Introduzione

3 WMF ITALIA 2000

La mediazione
e i processi di rappresentazione

SAVINA PINNA


ABSTRACT

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Papers
   


Country:
Italy

Language:
Italian
Spanish
French


Analizzando i concetti generali che costituiscono il 'perno' della mediazione, la comunicazione è l'elemento determinante. L'area della ricerca filosofica, quella della psicologia generale, sociale e dell'età evolutiva, mette a fuoco caratteristiche della emissione e ricezione nello sviluppo sociale, nella comunicazione.
Appare necessario soffermare l'attenzione sul concetto di metafora e sulla sua funzione.
La rappresentazione mentale, la simbolizzazione è, nello stesso tempo, causa ed effetto della comunicazione. Siamo personaggi ed interpreti: interpretati ed interpretanti, dotati di un Io agente ed inconsapevole della propria identità e di un Io impersonale ed agito dal personaggio, dalla maschera.
Il mediatore, imparziale, facilita questo 'inscenamento' ed emerge negli 'attori' la possibilità di ascoltare se stessi e l'altro.
Il processo di mediazione consente all'individuo, al gruppo di prendere coscienza della possibilità di trovare opzioni; in molti casi si può chiudere il sipario del passato ed accedere alla realizzazione di progetti per il futuro.
La mediazione, dunque, consente di effettuare un passaggio dalla staticità, dalla ritualità ossessiva del passato alla progettualità dinamica.

 


Psicologo, Psicanalista, Mediatore, co-responsabile dei corsi Mediators Advanced Education.
Fondatrice e Presidente del CE.RI.UM

Membro del Forum Europeo dei Mediatori Familiari e del World Mediation Forum.

Delegata dallo Steering Commettee del WMF per organizzare, in Italia, il III Congresso Mondiale sulla Mediazione.

 

Index

La mediazione e i processi
di rappresentazione
La mediación y los
procesos de
representación
La mediation et les
processus de
representation

 
 


La mediazione e i processi di rappresentazione

 
 
Lucianina, figlia di Jean Piaget (studioso svizzero dei processi di sviluppo cognitivo), gioca scuotendo una scatolina contenente una collana.
Attraverso una piccola apertura riesce ad estrarre il contenuto e a rimetterlo. Guarda soddisfatta il suo papà osservatore, ignorando che lui sia anche uno scienziato che va oltre l'esperimento. Entra nel 'gioco' della bambina e, con un gesto rapido, chiude l'apertura della scatola, cosi che la collana non possa più venir fuori e attende una reazione.
La bimba tenta di ripetere l'esercizio, ma ogni sforzo è vano; fissa negli occhi il suo papa, poi apre e chiude la sua boccuccia.

Ella non sa ancora parlare, ma sa dire, sa comunicare e, attraverso la gestualità, evidenzia di avere raggiunto una fase di sviluppo in cui il processo di simbolizzazione prende forma: sa ra-presentare i suoi pensieri, li ri-produce, li comunica, la sua mente elabora. Padre e figlia sono protagonisti di una significativa esperienza.
Non si può prescindere dall'analisi di alcuni concetti generali che costituiscono il perno della Mediazione: il concetto di comunicazione ritenuto elemento costitutivo, determinante all'interno sia della tecnica, sia della teoria nei processi di Mediazione. L'area delle ricerche filosofiche privilegia l'analisi dei problemi epistemologici concernenti lo studio della comunicazione umana.

L'area della psicologia generale, sociale e dell'età evolutiva, mette a fuoco le caratteristiche della emissione e ricezione, della formazione sociale, della comunicazione. Spesso appare necessario soffermare l'attenzione sul concetto di metafora e sulla sua funzione all'interno della comunicazione, soprattutto quando il suo fluire irrompe sbaragliando gli argini del controllo razionale.
Metafora: 'phora' per i greci; spostamento di qualcosa nello spazio; 'traslatio' per i latini; maschera che permette l'inscenamento del vissuto, il mostrarsi senza essere visti e il poter vedere senza essere individuati, in uno sfondo dove domina l'oscurità e si cela il 'non conosciuto' e lo scenario che i partners in conflitto propongono in una disputa, in una contesa.

La rappresentazione mentale, la simbolizzazione è, nello stesso tempo, causa ed effetto della comunicazione. <<La nostra vita è un palcoscenico, dominato, nel bene e nel male, nella commedia, farsa o tragedia che sia, da una drammatis personae; il nostro io (il Self) così sarà sempre finché non calerà il sipario>> (C. Sherrington, cit. da Bardi 1981).
Inserendoci nella scena diventiamo personaggi e interpreti: interpretanti ed interpretati, dotati di un Io agente e inconsapevole della propria identità e da un Io impersonale ed agito dal personaggio, dalla maschera. Il Mediatore, neutrale, facilita questo inscenamento ed è così che emerge la possibilità di ascoltare se stessi e l'altro, di prendere coscienza che si possono trovare delle opzioni per poter, dopo aver chiuso il sipario del passato, progettare il futuro.

In una narrazione, il flusso del racconto procede in modo comprensibile tra memoria semantica e memoria episodica. Bowlby (1988) dichiara che <<ogni situazione della nostra vita è interpretata attraverso i modelli rappresentazionali che abbiamo intorno al mondo e di noi stessi>>; quindi tutte le informazioni che raggiungono i nostri sensi vengono selezionate ed interpretate sulla base di questi modelli, i quali non sono solo filtri di esperienza, ma tendono, secondo Ammaniti (1991) a ricreare esperienze congruenti con la propria storia relazionale.

Rappresentare deriva dal latino repraesentare: il prefisso 're' indica il movimento in senso inverso, un ritorno, quindi, ad uno stato precedente, una ripetizione. L'uomo tende a ripetere e, funzione della mediazione, è quella di condurlo al presente per poter progettare un futuro. Praesentare deriva da praesens, 'prae' sostituisce 'ad', in absens (assenza). Una possibile ricostruzione, secondo un'analisi linguistica del termine, rimanda ad un evento che ripropone una posizione precedente, la quale potrebbe anche essere: ri - petizione, ossia un 'richiedere' nuovamente di essere percepiti. La rappresentazione, afferma E. Funari (1984), si configura come il <<prototipo di ogni possibile esperienza psichica, filtro e pellicola, in cui si precipita l'originarsi della significazione…>>. La posizione della rappresentazione si pone, all'attenzione dell'indagine psicologica come phantasma, sogno ad occhi chiusi o aperti. Queste produzioni non sono che possibili tra-vestimenti, metafore, sotto le quali si compie il dis-velamento.

La rappresentazione mentale è, nello stesso tempo, causa ed effetto della comunicazione.
C. Sini (1990) afferma che l'uomo prende le distanze, nel cammino filogenetico, dagli altri suoi simili, quando il mezzo (la parola) diventa strumento di comunicazione. Quando scopre che può usare il segno, il simbolo, conquista le distanze, gli spazi e i tempi.
Il mondo della rappresentazione, per ''presentificare la sua esistenza'', ha bisogno della parola o di un canale di comunicazione che possa sfociare in una situazione di accoglimento. L'espressione che non trova un'eco, una risonanza, muore nel nulla, e, spesso, non si ripete. Entra in gioco la motivazione e il rinforzo. Nasce da qui l'enorme responsabilità di chi è, per sua scelta, preposto a fare da cassa di risonanza.
La metafora si offre come mezzo o è stata 'creata' dall'individuo, per poter metabolizzare quanto deriva dall'esperienza.

Nella metafora si evidenzia la necessità di partire da ciò che è noto per definire quanto sfugge alla diretta osservazione e che, perciò, appare come ignoto. Con la parola, gli stati d'animo prendono colore, si animano e diventano quei personaggi che aprono il sipario e inscenano le profonde esperienze: ci esprimono!
Il teatro non può essere formato da soli attori: se manca la platea, l'auditorium, manca l'oggetto, il riferimento. Senza interlocutore non ci può essere comunicazione.
Sono queste considerazioni sulla meta-comunicazione che motivano l'interesse mio verso la mediazione la cui funzione consiste nell'applicazione di tecniche che agevolano il recupero di processi di comunicazione, ne ascoltano i significati profondi e consentono alle parti in contesa (individui, gruppi, popoli) di gestire i conflitti senza ricorso all'aggressività.
Il 30 luglio 1932 (carteggio in Opere Vol. XI Boringhieri 1979) Einstein scriveva a Freud: <<Caro signor Freud, la proposta, fattami dalla Società della Nazioni e dal suo Istituto Internazionale di cooperazione intellettuale di Parigi, di invitare una persona di mio gradimento ad un franco scambio di opinioni su di un problema qualsiasi da me scelto, mi offre la gradita occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà.
La domanda è: c'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?… Com'è possibile che la massa si lasci infiammare con i mezzi suddetti fino al furore e all'olocausto di sé? Una sola risposta si impone: l'uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere…>>.

Tre anni prima Freud, nel chiudere il saggio Il disagio della civiltà (Opere Vol. IX Boringhieri 1967) scriveva che il problema fondamentale del destino della specie umana consiste nell'intuire fino a che punto l'evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e autodistruttiva degli uomini.
Il problema pone una questione centrale: <<è possibile guidare l'evoluzione dell'uomo fino al superamento dell'aggressività distruttiva?>>

Lo sviluppo delle scienze umane, le ricerche etologiche ci chiariscono che i comportamenti non sono dimensioni immodificabili perciò la domanda posta da Einstein può trovare risposta nell'ambito di un contesto umano, ricorrendo all'antagonista della distruttività.
Se tutto ciò può accadere, ci resta ancora un dubbio: chi e in quale modo, potrà aiutare l'uomo a gestire il conflitto?

''La mediazione generalmente intesa - quale alternativa alla procedura giudiziaria tradizionale - non costituisce una recente invenzione. Lo schema 'recitato dagli attori' ricalca un copione vecchio di secoli e, a parte alcuni dettagli, è un riadattamento in chiave contemporanea di quanto venne già collaudato presso altri popoli, in altre epoche storiche'' (Gulotta e Santi 1988).

Nel V secolo a. C. in Cina, predisposti dal sistema filosofico che considerava l'universo in armonico equilibrio e considerava qualsiasi contrapposizione di forze come evento destabilizzante, si ricorreva alla Mediazione per risolvere situazioni conflittuali e ristabilire l'originario equilibrio.
Anche in diverse tribù dell'Africa centrale, così come in alcuni villaggi giapponesi, vigeva l'usanza di riunire in assemblea gli anziani e di metterli al corrente delle eventuali diatribe all'interno della comunità''.

''Al di là di specifiche variazioni etiche e culturali, lo schema che regge il sistema di regole nelle varie tradizioni sociali, appare sempre il medesimo:
a) costantemente centrato al raggiungimento di una soluzione conciliativa;
b) strutturato in modo che le parti possano disporre liberamente delle loro controversie;
c) senza essere giudicati;
d) senza l'impiego di provvedimenti sanzionatori''.
In Italia ci è stato un modello di mediazione per le dispute che si manifestavano nel mondo del lavoro. In un primo momento tra dipendenti e imprenditori, più tardi tra organizzazioni sindacali e organizzazioni imprenditoriali.

Negli anni '70 C. J. Coogler, J. M. Haynes ed altri diedero vita negli Stati Uniti ad un movimento verso la risoluzione dei conflitti familiari, ma già nel 1913 esisteva la mediazione nelle vertenze di lavoro; nel 1975 nasce la mediazione familiare il cui scopo consiste nell'assistere 'le parti' affinché pervengano ad una soluzione dei problemi e strutturino un accordo che risulti di reciproco interesse che possa essere rispettato nel futuro.

Gulotta e Santi (op. cit.) rilevano il motivo per cui la pratica di mediazione si distingue da altri tipi di intervento, come la psicoterapia o la consulenza psicologica e legale, in quanto il suo scopo consiste 'nell'assistere le parti affinché pervengano ad una soluzione dei problemi direttamente uniti alla disgregazione coniugale e strutturino una sistemazione che risulti di reciproco interesse'.

Questi studiosi, anch'essi pionieri in Italia e in Europa, nell'intuire la validità e l'efficacia della mediazione, definiscono il mediatore familiare 'elemento catalizzatore' nella soluzione delle dispute, in quanto la sua funzione riesce a far variare la velocità delle reazioni.
Essi percepiscono che, con la pratica della mediazione, si stimola un processo che è, a mio avviso, quello della simbolizzazione o rappresentazione mentale che blocca nell'individuo il passaggio all'atto, consente la riflessione e l'elaborazione, riducendo la rigidità e la 'coazione a ripetere' e permettendo la presa di coscienza dello 'stato presente' e la progettazione del futuro che si sostanzia, spesso, in un impegno reciproco, in un contratto. Questa caratteristica, essi affermano, differenzia i mediatori dai giudici o da eventuali arbitri chiamati a comporre la vertenza in quanto non viene rivestito né di potere né di autorità vincolanti.

Nel mediatore familiare il problema della 'direttiva' è più complesso e delicato giacché esso è garante dell'equità nell'accordo e, generalmente valuta, la gestione dell'educazione della prole e l'affido di essa.
Il differente grado di 'intromissione' nelle decisioni dell'accordo negoziale danno luogo a due immagini contrapposte di mediatore a cui fanno capo diverse correnti di pensiero.
''Coogler (1978) ed Haynes (1981) ritengono che l'esperto dovrebbe assumere attivamente l'iniziativa al fine di equilibrare il potere tra le parti, aiutandole a definire i termini delle scelte sostanziali. Saposnek (1983) sostiene che un buon mediatore familiare dovrebbe salvaguardare e difendere i legittimi diritti dei membri deboli (per es. i minori) e, pertanto, dovrebbe intervenire per modificare accordi negoziali che violino tali interessi (Gulotta e Santi, op. cit.).

Viene inoltre sottolineata, da questi autori, una notevole diversità nel grado di esercizio della direttività. Sia i mediatori di lavoro, sia i mediatori familiari si differenziano tra loro in relazione allo 'stile', all'approccio e alle tecniche adottate anche se tutti sono d'accordo nel definire la propria professione: "assistenza alle parti in disputa, affinché esse pervengano, in tempi brevi e con reciproco interesse, alla stipula di un contratto d'accordo''.
Dal mio punto di vista, non è soltanto una differenziazione tra mediazione familiare o altri tipi di mediazione e neppure la differenza di stile di mediazione, né l'assistenza alle parti in disputa o il grado di 'esercizio della direttività' a caratterizzare i processi di mediazione, ma è la 'praesentiam' imparziale del mediatore che funge da 'raccordo' nella comunicazione, che facilita la stipula di un contratto d'accordo.

L'obiezione che si pone è 'chiunque può mediare'.
Non è necessario riflettere sulla formazione dei mediatori.
Così come tutti gli eventi naturali, umani, sociali possono accadere spontaneamente o possono essere provocati, anche nei rapporti conflittuali tra individui, tra gruppi, tra popoli, chiunque può fungere da raccordo per ristrutturare la comunicazione. 'E innegabile che tutto ciò accada, così come accade che ognuno di noi sia potenzialmente un educatore, un avvocato, un medico, un manager; ma chi di noi è disponibile ad affidarsi all'opera del caso? Si pone, nell'economia dell'esistenza, l'esigenza di ricorrere ad attività intenzionali che, perciò, si caratterizzano come professioni con una loro specificità, una loro etica ed una loro deontologia.

Il futuro della mediazione dovrà poter contare non solo sulla pratica, ma su una cornice teorica di riferimento, su una elaborazione deontologica della professione.
Analizzando le leggi che regolano la natura, osserviamo che tutto ciò che accade, in termini di vita, è comunicazione.
La cellula, unità minima della materia vivente, assorbe sostanze, si nutre, si riproduce, in uno scambio continuo infra ed inter cellulare. Gli scienziati la considerano struttura specializzata che svolge le funzioni della vita in modo coordinato.
La membrana cellulare è, anch'essa, una struttura sensibile, che non isola completamente la cellula: canali efficienti permettono all'acqua e ad altre molecole di attraversarla con facilità. Al suo interno, l'architettura cellulare, comprende 'strutture sofisticate' che svolgono attività e funzioni particolari, all'insegna dello scambio continuo.
Le cellule viventi e le loro parti devono, dunque, essere parzialmente isolate dal loro ambiente, ma devono essere in grado (per vivere) di scambiare materiali e ricevere informazioni, diversamente la cellula muore.

Mi rendo conto, restando dentro l'involucro della metafora, di voler continuare così il mio dis-correre.
Le forme e i fenomeni della mente umana e della vita in generale, possono essere capiti nei termini di un insieme di 'principi organizzativi'.
Tra questi, il più importante, è la 'nozione dell'interdipendenza di tutte le forme di vita' (D. Kriss 1982).
Da un'analisi sommaria, la mediazione si pone come assistenza alle parti, come professione che agevola l'apprendimento, attraverso il mediatore, nella gestione positiva dei conflitti.
Approfondendo l'analisi del processo, sia dal punto di vista biologico, sia dal punto di vista psicologico e, se vogliamo anche sociologico, dobbiamo ammettere che il mediatore si pone come 'raccordo', 'veicolo' tra parti contendenti, estremamente 'mobili' (aggressive), o estremamente 'rigide' (bloccate). La sua presenza e la sua posizione, intenzionalmente imparziale, ri-struttura la 'possibilità di ascolto reciproco', re-instaura la comunicazione e ri-attiva il processo di simbolizzazione.

Il successo della mediazione non consiste tanto nel raggiungimento di un accordo in tempi brevi, quanto nell'instaurare la possibilità di ascolto e di ristrutturazione della comunicazione tra le parti senza determinarne a priori il tempo.
I meccanismi che generano l'aggressività, la rabbia, la vendetta per un torto subito (per una mancanza) vengono destabilizzati e recuperato lo spazio mentale dove il LAD ('Language Acquisition Device') si connette con il LASS ('Language Acquisition Support System') facilitando l'uso del linguaggio verbale (Bruner 1980).
La parola, il 'verbo', è appannaggio dell'uomo; è, dunque, una sua dote privilegiata, frutto, e probabilmente, risultato di un processo evolutivo che stacca decisamente l'uomo dagli altri esseri viventi, come afferma C. Sini ( op. cit.).

Il mancato uso del 'verbo' intenzionale, genera l'occupazione o il blocco dello spazio mentale da parte dei 'fantasmi', blocca quel meraviglioso processo di simbolizzazione, di rappresentazione e conduce, inesorabilmente, a fare perno sulla distruttività.
Lucianina non ha distrutto la scatola ma, essendo in grado di mettere in atto un processo di elaborazione, di simbolizzazione, si rivolge al suo interlocutore.
Il 'passaggio all'atto', che tanto caratterizza l'uomo in preda alla rabbia, alla guerra, all'aggressività e che diventa fenomeno frequente soprattutto nelle fasi in cui l'individuo è ancora immaturo, si ripropone e diventa incontrollabile quando la comunicazione verbale si spezza, quando il silenzio invade lo spazio della mente e ne oscura ogni riflesso di luce.
L'uomo moderno dimostra una forte propensione verso la messa in atto dei processi di mediazione. Questa mia affermazione nasce dall'esperienza vissuta anche in questi due anni di intenso lavoro come delegata dal Comitato Direttivo del WMF per l'organizzazione del III Congresso mondiale. Quando l'informazione ci scuote con messaggi di eventi drammatici, MEDIAZIONE (!) è la parola che risuona nei momenti di tensione tra individui, tra gruppi, tra popoli.

Dando uno sguardo al mondo di oggi, soprattutto ai giovani che sono la speranza del futuro, si riscontra quanto incessante sia il bisogno di voler ad ogni costo comunicare; ne sono un esempio tangibile l'uso delle nuove tecniche, dei mezzi di comunicazione sempre più sofisticati; ne sono un palese bisogno il fiorire di Organizzazioni, Associazioni, Movimenti di solidarietà, di promozione, di scambio; ne è un grande esempio la diffusione della cultura della mediazione nel mondo e il proliferare di leggi, di decreti, di istanze che i governi dei vari paesi stanno mettendo in atto, ne è un esempio l'arte, la musica, lo sport.
Ne siamo un esempio noi stessi, in quanto mediatori, professionisti, che impiegano le loro risorse, mettono in atto le proprie abilità e competenze di mediatori, per promuovere e divulgare questo processo.

Quale sarà il futuro della mediazione?
Pare di poter cogliere che incombe sulla società attuale una grande responsabilità.
Processi di comunicazione, di globalizzazione, da un lato ci stimolano, dall'altro ci preoccupano.
L'uomo è un viandante, con un equipaggiamento suo che, però, deve integrare con le risorse degli altri, dell'ambiente, inteso nel senso più alto del termine e così, come gli antichi oniromanti tentavano di capire dalla interpretazione dei sogni e i naviganti dalla lettura delle stelle, i disegni dell'esistenza e dell'esistente, noi dovremmo tentare, attraverso l'ascolto di ogni voce che vibra nell'infinito, di cogliere il significato che, a mio modo di vedere, consiste in un ANELITO DI PACE.

Savina Pinna
Presidente CE.RI.UM.
Delegata per l'organizzazione del III Congresso WMF


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mediación y los procesos de representación

 
 


Lucianina, hija de Jean Piaget (estudioso suizo de los procesos de desarrollo cognitivo), juega sacudiendo una cajita con un collar dentro.
A través de una pequeña abertura consigue extraer el contenido y volver a meterlo. Mira satisfecha al padre que la observa, ignorando que él es además un científico que va más allá del experimento. Entra en el 'juego' de la niña y, con un gesto rápido, cierra la abertura de la caja, de modo que el collar no pueda volver a salir, y espera una reacción.
La niña intenta repetir el ejercicio, pero sus esfuerzos son vanos; mira fijamente a los ojos a su papá, y luego abre y cierra la boquita.

Ella no sabe hablar todavía, pero sabe decir, sabe comunicar, y, a través de los gestos, demuestra haber alcanzado una fase de desarrollo en la que el proceso de simbolización toma forma: sabe re-presentar sus pensamientos, los re-produce, los comunica, su mente crea. Padre e hija son protagonistas de una experiencia significativa.
No se puede prescindir del análisis de algunos conceptos generales que constituyen el eje de la Mediación: el concepto de comunicación, considerado elemento constitutivo, determinante tanto en la técnica como en la teoría en los procesos de mediación. El área de las investigaciones filosóficas privilegia el análisis de los problemas epistemológicos relativos al estudio de la comunicación humana.

El área de la psicología general, social y evolutiva examina las características de la emisión y la recepción, de la formación social, de la comunicación. A menudo resulta necesario fijar la atención en el concepto de metáfora y en su función dentro de la comunicación, sobre todo cuando irrumpe en su fluir, desbaratando los diques del control racional.
Metáfora: 'phora' para los griegos; desplazamiento de algo en el espacio; 'traslatio' para los latinos; máscara que permite la escenificación de lo vivido, mostrarse sin ser visto y poder ver sin ser identificado, en un fondo donde domina la oscuridad y se cela lo 'no conocido', y escenario que las partes en conflicto presentan en una disputa, en una contienda.

La representación mental, la simbolización es, al mismo tiempo, causa y efecto de la comunicación. <<Nuestra vida es un escenario, dominado, para bien y para mal, sea en la comedia como en la farsa o la tragedia, por una drammatis personae; nuestro yo (el Self), así será para siempre, hasta que caiga el telón>> (C. Sherrington, cit. por Bardi, 1981).
Entrando en escena, nos convertimos en personajes e intérpretes: interpretantes e interpretados, dotados de un Yo actuante e ignorante de la propia identidad y de un Yo impersonal y actuado por el personaje, por el disfraz. El Mediador, neutral, facilita esta puesta en escena, y así es como emerge la posibilidad de escucharse a sí mismo y al otro, de tomar conciencia de que se pueden encontrar opciones para poder, después de haber bajado el telón del pasado, proyectar el futuro.

En una narración, el flujo expositivo progresa en forma comprensible entre la memoria semántica y la memoria episódica. Bowlby (1988) declara que <<cada situación de nuestra vida es interpretada a través de los modelos de representación que tenemos acerca del mundo y de nosotros mismos>>; por tanto, todas las informaciones que alcanzan nuestros sentidos se seleccionan e interpretan sobre la base de estos modelos, que no son sólo filtros de experiencia, sino que tienden, según Ammaniti (1991) a recrear experiencias congruentes con la propia historia relacional.

Representar deriva del latín repraesentare: el prefijo 're' indica el movimiento en sentido inverso, una vuelta, pues, a un estado precedente, una repetición. El hombre tiende a repetir, y función de la mediación es conducirlo al presente para poder proyectar un futuro. Praesentare deriva de praesens, 'prae' sustituye a 'ad', en absens (ausencia). Una posible reconstrucción, según un análisis lingüístico del término, remite a un evento que vuelve a proponer una posición precedente, la cual podría también ser re-petición, o sea un 'volver a pedir' ser percibidos. La representación, afirma E. Funari (1984), se configura como el <<prototipo de toda posible experiencia psíquica, filtro y película en que se precipita el originarse de la significación...>>. El lugar de la representación se muestra a la atención de la investigación psicológica como phantasma, sueño con los ojos cerrados o abiertos. Estas producciones no son sino posibles tra-vesticiones, metáforas, bajo las que se cumple la des-velación.

La representación mental es, al mismo tiempo, causa y efecto de la comunicación.
C. Sini (1990) afirma que el hombre se aleja, en el camino filogenético, de sus semejantes, cuando el medio (la palabra) se convierte en instrumento de comunicación. Cuando descubre que puede usar el signo, el símbolo, conquista las distancias, los espacios y los tiempos.
El mundo de la representación, para "presentar su existencia", necesita de la palabra o de un canal de comunicación que pueda desembocar en una situación de acogida. La expresión que no encuentra un eco, una resonancia, muere en la nada, y, a menudo, no se repite. Entran en juego la motivación y el refuerzo. De aquí nace la enorme responsabilidad de quien está, por elección propia, destinado a servir de caja de resonancia.

La metáfora se ofrece como medio o ha sido 'creada' por el individuo, para poder metabolizar cuanto deriva de la experiencia.
En la metáfora se evidencia la necesidad de partir de lo conocido para definir todo cuanto escapa a la observación directa y que, por ello, aparece como desconocido. Con la palabra, los estados de ánimo toman color, se animan y se convierten en esos personajes que suben el telón y escenifican las experiencias profundas: ¡nos expresan!
El teatro no puede estar formado sólo por actores: si falta la platea, el auditorio, falta el objeto, la referencia. Sin interlocutor no puede haber comunicación.
Son estas consideraciones sobre la meta-comunicación las que motivan mi interés por la mediación, cuya función consiste en la aplicación de técnicas que facilitan la recuperación de procesos comunicativos, detectan sus significados profundos y permiten a las partes en discordia (individuos, grupos, pueblos) tratar los conflictos sin recurrir a la agresividad.
El 30 de julio de 1932 (correspondencia en Obras, vol. XI, Boringhieri, 1979) Einstein escribía a Freud: <<Querido señor Freud, la propuesta que me ha formulado la Sociedad de Naciones y su Instituto Internacional de cooperación intelectual de París, de invitar a una persona de mi agrado a un intercambio franco de opiniones sobre un problema cualquiera elegido por mí, me brinda la ocasión de dialogar con usted acerca de una cuestión que aparece, en la presente condición del mundo, como la más urgente entre todas las que se plantean a la civilización.

La cuestión es: ¿hay un modo para liberar a los hombres de la fatalidad de la guerra?... ¿Cómo es posible que las masas se dejen enardecer con los medios citados hasta el furor y el propio holocausto? Una sola respuesta se impone: el hombre tiene dentro de sí el placer de odiar y de destruir...>>.
Tres años antes Freud, concluyendo el ensayo El malestar en la cultura (Obras, vol. IX, Boringhieri, 1967) escribía que el problema fundamental del destino de la especie humana consiste en intuir hasta qué punto la evolución de la civilización conseguirá dominar las perturbaciones de la vida colectiva provocadas por el impulso agresivo y autodestructivo de los hombres.

El problema plantea una cuestión central: <<¿es posible guiar la evolución del hombre hasta la superación de la agresividad destructiva?>>
El desarrollo de las ciencias humanas, las investigaciones etológicas nos aclaran que los comportamientos no son dimensiones inmodificables, y por ello la pregunta planteada por Einstein puede encontrar respuesta en el ámbito de un contexto humano, recurriendo al antagonista de la destructividad.
Si todo esto puede suceder, queda aún una duda: ¿quién y de qué modo podrá ayudar al hombre a encauzar el conflicto?
"La mediación generalmente entendida -como alternativa al procedimiento judiciario tradicional- no constituye una invención reciente. El esquema 'interpretado por los actores' copia un guión de secular antigüedad, y, aparte de algunos detalles, es una readaptación en clave contemporánea de cuanto fue ya probado por otros pueblos, en otras épocas históricas" (Gulotta y Santi, 1988).

En el siglo V a. C., en China, con la predisposición dada por un sistema filosófico que consideraba el universo en equilibrio armónico, y juzgaba cualquier contraposición de fuerzas como evento desestabilizador, se recurría a la Mediación para resolver situaciones de conflicto y restablecer el equilibrio originario.
También en algunas tribus del África central, así como en algunas aldeas japonesas, obraba la usanza de reunir en asamblea a los ancianos y ponerlos al corriente de las eventuales diatribas internas de la comunidad".

"Más allá de específicas variaciones éticas y culturales, el esquema que rige el sistema de reglas en las diversas tradiciones sociales parece siempre el mismo:
a) constantemente centrado en alcanzar una solución conciliadora;
b) estructurado de modo que las partes puedan disponer libremente de sus controversias;
c) sin ser juzgados;
d) sin el empleo de medidas sancionadoras".
En Italia ha habido un modelo de mediación para las disputas que se manifestaban en el mundo del trabajo. En un primer momento entre asalariados y empresarios, más tarde entre organizaciones sindicales y organizaciones patronales.
En los años 70 C. J. Coogler, J. M. Haynes y otros dieron vida en Estados Unidos a un movimiento por la resolución de los conflictos familiares, pero ya en 1913 existía la mediación en las disensiones laborales; en 1975 nace la mediación familiar, cuya finalidad consiste en asistir a 'las partes' para que logren una solución de los problemas y estructuren un acuerdo que resulte de recíproco interés y que pueda ser respetado en el futuro.

Gulotta y Santi (op. cit.) advierten el motivo por el que la práctica de la mediación se distingue de otros tipos de intervención, como la psicoterapia o la consultoría psicológica y legal, por cuanto su fin consiste 'en asistir a las partes para que alcancen una solución de los problemas ligados directamente a la disgregación conyugal y estructuren un arreglo que resulte de recíproco interés'.

Estos estudiosos, pioneros también en Italia y Europa, intuyendo la validez y la eficacia de la mediación, definen al mediador familiar como 'elemento catalizador' en la solución de las disputas, porque su función cosigue hacer que varíe la velocidad de las reacciones.
Ellos perciben que, con la práctica de la mediación, se estimula un proceso que es, a mi entender, el de la simbolización o representación mental que bloquea en el individuo el paso al acto, consiente la reflexión y la elaboración, reduciendo la rigidez y la 'coacción a repetir' y permitiendo la toma de conciencia del 'estado presente' y la planificación del futuro que se sustancia, con frecuencia, en un compromiso recíproco, en un contrato. Esta característica, afirman ellos, diferencia a los mediadores de los jueces o de eventuales árbitros llamados a resolver la controversia, por cuanto no están revestidos ni de poder ni de autoridad vinculantes.

En el mediador familiar el problema de la 'directiva' es muy complejo y delicado, ya que aquél es garante de la equidad del acuerdo y, generalmente, valora la gestión de la educación de la prole y a quién se confía.
El grado diferente de 'intromisión' en las decisiones del acuerdo negociado da lugar a dos imágenes contrapuestas de mediador en las que se reconocen distintas corrientes de pensamiento.

"Coogler (1978) y Haynes (1981) consideran que el experto debería asumir activamente la iniciativa con el fin de equilibrar el poder entre las partes, ayudándolas a definir los términos de las decisiones sustanciales. Saposnek (1983) sostiene que un buen mediador familiar debería salvaguardar y defender los derechos legítimos de los miembros débiles (p. e., los menores) y, por tanto, debería intervenir para modificar acuerdos negociados que violaran tales intereses (Gulotta y Santi, op. cit.).
Subrayan además estos autores una notable diversidad en el grado de ejercicio de la directividad. Tanto los mediadores laborales como los mediadores familiares se diferencian entre sí en relación con el 'estilo', el enfoque y las técnicas adoptadas, aunque todos están de acuerdo en definir la propia profesión: "asistencia a las partes en litigio, para que alcancen, en breve tiempo y con recíproco interés, la estipulación de un contrato de acuerdo".

Desde mi punto de vista, no es solamente una diferenciación entre la mediación familiar y otros tipos de mediación, y ni siquiera la diferencia de estilo de mediación, ni la asistencia a las partes en disputa o el grado de 'ejercicio de la directividad', lo que caracteriza los procesos de mediación, sino la 'praesentiam' imparcial del mediador que actúa como 'enlace' en la comunicación, que facilita la firma de un contrato de acuerdo.
La objeción que puede hacerse es que 'cualquiera puede mediar'.
No es necesario reflexionar sobre la formación de los mediadores.

Así como todos los eventos naturales, humanos, sociales, pueden ocurrir espontáneamente o pueden ser provocados, también en las relaciones conflictivas entre individuos, entre grupos, entre pueblos, cualquiera puede servir de vínculo para reestructurar la comunicación. 'Es innegable que todo esto sucede, así como sucede que cada uno de nosotros es potencialmente un educador, un abogado, un médico, un ejecutivo; ¿pero quién de nosotros está dispuesto a ponerse en manos de la casualidad? Se presenta, en la economía de la existencia, la exigencia de recurrir a actividades intencionales que, por ello, se caracterizan como profesiones con su especificidad, su ética y su deontología.

El futuro de la mediación deberá poder contar no sólo con la práctica, sino también con un marco teórico de referencia, con una elaboración deontológica de la profesión.
Analizando las leyes que reglan la naturaleza, observamos que todo lo que sucede, en términos de vida, es comunicación.
La célula, unidad mínima de la materia viviente, absorbe sustancias, se nutre, se reproduce, en un intercambio continuo infra e inter celular. Los científicos la consideran una estructura especializada que cumple las funciones de la vida en modo coordinado.
La membrana celular es, también ella, una estructura sensible, que no aísla completamente a la célula: eficientes canales permiten al agua y a otras moléculas atravesarla con facilidad. En su interior, la arquitectura celular comprende 'estructuras sofisticadas' que desarrollan actividades y funciones particulares, en nombre del intercambio continuo.
Las células vivas y sus partes deben, por tanto, estar parcialmente aisladas de su ambiente, pero deben estar en condiciones (para vivir) de intercambiar materiales y recibir informaciones; de otro modo, la célula muere.
Me doy cuenta, permaneciendo dentro de la metáfora, de que quiero continuar así mi discurrir.

Las formas y los fenómenos de la mente humana y de la vida en general pueden entenderse en términos de un conjunto de 'principios organizativos'.
De ellos, el más importante es la 'noción de la interdependencia de todas las formas de vida' (D. Kriss, 1982).
A partir de un análisis sumario, la mediación se presenta como asistencia a las partes, como profesión que facilita el aprendizaje, a través del mediador, en la gestión positiva de los conflictos.

Profundizando en el análisis del proceso, tanto desde el punto de vista biológico, como desde el punto de vista psicológico y, si se quiere, también sociológico, debemos admitir que el mediador se coloca como 'unión', 'vehículo' entre partes contendientes, extremadamente 'móviles' (agresivas), o extremadamente 'rígidas' (bloqueadas). Su presencia y su posición, intencionadamente imparcial, re-estructura la 'posibilidad de escucha recíproca', re-instaura la comunicación y re-activa el proceso de simbolización.
El éxito de la mediación no consiste tanto en el logro de un acuerdo en breve tiempo, cuanto en el instaurar la posibilidad de escuchar y de reestructuración de la comunicación entre las partes, sin determinar el tiempo a priori.

Los mecanismos que generan la agresividad, la rabia, la venganza por una ofensa sufrida (por una falta) se desestabilizan, y se recupera el espacio mental en el que el LAD ('Language Acquisition Device') se conecta con el LASS ('Language Acquisition Support System') facilitando el uso del lenguaje verbal (Bruner, 1980).
La palabra, el 'verbo', es prerrogativa del hombre; es, pues, una dote suya privilegiada, fruto, y probablemente resultado, de un proceso evolutivo que separa decididamente al hombre de los demás seres vivos, como afirma C. Sini (op. cit.).
La omisión de uso del 'verbo' intencional genera la ocupación o el bloqueo del espacio mental por parte de los 'fantasmas', bloquea ese maravilloso proceso de simbolización, de representación, y conduce, inexorablemente, a obrar desde la destructividad.
Lucianina no ha destruido la caja, sino que, estando en condiciones de llevar a cabo un proceso de elaboración, de simbolización, se dirige a su interlocutor.

El 'paso al acto', que tanto caracteriza al hombre presa de la rabia, de la guerra, de la agresividad, y que se convierte en fenómeno frecuente sobre todo en las fases en las que el individuo es aún inmaduro, reaparece y se vuelve incontrolable cuando la comunicación verbal se quiebra, cuando el silencio invade el espacio de la mente y oscurece en él cualquier reflejo luminoso.
El hombre moderno demuestra una fuerte propensión hacia la práctica de los procesos de mediación. Esta afirmación mía nace entre otros motivos de la experiencia vivida en estos dos años de intenso trabajo como delegada del Comité Directivo del WMF para la organización del III Congreso mundial. Cuando la información nos estremece con mensajes de eventos dramáticos, MEDIACIÓN (!) es la palabra que resuena en los momentos de tensión entre individuos, entre grupos, entre pueblos.

Lanzando una mirada al mundo de hoy, sobre todo a los jóvenes, que son la esperanza del futuro, se comprueba lo incesante que es la necesidad de comunicarse a cualquier coste; un ejemplo tangible es el uso de las nuevas tecnologías, de los medios de comunicación cada vez más sofisticados; una necesidad evidente es el florecimiento de organizaciones, asociaciones, movimientos de solidaridad, de promoción, de intercambio; y es también un gran ejemplo de ello la difusión de la cultura de la mediación en el mundo y el proliferar de leyes, decretos, demandas que los gobiernos de numerosos países están elaborando; es un ejemplo el arte, la música, el deporte.

Somos un ejemplo nosotros mismos, en cuanto mediadores, profesionales, que emplean sus recursos, ejercitan sus propias habilidades y competencias como mediadores, para promover y divulgar este proceso.
¿Cuál será el futuro de la mediación?
Parece que puede inferirse que sobre la sociedad actual recae una gran responsabilidad.
Procesos de comunicación, de globalización, por un lado nos estimulan, por otro nos preocupan.

El hombre es un viandante, con un equipamiento propio que, sin embargo, debe integrar con los recursos de los demás, del ambiente, entendido en el sentido más alto del término, y así como los antiguos onirománticos trataban de comprender a través de la interpretación de los sueños, y los navegantes por la lectura de las estrellas, los designios de la existencia y de lo existente, nosotros deberíamos intentar, a través de la escucha de cada voz que vibra en el infinito, percibir el significado que, a mi modo de ver, consiste en un ANHELO DE PAZ


Savina Pinna
Presidente del CE.RI.UM.
Delegada para la organización del III Congreso WMF

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA MEDIATION ET LES PROCESSUS
DE REPRESENTATION

 
 
Lucianina, la fille de Jean Piaget (savant suisse qui a étudié les processus de développement cognitif), agite, par jeu, une boîte contenant un collier.
A travers une petite ouverture, elle réussit à en extraire le contenu et à le remettre. Elle regarde avec satisfaction son papa observateur, ignorant que c'est aussi un savant et qu'il dépasse l'expérience. Il rentre dans le 'jeu' de la petite fille et, d'un geste rapide, il referme la boîte, de manière à ce que le collier ne puisse plus sortir et il attend une réaction.
L'enfant essaie de répéter l'expérience, mais tous ses efforts sont vains ; elle fixe son papa dans les yeux, puis elle ouvre et ferme sa petite bouche.

Elle ne sait pas encore parler, mais elle sait dire, elle sait communiquer et, à travers la gestuelle, elle montre qu'elle a atteint une phase de développement dans laquelle le processus de symbolisation prend forme : elle sait re-présenter ses pensées, elle les re-produit, elle les communique, son esprit élabore. Père et fille sont protagonistes d'une expérience significative.

On ne peut pas ne pas tenir compte de l'analyse de certains concepts généraux qui constituent le pivot de la Médiation : le concept de communication retenu comme élément constitutif déterminant à l'intérieur tant de la technique que de la théorie dans les processus de Médiation. Le domaine de la recherche philosophique privilégie l'analyse des problèmes épistémologiques concernant l'étude de la communication humaine.
Le domaine de la psychologie générale, sociale et de l'âge évolutif met au point les caractéristiques de l'émission et de la réception, de la formation sociale, de la communication. Il apparaît souvent nécessaire de s'arrêter sur le concept de métaphore et sur sa fonction dans la communication, surtout quand elle déferle en abattant les barrières du contrôle rationnel.

Métaphore : 'phora' pour les Grecs ; déplacement de quelque chose dans l'espace ; 'traslatio' pour les Latins ; masque qui permet de mettre en scène le vécu, de montrer sans être vu et de pouvoir voir sans être reconnu, dans un arrière-plan où domine l'obscurité et où se cache le 'non connu' et le scénario que les partenaires en conflit proposent lors d'une dispute, d'une querelle.

La représentation mentale, la symbolisation est, en même temps, cause et effet de la communication. " Notre vie est une scène, dominée, dans le bien et dans le mal, que ce soit dans la comédie, dans la farce ou dans la tragédie, par une dramatis personae ; notre moi (le Self) sera ainsi tant que le rideau ne tombera pas " (C. Sherrington, cité par Bardi 1981)

En nous insérant dans la scène, nous devenons personnages et interprètes : interprétants et interprétés, doués d'un Moi agent et ignorant sa propre identité et d'un Moi impersonnel et animé par le personnage, par le Masque. Le Médiateur, neutre, facilite cette mise en scène et c'est ainsi qu'apparaît la possibilité d'écouter soi-même et l'autre, de prendre conscience que l'on peut trouver des options pour pouvoir, après avoir tiré le rideau du passé, projeter le futur.

Dans une narration, le flux du récit procède de manière compréhensible entre mémoire sémantique et mémoire épisodique. Bowlby (1988) déclare que " chaque situation de notre vie est interprétée à travers les modèles de représentation que nous avons du monde et de nous-mêmes " ; donc, toutes les informations qui atteignent nos sens sont sélectionnées et interprétées sur la base de ces modèles, qui ne sont pas seulement des filtres de l'expérience, mais tendent, selon Ammaniti (1991) à recréer des expériences en rapport avec notre propre histoire relationnelle.

Représenter vient du latin repraesentare : le préfixe 're' indique le mouvement en sens inverse, un retour, donc, à un stade précédent, une répétition. L'homme tend à répéter et la fonction de la médiation est de le reconduire au présent pour pouvoir projeter le futur. Praesentare vient de praesens, 'prae' remplace 'ad', dans absens (absence). Une reconstruction possible, selon une analyse linguistique du terme, renvoie à un événement qui propose à nouveau une position précédente, qui pourrait être : ré-pétition, c'est-à-dire 'demander' de nouveau à être perçus. La représentation, affirme E. Funari ( 1984), se présente comme le " prototype de toute expérience psychique possible, filtre et pellicule, où se précipite la naissance de la signification… ". La position de la représentation s'impose à l'attention de l'enquête psychologique comme un phantasme, rêve avec les yeux fermés ou ouverts. Ces productions ne sont que des tra-vestissements possibles, métaphores, sous lesquelles s'accomplit le dé-voilement.

La représentation mentale est, en même temps, cause et effet de la communication.
C. Sini (1990) affirme que l'homme prend ses distances, dans le chemin phylogénique, de ses semblables, quand le moyen (la parole) devient instrument de communication. Quand il découvre qu'il peut utiliser le signe, le symbole, il conquiert les distances, les espaces et les temps.

Le monde de la représentation, pour 'présentifier son existence' a besoin de la parole ou d'un canal de communication qui puisse déboucher dans une situation d'acceptation. L'expression qui ne trouve pas d'écho, de résonance, meurt dans le néant, et, souvent, ne se répète pas. La motivation et le renforcement entrent en jeu. De là naît l'énorme responsabilité de celui qui a, par son choix, la tâche de faire fonction de caisse de résonance.

La métaphore se présente comme un moyen ou elle a été 'créée' par l'individu pour pouvoir métaboliser ce qui dérive de l'expérience.
Dans la métaphore, on met en évidence la nécessité de partir de ce qui est connu pour définir ce qui échappe à l'observation directe et qui apparaît donc comme inconnu. Avec la parole, les états d'âme se colorent, s'animent et deviennent ces personnages qui ouvrent le rideau et mettent en scène les expériences profondes : ils nous expriment.
Le théâtre ne peut être formé par les seuls acteurs : s'il manque le public, l'auditoire, alors il manque l'objet, la référence.

Ce sont ces considérations sur la méta-communication qui motivent mon intérêt pour la médiation dont la fonction consiste en l'application de techniques qui facilitent la reprise des processus de communication, qui en écoutent les significations profondes et qui permettent aux parties en présence (individus, groupes, peuples) de gérer les conflits sans recourir à l'agressivité.

Le 30 juillet 1932 (correspondance dans Œuvres Vol.XI Boringhieri 1979), Einstein écrivait à Freud : " Cher monsieur Freud, la proposition, qui m'a été faite par la Société des Nations et par l'Institut International de coopération intellectuelle de Paris, d'inviter une personne de mon choix à un échange d'opinion franc sur un problème quelconque que je choisirais, me donne l'occasion agréable de dialoguer avec vous sur la question qui semble, dans la condition actuelle du monde, la plus urgente parmi celles qui se proposent à la civilisation.

La question est : y a-t-il une manière pour libérer les hommes de la fatalité de la guerre ?… Comment est-il possible que la masse se laisse enflammer par les moyens dont on a parlé jusqu'à la fureur et son l'holocauste? Une seule réponse s'impose : l'homme porte en lui le plaisir de haïr et de détruire… "

Trois ans auparavant Freud, en concluant son essai Le malaise de la civilisation (Œuvres Vol.IX Boringhieri 1967) écrivait que le problème fondamental du destin de l'espèce humaine consiste dans le fait de prévoir jusqu'à quel point l'évolution civile réussira à maîtriser les troubles de la vie collective provoqués par la pulsion agressive et autodestructrice des hommes.

Le problème pose une question centrale : " est-il possible de guider l'évolution de l'homme jusqu'au dépassement de l'agressivité destructrice ? "
Le développement des sciences humaines, les recherches éthologiques nous montrent que les comportements ne sont pas des dimensions non modifiables donc la question posée par Einstein peut trouver une réponse dans le cadre d'un contexte humain, en recourant à l'antagoniste de la destructivité.
Si tout cela peut arriver, il nous reste encore un doute : qui pourra aider l'homme à gérer le conflit et de quelle manière ?

" La médiation, telle qu'on l'entend généralement, - comme alternative aux procédures judiciaires traditionnelles - ne constitue pas une invention récente. Le schéma 'récité par les acteurs' calque un scénario qui est vieux de plusieurs siècles et qui, à l'exception de quelques détails, est une réadaptation en clé contemporaine de ce qui avait déjà été expérimenté par d'autres peuples, à d'autres époques historiques " (Gulotta et Santi, 1988).

Au Vème siècle av J.C. en Chine, les gens, prédisposés par le système philosophique qui considérait que l'univers était en équilibre harmonieux et que toute opposition de forces était un événement déstabilisant , avaient recours à la Médiation pour résoudre des situations conflictuelles et pour rétablir l'équilibre originel.
Dans plusieurs tribus de l'Afrique Centrale, tout comme dans certains villages japonais, on avait coutume de réunir les anciens en assemblée et de les mettre au courant des diatribes éventuelles qu'il y avait au sein de la communauté.

" Au-delà de variations éthiques et culturelles spécifiques, le schéma qui gouverne le système de règles dans les différentes traditions sociales, est toujours le même :
a) constamment centré sur la réalisation d'une solution conciliatoire ;
b) structuré de manière à ce que les parties puissent disposer librement de leurs controverses ;
c) sans être jugés ;
d) sans employer de mesures de sanction ".

En Italie, il y a eu un modèle de médiation pour les disputes qui se manifestaient dans le monde du travail, dans un premier temps entre dépendants et patrons, ensuite entre organisations syndicales et organisations patronales.
Dans les années 70, C.J. Coogler, J.M. Haynes, et d'autres, donnèrent naissance aux Etats Unis à un mouvement pour la résolution des conflits familiaux, mais la médiation dans les conflits du travail existait déjà depuis 1913 ; en 1975 naissait la médiation familiale dont le but consiste à assister les 'parties' afin qu'elles parviennent à une solution des problèmes et qu'elles structurent un accord qui soit dans l'intérêt réciproque et qui puisse être respecté dans le futur.

Gulotta et Santi (op. cit.) soulignent le motif pour lequel la pratique de la médiation se différencie d'autres types d'intervention, comme la psychothérapie ou la consultation psychologique et légale : son but consiste à 'assister les parties afin qu'elles parviennent à une solution des problèmes directement liés à la désagrégation conjugale et qu'elles structurent une solution qui soit dans l'intérêt réciproque ".
Ces savants, pionniers en Italie et en Europe, ont l'intuition de la validité et de l'efficacité de la médiation, et ils définissent le médiateur familial comme un 'élément catalyseur' dans la solution des disputes, parce que sa fonction réussit à faire varier la vitesse des réactions.
Ils perçoivent que, par la pratique de la médiation, on stimule un processus qui est, à mon avis, celui de la symbolisation ou de la représentation mentale qui bloque dans l'individu le passage à l'acte, permet la réflexion et l'élaboration, en réduisant la rigidité et la 'compulsion de répétition' et en permettant la prise de conscience de 'l'état présent' et la projection dans le futur qui se matérialise, souvent , dans un engagement réciproque, dans un contrat. Cette caractéristique, affirment-ils, différencie les médiateurs des juges ou des arbitres éventuels appelés à résoudre le conflit parce que le médiateur ne revêt aucun pouvoir ni aucune autorité contraignants.

Dans le médiateur familial, le problème de la 'directivité' est plus complexe et plus délicat car il est le garant de l'équité de l'accord et, généralement, il évalue la gestion de l'éducation des enfants et à qui les confier.
Le différent degré 'd'ingérence' dans les décisions d'accord juridique donne lieu à deux images opposées de médiateurs auxquelles se réfèrent divers courants de pensée.
" Coogler (1978) et Haynes (1981) retiennent que l'expert devrait prendre activement l'initiative afin d'équilibrer le pouvoir entre les parties, en les aidant à définir les termes des choix substantiels. Saposnek (1983) soutient qu'un bon médiateur familial devrait sauvegarder et défendre les droits légitimes des membres faibles (par ex. les mineurs) et, qu'il devrait donc intervenir pour modifier les accords juridiques qui violent ces intérêts (Gulotta et Santi, op. cit.).

Ces auteurs soulignent, en outre, une diversité remarquable dans le degré d'exercice de la directivité. Les médiateurs du travail comme les médiateurs familiaux se différencient entre eux par leur 'style', par leur approche et par les techniques adoptées même s'ils sont tous d'accord pour définir leur profession comme : " l'assistance aux parties en dispute , afin qu'elles parviennent, en temps brefs et dans l'intérêt réciproque, à stipuler un contrat d'accord ".

Selon moi, ce n'est pas seulement une différenciation entre médiation familiale ou d'autres types de médiation, ni la différence de style de médiation, ni l'assistance aux parties en dispute ou le degré 'd'exercice de la directivité' qui caractérisent les processus de médiation, mais c'est la 'praesentiam' impartiale du médiateur qui sert de 'raccord' dans la communication, qui facilite la stipulation d'un contrat d'accord.
L'objection qu'on avance est 'tout le monde peut jouer le rôle de médiateur'.
Il n'est pas nécessaire de réfléchir sur la formation des médiateurs.

Comme tous les événements naturels, humains, sociaux peuvent arriver spontanément ou être provoqués, dans les rapports conflictuels entre individus, entre groupes, entre peuples, n'importe qui peut servir de raccord pour restructurer la communication. 'On ne peut nier que tout cela arrive, tout comme il arrive que chacun de nous soit potentiellement un éducateur, un avocat, un médecin, un manager ; mais qui parmi nous est disposé à s'en remettre au hasard ? Dans l'économie de l'existence, l'exigence d'avoir recours à des activités intentionnelles qui se caractérisent donc comme des professions avec leur spécificité, leur éthique et leur déontologie s'impose.

Le futur de la médiation devra pouvoir compter non seulement sur la pratique, mais aussi sur un cadre théorique de référence, sur une élaboration déontologique de la profession.
En analysant les lois qui règlent la nature, nous observons que tout ce qui arrive, en termes de vie, est communication.
La cellule, la plus petite unité de la matière vivante, absorbe des substances, se nourrit, se reproduit, dans un échange continu infra et inter cellules. Les savants la considèrent comme une structure spécialisée qui remplit les fonctions de la vie de manière coordonnée.
La membrane cellulaire est, elle aussi, une structure sensible, qui n'isole pas complètement la cellule : des canaux efficaces permettent à l'eau et à d'autres molécules de la traverser facilement. A l'intérieur, l'architecture cellulaire comprend des 'structures sophistiquées' qui ont des activités et des fonctions particulières, sous le signe de l'échange continu.
Les cellules vivantes et leurs parties doivent donc être partiellement isolées de leur milieu, mais elles doivent être capables (pour vivre) d'échanger des matériaux et de recevoir des informations, autrement, la cellule meurt.

Je me rends compte, en restant au sein de la métaphore, que je veux continuer ainsi mon dis-cours.
Les formes et les phénomènes de l'esprit humain et de la vie en général peuvent être compris comme un ensemble de 'principes organisateurs'.
Le plus important d'entre eux, c'est la 'notion d'interdépendance de toutes les formes de vie' (D. Kriss, 1982).

D'après une analyse sommaire, la médiation s'impose comme assistance aux parties, comme profession qui facilite l'apprentissage, à travers le médiateur, de la gestion positive des conflits.
En approfondissant l'analyse du processus, tant du point de vue biologique que du point de vue psychologique, et aussi du point de vue social si nous le voulons, nous devons admettre que le médiateur agit comme 'raccord', 'véhicule' entre les parties adverses extrêmement 'mobiles' (agressives), ou extrêmement 'rigides' (bloquées). Sa présence et sa position, intentionnellement impartiale, re-structure la 'possibilité d'écoute réciproque', ré-instaure la communication et ré-active le processus de symbolisation.
Le succès de la médiation ne consiste pas tant dans la réalisation d'un accord en temps brefs, que dans l'instauration de la possibilité d'écouter et dans la restructuration de la communication entre les parties sans en déterminer le temps à priori.
Les mécanismes qui engendrent l'agressivité, la colère, la vengeance pour un tort subi (pour une faute) sont déstabilisés et est ainsi récupéré l'espace mental où le LAD ('Language Acquisition Device') rejoint le LASS ('Language Acquisition Support System') en facilitant l'utilisation du langage verbal (Bruner, 1980).

La parole, le 'verbe' est l'apanage de l'homme ; c'est donc une de ses qualités privilégiées, fruit et, probablement, résultat d'un processus évolutif qui éloigne résolument l'homme des autres êtres vivants, comme l'affirme C. Sini (op. cit.).
Le manque d'utilisation intentionnel du 'verbe' engendre l'occupation ou le bloc de l'espace mental de la part des 'phantasmes', bloque ce merveilleux processus de symbolisation, de représentation et conduit, inexorablement, à s'axer sur la destructivité.
Lucianina n'a pas détruit la boîte, mais puisqu'elle était capable de mettre en acte un processus d'élaboration, de symbolisation, elle s'adresse à son interlocuteur.
Le 'passage à l'acte', qui caractérise si bien l'homme en proie à la colère, à la guerre, à l'agressivité et qui devient un phénomène fréquent surtout dans les phases où l'individu n'est pas encore mûr, se représente et devient incontrôlable quand la communication verbale s'interrompt, quand le silence envahit l'espace de l'esprit et en obscurcit tous les reflets de lumière.

L'homme moderne dénote une forte tendance à établir des processus de médiation. Cette affirmation naît de l'expérience vécue y compris au cours de ces deux années de travail intense comme déléguée du Comité Directif du WMF pour l'organisation du IIIème Congrès mondial. Quand l'information nous secoue avec des messages d'événements dramatiques, MEDIATION ( !) est le mot qui retentit au cours des moments de tension entre les individus, entre les groupes, entre les peuples.

En regardant le monde d'aujourd'hui, et surtout les jeunes qui sont l'espoir du futur, on se rend compte que le besoin de communiquer coûte que coûte est continu; l'utilisation des nouvelles technologies, des moyens de communication de plus en plus sophistiqués en sont un exemple tangible ; la multiplication des Organisations, Associations, Mouvements de solidarité, de promotion, d'échange en témoignent le besoin évident ; la diffusion de la culture de la médiation et la prolifération des lois, décrets, instances auxquels les gouvernements des différents pays participent en sont un grand exemple ; l'art, la musique, le sport en sont, eux aussi, un exemple.

Nous-mêmes, nous en sommes un exemple, en tant que médiateurs, professionnels, qui emploient leurs ressources, mettent en acte leurs capacités et leurs compétences de médiateurs pour promouvoir et diffuser ce processus.
Quel sera le futur de la médiation ?
On peut saisir, semble-t-il, qu'une grande responsabilité incombe à la société actuelle.
Les processus de communication, de globalisation, nous stimulent d'un côté et nous préoccupent de l'autre.

L'homme est un passant, qui possède son propre équipement mais qui doit, toutefois, l'intégrer avec les ressources des autres, de l'environnement, pris au sens le plus haut du terme, et, tout comme les antiques oniromanciens essayaient de comprendre à travers l'interprétation des rêves et les navigateurs à travers la lecture des étoiles les desseins de l'existence et de l'existant, nous devrons tenter, à travers l'écoute de toutes les voix qui vibrent dans l'infini, de saisir la signification qui, selon ma conception, consiste en un DESIR DE PAIX.


Savina Pinna
Présidente du CE.RI.UM
Déléguée pour l'organisation du III Congrès WMF

 
 

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