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Giovanni Montroni, Walter Bagehot e la retorica della costituzione inglese

3. La fortuna di The English Constitution è stata, come già detto, enorme: solo in lingua inglese, tra il 1867 ed oggi, si contano, tra nuove edizioni e ristampe, ben sessanta proposte del libro47. Una cosí felice accoglienza del lavoro si spiega certo con la facilità e la chiarezza della scrittura, la natura non trattatistica o sistemica di un argomento che è comunemente presentato con toni assai piú paludati e impegnativi; in parte con l'essenzialità dell'argomentazione e gli accenti in apparenza dissacratori che non tanto nascostamente sono diffusi nel testo. Non poco ha inoltre giovato al libro la convinzione dell'autore della superiorità del sistema di governo inglese, che, per non essere fondato specificamente su questa o quella particolare istituzione, sembra alludere ad una superiorità del paese in quanto tale sul resto del mondo.

Woodrow Wilson e Robert Murray concordano nel sottolineare come Bagehot avesse avuto il merito di distinguere nettamente gli aspetti concreti della Costituzione inglese da quelli piú specificamente legali e formali48. Ma non è tutto. Walter Bagehot, vicino ai circoli piú esclusivi della politica e dell'economia inglese, legato da rapporti di amicizia o almeno di conoscenza agli uomini piú rappresentativi ed influenti della classe dirigente, riusciva, secondo Murray, a trasmettere ai propri lettori l'impressione di ascoltare, come in una conversazione privata, dopo cena, un testimone ed un membro di un mondo fino ad allora per loro irraggiungibile, ed era in grado di infondere quella «reverence for the past», quella fiducia per il presente ed il futuro che sembrava caratterizzare il lavoro49.

Con irritazione assai evidente, Trowbridge Ford ha notato come Bagehot goda di una grande considerazione in tutto il mondo che fa, analizza o studia la politica.

For the politician and scholar alike - scrive -, he has provided in his political writings a vitality and realism conducive to new approaches, viewpoints, and goals. To practical politicians, he has given a vivid analysis of their everyday world in terms that they can understand and appreciate. To academics, he has presented experience and scientific theory which they have had into account in their interpretations. British historians have accepted Bagehot as an authority on the Constitution, society, and government of Great Britain. American political scientists have seen him as one of the founders of their discipline. Moreover, the practitioners of empirical theory, particularly in the area of comparative politics, have credited him with repudiating the formalism and parochialism of traditional descriptions50.

L'immagine eccessivamente agiografica di Bagehot come «the realistic and imaginative historian, political analyst, and social theorist» sembra a Ford ampiamente ingiustificata51. La conclusione, fatto salvo il tono eccessivamente rancoroso, è certo condivisibile.

Intanto si può notare come Bagehot mostri una assai modesta comprensione del sistema politico americano; ma fin qui niente di grave, visto che il raffronto con il caso statunitense funziona esclusivamente come espediente retorico per far risaltare la specificità del modello inglese52. Quello che è piú singolare, e che in qualche modo conferma lo schematismo dell'impianto del lavoro, è che, al di fuori del confronto con il modello americano «he essays little comparison with other types of constitution; he does not try to enquire whether the checks and balances which have eroded or disappeared may be or should be repaired or recovered»53.

È invece necessario sottolineare che Bagehot ha decisamente sottostimato il ruolo politico che ancora manteneva la Corona54. La felice e famosa immagine con cui Bagehot ha rappresentato la regina e il figlio dopo la morte del principe consorte - «una vedova in pensione e [...] un giovane disoccupato»55 - consolidava l'idea distorta di una monarchia che non interferiva e non partecipava alla reale attività di governo. Le lettere della regina, invece, hanno mostrato chiaramente come questa abbia avuto un ruolo molto piú attivo e piú ampio di quanto suggerito da Bagehot ed hanno restituito alla ricostruzione storica un personaggio non secondario dello scontro politico nell'Inghilterra ottocentesca.

Egualmente poco convincente è la datazione della marginalizzazione della componente aristocratica nella Camera dei Comuni, che, come piú volte viene sottolineato nel libro, cadrebbe tra il 1832 ed il 1867. Dopo le elezioni del dicembre 1832, le prime dopo la riforma elettorale, un commentatore non sospetto, il marchese di Tavistock, scriveva al fratello William Russell: «with regard to the House of Commons I am satisfied, because I see in it men of age and property, strong as we have ever seen before, and as much aristocracy»56. A questo proposito si può notare che ancora nel 1865 il 31% dei membri della Camera dei Comuni era costituito da baronetti, pari irlandesi, figli di pari e di baronetti, mentre la gentry e le persone a vario titolo legate alla nobiltà titolata erano il 45%57. Si può ancora aggiungere che i proprietari di oltre duemila acri di terra che sedevano nella Camera dei Comuni erano 407 nel 1868 e 322 nel 188058 e che, come indicano i vecchi ma sempre utili lavori di Norman Gash ed Harold Hanham59, il sistema politico, almeno fino all'età di Gladstone, era ancora nel suo complesso sotto il controllo della nobiltà titolata e dell'aristocrazia fondiaria. Adam Badeau nel 1886 notava che «there are few noblemen who are unable to secure the return of their eldest son to the House of Commons»60. E questo senza contare che la tenuta dell'aristocrazia fondiaria britannica è stata particolarmente pervicace nel governo locale. Complessivamente non si può non notare come The English Constitution proponga una lettura assai semplificata della vicenda politico-sociale dell'Inghilterra ottocentesca.

4. The English Constitution ovviamente non nasce dal nulla, ma ha alle spalle la robusta tradizione politica benthamiana. Come ha notato Crossman, Bagehot accetta senza riserve due principi centrali della costruzione politica di Bentham. Per prima cosa riconosce che il governo è semplicemente un tipo particolare di gestione, sia pure applicata alle istituzioni dello Stato; in secondo luogo partecipa della convinzione di Bentham che il gruppo che regola il funzionamento della macchina statale lo fa sempre nel proprio interesse61. Su queste basi Bagehot comincia a costruire un modello completamente autonomo.

In the nation - scrive Crossman riassumendo il pensiero di Bagehot - as any other group, it is not the individual, thinking and acting for himself that normally settles an issue, but the force of habit and tradition, working through groups and associations62.

È vero dunque che uno Stato governato da una aristocrazia fondiaria difenderà per prima cosa il land interest. Un governo aristocratico, però, non potrà essere, cosí come ritiene Bentham, semplicemente una facciata per nascondere l'interesse di un gruppo sociale, ma sarà costretto ad agire conformemente alla tradizione che vuole che la classe dirigente esprima e tuteli i bisogni della parte della popolazione esclusa dal potere63. Allo stesso modo, la middle class, che è diventata, dopo il 1832, la nuova classe dirigente non ha mirato a promuovere esclusivamente gli interessi commerciali o finanziari. Imprenditori, finanzieri, mercanti non hanno scardinato il vecchio sistema di governo perché avevano assunto i modi e sposato le tradizioni della vecchia aristocrazia fondiaria64. Pronta ad ammodernare gli strumenti operativi e decisionali della macchina di governo, la nuova classe dirigente lasciava praticamente inalterate le dignified parts che, per quanto dispendiose, anacronistiche, inefficienti, godevano di straordinaria considerazione ed esercitavano una grande presa sulla popolazione del paese65. L'insistenza con cui Bagehot sottolinea la profonda trasformazione degli strumenti reali di governo è tale da suggerire a Crossman l'idea, frutto di una forzatura nella lettura del testo, che Bagehot ritenesse di non trovarsi piú di fronte a un sistema monarchico, ma a una sorta di «disguised republic», una repubblica mascherata, un sistema di governo che aveva separato le parti nobili da quelle operative, saldandole insieme «so as to conceal from the masses the revolutionary shift of power that had taken place behind the constitutional façade»66.

Crossman sottolinea anche come The English Constitution sia una diretta risposta al lavoro di John Stuart Mill sul governo rappresentativo67. Nella frase di Bagehot - «Ma chi osservi la realtà vivente, si meraviglierà del contrasto rispetto alla sua descrizione sulla carta»68 - l'espressione «descrizione sulla carta» è, secondo Crossman, inequivocabilmente riferita al lavoro di Mill. Persuasi entrambi della necessità di evitare quella che Mill definiva «the tyranny of the majority»69, che si sarebbe affermata con un'eccessiva estensione del suffragio, sono lontani su numerosi elementi interpretativi. L'idea di Trowbridge Ford, che Bagehot abbia preso da Mill le idee essenziali e che il suo lavoro fosse poco piú che una volgarizzazione del pensiero di quest'ultimo pare, almeno per quanto riguarda The English Constitution, francamente una forzatura, perché tra i due vi sono evidenti elementi di differenziazione70. Quello che, secondo Bagehot, faceva del lavoro di Mill una «paper description» era la mancata individuazione della distinzione tra le dignified e le efficient parts della Costituzione inglese, della fusione tra potere esecutivo e legislativo e della supremazia del ruolo del gabinetto71.

Secondo la felice espressione di Ferdinand Mount, per Bagehot la Costituzione è un motore non un edificio, ed è forse la prima persona «to think of the polity as "Great Britain Ltd", although he would not be vulgar enough to use the phrase»72. Non è difficile notare che Bagehot si muove su un terreno di indagine che gli è sostanzialmente estraneo per cui l'approccio, rivolto ad individuare esclusivamente le ragioni ed il meccanismo di funzionamento, il motore appunto, porta inevitabilmente ad una estrema semplificazione.

Anche su una delle intuizioni piú affascinanti - quella del ruolo di dignified parts nel sistema di governo - Bagehot si limita a denunciare l'esistenza e l'importanza di strumenti che concorrono con finalità specifiche al buon governo del paese; non una parola però su come la Camera dei Lord e tutta l'aristocrazia fondiaria catturano concretamente la deferenza. Il concetto di deferenza, congiuntamente a quello simmetrico di influenza non sono ovviamente concetti analitici completamente nuovi e inventati da Bagehot; per i precedenti piú vicini all'autore vanno infatti segnalati i contributi di Samuel Bailey, ignorato completamente nel libro, e di Sir George Cornewall Lewis73, citato, ma senza riferimenti specifici al suo lavoro. Il concetto di deferenza, però, non viene adoperato da Bagehot in maniera convincente. Secondo questi la vitalità del sistema politico britannico era garantita dal fatto che una sufficiente proporzione della parte meno ricca dei ceti medi ammessi al voto nel 1832 riconosceva la superiorità sociale e quindi la legittimità del governo dei gruppi piú ricchi e dallo status piú elevato. In realtà la ricchezza e il rango possono creare la deferenza solo se diventano elementi attivi nel quadro delle relazioni sociali, se ad esempio sono adoperati per alimentare il patronato nei confronti della comunità locale. In condizioni diverse denaro e status possono non creare nulla o possono produrre tutto il contrario della deferenza: rancore e protesta sociale. Quello che Bagehot non vede, o comunque tace, come nota David Creasp Moore, è che influenza e deferenza, fattori cruciali della politica inglese alla metà del XIX secolo, si realizzavano solamente in quelli che potrebbero essere chiamati «deference communities» o «deference networks», che funzionavano come action groups della politica inglese alla metà del XIX secolo74. Non si riesce a sfuggire alla tentazione di pensare che le argomentazioni del libro di Bagehot aiutavano a rinforzare le tradizionali «deference communities» e i «deference networks», progressivamente indeboliti dalla crescente importanza di relazioni completamente diverse75.

In definitiva sembra condivisibile il giudizio espresso da Nevil Johnson:

The weakness of Bagehot's analysis lay in his relative lack of interest in the terms on which even the efficient parts of the Constitution rested. He was anxious to describe what happened, but more or less indifferent to the problem of making sense of this by reference to the principles guiding the actors. One long-term consequence of this was of course that the very pragmatism of that analysis helped to prepare the way for weakening of the understanding of constitutional categories [...] It reduced the British Constitution to pure description76.

Un altro dei difetti del libro di Bagehot, che è un atteggiamento tipico del giornalismo, è la esagerazione, la esasperazione delle posizioni dell'avversario. Se vuole, ad esempio, vincere piú facilmente una polemica, espone male o comunque indebolisce gli argomenti degli avversari e rafforza le sue conclusioni77. La teoria, ad esempio, con cui polemizza Bagehot è la versione estrema della separazione dei poteri, cui oppone la teoria, egualmente nella sua forma estrema, della fusione del potere legislativo con quello esecutivo. È successo cosí, come nota Vile, che le affermazioni di Bagehot, e le false alternative che prospettava siano state prese troppo alla lettera e abbiano assunto un rilievo ed una influenza assolutamente sproporzionati. Non solo la sua pretesa di originalità, prosegue Vile, è falsa, ma la sua esposizione dei principi centrali della Costituzione rivela un approccio distorto e antistorico78. Non solo dunque la teoria della separazione dei poteri con cui polemizza Bagehot è una forma ancora una volta assai semplificata, ma non tiene conto neanche dell'ampio dibattito che ha caratterizzato la vita politica inglese dalla fine del Settecento in poi e che aveva spostato l'accento dalla separazione dei poteri a una Costituzione bilanciata, fondata su una piú attenta valutazione dei rapporti e degli equilibri tra le varie parti. In particolare nel lavoro del giurista John James Park vi è una chiara anticipazione della pretesa scoperta di Bagehot della stretta relazione tra il potere esecutivo con quello legislativo79. Vile nota anche che già nel 1863 sir George Cornwall Lewis anticipava l'idea piú nota e piú citata di Bagehot e con gli stessi termini adoperati da Bagehot; per Lewis, infatti, l'esecutivo era «a standing committee of the supreme legislature»80.

Le ragioni che stanno dietro le debolezze e le omissioni di The English Constitution vanno ricercate nelle motivazioni politiche che hanno alimentato il lavoro. Nonostante l'apparente distacco e la freddezza con cui conduceva l'esposizione, Bagehot non intendeva spaventare i suoi lettori della middle class, ma piuttosto mobilitarli, mostrando loro gli effetti perversi dell'estensione del suffragio81. Se l'estensione del suffragio era tale da garantire alle lower classes di avere il controllo dei comuni che cosa avrebbe regolato il loro potere? Doveva essere chiaro - insisteva Bagehot - che la legge del 1832 non aveva ricreato un'armonia nella Costituzione; non vi erano piú sistemi di controllo dell'equilibrio; la Costituzione bilanciata, se pure era mai esistita, certo non esisteva piú. La middle class non doveva nutrire illusioni: chiunque controllava la House of Commons aveva il potere assoluto82. La determinazione di evidenziare la mancanza di restrizioni all'esercizio del potere metteva la teoria di Bagehot in una certa difficoltà. Bagehot non comprendeva come funzionava la Costituzione nelle mani di una minoranza acculturata e come avrebbe funzionato nelle mani dei rappresentanti di una moltitudine ignorante. Non riusciva inoltre a distinguere chiaramente tra gli aspetti legali e quelli concreti del governo inglese. Il risultato era un quadro del sistema britannico incompleto e distorto al tempo stesso. La teoria della fusione dei poteri, ad esempio, svilisce un sessantennio di dibattito costituzionalista caratterizzato «by the recognition of the need for a partial separation of the personnel of government and a partial separation of the functions of government»83. Queste estremizzazioni costringono Bagehot a contraddirsi in piú di un punto; non è difficile infatti notare che la possibilità del gabinetto di sciogliere i Commons dimostra non che il potere legislativo ed esecutivo sono fusi, ma al contrario che sono separati84. Assai frequente inoltre è la confusione che Bagehot crea tra l'unione e l'equilibrio dei poteri85.


Giovanni Montroni, Walter Bagehot e la retorica della costituzione inglese


47 Il calcolo è stato compiuto sulla base dei volumi indicati nel National Union Catalog, e quindi va considerato approssimato per difetto.

48 Wilson, A literary politician, cit., p. 670; R.H. Murray, Studies in the English social and political thinkers of the nineteenth century, Cambridge, Heffers, 1929, vol. II, p. 244.

49 Murray, Studies in the English social, cit., p. 244.

50 T.H. Ford, Bagehot and Mill as theorists of comparative politics, in «Comparative politics», II, 1970, p. 309.

51 Ivi, p. 311.

52 R.H.S. Crossman, The myths of Cabinet government, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1972, p. 10.

53 F. Mount, The British Constitution now. Recovery or decline?, London, Heinemann, 1992, p. 45.

54 Murray, Studies in the English social, cit., p. 245.

55 Ed. it., p. 69.

56 Lettera del 24 febbraio 1833, in Letters to George William Russell from various writers, 1817-1845, London, vol. I, 1915, pp. 187-188.

57 W.L. Guttsmann, The British political elite, London, Macgibbon and Kee, 1963, p. 41.

58 J.V. Beckett, The aristocracy in England 1660-1914, Oxford, Blackwell, 1986, p. 433.

59 N. Gash, Politics in the age of Peel. A study in the technique of parliamentary representation 1830-1850, London, Longmans, Green, 1953; H.J. Hanham, Elections and party management. Politics in the time of Disraeli and Gladstone, London, Longmans, Green, 1959.

60 Cit. in Beckett, The aristocracy, cit., p. 433.

61 Crossman, Introduction, cit., p. 13.

62 Ivi, p. 14.

63 Ibidem.

64 Ivi, pp. 14-15.

65 Ivi, p. 15.

66 Ibidem.

67 J.S. Mill, Considerations on representative government, London, Parker, son and Bourn, 1861.

68 Ed. it., p. 45.

69 J.S. Mill, The Tocqueville on Democracy in America, in «Edinburgh Review», ottobre 1840, ora in Collected works of John Stuart Mill, ed. by J.M. Robson, vol. XVIII, Toronto-London, University of Toronto Press-Routledge & Kegan Paul, 1977, p. 177.

70 Ford, Bagehot and Mill, cit., p. 324.

71 Crossman, Introduction, cit., pp. 7-10.

72 Mount, The British Constitution now, cit., p. 46.

73 S. Bailey, The rational of political representation, London, Hunter, 1835; G.C. Lewis, An essay on the influence of authority in matters of opinion, London, Parker, son and Bourn, 1849.

74 D.C. Moore, The politics of deference. A study of the mid-nineteenth century political system, Hassocks, Harvester Press, 1976, pp. 12-13.

75 Ivi, p. 13.

76 N. Johnson, In search of the Constitution: reflections on State and society in Britain, Oxford, Pergamon, 1977, p. 40.

77 M.J.C. Vile, Constitutionalism and the separation of powers, Oxford, Clarendon Press, 1967, p. 224.

78 Ivi, pp. 213-214.

79 J.J. Park, The dogmas of the Constitution. Four lectures, London, Fellowes, 1832.

80 G.C. Lewis, A dialogue on the best form of government, London, Parker, son and Bourn, 1863, p. 90.

81 Vile, Constitutionalism, cit., p. 224.

82 Ivi, p. 225.

83 Ivi, p. 226.

84 Ibidem.

85 Ivi, p. 227.