Come si pratica lo stretching


Esistono due modi, o meglio, due tecniche che consentono di migliorare la mobilità delle articolazioni corporee tramite lo stretching, ponendo cioè in estensione per tempi prolungati le strutture muscolari, tendinee e legamentose. La prima tecnica risulta di più semplice applicazione, a differenza della seconda; quest'ultima però ha dalla sua un risultato leggermente migliore. Dipende poi dagli interessi e dalle esigenze del singolo praticante scegliere quale delle due tecniche sia la più indicata al proprio caso. Con la prima tecnica viene posto in estensione il muscolo o gruppo muscolare su cui si vuole agire, tramite l'assunzione di posizioni di massima flessione, estensione o torsione, a seconda delle caratteristiche funzionali dell'articolazione di volta in volta interessata. Questa posizione deve essere assunta lentamente, in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti che vengono distesi il riflesso da stiramento. Raggiunta, ad esempio, la posizione di flessione anteriore del busto, questa va mantenuta per un tempo minimo di 10-15 secondi - usualmente vengono impiegati tempi di 20-30 secondi. Deve trattarsi della massima estensione che i muscoli interessati sono in grado di raggiungere, senza però andare oltre la soglia del dolore. Al raggiungimento di tale limite può concorrere, qualora sfruttabile, l'effetto che la forza peso esercita sui segmenti corporei non vincolati al suolo. Al termine si osserva un breve periodo di rilasciamento, valutabile in 30-60 secondi, che può essere sfruttato, nel caso si tratti di esercizi che interessano gli arti, per compiere l'operazione sull'arto complementare. Si ripete poi l'operazione per altrettanti 20-30 secondi. Questa volta il grado di mobilità articolare, come sarà facile verificare anche con una semplice prova, sarà sicuramente maggiore, seppur di poco. Trascorso questo tempo, durante il quale la trazione deve essere mantenuta costante, si tenterà di aumentare ulteriormente e con un andamento progressivo il grado di mobilizzazione dell'articolazione, sempre però evitando di superare la soglia del dolore, quello che preannuncia il manifestarsi di un trauma. La seconda tecnica, conosciuta oggi anche con la sigla PNF (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation), differisce dalla prima perché, invece di basarsi su un unico tempo, quello della trazione prolungata, si basa su due tempi successivi e distinti:

1. dopo un iniziale massimo allungamento, raggiunto mediante la lenta assunzione della posizione articolare limite, si effettua una contrazione del muscolo o del gruppo muscolare interessato dall'allungamento. Questa contrazione dovrà essere quanto più intensa possibile, ma non dovrà produrre spostamento alcuno dei segmenti corporei; si tratta cioè di una contrazione isometrica (iso - vuol dire «uguale», mentre metrica indica «misura», quindi deve essere una contrazione muscolare senza variazioni di lunghezza delle fibre muscolari, nonostante l'aumento della tensione prodotto nelle stesse). Sarà possibile realizzarla ponendo una resistenza al movimento, quale ad esempio un'altra parte del corpo, una parete o un qualsiasi altro ostacolo (specialmente in palestra molte sono le opportunità; anche un compagno può essere d'aiuto). Questa contrazione avrà una durata di 15-20 secondi. Particolare importante è che questa operazione deve avvenire nella posizione in cui il muscolo che si tenterà poi di estendere ulteriormente si trovi sin d'ora nella condizione di massimo allungamento;

2. dopo un brevissimo tempo di rilasciamento di 3-5 secondi, si porranno in trazione i muscoli precedentemente contratti isometricamente, procedendo come già visto nella descrizione della prima tecnica; anche in questo caso l'operazione durerà 20-30 secondi. L'intero procedimento si ripeterà una seconda volta, concludendo anche in questo caso con un tentativo di distendere ulteriormente i muscoli antagonisti, sempre senza andare oltre la soglia del dolore.