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LA PENISOLA IBERICA NEI SECOLI XVI E XVII: LA QUESTIONE DELLO STATO*

Jean-Frédéric Schaub

Per iniziare queste note bibliografiche sulla storia politica della penisola iberica1, vorrei partire da una conferenza tenuta da Josep Fontana nel 1988 a Valladolid sulla storia comune dello Stato e delle finanze nel secolo XVIII2. Nel suo discorso, l'autore compiva tre operazioni intellettuali. Primo, nell'evocare le antiche monarchie, egli ironizzava su alcuni storici « nominalisti» ostili all'uso sregolato della parola Stato, o del concetto di Stato moderno. Secondo, a sua volta egli respingeva decisamente il termine assolutismo, già ridimensionato da Pierre Goubert, e anche l'espressione « dispotismo illuminato» come molto posteriore al periodo che pretendeva indicare, e contradditorio in quanto concetto3. Infine egli interrogava le piú importanti ricerche condotte in ambito anglosassone sulla monarchia francese, paradigma di precocità statale. Sulla base delle opere di Joseph Bergin o James B. Collins, l'oratore esponeva fedelmente i risultati raggiunti. Nel caso del successo di Richelieu, la specificità dell'istanza statale si dissolve in un sistema di potere economico, sociale e simbolico in cui resta impossibile l'individuazione di una sfera pubblica propriamente detta, distinta dalla famiglia4. L'analisi della pressione fiscale esercitata dalla monarchia francese nella prima metà del secolo XVII, rivela le difficoltà non superate dall'amministrazione regia nel costruire un territorio e nell'ottenerne ubbidienza5. Egli ne trae una conclusione fondamentale, già latente almeno dalla lezione di Ramón Carande, e cioè che, fino alla fine dell'antico regime, è impossibile distinguere tra sistema fiscale e sistema di credito, costruire cioè di fatto e di diritto un monopolio dell'autorità pubblica6. Lo spirito e la vivacità del discorso non possono mascherare un certo paradosso. In nome dei risultati ottenuti nella ricerca archivistica7, Josep Fontana liquida le nozioni descrittive di assolutismo e dispotismo illuminato ma legittima il concetto euristico di Stato.

Gli storici che si sforzano di interrogare i concetti fondamentali delle loro analisi, in questo caso lo « Stato» , possono sentirsi lusingati dall'essere tacciati di nominalismo. Da bravi seguaci di Duns Scoto, in effetti si prefiggono di ricostruire le esperienze storiche passate nella loro irriducibile singolarità piuttosto che collocarle nella casella che la storiografia ufficiale assegna loro. Non si accontentano di verificare la conformità del loro oggetto alle categorie generali e della loro percezione a priori; essi quindi tentano di non scrivere una storia aristotelico-tomista delle formazioni politiche, le monarchie dell'antico regime europeo, che appunto attingevano la retorica della loro giustificazione dall'eredità retorica aristotelica e tomista. Siamo attenti però a non alimentare una terza scolastica con le impenetrabili evidenze della storia politica. Il ricorso acritico, quindi astratto, a concetti dati per ovvii, sposa facilmente l'empirismo piú totale, o piú esattamente lo rende possibile. Un nominalismo che, nell'atto stesso di descrivere i fenomeni antichi, scopre l'inadeguatezza del vocabolario contemporaneo a esprimerne le specificità, respinge la doppia (o unica) tentazione della pura speculazione e della mera descrizione. Come si sa, il positivismo francese si è costruito con la elusione classica del problema del linguaggio: ciò che si concepisce chiaramente, si esprime agevolmente8.

Comunque sia, quando l'oratore vuole dimostrare la pertinenza del concetto di Stato a proposito dell'antico regime, egli attinge i suoi esempi negli scritti dell'imperatrice Caterina II, di Federico II, e nell' Encyclop&eacutedie. Josep Fontana delinea quindi una cronologia tardiva dell'uso pertinente del termine Stato. Né ci dobbiamo meravigliare giacché accoglie i risultati delle ricerche che descrivono monarchie europee ancora molto poco sviluppate sotto il profilo statuale nel secolo XVII. La conferenza alla quale mi riferisco mi sembra molto significativa della distanza crescente che si manifesta nella storiografia attuale tra la cosa — la politica di antico regime — e la parola — Stato moderno. La foga nel difendere la parola divampa proporzionalmente all'avanzata dell'immagine di una monarchia ispanica meno centralizzata, meno burocratica, meno razionale quasi su tutti i fronti. L'attaccamento alla parola non può essere neutrale, ma in questo ultimo decennio non si è riusciti a chiudere la problematica: lo Stato che ci viene descritto dagli storici modernisti è embrionale, potenziale, virtuale. « Ayons le mot Monarchie et la chose R&eacutepublique» sospirava Victor Hugo, in mancanza di meglio, all'epoca di Luigi Filippo 9. Gli storici si capiscono bene tra loro parlando di uno Stato moderno, soprattutto quando ne descrivono una debole realtà e una dubbia modernità.


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* Dedico questo studio a Bernard Vincent, che mi ha insegnato la ricerca.

1 Voglio ringraziare qui Fernando Bouza Alvarez per la pazienza e per la sua vasta conoscenza bibliografica. Esprimo anche la mia gratitudine al personale della Biblioth&egraveque de la Casa Velásquez de Madrid diretta da Laurence Camous la cui competenza ha notevolmente agevolato la stesura di questo lavoro d'insieme. Ho limitato il discorso alle diverse corone della penisola iberica. Sarebbe stato impossibile estenderlo all'insieme della monarchia ispanica per ragioni di spazio.

2 J. Fontana, Estado y hacienda en el despotismo ilustrado, in Aa.Vv., Estado, Hacienda y sociedad en la Historia de España, Valladolid, Universidad de Valladolid, 1989, pp. 121-147.

3 Su questo punto, si veda il recente aggiornamento di F. Lopez, Du despotisme &eacuteclairé et du gouvernement de Charles III, in G. Chastagnaret, G. Dufour, &eacuteds., Le r&egravegne de Charles III. Le despotisme &eacuteclairé en Espagne, Paris, Cnrs Editions, 1994, pp. 15-27.

4 J. Bergin, Cardinal Richelieu, Power and the pursuit of Wealth, New Haven-London, Yale University Press, 1985.

5 J. B. Collins, Fiscal limits of absolutism. Direct taxation in early Seventeenth Century France, Berkeley, University of California Press, 1988.

6 Per quanto riguarda la monarchia francese, rimando su questo punto a D. D. Bien, Offices, Corps and a System of State Credit: the Uses of Privilege under the Ancien R&eacutegime, in The French Revolution and the Creation of Modern Political Culture, vol. I, The Political Culture of the Old Regime, K. M. Baker, ed., Oxford, 1986, pp. 89-114; D. D. Bien, Les offices, les corps et le cr&eacutedit d'Etat: l'utilisation des privil&egraveges sous l'Ancien R&eacutegime, in « Annales Esc» , 43, 1988, 2, pp. 379-404.

7 J. Fontana, Las reglas y el juego. Algunas reflexiones históricas sobre la corrupción, in « Hacienda P&uacuteblica Española» , 1994, I, El fraude fiscal en la historia de España, pp. 25-29.

8 Per una diversa lettura, A. Pagden, The languages of Political Theory in Early Modern Europe, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 1990.

9 In Francia, Bernard Guen&eacutee ha posto la domanda rispondendo in accordo con il quadro di Joseph Strayer ( Y-a-t-il un Etat des XIVe et XVe si&egravecles?, in « Annales Esc» , 26, 1971, 2, pp. 399-406).