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WALTER BAGEHOT E LA RETORICA DELLA COSTITUZIONE INGLESE

 

Giovanni Montroni

1. Molto meritoriamente, la casa editrice Il Mulino, con un contributo della Banca popolare di Milano, ha curato la prima traduzione italiana del noto libro di Walter Bagehot, The English Constitution1. Il lavoro, uscito inizialmente nella forma di saggi separati nella rivista "The Fortnightly Review", venne presentato in volume nel 18672. Accolto assai favorevolmente tanto in Inghilterra che all'estero, come dimostrano le immediate traduzioni in tedesco3 e in francese4, venne ripubblicato nel 18725 con una lunga prefazione dell'autore, che in parte ribadiva le ragioni che lo avevano spinto a quel lavoro e in parte riaggiornava le argomentazioni alla luce del secondo Reform Act approvato nel 1867. Il libro avrebbe in seguito esercitato una grandissima influenza in tutto il mondo occidentale, ma in Italia sarebbe rimasto noto ai soli studiosi delle istituzioni e del pensiero politico6. Anche il resto della copiosa produzione di Bagehot, raccolta in numerosi volumi7, non ha avuto diffusione in Italia, fatta eccezione per Lombard Street, tradotto nel 1905 da Luigi Einaudi8 e riproposto, quasi dieci anni fa, in un'edizione fuori commercio con introduzione di Giuseppe Berta9. La grande fortuna di The English Constitution e la assai tardiva riscoperta italiana suggeriscono una serie di riflessioni generali su Bagehot e altre piú particolari sulla sua produzione di commentatore politico e sulla sua fortuna critica.

Nato nel 1826 a Langport (Somersetshire) in una famiglia di banchieri e armatori, Walter Bagehot studiò allo University College di Londra, da dove uscí nel 1848 con l'm.a. in filosofia e politica economica10. Formatosi in un ambiente liberale, dopo una serie di esperienze letterarie trovò nella gestione degli affari e nel giornalismo un equilibrio personale, uno straordinario strumento di osservazione delle realtà piú dinamiche della società britannica e contemporaneamente il mezzo per partecipare al dibattito economico-politico. Dopo le fortunate lettere scritte da Parigi nel dicembre 1851 durante il colpo di Stato di Napoleone, pubblicate tra gennaio e marzo 1852 sul settimanale "The Inquirer", e la collaborazione con numerosi altri giornali ("Saturday Review", "National Review", "Prospective Review"), nel 1860 assunse la direzione dell'"Economist". Giornale economico e finanziario di ispirazione libero-scambista, l'"Economist" era nato nel 1843 come foglio propagandistico dei principi della Anti-corn Law League per iniziativa di James Wilson, suocero di Bagehot, come questi esponente di spicco del mondo imprenditoriale e politico liberale.

Influente columnist, strettamente legato ai circoli liberali, amico e consigliere finanziario di Gladstone, Bagehot, anche se le sue aspirazioni a sedere nella House of Commons furono piú volte frustrate, fu uno dei protagonisti del dibattito politico tra la fine degli anni Cinquanta e il giorno della sua morte, avvenuta nel 1877. La sua produzione conta, oltre a The English Constitution, al già citato Lombard Street e a qualche prova letteraria, il libro Phisics and Politics del 1873, in cui Bagehot applicava alla politica i principi darwiniani11, il pamphlet Parliamentary Reform, pubblicato in "The National Review" nel 1859, e una enorme serie di interventi apparsi sull'"Economist" nei diciotto anni della sua direzione.

Il pregio e al tempo stesso il difetto dei lavori di Bagehot è nel loro taglio giornalistico. Brillanti, incisive, chiare, le sue pagine tradiscono spesso le finalità e le motivazioni immediate che le hanno stimolate e non di rado un carattere dilettantesco, quasi amatoriale. Perfino Norman St John-Stevas - una vita divisa tra la militanza politica e lo studio dei lavori di Bagehot, di cui ha curato la pubblicazione dell'opera completa - nota come Bagehot non possa essere considerato uno studioso della politica di prim'ordine, anche perché non riusciva ad avere un'area d'intervento sufficientemente ampia; ma certo era "an observer of genius who penetrated below the surface appearences of political and parliamentary life to the psychological and social realities beneath"12. Per quanto assai piú nota, la sua produzione economica, non è stata stimata diversamente, come dimostra l'icastico giudizio espresso da Keynes in una recensione alla raccolta dei lavori di Bagehot13:

 

Bagehot's position amongst English economists is unique. Some of his contributions to the subject are generally acknowledged to be of the highest degree of excellence. And yet in some respects it would be just to say that he was not an economist at all14.

 

Richard Crossman, altro studioso e commentatore di Bagehot, sottolinea come abbia ancora senso leggere The English Constitution perché rappresenta una straordinaria analisi del periodo del governo parlamentare classico. Il segreto che Bagehot dichiara di aver scoperto fornisce, secondo Crossman e la maggior parte degli storici del pensiero politico britannico, una spiegazione corretta del rapporto tra la Camera dei Comuni e il governo, nella forma in cui questo rapporto si era affermato tra il 1832 ed il 186715. Ma qual è il segreto scoperto da Bagehot? Lo spiega lui stesso nella prima pagina del libro:

 

Il segreto che rende efficace la Costituzione inglese può essere individuato nella stretta unione, nella fusione pressoché completa del potere esecutivo con quello legislativo. La dottrina tradizionale dominante pretende che la bontà della nostra Costituzione consista nella completa separazione dell'autorità legislativa da quella esecutiva; ma, in verità, la sua superiorità sta proprio nella loro eccezionale vicinanza. Il loro connettivo è costituito dal gabinetto. Con questo termine intendiamo una commissione del corpo legislativo, scelta per diventare l'organo esecutivo16.

 

Come non si tratti realmente di una scoperta sarà chiaro piú avanti. L'altro elemento specifico del sistema di governo, o, piú precisamente, della Costituzione inglese, è, secondo Bagehot, l'esistenza di dignified parts, di parti nobili, e di efficient parts, efficaci o, meglio, operative.

Le parti nobili della Costituzione - la monarchia e la Camera dei Lord - servono prevalentemente a guadagnare la deferenza del popolo, mentre le parti operative - il gabinetto e la Camera dei Comuni - svolgono realmente il lavoro di governo. L'equilibrio del sistema politico inglese è assicurato, in altri termini, da una manipolazione dell'immaginario collettivo che riesce a garantire il consenso della società inglese verso la classe dirigente del paese. Questo lavoro di intercettazione del consenso della nazione è svolto in larga misura dalla monarchia. "Il ruolo della regina - scrive Bagehot -, dal punto di vista simbolico, è di importanza incalcolabile. Senza la sua presenza l'attuale sistema di governo inglese avrebbe vita difficile e finirebbe per crollare"17. E piú avanti:

 

La ragione principale per cui la monarchia è una forma di governo solida sta nel fatto che si tratta di un sistema comprensibile. La maggior parte delle persone lo comprendono ed è raro trovare in tutto il mondo qualcos'altro che si capisca altrettanto bene. Si è spesso affermato che gli uomini sono guidati dalla loro immaginazione; ma sarebbe piú giusto dire che sono governati dalla debolezza della loro immaginazione. La natura di una Costituzione, l'attività di un'assemblea, il gioco dei partiti, la formazione invisibile di un'opinione dominante, sono fatti complessi, difficili da capire e facili da fraintendere. Ma l'azione di una singola volontà e il comando di una singola persona sono cose facilmente comprensibili: tutti sono in grado di capirle e nessuno può mai dimenticarle18.

 

In un periodo in cui gran parte delle prerogative della Corona si sono trasferite all'esecutivo, tanto che anche lo scioglimento delle Camere e la nomina di nuovi pari sono di fatto nelle mani del primo ministro, le parti "teatrali" della Costituzione sono per Bagehot strumenti fondamentali nel restituire all'esterno una immagine assai semplificata del funzionamento del sistema di governo e servono a convincere la massa della popolazione che è la regina colei che realmente decide delle sorti del paese in tutti i momenti e per tutti gli aspetti. Nella realtà, al sovrano erano rimasti, secondo le valutazioni di Bagehot, solo tre diritti indiscussi: "quello di essere consultato, quello di incoraggiare, quello di mettere in guardia"19. Il potere reale, però, era passato altrove, alle effective parts della Costituzione. Piú lontana era però la regina dal governo del paese, piú si prestava a rappresentare l'identità della nazione, e piú efficacemente alimentava la deferenza di intere aree sociali incapaci di comprendere l'idea di una Costituzione e di avvertire anche il minimo sentimento di devozione per una legge impersonale20.

La Camera dei Lord è l'altro grande strumento con cui il sistema di governo ottiene la deferenza della popolazione britannica e quindi il mandato a esercitare il potere. "Il rispetto che viene accordato ad un lord di antica origine - scriveva Bagehot - è immenso. La sua semplice esistenza è utile perché suscita un sentimento di obbedienza e una specie di intelligenza in quella moltitudine rozza, stolta e ottusa, che non sarebbe in grado di apprezzare e comprendere nient'altro"21. Bagehot nella sostanza condivideva la nota affermazione di Gladstone, fatta durante la guerra di Crimea, secondo cui:

 

se questo paese è piú aristocratico [...] di quanto dovrebbe essere, ciò non è dovuto a nessun privilegio legalmente posseduto dall'aristocrazia, né a nessuna legislazione esclusiva; ma è dovuto in parte, forse, ai forti pregiudizi in favore dell'aristocrazia nutriti da ogni rango e classe della comunità22.

 

La considerazione di cui gode la nobiltà titolata inglese, che corrisponde, non va dimenticato, alla grande proprietà fondiaria, e che ridefinisce le gerarchie di rispettabilità sulla maggiore o minore vicinanza al suo modello di vita, consolida e rafforza il sistema di governo. Bagehot conclude, con una di quelle affermazioni in parte disincantate, in parte volutamente dissacratorie che hanno fatto la sua fortuna di commentatore politico:

 

[u]n buon sistema di governo è un serbatoio che contiene una grande quantità di ottusità sociale. Il dignitoso torpore della società inglese è inevitabile se diamo la precedenza non alle classi piú abili, ma a quelle piú antiche. E abbiamo visto quanto ciò sia utile23.

 

Questo non ha impedito però, secondo Bagehot, che la Camera dei Lord perdesse gran parte delle sue funzioni di governo. Dopo il Reform Act del 1832 ai Lord sarebbe rimasta solo la facoltà di sospendere o emendare un provvedimento legislativo:

 

[i]l suo voto è una sorta di veto ipotetico. I suoi membri dicono: "Noi respingiamo il disegno di legge per una volta, due o persino tre; ma se avete intenzione di inviarlo ad un'autorità superiore, non lo respingeremo piú". La Camera dei Lord ha smesso di costituire una guida occulta, ed è diventata un'assemblea che respinge temporaneamente e modifica in modo visibile24.

 

Camera dei Comuni e gabinetto sono dunque gli strumenti reali attraverso cui viene condotto in Inghilterra il governo del paese; la preminenza si è però progressivamente spostata verso l'esecutivo. Creato dalla Camera dei Comuni, il gabinetto

 

ha un potere che nessuna assemblea avrebbe mai affidato ad una commissione, tranne in particolari contingenze storiche. Si tratta, infatti, di una commissione con veto sospensivo, con un potere di appello: può sciogliere l'assemblea che l'ha designata. Nominata da un parlamento, essa può appellarsi, se lo ritiene opportuno, alla successiva legislatura [...] il gabinetto scelto da una determinata Camera dei Comuni ha la facoltà di appellarsi a quella successiva. La piú importante commissione del legislativo ha il potere di sciogliere il ramo dominante del legislativo, quello che in caso di crisi diventa decisivo. Il sistema inglese non rappresenta, dunque, l'inclusione del potere esecutivo nel legislativo, ma la loro fusione. O il gabinetto riesce a legiferare, o scioglie l'assemblea. È una creatura che ha il potere di distruggere il proprio artefice25.

 

La fusione del potere legislativo e dell'esecutivo che potrebbe sembrare, dice Bagehot, "una questione arida", "una sottigliezza", in realtà influenza assai profondamente il sistema di governo e lo rende del tutto diverso dal "sistema presidenziale" americano fondato, viceversa, su un'assoluta separazione dei due poteri26. E il confronto tra il modello inglese e quello americano su questioni assai diverse tra loro, dalla natura dei dibattiti parlamentari alla funzione della stampa, che percorre petulantemente tutto il libro, porta alla stessa conclusione: il sistema inglese è superiore perché reso piú flessibile dalla fusione dei poteri. Il caso della stampa è forse quello che meglio esemplifica il percorso argomentativo tipico del libro. Il governo presidenziale, dice Bagehot, dà spazio alla società americana solo al momento del voto, dopo si crea una macchina di governo che è del tutto indifferente alle sollecitazioni dell'opinione pubblica. Il Congresso è egualmente impotente a cambiare l'esecutivo; i giornali rispecchiano la stessa impossibilità di sollecitare l'attenzione su di un sistema di governo di fatto cristallizzato tra un'elezione e l'altra.

 

La gente si stupisce - aggiunge poi Bagehot - che un popolo cosí colto come quello americano, un popolo che legge piú di qualsiasi altro mai esistito, che legge cosí tanti giornali, debba averne di tanto scadenti. I quotidiani non sono di buona qualità quanto quelli inglesi, perché non hanno nessuna ragione per esserlo. Nel momento di una crisi politica (quando il destino di un'amministrazione è incerto, dipende da uno scarto di pochi voti ed è turbato perfino dal piú piccolo mutamento di rotta dell'opinione pubblica) efficaci articoli sui maggiori giornali assumono un'importanza essenziale. Il "Times" ha creato molti ministri. Quando, come di recente, si è verificata una lunga successione di parlamenti divisi, di governi che erano sforniti del "bruto potere dei numeri" e che dipendevano dalla semplice forza della ragione, il sostegno del piú influente organo dell'opinione inglese è stato di importanza decisiva. Se un quotidiano di Washington avesse potuto licenziare Lincoln, sui giornali della città vi sarebbero state ottime penne e fini argomenti. Ma nessun giornale è in grado di rimuovere un Presidente durante il suo mandato come, invece, è in grado di fare il "Times" con un primo ministro. Nessuno segue un dibattito del Congresso che non produce alcun esito e nessuno legge lunghi articoli se non sono in grado di influenzare gli eventi27.

 

Per quanto la Camera dei Comuni non manchi di un aspetto simbolico in grado di colpire l'immaginazione della società britannica, "la sua funzione non deve essere cercata nelle apparenze ma nella sua sostanza. Il suo compito non è di ottenere il potere intimidendo, ma di usare il potere per governare"28.

Oltre all'elezione dell'esecutivo e alla funzione legislativa, la Camera dei Comuni ha il compito di dare voce all'opinione del paese su tutte le questioni che si possono porre (la "funzione espressiva"), di migliorare la società (la "funzione pedagogica") e infine di informare il paese di tutto quanto vi accada (la "funzione informativa"). Bagehot aveva già chiaramente espresso la sua fiducia nel sistema di governo del paese in Parliament Reform: "The history of our great legislative changes, of itself shows that the opinion of Parliament is, in the main, coincident with that of the nation"29. Certo nella Camera dei Comuni vi sono dei difetti, ammette Bagehot, che limitano e rendono per certi versi imperfetta questa coincidenza tra opinione pubblica e parlamento: una sovrarappresentazione della volontà della società rurale e dei proprietari fondiari30 e - che poi è una faccia specifica del precedente - lo scarso peso dato dal potere legislativo alle realtà piú in crescita del paese31. Questi limiti però non sono, per Bagehot, tali da interrompere la coincidenza di opinioni tra parlamento e nazione.

La società inglese ha dunque, secondo Pangloss/Bagehot, tutto considerato, il migliore dei governi possibili. Un unico cambiamento gli sembra realmente necessario per affinare la qualità del governo britannico; l'inserimento nella Camera dei Lord di un certo numero di life peers, senza il diritto di trasferire il seggio agli eredi, garantirebbe un gruppo di persone di alto ingegno sui banchi e salverebbe uno strumento fondamentale sia per il controllo della Camera dei Comuni che per la rappresentazione teatrale del potere. Ha espresso questa convinzione in The English Constitution, la ripete in altre occasioni.

 

What is practicable, and is very much needed - scrive sull'"Economist" nell'ottobre del 1871 -, is the infusion of more men of this calibre [si riferisce a Frederick Rogers elevato al peerage da Gladstone] - men who have studied politics seriously, though from a somewhat different point of view from members of the House of Commons - men who know the practical working of an administrative system - men who are the best judges we could have, not of the popularity of a measure, but of its workability, and of the modifications needed to ensure such workability - into the House of Lords32.

 

2. Fin qui, assai approssimativamente e schematicamente il contenuto di The English Constitution. Resta però da collocare piú chiaramente il lavoro nel tempo, non tanto per amore di puro storicismo, ma perché l'opera di Bagehot, come speriamo sarà chiaro piú avanti, prende decisamente parte a una discussione politica che avviene in un dato momento e con specifici caratteri. Concepito e scritto tra il 1865 e il 1867, il libro si inserisce nel vivo del dibattito, per certi versi dello scontro, sulla riforma elettorale che la morte di Palmerston, l'attività della Reform Union e della Reform League e altri elementi piú contingenti avevano reso ormai urgente. Poco tenero nei confronti dei singoli strumenti della costituzione inglese, di cui nelle pagine del libro ha apertamente e non senza una certa crudezza esposto i difetti principali, l'elemento che piú sembrava a Bagehot una garanzia di buon funzionamento era, come ha avuto modo di notare Richard Crossman: "the existence of a solid centre, composed of the majority of solid, sensible, independent MP's collectively able to make and unmake ministries, to defy when necessary their own whips, and above all to frustrate the growth of "constituency government" outside"33.

Bagehot dava voce alle preoccupazioni di whigs e liberali moderati di fronte alla prospettiva di un eccessivo allargamento del suffragio, per intenderci di una norma che avrebbe scavalcato i limiti di un'ammissione dei soli artigiani specializzati, che quasi unanimemente erano ritenuti sufficientemente accorti da meritare il diritto al voto. Bagehot vedeva con lucidità che l'estensione del suffragio avrebbe trasformato il governo parlamentare esattamente nel suo contrario, nel constituency government, governo del corpo elettorale, che avrebbe avuto come altra perniciosa conseguenza quella di trasferire tutto il potere nelle mani di organizzazioni di partito, le uniche capaci di garantire, nel contesto che si sarebbe creato, adeguati strumenti di orientamento politico. La limitata estensione del suffragio era per Bagehot pienamente giustificata anche dalla considerazione che "[l]e classi lavoratrici non contribui[vano] quasi per niente alla formazione dell'opinione pubblica"34. Un allargamento eccessivo del suffragio, dunque, avrebbe indebolito la capacità che la Camera dei Comuni aveva, almeno nelle questioni di grande importanza per la nazione, di corrispondere all'opinione pubblica del paese. Certo nel parlamento vi erano molti aristocratici, ma anche questo non modificava il problema perché

 

non credo - diceva Bagehot - che queste famiglie abbiano la minima traccia di corporativismo, né una mentalità diversa da quella di chi vive del lavoro della terra. Hanno le opinioni del ceto dei proprietari all'interno del quale sono nati. L'aristocrazia inglese non è mai stata una casta separata, e non lo è nemmeno oggi. Non sosterrebbero nessuna causa che gli altri proprietari non potessero accettare35.

 

La conclusione ribadisce i termini della retorica della Costituzione, fortemente radicata nella classe dirigente del paese: "La funzione "lirica" del parlamento [...] è eseguita bene: traduce nei termini adatti i sentimenti che caratterizzano la nazione"36. Rispondendo poi a quanti avevano sottolineato che era impossibile entrare in parlamento senza una rendita di almeno duemila sterline l'anno, e che vi erano dunque scarse possibilità per numerose persone di valore di guadagnare un seggio nella Camera bassa, dichiara di ritenere che il parlamento doveva dar corpo all'opinione pubblica del paese "e certamente tale opinione è meglio rappresentata dalle proprietà che dal genio"37.

I sentimenti e la qualità del liberalismo di Bagehot sono ancora piú espliciti nell'introduzione all'edizione del 1872. La riforma elettorale del 1867 che aveva allargato l'elettorato in una maniera tale da scavalcare anche le sue piú pessimistiche previsioni, costringeva Bagehot ad interrogarsi sul futuro. Il salto nel buio, "the leap in the dark" di cui aveva parlato lord Derby, era stato compiuto; non si poteva non domandarsi cosa sarebbe accaduto quando fosse stata superata la fase di rodaggio delle prime tornate elettorali e si fosse cominciato realmente ad avvertire la portata della nuova normativa. Il governo di gabinetto, scriveva Bagehot "è stato possibile in Inghilterra perché gli inglesi sono un popolo deferente". L'elettorato, quello che Bagehot definiva "l'elettorato nominale", non decideva autonomamente:

 

la massa degli elettori con un reddito di dieci sterline non si formava da sola le proprie opinioni, e non pretendeva che i propri rappresentanti fossero fedeli alle sue opinioni. Infatti i membri delle classi umili venivano guidati nelle loro scelte dalle classi piú istruite; preferivano avere rappresentanti appartenenti a quelle classi, e davano loro ampia autonomia38.

L'interrogativo, notava poi senza mezzi termini o giri di parole Bagehot, era se la parte della popolazione che aveva appena ottenuto il diritto di voto, avrebbe accettato di lasciarsi guidare, se avrebbe avuto "la stessa deferenza per la ricchezza e il rango, e per le superiori qualità che di solito sono accompagnate e sono rappresentate da questi simboli"39. Prima del 1832, notava ancora Bagehot, la nobiltà inglese, tanto quella titolata che non, aveva avuto il predominio della Camera dei Comuni. La situazione, però, era cambiata profondamente nel 1832: la nobiltà titolata e la gentry erano state scalzate dai ceti medi alla guida della Camera dei Comuni40. Il Reform Act del 1867 aveva concluso e completato il processo cominciato nel 1832; la Camera dei Comuni si era trasformata in un istituto dominato dagli uomini nuovi che rappresentavano la ricchezza commerciale. L'interesse dell'aristocrazia - serrata nella Camera dei Lord - e di quello della "plutocrazia" che dominava la House of Commons era per Bagehot identico:

 

prevenire o mitigare il predominio fazioso di individui con scarsa educazione. Ma per prevenirlo efficacemente non devono litigare tra loro; non devono rivaleggiare per avere il sostegno del loro comune avversario. Ma l'effetto della divisione tra i Lord e i Comuni è precisamente questo: i due grandi gruppi dei ricchi istruiti si rivolgono all'elettorato perché decida tra loro, ma la maggioranza dell'elettorato oggi è costituita dai poveri non istruiti. Questo fatto non può essere un vantaggio per nessuno41.

 

La qualità della cultura politica di Bagehot sembra abbastanza evidente. Secondo Charles Sisson il liberalismo di Bagehot non è che la voce dell'imprenditoria finanziaria e commerciale che cerca di spezzare il monopolio della gestione della cosa pubblica dei rappresentanti dell'interesse fondiario. L'iniziativa commerciale e manifatturiera non era nata nel XIX secolo, ma la rivoluzione industriale e la straordinaria espansione del sistema creditizio avevano rafforzato tra le fila dell'imprenditoria britannica la richiesta di un capovolgimento dei rapporti di forza nel sistema di governo del paese42. Bagehot, per la sua stessa provenienza sociale, per la formazione culturale e politica guardava con scarsa simpatia al mondo dell'aristocrazia fondiaria, ma pure considerava la sua sopravvivenza indispensabile a conservare il sistema di governo del paese in cui i ceti medi avevano ormai le posizioni di comando.

È innegabile che una certa miopia, o i limiti di un liberalismo troppo angusto, non consentivano a Bagehot di ipotizzare equilibri politici diversi da quelli fino ad allora sperimentati. Perfino Woodrow Wilson, che pure appare come uno dei suoi maggiori ammiratori, non poteva fare a meno di notare come Bagehot non mostrasse alcuna simpatia per il "voiceless body of the people", per la massa di persone senza nome, per gli strati numerosi e poveri che formavano la gran parte della società del paese. Wilson sottolineava anche come per Bagehot la gestione della cosa pubblica fosse di stretta competenza di una minoranza colta della nazione43: "he has none of the heroic boldness necessary for faith in wholesale political aptitude and capacity. He takes democracy in detail in his thought, and to take it in detail makes it look very awkward indeed"44. Sono questi gli elementi che spiegano perché l'intellighentia tory britannica si sia immediatamente appropriata del pensiero politico di Bagehot, sottolineando come il suo liberalismo nascesse esclusivamente da una cultura liberista e da un'avversione per l'interesse fondiario che fino agli anni della seconda riforma elettorale avevano quasi esclusivamente caratterizzato lo schieramento conservatore. St John-Stevas non ha dubbi: se non fosse stato per questo, Bagehot non avrebbe avuto difficoltà "in linking himself with the moderate, progressive torysm of the twentieth century, the Conservatism of Baldwin and Chamberlain, of McMillan and Heat, of which Disraeli was the founder"45. Bagehot non aveva alcuna simpatia - nota ancora St John-Stevas - per il "sentimental radicalism" alla Dickens, che serviva solo a rendere le persone piú insoddisfatte della propria inevitabile condizione, e, peggio, a far credere in straordinari quanto improbabili cambiamenti46.

In ultima analisi si può concludere che Bagehot sembra legittimare solo gli interessi forti (l'industria, il commercio e, ma solo per ragioni di equilibrio politico, la terra) mentre non cura gli interessi deboli ma diffusi; da qui la paura di un'estensione troppo ampia del suffragio.

 

 


Giovanni Montroni, Walter Bagehot e la retorica della costituzione inglese


1 W. Bagehot, La costituzione inglese, con un saggio introduttivo di G. Rebuffa, Bologna, Il Mulino, 1995; le citazioni del libro contenute nel testo sono tratte da questa edizione, indicata da ora in avanti come Ed. it.

2 London, Chapman and Hall, 1867.

3 Englische Verfassungzustände, Berlin, C.G. Lüderitz, 1868.

4 La constitution anglaise, Paris-New York, Germer Baillière, 1869.

5 London, H.S. King and Co., 1872.

6 Cfr. P. Pombeni, Introduzione alla storia dei partiti politici, Bologna, Il Mulino, 1985; F. Cammarano, Strategie del conservatorismo britannico nella crisi del liberalismo: "National party e common sense" (1885-1892), Manduria, Lacaita, 1990.

7 The collected works of Walter Bagehot, ed. by N. St John-Stevas, London, The Economist, 1965-1986, 15 voll.

8 W. Bagehot, Lombard street. Il mercato monetario inglese, Torino, Utet, 1905.

9 Torino, Cassa di risparmio di Torino, 1986.

10 Per le vicende biografiche di Bagehot si vedano W. Irvine, Walter Bagehot, London, Longmans, 1939; A. Buchan, The spare chancellor. The life of Walter Bagehot, London, Chatto and Windus, 1959; E.J. Russell Barrington, Life of Walter Bagehot, London, Longmans, 1914; N. St John-Stevas, Walter Bagehot. A study of his life and thought together with a selection from his political writings, London, Eyre and Spottiswoode, 1959; Id., The omnipresence of Walter Bagehot: the Romans Lecture for 1986-7, delivered in Oxford on 3 march 1987, Oxford, Clarendon, 1987.

11 Per un'analisi del positivismo di Bagehot cfr. D. Easton, Walter Bagehot and liberal realism, in "The American Political Science Review", XLIII, 1949, pp. 17-37.

12 N. St John-Stevas, The political genius of Walter Bagehot, in The collected works, cit., vol. V, p. 36.

13 The works and the life of Walter Bagehot, ed. by E.J. Russell Barrington, London, Longmans, 1915, 10 voll.

14 J.M. Keynes, The works of Bagehot, in "The Economic Journal", XXV, 1915, p. 369.

15 R.H.S. Crossman, Introduction to W. Bagehot, The English Constitution, London, Watt, 1964, p. 37; la stessa introduzione compare anche nell'edizione Fontana del 1963.

16 Ed. it., p. 52.

17 Ivi, p. 69.

18 Ibidem.

19 Ivi, p. 101.

20 Ivi, p. 72.

21 Ivi, p. 112.

22 Cit. in A. Briggs, L'Inghilterra vittoriana. I personaggi e le città (1954 e 1963), Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 98.

23 Ed. it., p. 114.

24 Ivi, p. 119.

25 Ivi, p. 55.

26 Ivi, p. 56.

27 Ivi, pp. 60-61.

28 Ivi, p. 141.

29 Ivi, p. 189.

30 Ivi, pp. 191-193.

31 Ivi, pp. 193-194.

32 The collected works, cit., vol. VI, p. 37.

33 Crossman, Introduction, cit., p. 40.

34 Ed. it., p. 168.

35 Ibidem.

36 Ivi, p. 169.

37 Ivi, p. 172.

38 Ivi, pp. 268-269.

39 Ivi, p. 271.

40 Ivi, p. 277.

41 Ivi, p. 280.

42 C.H. Sisson, The case of Walter Bagehot, London, Faber & Faber, 1972, p. 115.

43 W. Wilson, A literary politician, in "Atlantic monthly", LXXVI, 1895, p. 678.

44 Ivi, p. 679.

45 St John-Stevas, The political genius, cit., p. 39.

46 Ivi, p. 49.