next essay indice volumeStudi Storici 1, gennaio-marzo 1995 anno 36


LA STORIOGRAFIA SPAGNOLA DAL « SECOLO D'ORO» ALLA « RIVOLUZIONE LIBERALE»

PRESENTAZIONE

Giovanni Muto-Anna Maria Rao

In una fase storiografica come quella attuale, contrassegnata, come con sollievo o con qualche rimpianto si va ripetendo ormai da anni, dalla fine delle ideologie e di parametri interpretativi globali, la recente storiografia spagnola sull'età moderna e contemporanea, passata in rassegna nei bilanci che qui si presentano, può forse presentare qualche sorpresa e, soprattutto, interessanti elementi di comparazione con la storiografia italiana.

Un elemento di sorpresa può essere l'evidente vivacità polemica di questa storiografia, messa in risalto dall'altrettanto evidente partecipazione degli autori di queste rassegne alle polemiche di cui danno conto. La vivacità, a volte l'asprezza, del dibattito, che per alcuni aspetti ricorda, piú nelle forme che nei contenuti, le polemiche storiografiche italiane degli anni Sessanta e Settanta, sono certamente segno di una stagione di forte revisione di categorie acquisite, uno sforzo di revisione che in Spagna appare accentuato dal convergere di una serie di impulsi diversi. A quelli piú generali che dovunque caratterizzano attualmente il lavoro degli storici, e piú strettamente legati ad una riflessione storiografica ed epistemologica alla quale gli storici spagnoli si mostrano a loro volta particolarmente sensibili, si aggiungono per questi ultimi gli effetti dell'uscita dal franchismo, che sembrano tradursi in una piú immediata ed esplicita immersione nei problemi del presente e in una prospettiva storica capace non tanto di elaborare modelli o schemi di comportamento quanto soprattutto di indicare chiavi di lettura critica del passato che possano servire anche alla lettura del presente.

È il caso del bilancio tracciato da Bartolomé Yun Casalilla degli studi sulla storia economica e sociale spagnola, e in particolare castigliana, tra XVI e XVIII secolo: un bilancio fortemente critico nei confronti di categorie storiografiche come quelle di « crisi» , « decadenza» , « recessione» che hanno cosí fortemente e tanto a lungo condizionato la storia di Spagna come la storia d'Italia, senza che se ne indagassero in concreto, e in maniera differenziata a seconda dei territori, le forme e i contenuti.

Non meno controversa risulta la categoria storiografica di « Stato» . Jean-Fr&eacuted&eacuteric Schaub ne svolge una lettura attenta, segnalando le ambiguità di un processo di formazione di poteri concorrenti di cui, relativamente all'esperienza spagnola, il lavoro degli storici non sempre ha identificato con nettezza i termini concreti. Emerge in questo caso come il significato forte che in diverse occasioni la storiografia ha attribuito al paradigma statuale rifletta piuttosto i modi sofferti di correlarsi ad una difficile identità nazionale; un problema che, in forme diverse, sembra riproporsi nei tempi presenti tanto per la Spagna quanto per l'Italia.

La questione dello Stato, non solo, ma anche quella dello sviluppo economico spagnolo, si ripropongono come oggetto di dibattito particolarmente acceso soprattutto, e comprensibilmente, nelle rassegne di Llu&iacutes Roura Aulinas e di Irene Castells sul convulso periodo della storia spagnola che va dal riformismo settecentesco al periodo liberale, denso non solo di problemi storiografici non diversi da quelli che devono affrontare e che affrontano gli storici italiani — basti pensare all'annosa questione del rapporto tra riformismo, rivoluzione francese e Risorgimento, apparentemente spenta, ma tutt'altro che risolta — ma anche di implicazioni politiche e ideologiche che, almeno apparentemente accantonate nella storiografia italiana, appaiono invece ancora rilevanti e fondamentali nella storiografia spagnola.

Gli studi passati in rassegna mettono in rilievo una serie di questioni centrali nella storiografia dell'età moderna, dal rapporto fra crescita della burocrazia statale e guerra, alle relazioni fra Stato, fiscalità ed economia, dal problema delle borghesie cittadine a quello della feudalità e delle strutture agrarie; e mostrano, anche nel caso spagnolo, una crescente attenzione alle diversità territoriali, determinata sia dal proliferare, sull'esempio francese, delle monografie regionali, sia dalla ormai diffusa insoddisfazione per una categoria astratta e fagocitante di Stato nazionale come protagonista perenne e indiscusso dello sviluppo storico.

Altrettanto evidente appare il rifiuto di un approccio che, alla ricerca delle « origini» di « occasioni perdute» o di « smacchi» e « fallimenti» successivi, reali o presunti, tenda poi a vanificare un intero processo di trasformazioni, mutamenti, continuità o persistenze: sicché, per spiegare la « decadenza» spagnola non resta di meglio che sostenere che non vi era stato nessuno « sviluppo» da cui « decadere» e considerare inevitabilmente fallace e illusorio qualunque precedente segno di mutamento. Un approccio che sembra ancora, almeno in parte, condizionare non solo la lettura del Seicento spagnolo ma anche e forse soprattutto quella del riformismo settecentesco, del quale, nella comprensibile e giusta reazione ai tentativi monarchici di trovare gloriosi antecedenti di assolutismo illuminato, appaiono fortemente accentuati gli aspetti puramente velleitari e negativi.

L'interesse delle rassegne che seguono si giustificherà, speriamo, da solo. Non va tuttavia sottaciuto il contributo che esse forniscono quanto meno sul piano dell'informazione, che va particolarmente sottolineato per il periodo ottocentesco, sorprendentemente ignorato nei manuali italiani di storia contemporanea, dove la Spagna, dopo rapidi accenni alle rivoluzioni liberali degli anni Venti e Trenta, scompare quasi del tutto, per ricomparire improvvisamente solo al momento della guerra civile del 1936. Se poi si guarda globalmente ai manuali di storia moderna e contemporanea è forse ancora piú evidente il posto complessivamente assegnato ad una Spagna di cui si parla ampiamente fino a quando è un impero, per poi dimenticarla fino a quando non riemerge come una dittatura. Storia dei vincitori, quella dei manuali? Quanto meno, riflesso di una storiografia che per molto tempo è stata prevalentemente storia di vincitori. Non sarà, dunque, inutile avere un bilancio di ricerche concrete e rinnovate, che non dimenticano perdenti e sconfitti e che, soprattutto, ridiscutono, implicitamente o esplicitamente, la proficuità e la stessa legittimità di queste categorie sul piano storiografico*.

* I saggi di Bartolomé Yun Casalilla e di Jean-Fr&eacuted&eacuteric Schaub, tradotti rispettivamente dallo spagnolo da Clara Svanera e dal francese da Mich&egravele Benaiteau, sono stati rivisti da Giovanni Muto e Piero Ventura. I saggi di Irene Castells Olivan e di Llu&iacutes Roura Aulinas sono stati tradotti dallo spagnolo da Clara Svanera e rivisti da Anna Maria Rao.