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Helga Dittrich-Johansen, la "donna nuova" di Mussolini tra evasione e consumismo

4. Nell'ambito di un'indagine sul rapporto donne e fascismo, l'importanza del rotocalco, e in specie della «piccola posta» al suo interno, non risiede tanto nell'ideologia conservatrice di cui esso si fa portatore, né nella trattazione di temi incentrati sulla celebrazione della donna-custode del focolare e dell'intimità domestica. Essa non risiede neppure, a mio avviso, nelle risposte e nei consigli rassicuranti dispensati dalla direttrice e dalle altre «signore-bene» che collaborano alla stesura delle riviste. Sono, piuttosto, il contenuto e soprattutto il tono delle lettere a fornire indizi e tracce utili di un mondo femminile in evoluzione, entrato da poco in contatto con una nuova realtà ben diversa da quella delle precedenti generazioni femminili. La pagina della «piccola posta» non costituisce, però, l'unico spazio in cui è possibile ascoltare direttamente la voce di questo mondo sommerso in divenire. Nel corso degli anni Trenta la stampa per le donne coltiva, infatti, anche l'ambizione di trasformarsi in un prodotto culturale delle donne: spinte innanzitutto dal desiderio di aumentare la tiratura e le vendite, direttrici e redattrici procedono alla conquista diretta del proprio pubblico chiamandolo a partecipare attivamente al progetto di costruzione delle testate. Come si è accennato in precedenza, vengono pertanto banditi - al fine di «darvi il giornale come voi lo desiderate» - referendum, sondaggi ed inchieste tra le lettrici, esortate a pronunciarsi su tutto quanto possa riguardare la donna ed il suo mondo. Nessun tipo di pregiudiziale viene in apparenza posto: si potrà di volta in volta discutere liberamente di temi inerenti la famiglia, la società, la cultura ed il lavoro. C'è chi, come la direttrice di una rivista romana di successo, si spinge ancora oltre, proclamando con orgoglio che persino la «politica propriamente detta» e tradizionalmente considerata «diritto e dovere degli uomini»49, costituirà, sia pure con la dovuta cautela, oggetto di dibattito e di confronto. Con ritmo incalzante vengono proposti quesiti via via piú impegnativi: intendendo contribuire a sviluppare nella donna «la intelligenza, la comprensione della vita, la conoscenza dei problemi complessi della società moderna, il senso di responsabilità che essi implicano»50, Ester Lombardo si propone di dare a «Vita femminile» una fisionomia piú dinamica e moderna. Restando fermo l'obiettivo di rivolgersi ad un pubblico di massa, esso viene ora perseguito ricoprendo il duplice ruolo di strumento di elaborazione delle idee e di veicolo delle opinioni espresse dalle lettrici. La serietà e la professionalità dello staff redazionale sono garantite dalla promessa che nessun messaggio o intervento andrà incontro a condizionamenti o manipolazioni sul piano contenutistico e/o ideologico.

Il 1931 si apre con una novità per le lettrici ed abbonate della rivista milanese, invitate ad intervenire su temi che costituiranno argomento di discussione nei numeri successivi. L'iniziativa si propone di rendere omaggio al «nobile contributo della donna alla civiltà», di cui vengono di volta in volta presi in esame aspetti diversi quali «la donna ed i problemi dell'educazione - i problemi del lavoro femminile - la donna ed i problemi dell'alta cultura - la donna e l'amore - la donna e la politica». Per quanto concerne l'ultimo punto, autentica nota dolens in epoca fascista, ci si affretta a precisare che esso verrà trattato «beninteso inquadrato in una razionale organizzazione che dovrà risultare la piú conveniente e la piú dignitosa»51. Piú concentrato nei contenuti e nella durata temporale, ma non per questo meno stimolante, è il sondaggio che vede impegnati la rivista ed il suo pubblico nel corso dell'anno successivo: La donna moderna è piú o meno utile alla famiglia di quanto lo fu sua nonna?, viene chiesto nel luglio 1932.

La formula del referendum e del dialogo diretto sembra riscuotere un largo consenso tra le lettrici che rispondono con entusiasmo alla novità, al punto che si può presumere che la testata abbia registrato un certo incremento della tiratura anche grazie all'introduzione di questo «filo diretto» tra emittente e destinatarie.

L'espediente del sondaggio, cosí come quello della «piccola posta», non si configura tuttavia come una prerogativa esclusiva di «Vita femminile». Disdegnati dalla stampa piú irreggimentata rivolta esplicitamente alle militanti inquadrate nelle organizzazioni di partito52, come pure dalle riviste piú elitarie impegnate a promuovere lo sviluppo di un organico progetto di elevazione morale e spirituale della donna italiana53, essi vengono per contro prontamente adottati dall'intero settore dei settimanali e mensili di varietà- moda-intrattenimento, quelli cioè destinati alla donna «comune» di modesta condizione socio-economica, poco interessata ai grandi temi sociali e politici e bisognosa di consigli e continue rassicurazioni. A questo filone della pubblicistica non appartengono neppure le patinate e prestigiose riviste come «La Donna», «Lidel» e «Per voi signora», lette dalle dame dell'alta società e dove gli ingredienti che ne decretano il successo sono altri: «molta moda, consigli di bellezza, poca posta perché le donne ricche non hanno problemi di cuore e, se li hanno, li risolvono a loro giudizio»54.

Sulla medesima scia di «Vita femminile» si collocano non solo settimanali illustrati dalle modeste pretese come «Lei» ed «Eva» (nel corso del 1933 quest'ultima invita, ad esempio, le sue lettrici ad esprimersi sul tema La donna è pari all'uomo? e nel 1934 a pronunciarsi sul quesito Perché sulla donna influisce piú la forza che l'intelligenza dell'uomo?) ma persino un mensile con ben piú elevate aspirazioni culturali come «La Donna italiana». Sorto con l'intento di «propugnare dalle sue pagine il riconoscimento della collaborazione della donna nella vita della nazione [...] [e] l'elevazione culturale femminile»55, dai primi anni Trenta il foglio della Magri-Zopegni va incontro ad una progressiva «fascistizzazione» ideologica e contenutistica che lo porta ad abbandonare la sua precedente vitalità e a «gonfiare» inutilmente gli spazi e le rubriche aperti agli interventi del pubblico. Con la Posta della direttrice, la Pagina di Jolanda (sulla cura e l'allevamento dell'infanzia), la Rubrichetta intima e l'immancabile Pagina dei concorsi, l'impegno degli anni precedenti finisce con l'annegare in quesiti frivoli e oziosi del tipo Quale è nell'arcobaleno il colore che vi piace di piú e perché? oppure A che cosa o a quale pensiero ricorrete per confortarvi nelle ore di scoramento? Nonostante l'evidente caduta di stile, la direttrice auspica ancora che «per l'attuale referendum le volonterose vengano in maggior gruppo a prendere parte al convegno amico».

La vacuità e la leggerezza sono, dunque, un tratto peculiare dei rotocalchi femminili, in cui temi anche significativi e suscettibili di maggiore approfondimento vengono il piú delle volte affrontati in modo banale. Eppure in alcuni interventi è possibile talora reperire prese di posizione che sorprendono per la loro vena polemica verso l'ordine costituito. L'espediente del referendum dimostra, infatti, di essere non solo un importante momento di incontro tra idee ed opinioni a volte profondamente contrastanti, ma consente anche di cogliere identità femminili nuove che vanno prendendo piede nel nostro paese. Per alcune lettrici, ad esempio, il lavoro extradomestico non va visto unicamente come una necessità imposta dalle difficoltà economiche, ma deve essere anche una scelta responsabilmente compiuta dalla donna al fine di sottrarsi alla pesante dipendenza dal padre/marito. In questo modo, l'impiego fuori casa può divenire un elemento fondamentale di emancipazione e di crescita individuale; senza con ciò volersi opporre alla tradizionale divisione sessuale che regola il mondo del lavoro, si reclama dunque un maggior rispetto per il contributo apportato dalle donne nel sistema produttivo della nazione. In luogo della rigida separazione dei ruoli tra i due sessi, si auspica pertanto l'avvento di una fattiva reciproca collaborazione che dovrebbe prendere le mosse proprio dall'ambiente economico in cui «basterebbe che l'uomo non si ostinasse piú a voler vedere la donna come la temuta concorrente ma semplicemente come la collaboratrice necessaria»56. Per molte tuttavia questo resta un traguardo lontano, cui si potrà pervenire soltanto nel lungo periodo allorché verrà finalmente abbattuta l'insormontabile barriera di anacronistici pregiudizi e stereotipi in nome della quale si continua ad impedire un piú armonico sviluppo delle relazioni sociali.

Ciò che alcuni interventi pubblicati sui rotocalchi paiono voler suggerire è che la donna italiana sta cambiando, ma anche che le resistenze provenienti dal fronte maschile continuano ad essere numerose ed agguerrite, rese anzi piú tenaci da un sistema politico di potere particolarmente ostinato nel penalizzare e nel disconoscere57 il contributo femminile dato alla crescita culturale e produttiva della nazione. «Gli uomini ci temono come siamo - si legge su «Vita femminile» nel 1932 -, hanno paura di far brutta figura accanto a noi che abbiamo imparato tante cose, compresa quella di guadagnar danaro, ch'essi avevano monopolizzate. Hanno timore di vedersi superati in una lotta in cui avremmo tutti i vantaggi e le prerogative inerenti al sesso. Perciò fanno i nostalgici»58. È necessario, quindi, modificare la mentalità maschile e metterla al passo con i nuovi tempi, giacché «questa donna - sostiene con veemenza un'altra lettrice della medesima rivista - non può piacere che all'uomo a sua volta modernamente intelligente, libero d'ogni restrizione mentale, e affrancato da ogni centenario pregiudizio»59. Altri interventi invitano, invece, piú prudentemente a non nutrire troppe illusioni, almeno nel breve periodo. La strada intrapresa non sarà, infatti, né breve né tanto meno lineare:

[...] le donne girano per le strade assolate del mondo, guardano tutto con occhi inquieti di adolescenti, vogliono imitare gli uomini, li rincorrono, li affrontano, vogliono fare di tutto [...] Ma c'è ancora un lungo cammino da percorrere: ancora pari agli uomini non siamo [...] Io mi auguro che il travaglio della nostra generazione valga a creare la piú completa donna di domani: non oggetto di lusso, non macchina da riproduzione, non serva ottusa, né creatura angelicata, ma la compagna vera e perfetta dell'uomo per la migliore gioia di entrambi60.

Il dibattito sulla donna nuova infervora le lettrici, secondo le quali il mutamento dell'identità femminile italiana61 è da ricondursi in primo luogo a quanto avvenuto nei primi decenni del nuovo secolo. Il movimento femminista, la mobilitazione bellica ed il febbrile clima politico e sociale del dopoguerra hanno contribuito a rendere le donne piú responsabili e consapevoli dei propri doveri e delle proprie potenzialità, troppo a lungo rimaste ad uno stadio latente.

Il ripudio da parte fascista delle istanze suffragistiche della «prima ora» e lo smantellamento delle organizzazioni femministe62 avevano creato uno stato di profonda confusione ed incertezza, documentato pure da numerosi interventi sui rotocalchi. Cosí risponde, ad esempio, una lettrice di «Eva» al quesito «la donna è pari all'uomo?»:

Credo giustissimo [...] che le donne molto femminili sieno le piú femministe. Il movimento femminista che è crollato, è crollato appunto perché voleva mascolinizzare la donna, snaturarla [...] Intellettualmente, l'uomo è superiorissimo [...] Ma non si potrebbe dire, a questo punto, che la donna ha essa pure il suo trionfo nella maternità? [...]63.

La propaganda di regime scatenata contro la «maschietta» e la «sterile snaturalizzata», contribuisce inoltre a rafforzare la misoginia degli strati sociali piú nostalgici dei valori tradizionali propri di un mondo patriarcale precapitalistico, mentre l'ambigua politica verso le donne non fa che confondere ulteriormente le generazioni piú giovani64. La maggior parte delle lettere e degli interventi testimonia di questa incertezza imperante tra le ragazze, strette tra antichi doveri (la maternità, innanzitutto) e nuove opportunità di realizzazione personale, anche se le loro parole tendono piú a giustificare che a rivendicare l'accresciuta presenza femminile nel mondo del lavoro e dell'istruzione. «Per libertà - chiarisce una lettrice - non s'intende la ribellione ad ogni legge sociale: s'intende solo il desiderio di prendere parte alla vita attiva che si svolge oltre le mura della propria casa [...] Per poter far ciò e acquistare la propria indipendenza economica, la donna nuova lavora. E che c'è di male?»65.

Messo il bavaglio alla stampa democratica e disperso il movimento femminista, di cui sopravvivono solo ambigue versioni «borghesi» e «fasciste», il diritto ad emanciparsi attraverso lo studio ed il lavoro cessa di essere gridato e rivendicato con la lotta frontale, ma non per questo viene abbandonato. Si continua, nonostante tutto, a sostenere la conciliabilità tra impegni extradomestici e responsabilità familiari, a ripudiare la riduzione della propria femminilità all'unica funzione di «macchina riproduttrice», si fa appello allo spirito di solidarietà di genere contro il dispotismo maschile. Simili posizioni non vengono meno, ma sono adesso portate avanti servendosi della sola arma strategica che si ha ancora a disposizione. Se resta sostanzialmente invariato il contenuto delle rivendicazioni, muta invece la via da percorrere per il loro conseguimento. Le donne italiane, lungi dall'acconsentire in modo acritico ed incondizionato alla dittatura, optano per il compromesso, si adattano ricercando un modus vivendi tra le imposizioni dall'alto e le proprie aspettative ed aspirazioni. Ed il rotocalco sembra assecondare tale loro esigenza.

Libere di parlare e di confrontarsi, alcune lettrici denunciano il perdurare del preconcetto sull'inferiorità naturale della donna, polemizzando contro «la sottigliezza di qualche misogino [che] ha creduto di trovare una prova inconfutabile [...] nella constatazione scientifica che il peso del cervello della donna sia minore e le circonvoluzioni siano meno ampie che nel cervello dell'uomo». Le ragioni della disparità intellettuale tra uomo e donna sono - si fa notare - ben altre, tutte ugualmente riconducibili al fatto che «la donna, da millenni, è stata lasciata, salvo poche eccezioni, nell'ignoranza»66. Lo stereotipo che vuole la donna istruita condannata alla sterilità ed alla saccenteria viene dunque seccamente respinto, bollato come un «vecchio cliché ripetuto a preferenza da spiriti grossolani»67. Parole dure, come si vede, ma è dalle pagine di «Eva» che viene scagliata la denuncia piú dirompente nei confronti dell'intero sistema. Si tratta di un intervento che punta l'indice contro l'arroganza dei maschi e tutto un modo distorto di concepire la funzione materna, non risparmiando critiche neppure alla stessa cultura cattolica indicata come la principale responsabile dello stato di torpore e di semi-incoscienza in cui (salvo poche eccezioni) giace la stragrande maggioranza delle donne italiane. Secoli di condizionamento le hanno relegate ai margini della società, escludendole dalla storia.

La battagliera voce che squarcia l'ovattato mondo dei settimanali non ha né volto né nome e ci è nota unicamente sotto il delicato pseudonimo di Lira, ma essa giunge sino a noi ergendosi a vero e proprio «J'accuse» contro l'intera impalcatura ideologica innalzata dal fascismo per legittimare la sua politica di discriminazione delle donne protrattasi per un intero ventennio.

Il soave avvolgente incanto che gli uomini hanno sparso come un sonnifero attorno a noi chiamandoci piccole, deboli, schiave, materia plasmabile dall'uomo che è lui solo lo spirito, fu un narcotico pericoloso che ci limitò sempre ad una parte complementare nello svolgimento dell'esistenza. Fummo eternamente quella benedetta costola, e per mantenerci tali, l'uomo si appella continuamente alla genesi negando ogni evidenza di perfetta emancipazione [...] Troppe ancora sono è vero quelle in letargo, che sognano le forti braccia e le maschie volontà dominatrici, ma le poche che si sono fatte una chiara coscienza delle proprie possibilità possono volere solo un compagno col quale dividere le responsabilità quotidiane, preparate in ogni evento ad addossarsele in pieno, quali l'educazione dei figli, il loro mantenimento, la loro preparazione alla vita, la direzione di una vita famigliare, affari commerciali, difese di interessi. Rivendichiamo questo sacro orgoglio di non essere né degli oggetti di lusso, né dei parassiti chiusi fra quattro pareti, pronte solo ad una incosciente procreazione [...] educate in voi stesse la dignità della vostra persona e rivendicate le vostre responsabilità [...] Liberiamoci dalla vecchia taccia di esseri deboli, piace troppo agli uomini addormentarci in quell'illusione, perché vediamo solamente i cieli che alla loro opportunità piace proporci68.

Il moralismo ideologico trova indubbiamente largo credito tra le lettrici, molte delle quali sembrano in effetti accettare e condividere acriticamente la tradizionale «teoria dei primati» (del cuore per la donna, dell'intelletto per l'uomo) che Marioletta cosí magistralmente ci riassume: «Secondo me, la donna è pari all'uomo soltanto nei doveri. Non nei diritti, per la differenza morale e spirituale che è la conseguenza della diversità di natura che li divide»69. Il conformismo e la difesa ad oltranza dello status quo, autentica «linfa vitale» da cui il rotocalco trae la sua stessa ragione di essere, non potrebbero ricevere consacrazione migliore.

Ma, allora, come spiegare la carica dirompente di interventi come quello di Lira? Si può avanzare l'ipotesi che il mostrare una certa disponibilità ad ospitare manifestazioni di dissenso e denuncia verso quello stesso ordine morale e sociale difeso dalle riviste costituisca una conferma ulteriore di quella necessità cui si è già fatto cenno, il doversi cioè piegare alle leggi del mercato ancor piú che alle direttive ufficiali del regime ed il rendersi conto che la conquista di ampie fasce di pubblico passa anche attraverso una calcolata ed opportunistica strategia elaborata a livello redazionale e che Piero Bianucci definisce del dissenso programmato70.

Lo spazio concesso a posizioni dal sapore rivendicazionista e dal contenuto destabilizzante, lungi dal configurarsi come una «svista» o un «incidente di percorso», può almeno in parte essere spiegato con la maggiore libertà di espressione goduta dalla pubblicistica femminile rispetto ai giornali piú impegnati sul piano politico ed informativo. Ci si può, d'altro canto, chiedere se certi interventi «siano veramente l'espressione innocente di una qualche lettrice o se invece non siano volut[i] dalle stesse redattrici che possono in tal modo parlare piú liberamente»71. Senza voler negare la validità di simili supposizioni, sono tuttavia dell'avviso che la ragione vera del contrasto reperibile all'interno dei rotocalchi femminili tra consenso e dissenso vada ricercata nelle caratteristiche e nella natura stesse dell'industria culturale di massa e nel fatto che tra i «persuasori rosa», già a partire dagli anni Trenta, incomincia a farsi strada «la convinzione che un po' di anticonformismo e di irriverenza tutto sommato finiscono con il giovare al sistema e indirettamente danno credibilità alle altre parti del giornale dove la manipolazione delle notizie è un fatto normale»72.

Seguendo la tesi proposta da Bianucci, si può dunque assegnare una funzione ben precisa alle rivendicazioni avanzate dalle lettrici. Mentre le voci di dissenso e polemica consentono di ostentare un volto aperto a tutte le idee e posizioni, il confronto che si viene a stabilire tra questa boccata di freschezza ed il perbenismo imperante in tutte le altre sezioni della stampa delle donne finisce, infatti, con il risolversi in un ulteriore consolidamento della morale corrente.

Risulta, in ultima analisi, alquanto azzardato parlare della stampa femminile come di uno strumento intenzionato a divulgare immagini e modelli comportamentali frontalmente contrapposti a quello ufficiale. Se proprio si vuole, però, riconoscere al settimanale illustrato di moda e varietà una qualche funzione di rottura nei confronti dell'ordine costituito, sono dell'opinione che sia decisamente piú opportuno focalizzare l'indagine non tanto sulla rivendicazione di un tipo femminile emancipato e responsabilizzato, quanto piuttosto sulla elaborazione di altre immagini (anch'esse d'altronde percepite dai ceti dirigenti come potenzialmente destabilizzanti). Mi riferisco, in particolare, al modello di donna e di lettrice cui il rotocalco si rivolge e cioè alla giovane commessa, segretaria o operaia, incuriosita dal nascente consumismo di massa, affascinata dai divi del cinema e non ancora del tutto pronta a muoversi da sola «per le strade assolate del mondo»73.


Helga Dittrich-Johansen, La "donna nuova" di Mussolini tra evasione e consumismo


49 M. Magri-Zopegni, Il compito della donna italiana, in «La Donna italiana», n. 5, maggio 1941, p. 2. «La Donna italiana», «rivista mensile di lettere-scienze-arti e movimento sociale femminile», era un periodico di impostazione cattolica progressista, fondato e diretto da Maria Magri-Zopegni (Roma, 1924-1943). Per ulteriori informazioni si rimanda a S. Follacchio, Conversando di femminismo. «La Donna italiana», cit.

50 E. Danesi Traversari, Educazione, in «Vita femminile», n. 2, febbraio 1930, p. 13.

51 La donna e la civiltà nel mondo. Il nostro referendum, ivi, n. 2, febbraio 1931, pp. 11-12.

52 Ci si riferisce, in particolare, a «Il Giornale della donna», «periodico di educazione sociale femminile», fondato a Roma nel 1918 ed organo ufficiale dei Fasci femminili dal 1930. Diretto fino al 1935 da Paola Benedettini Alferazzi, la direzione passò poi a Carlo Ravasio e il foglio divenne «La Donna fascista». Cessò le pubblicazioni nel 1943.

53 Tra i periodici femminili piú prestigiosi è da ricordare soprattutto «L'Almanacco della donna italiana» (Firenze, 1920-1943), un annuario fondato da Enrico Bemporad e diretto fino al 1936 dalla moglie Silvia. Per ulteriori approfondimenti sulle vicende dell'«Almanacco» e sul suo ruolo nel panorama culturale femminile del ventennio si vedano in particolare i seguenti contributi: S. Bartoloni, Dalla crisi del movimento delle donne alle origini del fascismo. L'«Almanacco della donna italiana» e la «Rassegna Femminile Italiana», in A.M. Crispino, a cura di, Esperienza storica femminile nell'età moderna e contemporanea, Atti del seminario, vol. 1, Roma, Unione donne italiane, 1988, pp. 125-143; E. Mondello, op. cit., pp. 159-202; M. Saracinelli-N. Totti, L'«Almanacco della donna italiana»: dai movimenti femminili ai fasci, cit.

54 E. Cantani, La stampa femminile tra le due guerre, in Editoria e cultura a Milano tra le due guerre (1920-1940), Atti del convegno (Milano, 19-21 febbraio 1981), Milano, Mondadori, 1983, p. 103 (il corsivo è mio). Le riviste di alta moda, diversamente da quanto si può affermare per i rotocalchi, sono «pensate per una lettrice il cui tenore di vita è sufficientemente alto da consentirle un certo grado di emancipazione e di apertura culturale» (R. Carrarini, op. cit., p. 286).

55 1924-1934, in «La Donna italiana», n.1, gennaio 1934.

56 A. Pontecorvo Pertici, La donna e la civiltà nel mondo. Il nostro referendum, in «Vita femminile» n. 4, aprile 1931, p. 13.

57 Sulle misure legislative prese in età fascista nei confronti delle donne, cfr. M.Bellomo, La condizione giuridica della donna in Italia. Vicende antiche e moderne, Torino, Eri, 1970, e A. Galoppini, Il lungo viaggio verso la parità. I diritti civili e politici delle donne dall'Unità ad oggi, Bologna, Zanichelli, 1980. Per il lavoro, in particolare, M.V. Ballestrero, Dalla tutela alla parità. La legislazione italiana sul lavoro delle donne, Bologna, Il Mulino, 1979.

58 C. Vicenti, La polemica sulla realtà di una donna moderna, in «Vita femminile», n. 8, agosto 1932, p. 21.

59 L. Antonelli Kaulfus, La realtà della donna moderna, ivi, n. 10, ottobre 1932, p. 17.

60 M.L. Astaldi, La polemica sulla realtà di una donna moderna, ivi, n. 8, agosto 1932, p. 21.

61 Su questo tema, M. De Giorgio, Dalla «donna nuova» alla donna della «nuova Italia», in D. Leoni-C. Zadra, a cura di, La grande guerra. Esperienza, memoria, immagini, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 307-329.

62 Sulle origini del fascismo femminile e sui suoi rapporti con il movimento femminista si rimanda in particolare ai contributi di D. Detragiache, Il fascismo femminile da San Sepolcro all'Affare Matteotti, 1919-1925, in «Storia contemporanea», 1983, n. 2, pp. 211-251, e Du socialisme au fascisme naissant: formation et itinéraire de Regina Terruzzi, in R. Thälmann, éd. par, Femmes et Fascismes, Paris, Tierce, 1986, pp. 41-66.

63 A. Zamberletti, Rispondete ai nostri referendum. La donna è pari all'uomo?, in «Eva», 6 maggio 1933, p. 14.

64 Victoria De Grazia parla, a questo proposito, di «conflitto tra ansia di modernità e desiderio di restaurazione dell'autorità tradizionale che attraversa l'intera storia del regime [...] Questa contraddizione era particolarmente visibile nell'atteggiamento del regime verso le donne. Da un lato i fascisti condannavano tutte le pratiche sociali connesse con l'emancipazione femminile, dal voto, al lavoro extradomestico, al controllo delle nascite, cercando per di piú di estirpare quegli atteggiamenti volti all'affermazione dei propri interessi individuali che sottostavano alle richieste di autonomia ed uguaglianza da parte delle donne. Dall'altro lato, nel tentativo di accrescere la forza economica della nazione e di mobilitare ogni risorsa disponibile - inclusa la capacità riproduttiva delle donne - i fascisti finivano inevitabilmente per promuovere quegli stessi cambiamenti che cercavano di evitare [...] il regime affermava l'intenzione di ripristinare il vecchio mentre suo malgrado promuoveva qualcosa di nuovo» (V. De Grazia, Le donne nel regime fascista, cit., p. 18).

65 F. Lombardi, La realtà della donna moderna, in «Vita femminile», n. 10, ottobre 1932, pp. 17-18.

66 C. Messina Leggio, La donna e la civiltà nel mondo. Rivendicazioni femminili, ivi, n. 6, giugno 1931, p. 12.

67 M.Mundula, Il nostro referendum. La donna e la civiltà nel mondo, ivi, n. 7, luglio 1931, p. 12.

68 Lira, Il nostro referendum. Perché sulla donna influisce piú la forza che l'intelligenza dell'uomo?, in «Eva», 26 maggio 1934, p. 13.

69 Marioletta, intervento in «Eva», 6 maggio 1933, cit.

70 P. Bianucci, La verità confezionata. Come leggere un giornale, Torino, Paravia, 1974, p. 81.

71 M. Addis Saba, a cura di, La corporazione delle donne, cit.

72 P. Bianucci, op. cit., p. 81.

73 M.L. Astaldi, La polemica sulla realtà di una donna moderna, in «Vita femminile», n. 8, agosto 1932, p. 21.