiles'
(agressives), ou extrêmement 'rigides' (bloquées). Sa présence
et sa position, intentionnellement impartiale, re-structure la 'possibilité
d'écoute réciproque', ré-instaure la communication
et ré-active le processus de symbolisation.
Le succès de la médiation ne consiste pas tant dans la réalisation
d'un accord en temps brefs, que dans l'instauration de la possibilité
d'écouter et dans la restructuration de la communication entre les
parties sans en déterminer le temps à priori.
Les mécanismes qui engendrent l'agressivité, la colère,
la vengeance pour un tort subi (pour une faute) sont déstabilisés
et est ainsi récupéré l'espace mental où le
LAD ('Language Acquisition Device') rejoint le LASS ('Language Acquisition
Support System') en facilitant l'utilisation du langage verbal (Bruner,
1980).
La parole, le 'verbe' est l'apanage de l'homme ; c'est donc une de ses qualités
privilégiées, fruit et, probablement, résultat d'un
processus évolutif qui éloigne résolument l'homme des
autres êtres vivants, comme l'affirme C. Sini (op. cit.).
Le manque d'utilisation intentionnel du 'verbe' engendre l'occupation ou
le bloc de l'espace mental de la part des 'phantasmes', bloque ce merveilleux
processus de symbolisation, de représentation et conduit, inexorablement,
à s'axer sur la destructivité.
Lucianina n'a pas détruit la boîte, mais puisqu'elle était
capable de mettre en acte un processus d'élaboration, de symbolisation,
elle s'adresse à son interlocuteur.
Le 'passage à l'acte', qui caractérise si bien l'homme en
proie à la colère, à la guerre, à l'agressivité
et qui devient un phénomène fréquent surtout dans les
phases où l'individu n'est pas encore mûr, se représente
et devient incontrôlable quand la communication verbale s'interrompt,
quand le silence envahit l'espace de l'esprit et en obscurcit tous les reflets
de lumière.
L'homme moderne dénote une forte tendance à établir
des processus de médiation. Cette affirmation naît de l'expérience
vécue y compris au cours de ces deux années de travail intense
comme déléguée du Comité Directif du WMF pour
l'organisation du IIIème Congrès mondial. Quand l'information
nous secoue avec des messages d'événements dramatiques, MEDIATION
( !) est le mot qui retentit au cours des moments de tension entre les individus,
entre les groupes, entre les peuples.
En regardant le monde d'aujourd'hui, et surtout les jeunes qui sont l'espoir
du futur, on se rend compte que le besoin de communiquer coûte que
coûte est continu; l'utilisation des nouvelles technologies, des moyens
de communication de plus en plus sophistiqués en sont un exemple
tangible ; la multiplication des Organisations, Associations, Mouvements
de solidarité, de promotion, d'échange en témoignent
le besoin évident ; la diffusion de la culture de la médiation
et la prolifération des lois, décrets, instances auxquels
les gouvernements des différents pays participent en sont un grand
exemple ; l'art, la musique, le sport en sont, eux aussi, un exemple.
Nous-mêmes, nous en sommes un exemple, en tant que médiateurs,
professionnels, qui emploient leurs ressources, mettent en acte leurs capacités
et leurs compétences de médiateurs pour promouvoir et diffuser
ce processus.
Quel sera le futur de la médiation ?
On peut saisir, semble-t-il, qu'une grande responsabilité incombe
à la société actuelle.
Les processus de communication, de globalisation, nous stimulent d'un côté
et nous préoccupent de l'autre.
L'homme est un passant, qui possède son propre équipement
mais qui doit, toutefois, l'intégrer avec les ressources des autres,
de l'environnement, pris au sens le plus haut du terme, et, tout comme les
antiques oniromanciens essayaient de comprendre à travers l'interprétation
des rêves et les navigateurs à travers la lecture des étoiles
les desseins de l'existence et de l'existant, nous devrons tenter, à
travers l'écoute de toutes les voix qui vibrent dans l'infini, de
saisir la signification qui, selon ma conception, consiste en un DESIR DE
PAIX.
Savina Pinna
Présidente du CE.RI.UM
Déléguée pour l'organisation du III Congrès
WMF
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